CARTE DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI

La Via Alpina è costituita da cinque grandi sentieri internazionali, per uno sviluppo complessivo di 5000 km., che attraversano gli otto paesi alpini, cioè Francia e Principato di Monaco, Italia, Svizzera, Germania, Liechtenstein, Austria e Slovenia. Essa concretizza il progetto di disegnare percorsi che uniscano le diverse regioni alpine, accomunandole per identità e vocazione, favorendo al contempo un tipo di turismo itinerante nel segno di una ben precisa filosofia della montagna e del camminare. Una filosofia lontana dagli stili della fruizione affrettata e legata piuttosto all’esperienza dell’osservare, vedere, sentire e pensare, nella dimensione della sobrietà. 9 delle 161 tappe dell'Itinerario Rosso, il più lungo, attraversano la Valtellina (siglate da R71 a R79), dall’Alta Valtellina (passo dello Stelvio) al passo del Muretto in Alta Valmalenco. Tappe che perlopiù si innestano in altri percorsi segnalati. Le piccole targhe della Via Alpina, con il caratteristico logo, disposte nei luoghi strategici, segnalano che stiamo percorrendo anche questa grande direttrice di respiro transnazionale. Le tappe non richiedono un impegno più che escursionistico e non propongono passaggi attrezzati, anche se in qualche punto si richiede una certa esperienza escursionistica. Tuttavia si tratta di tappe piuttosto lunghe nello sviluppo, anche se il dislivello in altezza non è mai eccessivo, e che quindi possono essere spesso divise in due giornate. Ovviamente ciascuno può progettare percorsi che si adattino alle proprie necessità e disponibilità di tempo e di energie. In caso di cattivo tempo, infine, ci si espone, come sempre, alla triplice insidia del terreno bagnato ed infido, della scarsa visibilità e dei fulmini, per cui è meglio desistere dall'escursione.


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2. ARNOGA-EITA
Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Arnoga-Baite Paluetta-Val Verva-Passo di Val Verva-Eita
6 h
520 (750 in discesa) - Sviluppo: 11,4 km
E
SINTESI. Ad Arnoga (m. 1850) troviamo, sulla sinistra della statale 301, per chi sale (proprio sul tornante), la stradina che se ne stacca (indicazioni per il rifugio Viola) e si inoltra in Val Viola Bormina (acquisto di pass in estate). La percorriamo portandoci al parcheggio di Verva, che è posto poco a valle rispetto alla strada. Iniziamo a percorrere una stradina che parte dal limite del parcheggio e scende verso il fondovalle, passando per l'alpe Campo. Ignorata la pista che a destra si dirige al rifugio Viola, scendiamo ad una conca, dove termina la discesa, in località Baite Paluetta. Dopo una leggera salita, troviamo, sulla sinistra, una pista sterrata che se ne stacca e comincia a scendere fino al ponte sul torrente Viola. Sul lato opposto della valle troviamo la pista che comincia a salire giungendo all'imbocco della Val Verva e cominciando ad inoltrarsi in essa, sul suo lato destro (per noi). Passiamo così a destra della Cascina di Verva (m. 2123) ed a sinistra del Sasso di Castro. La pista si affaccia così alla parte alta della valle. Di fronte a noi la sella del passo, al quale ci portiamo senza problemi dopo una lunga marcia di avvicinamento, all’ombra della cima Piazzi che giganteggia alla nostra sinistra. Il passo di Verva (m. 2301) ci introduce alla parte alta della Valle di Eita, estrema propaggine dell’alta Val Grosina. Scendiamo lungo la valle, verso sud, restando nel primo tratto a sinistra del Rio di Verva. Ci portiamo alla sua destra alla località Le Crote (m. 2175) e proseguiamo diritti nella discesa, passando a destra del laghetto delle Acque Sparse. Alla nostra sinistra è ora il Sasso Maurigno ad imporre la sua massiccia presenza. La pista si affaccia poi all’ampia conca di Eita, alla quale scende prendendo un andamento più ripido, sempre verso sud. Nella discesa troviamo, alla nostra sinistra, la deviazione (sentiero) segnalata per il rifugio Falck (m. 2024), che potrebbe costituire il unto di appoggio per il pernottamento. Se lo scegliamo, ci basta seguire per breve tratto il sentiero, che guada il Rio di Verva e si porta, in breve, sul lato opposto della valle, alla radura che ospita il rifugio. In caso contrario proseguiamo sulla pista, che termina proprio all’ampia spianata di Eita (m. 1704), dove presso la chiesetta si trova l’edificio della fabbriceria adibito a rifugio Eita (va però verificata l’apertura).

