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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Monte - Alpe Zandila - Campacciolo - Monte
3 h
420
E
SINTESI. Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio all’ultimo svincolo a sinistra prima di Bormio (per chi proviene da Milano; indicazioni per Cepina). Procediamo per un tratto verso nord, poi, seguendo le indicazioni per S. Maria, prendiamo a sinistra e superiamo su un ponte il fiume Adda, per poi prendere di nuovo a sinistra (ancora indicazioni per S. Maria) e procedere in direzione contraria rispetto a Bormio (cioè verso sud). Ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo su una stradina asfaltata dalla carreggiata piuttosto stretta, fino ad un successivo bivio, dove, ignorata la strada che prosegue a sinistra (indicazioni per Fontane), prendiamo a destra. Ad un terzo bivio ignoriamo la strada che volge a destra e prendiamo a sinistra, imboccando una breve galleria che ci porta a S. Maria Maddalena. Proseguiamo andando a destra ad un quarto bivio e parcheggiando appena prima il quinto bivio (m. 1530). Ci incamminiamo andando a sinistra e salendo al nucleo di Monte (m. 1619). Ci portiamo alla chiesetta e troviamo la partenza di 2 sentieri: prendiamo quello di sinistra, per l'alpe Zandila, indicato da un cartello della Comunità Montana Alta Valtellina come sentiero Zandilla (o sentiero C). La Malga Zandilla è data ad un’ora ed il passo di Zandilla a 4 ore. La stradella termina alla parte bassa dell'alpe o malga Zandila (o Zandilla, m. 1820). Dai fienili della parte bassa saliamo alla parte alta, dove si trova una chiesetta (m. 2014). Dobbiamo ignorare il sentiero che prosegue verso sud-ovest, risalendo le balze di pascoli e macereti della parte superiore dell'alpe Zandina in direzione del pizzo Zandila, ed imboccare invece il segnalato (N208) sentiero di Ruina Alta, che traversa a Campacciolo, dirigendosi in direzione contraria (a destra, ovest e poi nord), infilandosi ben presto in uno splendido bosco di pini gembri e larici, che diventa via via più fitto. Il sentiero, che procede con modesti saliscendi, in qualche punto si fa stretto, ma è sempre ben visibile. Procediamo diritti con tratti nel bosco ed attraversamento di corpi franosi, pietraie e valloncelli. Nell'ultima parte della traversata attraversiamo un ampio e rpido vallone (attenzione a non perdere il sentiero), passiamo in una zona di grandi massi (paleofrana) colonizzata dal bosco, superiamo il filo del dosso chiamato Filèt ed usciamo dal bosco ai prati nei pressi dell'alpeggio di Campacciolo (m. 2104), raggiunto da una pista sterrata. Qui possiamo salire per breve tratto a visitare le poche baite di Campacciolo e, se abbiamo tempo ed energie, proseguire sul sentiero ben segnalato che raggiunge la conca ed il lago di Campaccio (in tal caso mettiamo in contro un'oretta in più di cammino). Oppure possiamo ridiscendere direttamente lungo la ripida pista sterrata che. passando per i prati di Campello (m. 1813), ci riporta a Monte.


