CARTE DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI

La Via Alpina è costituita da cinque grandi sentieri internazionali, per uno sviluppo complessivo di 5000 km., che attraversano gli otto paesi alpini, cioè Francia e Principato di Monaco, Italia, Svizzera, Germania, Liechtenstein, Austria e Slovenia. Essa concretizza il progetto di disegnare percorsi che uniscano le diverse regioni alpine, accomunandole per identità e vocazione, favorendo al contempo un tipo di turismo itinerante nel segno di una ben precisa filosofia della montagna e del camminare. Una filosofia lontana dagli stili della fruizione affrettata e legata piuttosto all’esperienza dell’osservare, vedere, sentire e pensare, nella dimensione della sobrietà. 9 delle 161 tappe dell'Itinerario Rosso, il più lungo, attraversano la Valtellina (siglate da R71 a R79), dall’Alta Valtellina (passo dello Stelvio) al passo del Muretto in Alta Valmalenco. Tappe che perlopiù si innestano in altri percorsi segnalati. Le piccole targhe della Via Alpina, con il caratteristico logo, disposte nei luoghi strategici, segnalano che stiamo percorrendo anche questa grande direttrice di respiro transnazionale. Le tappe non richiedono un impegno più che escursionistico e non propongono passaggi attrezzati, anche se in qualche punto si richiede una certa esperienza escursionistica. Tuttavia si tratta di tappe piuttosto lunghe nello sviluppo, anche se il dislivello in altezza non è mai eccessivo, e che quindi possono essere spesso divise in due giornate. Ovviamente ciascuno può progettare percorsi che si adattino alle proprie necessità e disponibilità di tempo e di energie. In caso di cattivo tempo, infine, ci si espone, come sempre, alla triplice insidia del terreno bagnato ed infido, della scarsa visibilità e dei fulmini, per cui è meglio desistere dall'escursione.


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3. EITA-MALGHERA
Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Eita-Valle d'Avedo-Passo di Vermolera-Val di Sacco-Malghera
7-8 h
1120 (800 in discesa) - Sviluppo: 15 km
EE
SINTESI. Scendiamo da Eita lungo la carrozzabile di Val Grosina per poche centinaia di metri, fino a trovare una pista che se ne stacca sulla destra, prima di ampio spiazzo per il parcheggio sulla sinistra della strada (m. 1620 circa). Lasciamo la carrozzabile e ci incamminiamo sulla pista che sale in Valle d'Avedo. Passiamo a monte dell'alpe Avedo e, superata la località Stabini (m. 1821), entriamo nella piana di Vermoléra (m. 1927); la pista si è fatta sentiero e si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra. Attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle, iniziando a salire un gradino di soglia che ci fa approdare alla piana dei laghetti di Tres (m. 2186). Qui lasciamo il sentiero principale che sale al passo ed al rifugio di Dosdè e, seguendo le indicazioni del Sentiero Italia, tagliamo la piana verso sinistra, portandoci al lato opposto (di sinistra, per noi). La debole traccia si districa in un fascia di macereti, supera alcuni roccioni lisci ed approda alla conca che ospita il bel lago di Venere. Procediamo sulla traccia seguendo attentamente i segnavia bianco-rossi e passiamo, con qualche saliscendi, a destra del lago di Venere. La rsalita riprende su un ripido versante di sfasciumi e strisce di pascolo, e ci porta ad un'ampia conca morenica a quota 2500 m. I segnavia ci indirizzano ad una seconda rampa: attacchiamo un ampio canalone che termina ad un'invitante sella. Abbiamo l'impressione che quella sia la nostra meta, il passo di Vermolera. Così non è: più o meno all'altezza di un roccione con un grande segnavia e di una china erbosa (poco sotto quota 2600), dobbiamo lasciare la direzione sud-sud-ovest, piegare a destra (direzione ovest) ed infilarci nell'imbuto di un ripido canalone laterale, che sembra chiudersi ad imbuto, ma più in alto di apre e diventa molto largo. La salita è molto faticosa, perché il pendio è ripido. Conviene stare sul lato di destra, dove il pietrame è più rado o quasi assente. Al termine della salita ci affacciamo ad un ripiano ingombro di massi e grandi blocchi. Guidati dai segnavia percorriamo un simulacro di sentiero che la supera e ci porta finalmente al ripiano del passo di Vermolera (m. 2732), presidiato a nord dal puntuto pizzo Matto (m. 2993). Attraversiamo il ripiano e ci affacciamo sul lato opposto, tornando a vedere la Val di Sacco. Sempre seguendo con attenzione i segnavia scendiamo fra placche e roccioni ad un versante di sfasciumi. Giunti nei pressi del suo bordo, cerchiamo con attenzione un sentiero che scende ripido su un versante morenico scosceso, piegando poi a sinistra e tagliandolo in diagonale verso sud. La traccia è stretta ed in alcuni punti rovinata da smottamenti, per cui dobbiamo procedere con attenzione. Al termine della diagonale tocchiamo un terreno più tranquillo. Pieghiamo a destra e proseguiamo la graduale discesa verso ovest-nord-ovest, restando a poca distanza dal versante meridionale che scende dal pizzo Matto. Ci infiliamo così in un ampio corridoio, procedendo a ridosso di un piccolo corso d'acqua. Seguendo i segnavia su paletti e pietre, più in basso traversiamo a sinistra tagliando verso sud-ovest. Attraversato un corridoio fra gobbe erbose, ci portiamo ad un secondo corrodio, un vallone più stretto, e scendiamo restando sul suo lato destro, affacciandoci all'ampio ripiano che ospita il Lago di Pian del Lago (m. 2316) ed il bivacco Pian del Lago, presso le sue rive. Dobbiamo proseguire verso ovst-nord-ovest, attraversando in piano i prati e scovando la partenza del marcato sentiero che inizia la discesa verso il fondovalle, con diverse svolte, verso sud-sud-ovest. Tagliamo così un ripido dosso e scendiamo ad intercettare una pista sterrata. Seguendola in discesa tocchiamo il fondo della Valle di Sacco, nei pressi di un ponte che ci porta dal versante orientale a quello occidentale. Qui ci ritroviamo sulla parte iniziale della pista che percorsa verso sinistra ci porta a Malghera.