Decisamente meno lunga ed impegnativa è la seconda tappa della Via Alpina in Valtellina. Protagonista la Val Verva, prima laterale meridionale della Val Viola Bormina, che in passato ebbe un’importanza storica non secondaria come porta di accesso alla contea di Bormio dal Terziere superiore di Valtellina. Venne utilizzata, per esempio, nel 1376 dalle truppe del duca di Milano che invasero dalla Val Viola il Boemiese per punire Bormio, con il primo terribile saccheggio, per la ribellione del 1370: risalirono l’intera Val Grosina e scensero in Val Verva dal passo omonimo (m. 2301); la fortificazione di Serravalle venne così semplicemente elusa. Anche la denominazione sembra testimoniare di insediamenti assai antichi nella valle: Verva deriva, forse, da “Vervinius” che, a sua volta, contiene una radice etrusca simile a quella di “Berbenno” (anche se non è da escludere l’origine da “vevra”, “spineto”). Nel periodo fra le due guerre del secolo scorso per il passo transitavano anche i contrabbandieri che partivano dalla Valle di Poschiavo, passavano per la Val Cantone di Dosdé e dal passo di Verva salivano al Colle Piazzi, scendendo al lago Campaccio e di qui a Cepina Valdisotto. Ovviamente sceglievano le ore notturne, per eludere la sorveglianza dei finanzieri di stanza anche ad Eita e portare in salvo un carico che avrebbe consentito un guadagno di circa 1000 lire (di tutto rispetto, considerato che uno stipendio mensile allora si aggirava intorno alle 300 lire). Una traversata redditizia ma anche molto rischiosa, perché l'insidia maggiore non erano i finanzieri, ma le valanghe ed i pericoli di passaggi esposti ed infidi. Terminata la stagione del contrabbando, nel tragico 1987 dopo l'immane frana della Val Pola del 27 luglio la pista di Val Verva rimase l'unica carrozzabile che consentiva di passare dalla media all'alta Valtellina.
Ad Arnoga (m. 1850) troviamo, sulla sinistra della statale 301 del Foscagno, per chi sale (proprio sul tornante), la stradina che se ne stacca (indicazioni per il rifugio Viola) e si inoltra in Val Viola Bormina (niente a che vedere con il colore viola o con il fiore: l’antica denominazione è, infatti, “Albiola”, da “alveolus”, piccolo alveo, con probabile riferimento agli inghiottitoi che si trovano in alcuni punti del letto del torrente omonimo). Ci in camminiamo addentrandoci in Val Viola. Superata la località Dosso (la riconosciamo perché ad una prima ripida salita succede un’altrettanto ripida discesa), troviamo l’indicazione per il parcheggio di Verva, che è posto poco a valle rispetto alla strada.
Lasciamo qui la strada principale ed iniziamo a percorrere una stradina che parte dal limite del parcheggio e scende verso il fondovalle. All’inizio siamo all’ombra di una fesca pecceta e, sul fondo, si staglia il profilo inconfondibile del Corno di Dosdè. La discesa termina all’alpe Campo, dove troviamo anche alcune baite costruite con la parte inferiore in muratura e quella superiore in legno, con la tecnica del block-bau o cardana (incastro dei tronchi negli angoli). La strada qui assume un andamento pianeggiante. Dopo una breve salita, scendiamo ancora, lasciando alla nostra destra, in corrispondenza di una cappelletta, una pista secondaria che si inoltra nella valle (indicazioni per la Val Viola ed il rifugio Viola). Alla fine giungiamo ad una conca, dove termina la discesa, in località Baite Paluetta.
Qui la strada si porta in prossimità di un’area di campeggio. Dopo una leggera salita, troviamo, sulla sinistra, una pista sterrata che se ne stacca e comincia a scendere. Dopo poche decine di metri, nel punto in cui la pista viene raggiunta da una seconda pista pianeggiante che proviene dall’ingresso della pista, si trova un cartello escursionistico che dà l’alpe Verva ad un’ora e venti ed Arroga a 45 minuti. Proseguiamo nella discesa, sul sentiero numerato 201, fino al fondovalle, dove un ponte ci permette di passare dal versante settentrionale a quello meridionale. Sul lato opposto la pista inizia a salire, verso sinistra. Una breve discesa ci porta ad un pannello che illustra le caratteristiche del bosco misto di latifoglie; segue un tratto pianeggiante, poi la salita riprende. Guardando a sinistra notiamo, con un po’ di disappunto, che dopo una buona mezzora di cammino siamo ancora più bassi del parcheggio dal quale siamo partiti. Ma, come si dice, la pazienza è la virtù dei forti. Raggiungiamo una sequenza di tornanti dx-sx; guardando oltre l’imbocco della Val Viola, vediamo, sul fondo, le cime della Val Fraele ed il monte delle Scale. La pista descrive poi un arco verso destra e raggiunge un bel poggio erboso: vediamo, ora, davanti a noi l’imbocco della Val Verva e passiamo nei pressi di un gruppo di baite (Baite Verva di sotto), che lasciamo alla nostra destra.
La pista ora assume un andamento costante sud-sud-est, risalendo la valle sul suo versante occidentale (destro per noi), con pendenza media ed in qualche tratto accentuata. Ignorate un paio di piste secondarie che si staccano sulla nostra destra, cominciamo a vedere, sul fondo della Val Verva, il Sasso Maurigno, posto a sud-est del passo di verva, fra Val Verva e Val Grosina. Incontriamo anche un cartello dell’Alta Via della Magnifica Terra, che dà, sul sentiero 201, il passo di Verva ad un’ora, il rifugio Falck ad un’ora e 50 minuti ed Eita a 2 ore e 20 minuti. Un diverso itinerario, invece, porta, sul lato opposto della valle al bivacco Ferrario ad un’ora e mezza, il bivacco cantoni a 2 ore e mezza e l’alpe Boron a 3 ore. Un terzo itinerario, che si dirige in direzione opposta, cioè verso l’interno della Val Viola, sul suo versante sud-orientale, porta al lago di Selva in un’ora e trenta, al rifugio federico al Dosdè in 2 ore e mezza ed al rifugio Viola in 3 ore e 40 minuti.