La Valdisotto vista dal Campello, sopra Monte

L'orso in Valtellina, è ufficiale, ha rimesso piede. Vezzeggiato, collarizzato, filmato, seguito, temuto, discusso: è già una star inconsapevole. Non così in passato, quando la sua figura era legata a timori radicati e non sempre infondati.
Prima che iniziasse, con l'introduzione delle armi da fuoco, la caccia sistematica che ne determinò l'estinzione per un buon secolo e mezzo, fino alla metà dell'ottocento non era esperienza rara imbattersi in esemplari d'orso, che venivano abbattuti solo quando si avventuravano nei pressi dei centri abitati o insidiavano armenti e greggi. Tutto sommato, non era animale particolarmente temuto, perché, come scrive Bruno Credaro, "...l'orso che vive di topi e uova di formiche... solo in circostanze eccezionali cede alla tentazione di mangiarsi una pecora o una capra. Se qualche volta un orso ha dato una zampata a qualche montanaro, l'ha fatto sempre per legittima difesa, messo alle strette da forche o da archibugi." A meno di voler credere ad antichissime leggende, che individuamo negli orsi più intraprendenti e segnalati non semplici orsi, bensì "cunfinàa", anime di peccatori talmente spregevoli da non trovar posto neppure all'inferno e quindi condannate a vagare senza pace in luoghi particolarmente selvaggi, togliendo anche la pace a quanti si imbattevano in loro.
Sia come sia, l'orso è sempre stato ogetto di caccia da parte dell'uomo (gli Statuti Comunali di Bormio, nel 1382, vi dedicano due capitoli, fissando anche in 8 lire la taglia per ciascuna cattura), ma dalla seconda metà dell'Ottocendo agli inizi del novecento iniziò una caccia sistematica che portò alla (temporanea) estinzione dell'orso. Caccia incoraggiata dai comuni, che in qualche caso pagavano l'acquisto della polvere da sparo degli "sciopét", cioè dei fucili, la nuova e decisiva arma che fece pendere decisamente dalla parte dell'uomo la bilancia delle sorti nella lotta per il controllo del territorio. Diversi i motivi della caccia senza tregua, non ultimo quello di salvaguardare pecore ed asini dalla sua voracità apparentemente insaziabile. Senza dimenticare l'incasso delle taglie pagate dai comuni. Narrano le cronache che l'ultimo orsi di Valtellina venne ucciso nel 1902 sul versante occidentale dei monti di Cepina, e precisamente nei boschi sopra la frazione di Monte (Mont).
Boschi che possono essere scenario di una tranquilla camminata, dedicata alla conoscenza di un angolo escursionisticamente assai poco frequentato nei monti di Valdisotto.
Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio all’ultimo svincolo a sinistra prima di Bormio (indicazioni per Cepina). Procediamo per un tratto verso nord, poi, seguendo le indicazioni per S. Maria, prendiamo a sinistra e superiamo su un ponte il fiume Adda, per poi prendere di nuovo a sinistra (ancora indicazioni per S. Maria) e procedere in direzione contraria rispetto a Bormio (cioè verso sud). Ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo su una stradina asfaltata dalla carreggiata piuttosto stretta, fino ad un successivo bivio, dove, ignorata la strada che prosegue a sinistra (indicazioni per Fontane), prendiamo a destra (indicazioni per Massaniga, S. Maria, Presure, Tiola e Monte). Ad un terzo bivio ignoriamo la strada che volge a destra e prendiamo a sinistra, imboccando una breve galleria: si tratta della galleria di Santa Maria, costruita per ripristinare i collegamenti fra i nuclei di Santa Maria, sul versante montuoso a sud del torrente Massaniga (Rin de Masanìga) e Cepina dopo la tragica alluvione del luglio 1987.