Vermolera e, sul fondo, il pizzo Matto

La terza tappa della Via Alpina valtellinese resta interamente in Val Grosina e propone una traversata che unisce i due principali nuclei della Valle, Eita, in alta Val Grosina, e Malghera, nel cuore della Val Grosina Occidentale. Traversata di medio sviluppo ma decisamente impegnativa dal punto di vista tecnico, perché il passo di Vermolera, che unisce la Valle d'Avedo alla Val di Sacco, è faticoso e scorbutico, anche se non propone passaggi particolarmente esposti o attrezzati.


Laghetti di Tres

Protagonista di questa tappa è la Val d'Avedo. Vale la pena di saperne un po' di più.
Le valli della Val Grosina propongono scenari aperti e luminosi. Tutte tranne una, la Valle d’Avedo, posta proprio nel suo cuore, incastonata com’è fra i suoi due grandi rami, la Valle di Eita ad est e la Val Grosina Occidentale a sud. È stretta, a tratti incassata, non tetra, ma selvaggia ed aspra. Una valle che propone peraltro diverse soluzioni escursionistiche, in quanto possiamo risalirla fermandoci all’incantevole piana dei laghi di Tres, oppure proseguendo fino allo splendido lago Negro o, infine, raggiungendone il fondo dove si collocano il rifugio ed il passo di Dosdé, che si affaccia sulla Val Cantone di Dosdé. Per questa valle passando due importanti traversate in più tappe, il Sentiero Italia Lombardia V (che coincide con una variante dell’Alta Via della Magnifica Terra) e, appunto, la Via Alpina.
La valle è denominata localmente Val de Avé o anche Val de Vérmulèra. La prima denominazione deriva da quello dell’alpeggio posto al suo ingresso, che a sua volte deriva da “avéd”, cioè “abete”, (la parte inferiore della valle è caratterizzata da fitte abetaie). La seconda denominazione, invece, pare si possa ricondurre all’erba vermulèra, cioè alla scrofularia maggiore, chiamata così perché considerata ottimo rimedio contro i vermi nei bambini.