Salita in Val Verva

Poco più avanti, siamo all’alpe Verva ed una pista che si stacca sulla sinistra porta alla Cascina di Verva (m. 2123), nella quale, d’estate, possiamo trovare ristoro, perché l’alpe è caricata. Se guardiamo in alto, alla nostra destra, vediamo una caratteristica torre di roccia; alla sua destra, una cima scoscesa: si tratta della cima di Verva che, da qui, sembra inaccessibile (ma sul versante opposto ha un aspetto decisamente meno repulsivo). Proseguiamo superando una successione di tre gobbe. Alla nostra destra, ora, precipita, con pareti scure e verticali, il Sasso di Castro (oltre la sua sommità si apre un versante di pascoli per il quale passeremo). Il passo di Verva sembra sempre lì, a portata di mano, mentre in realtà è ancora abbastanza lontano. Sulla nostra sinistra vediamo un bel pianoro paludoso, con un pannello che ne illustra le caratteristiche.
Il passo di Verva (m. 2301) ci introduce alla parte alta della Valle di Eita, estrema propaggine dell’alta Val Grosina.
Questo passo merita una breve presentazione che renda giustizia della sua importanza storica, poco conosciuta. L’origine del nome stesso può segnalarne l’importanza: deriva, forse, dal nome personale “Vervinius” che, a sua volta, contiene una radice etrusca simile a quella di “Berbenno” (anche se non è da escludere l’origine da “vevra”, “spineto”). Per la sua accessibilità relativamente facile (è posto a 2301 metri) e la sua posizione strategica (si apre fra il gruppo della cima Piazzi, ad est, ed il gruppo Cima Viola-Punta di Dosdè ad ovest), il passo rappresentò, in passato, una valida via alternativa di accesso al livignasco ed alle regioni di lingua tedesca, rispetto a quella che passava per il fondovalle valtellinese.