Usciti dalla galleria, ci troviamo alla frazione di S. Maria Maddalena (chiamata, nel Medio Evo, Plazmortizio), a 3 km da Cepina. Oltrepassata la graziosa chiesetta (costruita nel 1935 al posto della ben più antica chiesetta del 1372), che resta alla nostra sinistra, ecco un quarto bivio, al quale non prendiamo a sinistra (indicazione per Presure), ma a destra (indicazione per Monte). Dopo alcuni tornanti, la strada prende per un tratto a destra, e ci porta ad un quinto bivio, a 5 km e mezzo da Cepina: le indicazioni segnalano che a destra si raggiunge il nucleo di Tiola (abitato permanentemente; fino al 1970 vi si trovata anche una scuola elementare), mentre a sinistra si prosegue per quello di Monte.
Dobbiamo, però, lasciare qui l’automobile, allo slargo appena prima del bivio, perché la stretta stradina di destra finisce subito alle case di Tiola, mentre quella di sinistra è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. La camminata inizia, dunque, da una quota di circa 1530 metri. Seguiamo la strada asfaltata per Monte, che, dopo un tornante sinistrorso, ci porta alle case della frazione (Mont, m. 1619, a 7 km da Cepina), abitata permanentemente da un centinaio di persone fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, ora animata dai villeggianti solo nella stagione estiva o nei finesettimana. La denominazione si riferisce ai pascoli che circondano l’abitato, sfruttati, in passato, per la fienagione fino all’ultimo filo d’erba. Si cercava di rubare progressivamente spazio al bosco, coltivando anche la segale: questa coltura, associata all’allevamento del bestiame, consentiva di passare l’inverno, ovviamente in condizioni modeste e dure. Erano altri tempi, come ripete chi ha vissuto quelli stentati del passato: la miseria, oggi, ha lasciato il posto ad un agio diffuso, ed il bosco si prende la sua rivalsa dopo secoli e secoli di ritirata, incalzato dalla fame dell’uomo. Fra le case spicca la chiesetta dedicata alla visitazione della Madonna alla cugina Elisabetta, edificata nel 1911 per volontà del cappellano don Michele Molinari.
Il piccolo nucleo è assai interessante anche dal punto di vista panoramico. Guardando a nord, in particolare, ci si offre un bel colpo d'occhio sulla dorsale della Reit, la montagna di Bormio.
Ci portiamo alla chiesetta e troviamo la partenza di 2 sentieri: prendiamo quello di sinistra, per l'alpe Zandila, indicato da un cartello della Comunità Montana Alta Valtellina come sentiero Zandilla (o sentiero C). La Malga Zandilla è data ad un’ora ed il passo di Zandilla a 4 ore. La stradella (strada de Mont) dopo un lunga salita in una splendida pecceta termina alle baitedell'alpe o malga Zandila (o Zandilla, m. 1825). Dai fienili della parte bassa saliamo alla parte alta, dove si trova una chiesetta (m. 2014).
Il luogo è denso di fascino e motivi di suggestione. Incerto è l'etimo: considerato che l'alpe è citata anche nella versione di "Sandila", il nome deriva forse da "senda", cioè "sentiero", oppure dalla stessa radice di "Sondalo". La sua posizione, ai piedi di un vasto anfiteatro solitario e desolato, ha probabilmente fatto nascere nei secoli XV e XVI la credenza che qui, all'ombra del monte Coppetto, convenissero streghe e stregoni nei loro sabba periodi alla presenza del demonio. Evidentemente i pastori dell'alpe non prestarono mai fede a questa leggenda.
Fra le poche baite dell'alpe, alcune delle quali ormai diroccate, se ne trova una interessante perché costruita con la tecnica del "càrden", introdotta in valle nei secoli passati da popolazioni Walser: sopra un piano-terra in muratura si trova un piano costruito con travi di legno che si intersecano ad incastro negli angoli. L'alpe è sorvegliata da una chiesetta posta su un poggio molto panoramico. A nord il colpo d'occhio su Bormio è suggestivo e raggiunge il paese, il massiccio della Reit che lo sovrasta, l'imbocco della Val Zebrù alla sua destra ed alcune cime della Val Fraele alla sua sinistra. Ad ovest, invece, si impone la massiccia mole del pizzo Coppetto (m. 3066), che sovrasta il Dosso Filetto e si mostra coma una piramide regolare a base molto larga.