L'alpe Avedo

La valle, tributaria del ramo principale della Val Grosina, o Valle di Eita (nella quale confluisce da ovest poco sotto la piana di Eita), si sviluppa da est ad ovest, scandita da diversi gradini o soglie modellati dai ghiacciaio quaternari. A sud è delimitata dalla costiera che la separa dalla Val Grosina Occidentale e sale dal monte Saline (m. 2631), toccando il monte Alpisella (m. 2756), il Sasso Campana (m. 2913), il passo di Vermolera (m. 2782), il pizzo Matto (m. 2993), il Dosso Sabbione (m. 2980), il Corno di Lago Negro (m. 2927), il pizzo Ricolda (m. 2962) e, al vertice occidentale, la cima Saoseo (m. 3263). Da qui parte, verso est, la costiera settentrionale, che la separa dalla Val Cantone di Dosdé e che propone, ad est del passo di Dosdé (m. 2824), la cima Viola (m. 3374, massima elevazione della valle), la cima di Lago Spalmo meridionale (m. 3291) ed il Sasso di Conca (m. 3150). La salita in valle parte da un parcheggio sulla carrozzabile che risale la Val Grosina fino ad Eita, posto poco prima di Eita. Possiamo transitare su questa carrozzabile acquistando il pass giornaliero ad una macchina erogatrice al parcheggio di Fusino. Ma vediamo più in dettaglio come procedere.
Scendiamo da Eita lungo la carrozzabile di Val Grosina per poche centinaia di metri, fino a trovare una pista che se ne stacca sulla destra, prima di ampio spiazzo per il parcheggio sulla sinistra della strada (m. 1620 circa).
Lasciamo qui la carrozzabile della Val Grosina e proseguiamo a piedi su questa pista. I cartelli segnalano che stiamo percorrendo un tratto del Sentiero Italia, che però si separa dal sentiero per il rifugio alla piana dei laghetti di Tres. Si tratta della strada che sale ai prati di Avedo, stretta e ripida.


La piana di Vermolera

La pista, sulla quale all'asfalto si sostituisce ben presto la terra battuta, passa a monte dei ripidi prati dell'alpe di Avedo (m. 1670; si tratta in realtà di un maggese già citato in un documento del 1398), che vediamo alla nostra sinistra, mentre guardando a destra si aprono diversi scorci panoramici su Eita, riconoscibile per il caratteristico campanile. Le baite del maggese rispecchiano le caratteristiche di quelle dell'intera Val Grosina, con tratti intermedi fra la tipologia dell'alta Valtellina e quella della media e bassa valle. Presentano una base in muratura sopra la quale le pareti sono costituite da tronchi di legno con incastro negli angoli, secondo la tecnica chiamata "cardana" o "blockbau". Al pianoterra si trovano stalla e cucina, al primo piano fienile e camera da letto.
Stiamo risalendo il primo dei gradini che la valle, nel suo sviluppo, propone: lo scenario, qui, è ancora quello gentile dei pascoli verdeggianti che hanno permesso, in Val Grosina, quel largo sviluppo della zootecnia per il quale essa è famosa. Superato un piccolo spiazzo che viene utilizzato da qualche audace automezzo come parcheggio, ci avviciniamo alla porta che introduce al secondo gradino, passando per la località Stabine (localmente "i Stabini", m. 1821, nucleo citato in un documento del 1787: "monte alle stabine in Vermolera").


Baitello sul sentiero

La pista approda alla piana di Vermoléra (Pianàsc’), dove si trova l’omonima alpe, già citata in un documento del 1543. La pista si è fatta sentiero e, qui, si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra. L'aspetto solitario della piana è mitigato dalle due baite (m. 1927), mentre sul fondo è già ben visibile il successivo gradino che ci impegnerà nella salita (Mot di Spòtuli). Ora, però, attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle (c'è anche un sentiero che resta sul medesimo lato, ma è meno agevole), lasciando il torrente alla nostra destra. Il sentiero, ben marcato, si allontana, poi, dal torrente, che scende, alla nostra destra, da una breve gola con una caratteristica cascata.


Salendo da Stabine ai laghi di Tres

La salita fra i rododendri ed i brevi lembi di pascolo è, in questo tratto, abbastanza ripida, per cui si rende probabilmente necessaria qualche sosta, che ci consente di abbracciare con un colpo d'occhio il percorso effettuato dalla piana di Vermolera. Passiamo anche vicino, passando a sinistra di un curioso manufatto in pietra ad ogiva (sullo stile dei nuraghi). Se ne trovano di simili sul versante retico mediovaltellinese (per esempio appena sotto il nucleo di Campione a monte di Bianzone o all'alpe Lughina sopra Villa di Tirano). Molto probabilmente fungevano da ricovero per i pastori oppure servivano a tenere al fresco il latte.
Alla fine della salita ecco la piana dei laghetti di Tres ("lach di Trés", m. 2186, chiamati in passato anche "Laghi di Avedo"), posti poco a sud delle baite omonime. Al suo ingresso, ci riportiamo a destra del torrente, che qui defluisce dal più grande dei laghetti. I laghi di Tres, a dispetto del nome, sono due e, nelle belle giornate, raccolgono i colori dei versanti circostanti regalando suggestivi giochi cromatici. Per la verità è probabile che un tempo effettivamente ci fosse un terzo laghetto, oggi interrato, ed allora i conti tornerebbero. Di questo comunque non si preoccupano i pescatori che amano salire fin qui per pescare nelle loro tranquille acque.