Apri qui una panoramica sulla Val Verva e sulla cima Piazzi

Immaginiamo un mercante veneziano di 4 o 5 secoli fa, che dal bresciano (Brescia, dal Quattocento alla fine del Settecento, apparteneva ai domini della Repubblica di Venezia), volesse valicare le Alpi: la via più breve sarebbe stata quella di risalire la Valcamonica, valicare il Mortirolo, scendere a Grosio, risalire l’intera val Grosina fino al passo di Verva (per il quale passava una buona mulattiera), scendere lungo la breve Val Verva, che confluisce nella Val Viola Bormina, percorrere quest’ultima fino ad Arnoga e raggiungere il Livignasco per il passo del Foscagno.
La zona del passo, che ora segna il confine fra i comuni di Grosio e Valdidentro, in passato fu oggetto di contesa, per i preziosi pascoli, fra il comune di Grosio e quello di Bormio, contesa che portò anche ad un fatto di sangue nel 1375 e che venne definitivamente composta con un atto notarile del 1547, che sanciva i confini degli alpeggi di “Verva et Davoxde”, del comune di Bormio, e di “Cassaurolo et Verva”, del comune di Grosio.
Ma
accadde anche di peggio. Galeazzo Visconti, deciso a riaffermare la propria signoria sulla ribelle Bormio, allestì una spedizione guidata dal capitano di ventura Giovanni Cane. Questi, invece di cercare di forzare le difese bormine alle torri di Serravalle, erette nella naturale strettoia al confine meridionale della contea con la Valtellina, le aggirò. Approfittò, infatti, dell’appoggio di Grosio e, il 30 novembre 1376, risalì l’intera Val Grosina, scendendo quindi per la Val Verva e la Val Viola, per piombare, infine, sulla piana di Bormio, che fu messa a ferro e fuoco.


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A completare il quadro suggestivo concorre anche il mistero del Sasso di Castro (da "castrum", cioè fortificazione), cima che la carta IGM colloca a metà della Val Verva, ma che in realtà è posta più in alto, proprio sul versante occidentale del passo. Questo toponimo rimanda molto probabilmente, a riprova dell'importanza strategica del passo, ad una fortificazione successiva all'anno Mille, di cui però si è persa ogni traccia. Così come di queste antiche contese si è persa anche l’eco.
In un passato più recente, cioè nel secolo scorso, il passo divenne scenario di una partita che si ripeteva ad intervalli regolari sull'intero arco alpino di confine, quella fra contrabbandieri e finanzieri. I primi, che venivano dall'elvetica Val di Campo o dal livignasco, dovevano cercare di approfittare delle ore di luce più scarsa per eludere la sorveglianza dei finanzieri di stanza nella caserma di Eita, per transitare presso il passo e traversare in Val Campaccio (per il colle di Piazzi) o l'alpe Zandila (per il passo di Zandila) e scendere infine al fondovalle. Quando ormai da una ventina d'anni l'attività di contrabbando si era esaurita, la quiete del passo venne turbata da un nuovo epocale evento, l'immane frana della Val Pola, precipitata la mattina del 28 luglio 1987, che interruppe i collegamenti di fondovalle per Bormio. Durante quella tremenda estate il passo, raggiunto da una carrozzabile, fu utilizzato per transitare in alta Valtellina partendo da Grosio.
Ristabilito il collegamento di fondovalle, il passo tornò al suo antichissimo silenzio, interrotto solo dalla presenza di tranquilli bovini, di pochi escursionisti e di un discreto numero di bikers, che lo frequentano percorrendo uno dei più begli anelli di mountain-bike dell’intera Valtellina, l’anello della Cima Piazzi (Arroga-Bormio-Grosio-Val Grosina-Passo di Verva-Arnoga).


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Una curiosità, per concludere: lo spartiacque fra Valle di Eita e Val Verva non costituiva, come ci si potrebbe aspettare, il confine fra il territorio del comune di Grosio (Terziere superiore della Valtellina) e quello della Contea di Bormio, in quanto esso seguiva una linea immaginaria congiungente il Sasso di Castro (elevazione posta immediatamente ad ovest del passo) al Corno Sinigaglia. Rientrava, quindi, nel territorio di Grosio una piccola porzione dell’alta Val Verva, e precisamente la parte alta della valle che si apre ai piedi della Vedretta di Verva, cioè della Val de Valù. Non potendo costringere gli armenti a rispettare questo criterio altimetrico, rimase fissata la consuetudine secondo la quale il bestiame degli alpeggiatori della Val Grosina pascolava sul lato sinistro della valle, quello degli alpeggiatori della Valdidentro sul lato destro.
Torniamo ora al racconto della traversata.
Scendiamo sulla pista che percorre l'intera Valle di Eita, verso sud, restando nel primo tratto a sinistra del Rio di Verva. Ci portiamo alla sua destra presso l’alpeggio delle Crote (“I Cròti”, m. 2175), ricavati sfruttando massi aggettanti ai piedi del severo pendio ai piedi del versante sud-occidentale del Sasso Maurignino (“Sas Mauregnìn”, m. 2673): tutto qui richiama l’essenzialità e gli stenti della vita d’alpeggio.