Alpe Zandila

Alpe Zandila

La parte alta dell'alpe Zandila

La cima non cessa di manifestare il suo risentimento per l'errato accostamento all'immane frana che alle 7.23 di martedì 28 luglio 1987 ridisegnò tragicamente la carta di questo tratto dell'alta Valtellina. Venne giù un intero pezzo di montagna, fu l’immane frana della Val Pola o del monte Zandila. Ma nella fretta di collocare la tragedia, la cui notizia rimbalzò subito sui media che già da una decina di giorni "attenzionavano" la Valtellina, qualcuno guardò una cartina con sguardo poco attento. Di qui nacque un'espressione destinata a passare alla storia: la frana del pizzo Coppetto. Ma non erano venuti giù dalle falde del pizzo i 40 milioni di metri cubi di materiale che riempirono il fondovalle, si incastrarono, in basso, nella strozzatura della valle seppellendo il ponte del Diavolo, risalirono il versante opposto cancellando quattro abitati, S. Antonio, Morignone, Piazza (per fortuna evacuati) ed Aquilone (che non venne distrutta direttamente dalla massa franosa, ma dall’immane spostamento d’aria). Non dovevano essere associate all'incolpevole pizzo Coppetto le vittime della frana, i 7 operai al lavoro per ripristinare la ss. 38 ed i 28 abitanti di Aquilone, che non era stata evacuata perché non si immaginava che l’eventuale frana potesse avere dimensioni così apocalittiche. Nella salita al passo di Zandila avremo modo di vedere da vicino che il versante interessato è a valle del monte Zandila. Ma ormai il danno, per la fama del pizzo Coppetto, era fatto, perché alla fama sinistra di cima che si affaccia sui luoghi del sabba demoniaco si aggiunse quella di cima della disgrazia.


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Il monte Zandila (Cornèc', m. 2936), che ha tutta l'aria di protestare la propria innocenza su questa vicenda, se ne sta invece a sud dell'alpe, con un profilo più slanciato. Privo di interesse alpinistico, per le sue rocce pessime, ha però un interesse topografico, ed infatti venne salito per la prima volta dal topografo F. Guarducci con G. Krapacher il 20 agosto 1883. Il passo di Zandila è alla sua destra, ma dall'alpe non si riesce ad indovinare esattamente dove. Sul lato opposto della Valtellina, infine, quindi ad est, si propone in primo piano il selvaggio, ripido e boscoso versante che la separa dalla Val di Rezzalo. Al suo culmine si distinguono, da destra, il Corno di Boero, il monte Mala, il monte Eur ed il monte Vallecetta.
Perché non si creda che su questi luoghi incomba solo un'aria nefasta vale però la pena di ricordare, prima di lasciare l'alpe, che a monte dei suoi prati ci sono diverse sorgenti chiamate "Aqua de San Carlo", cioè "Acqua di San Carlo". Per la verità sono diverse le sorgenti che in Valtellina hanno tale nome, e si riconducono tutte alla credenza che, a dispetto della storia (che racconta di una sola venuta del grande santo della Controriforma in Valtellina, dalla Valcamonica a Tirano fra il 27 ed il 28 agosto 1580), San Carlo sarebbe passato per vari paesi e boschi, facendo sgorgare con il suo bastone un'acqua dalle roprietà taumaturgiche, capace di far guarire da vari mali, particolarmente della pelle, chi vi si lavasse.
Proseguiamo nell'escursione prestando attenzione ai cartelli.