Laghi di Tres, sovrastati dal Pizzo Matto e dal Dosso Sabbione

La piana, baricentro della valle, è gentile e bucolica, ma lo scenario comincia a mutare, e la valle comincia a mostrare un aspetto più arcigno. Alla nostra sinistra (sud) è vegliata dal Sasso Campana, mentre ad est si profilano le tre puntute cime del Pizzo Matto. Alla sua destra il cupolone del Dosso Sabbione. A destra (nord), infine, incombe il poderoso versante meridionale del signore della valle, la cima Viola (m. 3374), che qui mostra un volto davvero impressionante, la sua parete meridionale, una parete di durissimo gneiss che precipita per seicento metri sul pianoro del lago Spalmo.


Apri qui una fotomappa della traversata della piana di Tres

Sotto questo versante scende un ripido declivio di magri pascoli e terreno franoso. Si intuisce, alla sua sommità, una conca, che ospita l’invisibile lago Spalmo (lach Spalm, m. 2515), uno specchio d’acqua dal singolare colore grigio lattiginoso (per la grande quantità di terriccio in sospensione), ai piedi della cima di Lago Spalmo (scima del Lach Spalm) e della sua piccola vedretta (vedregia di Scimi del Lach Spalm). Un lago invisibile perché ben pochi si avventurano alla conca che lo ospita, in quanto non c’è sentiero che vi conduca e per raggiungerla bisogna risalire il ripido e faticosissimo versante. Se il lago è per questo “invisibile”, non lo sono le sue acque, che defluiscono a valle lungo una valletta intagliata proprio in questo versante, né lo è il suo nome, che si è riverberato sulle cime assai frequentate soprattutto dagli scialpinisti (che vi salgono però dal versante della Val Viola Bormina).


La piana di Tres

Nei pressi della baita più grande di Tres un cartello segnala che il Sentiero Italia si stacca qui, prendendo a sinistra e salendo al passo di Vermolera, da quello che sale al passo di Dosdè. Qui lasciamo il sentiero principale che sale al passo ed al rifugio di Dosdè e, seguendo le indicazioni del Sentiero Italia, tagliamo la piana verso sinistra, portandoci al lato opposto (di sinistra, per noi). La traccia si districa in un fascia di macereti, supera alcuni roccioni lisci ed approda alla conca che ospita il bel lago di Venere.


Salita al passo di Vermolera dalla piana del lago di Venere

Procediamo sulla traccia seguendo attentamente i segnavia bianco-rossi e passiamo, con qualche saliscendi, a destra del lago di Venere. La rsalita riprende su un ripido versante di sfasciumi e strisce di pascolo, e ci porta ad un'ampia conca morenica a quota 2500 m. I segnavia ci indirizzano ad una seconda rampa: attacchiamo un ampio canalone che termina ad un'invitante sella.

Il lago di Venere

Abbiamo l'impressione che quella sia la nostra meta, il passo di Vermolera. Così non è: più o meno all'altezza di un roccione con un grande segnavia e di una china erbosa (poco sotto quota 2600), dobbiamo lasciare la direzione sud-sud-ovest, piegare a destra (direzione ovest) ed infilarci nell'imbuto di un ripido canalone laterale, che sembra chiudersi ad imbuto, ma più in alto di apre e diventa molto largo.


Apri qui una fotomappa della salita dal lago di Venere al passo di Vermolera

La salita è molto faticosa, perché il pendio è ripido. Conviene stare sul lato di destra, dove il pietrame è più rado o quasi assente. Al termine della salita ci affacciamo ad un ripiano ingombro di massi e grandi blocchi. Guidati dai segnavia percorriamo un simulacro di sentiero che la supera e ci porta finalmente al ripiano del passo di Vermolera (m. 2732), presidiato a nord dal puntuto pizzo Matto (m. 2993).