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Vediamo ora come traversare da Zandila a Campacciolo. Presso la Casina de Zandila (m. 2025) dobbiamo ignorare il sentiero che prosegue verso sud-ovest, risalendo le balze di pascoli e macereti della parte superiore dell'alpe Zandina in direzione del pizzo Zandila, ed imboccare invece il segnalato (N208) sentiero di Ruina Alta, che traversa a Campacciolo, dirigendosi in direzione contraria (a destra, nord), infilandosi ben presto in uno splendido bosco di pini gembri e larici, che diventa via via più fitto. Ben presto l'impressione di luminosità ed apertura dell'alpe lascia il posto alla vaga inquietudine di un luogo che ci toglie riferimenti visivi e quindi la possibilità di sapere dove andremo a finire. Il sentiero, pulito e risistemato dai cacciatori, in qualche punto si fa stretto, ma è sempre ben visibile e procede con modesti saliscendi. Alterniamo tratti nel bosco a tratti in cui tagliamo corpi franosi, pietraie e valloncelli.
Verso la fine della traversata il sentiero taglia un ampio e ripdo vallone (attenzione a non perdere la traccia) ed attraversa una zona che reca segni evidenti di una paleofrana, cioè grandi massi colonizzati dal bosco. In alcuni casi si intuiscono grotte ed antri che, non è difficile immaginarlo, diedero in passato ricovero agli orsi per i quali questa zona era famosa. Da qualche parte qui venne catturato l'ultimo orso, nel 1902. Alcuni pensarono che non si trattasse di un caso. Da un secolo almeno questi boschi erano infestati dal più temibile orso della Magnifica Terra della Contea di Bormio, un orso che si distingueva da tutti gli altri per aggressività. Un orso che nessuno riusciva a catturare e che puntualmente, decennio dopo decennio, tornava ad essere segnalato, come se non dovesse o non potesse morire mai. Non era un caso, era sicuramente un'anima dannata di "cunfinàa".


Punto di arrivo del sentiero di Ruina Alta presso l'alpe Campacciolo

Non un'anima qualsiasi, ma quella del terribile conte Galliano Lechi, di cui a Cepina non si era certo persa la memoria.
Si tratta di una delle più singolari ed insieme esecrate figure che spiccano nella storia dell'alta valle. Nobile di origine bresciane, spadroneggiava con i suoi "bravi" nel feudo di famiglia e fu incarcerato nelle terribili prigioni dei Piombi di Venezia, dalle quali evase incredibilmente nel 1785 (fu il secondo e l'ultimo a cui riuscì l'impresa, dopo il più celebre Casanova). Fuggito dalle terre della Serenissima, divenne entusiasta rivoluzionario ai tempi della Rivoluzione Francese. Combattè in Valtellina dalla parte di Napoleone, cercando anche di diffondervi le nuove idee atee ed irreligiose. Per questo si acquistò la fama di persona diabolica e dissoluta (conte-diavolo fu la denominazione che gli venne affibbiata). Fu catturato in un agguato organizzato dalla nobiltà bormiese (che di Napoleone non voleva proprio saperne) e passato sommariamente per le armi il 23 luglio 1797 a Cepina Valdisotto. La gente si convinse che il suo corpo, fatto a pezzi e gettato nell'Adda, non sarebbe più ricomparso, ma la sua anima non avrebbe tanto facilmente abbandonato quei luoghi. Ed infatti, guardacaso, morto il conte comparve il feroce orso, che sembrava votato ad impaurire le genti di Cepina e delle sue frazioni montane. Almeno fino al 1902.


Il lago di Campaccio

Non manca nessun ingrediente per rendere la traversata di questi boschi intrigante e vagamente inquietante. Ma poi il sentiero se li lascia alle spalle, si porta sul filo della crestina chiamata Filèt e dopo breve traversata ecse ai prati presso l'alpeggio di Campacciolo (Campaciöi, m. 2104), che si stendono ai piedi del Dosso Filetto (Al Filét) ed è raggiunta da una pista sterrata. Qui la pista termina lasciando il posto ad un marcato sentiero che sale al lago di Campaccio (m. 2301).
Possiamo salire per breve tratto a visitare le poche baite di Campacciolo e, se abbiamo tempo ed energie, proseguire sul sentiero ben segnalato che raggiunge la conca ed il lago di Campaccio (in tal caso mettiamo in contro un'oretta in più di cammino). Se invece la storia del conte-diavolo e dell'orso confinato (una sola realtà maligna, forse) ci ha già abbastanza suggestionato, possiamo ridiscendere sul ripido tratturo che, superati i prati di Campello (m. 1813), riporta a Monte, meditando sul mistero per cui di persone particolarmente malvagie (o credute tali) non riusciamo veramente a credere, come sostiene anche il filosofo Adorno, che possano morire.


Campello

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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