Discesa dal passo di Vermolera

Attraversiamo il ripiano e ci affacciamo sul lato opposto, tornando a vedere la Val di Sacco. Sempre seguendo con attenzione i segnavia scendiamo fra placche e roccioni ad un versante di sfasciumi. Giunti nei pressi del suo bordo, cerchiamo con attenzione un sentiero che scende ripido su un versante morenico scosceso, piegando poi a sinistra e tagliandolo in diagonale verso sud. La traccia è stretta ed in alcuni punti rovinata da smottamenti, per cui dobbiamo procedere con attenzione.
Al termine della diagonale tocchiamo un terreno più tranquillo. Pieghiamo a destra e proseguiamo la graduale discesa verso ovest-nord-ovest, restando a poca distanza dal versante meridionale che scende dal pizzo Matto.
Ci infiliamo così in un ampio corridoio, procedendo a ridosso di un piccolo corso d'acqua.


Pian del Lago

Seguendo i segnavia su paletti e pietre, più in basso traversiamo a sinistra tagliando verso sud-ovest. Attraversato un corridoio fra gobbe erbose, ci portiamo ad un secondo corrodio, un vallone più stretto, e scendiamo restando sul suo lato destro, affacciandoci all'ampio ripiano che ospita il Lago di Pian del Lago (m. 2316) ed il bivacco Pian del Lago, presso le sue rive.
Si apre al nostro sguardo la Val di Sacco, che colpisce per il suo aspetto glabro, cioè per la quasi totale assenza di alberi. Una spiegazione ce la offre l'alpinista e naturalista Bruno Galli Valerio in "Punte e passi" (a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, edito dal CAI di Sondio nel 1998): "La distruzione dei boschi della Val Grosina è dovuta in gran parte all'uso di una speciale calzatura che portano gli abitanti della valle. Sono zoccoli di legno la cui punta è fortemente curvata in alto, come nelle calzature cinesi. Un tempo, si fissavan al piede con un intreccio di stecche di legno ed eran conosciute col nome di cusp; ora si fissan con strisce di cuoio e si chiamano zupèi, Per la loro costruzione non serve che il ceppo delle piante. Ogni paio di zupèi reclama l'impiego di due alberi. La loro durata è di tre mesi, in modo che ogni persona consuma otto alberi all'anno per queste calzature. Il comune di Grosio aveva proibito l'uso dei zupèi per rimediare al disboscamento, ma questa decisione non fu approvata dalla Giunta Provinciale."


Val di Sacco

Dobbiamo proseguire verso ovest-nord-ovest, attraversando in piano i prati e scovando sul bordo dell'alpeggio la partenza del marcato sentiero che piega a sinistra ed inizia la discesa verso il fondovalle, con diverse svolte, verso sud-sud-ovest. Tagliamo così un ripido dosso e scendiamo ad intercettare una pista sterrata presso la conca che ospita la baita della località Mandrie Vecchie (caséra de màndri vègi). Ora la pista in discesa fino a raggiungere il fondo della Valle di Sacco, nei pressi di un ponte che ci porta dal versante orientale a quello occidentale. Qui dopo una breve salita ci ritroviamo alla Casera di Sacco (m. 2008), dove parte la pista che percorsa verso sinistra scende a Malghera, dove si chiude la terza tappa della Via Alpina Valtellinese.


Santuario della Madonna del Muschio o della Neve a Malghera

Qui ci accolgono il ricovero Malghera (m. 1937; per informazioni tel. allo 333 925966 - Giacomo Besseghini - sito web: www.rifugiomalghera.it) e lo stupendo santuario della Madonna della Misericordia (Madòna de la néf), o Madonna del Muschio, edificata nel 1888, dal nucleo di una cappella preesistente, eretta per ricordare il miracolo dell’apparizione della Vergine, sul muschio di una roccia, ad un pastore nel 1750.
Spicca soprattutto il bel campanile, innalzato nel 1910. Una chiesa così elegante in un luogo, tutto sommato, così solitario suscita un’impressione singolare, ma ci ricorda anche non solo la devozione delle genti della valle, ma anche la ricchezza dei luoghi. In generale la Val Grosina è stata, ed in parte è ancora, uno dei luoghi dove l’allevamento del bestiame ha, nell’intera provincia, la maggiore rilevanza.


Ricovero Malghera

Il santuario, chiamato anche della Madonna del Muschio o della Madonna della Neve, fu edificato nel 1888, dal nucleo di una cappella preesistente (1836), eretta per ricordare il miracolo dell’apparizione della Vergine, sul muschio di una roccia, ad un pastorello, nel 1750. Questi era spaventato per un furioso temporale che si era scatenato improvviso, sorprendendolo allo scoperto, e, proprio mentre temeva di essere, da un istante all’altro, colto da un fulmine, vide, un po’ più in alto, su un soffice tappeto di muschio, in un anfratto della roccia, una figura disegnata nettamente fra i licheni della roccia: era la Madonna che, presa da pietà per quel povero ragazzo, gli era apparsa, rassicurandolo. Egli fu preso da profondo stupore, dimenticò ogni timore e, cessata la burrasca, corse a raccontare a tutti quanto aveva visto. Conoscendo la sua grande sincerità e semplicità d’animo, tutti gli credettero, e la notizia del miracolo si diffuse.


Apri qui una fotomappa della Val Grosina occidentale e della Valle di Sacco

Da allora tutti gli alpigiani di Malghera professarono una particolarissima devozione alla Madonna della Misericordia, protettrice dei pastori e delle genti d’alpe, tanto da costruire una cappella, nel 1836, la chiesa, nel 1888 ed infine l’elegante campanile con pietre a vista, nel 1910. Alla sua edificazione contribuirono tutti i Grosini, che, riconoscendo questo luogo come punto di incontro della devozione dell’intera comunità, costituirono, a tal fine, una fabbriceria e costruirono un edificio per ospitare gli operai (quello che oggi è diventato il rifugio Malghera, sopra citato). Una chiesa così elegante in un luogo, tutto sommato, così solitario suscita un’impressione singolare, soprattutto se vista da una certa distanza (appare, infatti, più grande), e ci ricorda anche non solo la devozione delle genti della valle, ma anche la ricchezza dei luoghi. In generale la Val Grosina è stata, ed in parte è ancora, uno dei luoghi dove l’allevamento del bestiame ha, nell’intera provincia, la maggiore rilevanza. Sulla sua facciata occidentale sono state poste due targhe, una che ricorda i “gloriosi caduti del comune di Grosio nella guerra mondiale 1915-18” ed una seconda in memoria dei caduti e dispersi fra il 1935 ed il 1945. Al suo interno una targa ricorda l’elevazione della chiesa a Santuario, e reca scritto: “Noi Alessandro Macchi per grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Vescovo di Como assecondando i desideri del clero e di tutta la popolazione di Grosio, anche come segno di riconoscenza per aver essi procurato le corone d’oro, con cui il 1 agosto 1933, cingemmo la fronte augusta della devota effige della Vergine e del Bambino: abbiamo decretato e decretiamo: la chiesa dedicata alla Beata Vergine Madre della Misericordia, in Val di Sacco, parrocchia di Grosio, è elevata al titolo di Santuario Val di Sacco (Grosio), in occasione della consacrazione della chiesa, il giorno 18 agosto 1940. + Alessandro Macchi Vescovo di Como”.
Può essere interessante leggere come presenta questa località il valente alpinista e naturalista Bruno Galli Valerio, che vi passò il 7 agosto 1900 (da “Punte e passi”, trad. di Luisa Angelici e Antonio Boscacci, Sondrio, 1998): “La carovana, seguita dall'asino che porta i sacchi, si mette in moto verso il ramo occidentale della Val Grosina. Pascoli e boschi sfilano davanti a noi. Il fiume spumeggia in fondo alla gola. Qua e là appare qualche cascata. In quattro ore e mezzo tocchiamo i pascoli di Malghera e S. Maria della Neve (1972 m.). La leggenda vuole che la Madonna sia apparsa lassù ad un pastore, disegnata da licheni sopra una roccia. Vi hanno immediatamente costruito una chiesetta e, accanto a quella, un eccellente rifugio. E' giorno di festa e troviamo lassù molti abitanti di Grosio, Val Grosina e Poschiavo. Ci accoglie molto ospitalmente il presidente del consiglio di fabbrica (il Sig. Sassella, presidente della Fabbriceria della chiesa, ndc) e non c'è mezzo di proseguire. Si partirà domani. In buona compagnia, il tempo passa presto. Visitiamo i pascoli circostanti, la bella casera della Val di Sacco, le magnifiche mandrie di vacche che fanno della Val Grosina il centro di rifornimento della bassa Lombardia.”


CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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