Pista per il passo di Verva. Foto di Massimo Dei Cas www.paesidivaltellina.it
Discesa dal passo di Verva

Proseguiamo diritti nella discesa e dopo un buon tratto incontriamo, sul lato destro della pista, un altarino ed un’edicola dedicata alla Madonna del Lago, eretta il 16 agosto 1995, in ricordo della visita come pellegrino di Sua Eminenza l’allora Cardinale di Milano Carlo Maria Martini.
Siamo a destra dell’ampio pianoro della località delle Acque Sparse (Acqui Spèrsi), dove l’acqua di numerose sorgenti che confluiscono nel Rio di Verva (Ruasch de Vèrba) dà origine, grazie ad uno sbarramento di massi, ad un incantevole laghetto (laghetto della Acque Sparse, m. 2024), incorniciato da una splendida pecceta e dal massiccio Sasso Maurigno (“Sas Maurégn”, m. 3062). Sul lato opposto, cioè alla nostra
destra (ovest) si mostra il fianco orientale del Sasso Colosso (“Sas Calòs”, m. 2532).


Acque Sparse

La pista si affaccia poi all’ampia conca di Eita, alla quale scende prendendo un andamento più ripido, sempre verso sud. Nella discesa troviamo, alla nostra sinistra, la deviazione (sentiero) segnalata per il rifugio Falck, che potrebbe costituire il unto di appoggio per il pernottamento. Se lo scegliamo, lasciamo la pista per Eita e scendiamo a sinistra su un largo sentiero che in breve ci porta ad un ponticello sul Roasco di Verva o di Eita (Ruàsch de Verba o Ruàsch de Eita). Passiamo così sul versante orientale della soglia della Valle di Eita e, dopo breve salita, giungiamo in vista dell'edificio del rifugio Falck (m. 1960; per informazioni, telefonare allo 0341 851013), seminascosto dai pini mughi che in questa zona la fanno da padrone.

Rifugio Falck

Il rifugio venne costruito fra il 1961 ed il 1963 per iniziativa del CAI di Dervio, ed è dedicato al senatore ingegner Enrico Falck, nativo di Dongo e fondatore delle celebri acciaierie Falck con sede principale a Sesto San Giovanni. Si trova sul limite di un'incantevole radura, ed è anche legato ad alcuni curiosi equivoci. Innanzitutto su molte importanti carte viene erroneamente posizionato più a nord e più in alto (a quota 2005 m.). Non è raro, poi (ad iniziare dal cartello sopra citato) trovare la grafia erronea "Falk". Il rifugio non è gestito, per cui bisogna ritirarne le chiavi a Grosio. La sua struttura è disposta su tre piani, con acqua corrente e 18 cuccette.


Il rifugio Eita e la chiesetta della B. V. Immacolata di Lourdes ad Eita

In caso contrario proseguiamo sulla pista, che termina proprio all’ampia spianata di Eita (éita, m. 1701), presso la chiesetta dedicata alla Madonna Immacolata di Lourdes, con il caratteristico campanile staccato. Nei suoi pressi troviamo anche il rifugio di Eita ed un’ampia spianata che ci consente di parcheggiare l’automobile. Il luogo, ameno e tranquillo, è meta di soggiorno estivo di un buon numero di grosini e villeggianti. Non facile capire quale sia l’etimologia del nome, che forse rimanda all’alto tedesco “ahto” o all’inglese “eight”, che significano “otto”.


Eita

A ridosso della chiesa troviamo il rifugio Eita, punto di appoggio per il pernottamento (tel. 0039 338.2782447 - 0039 347.6722485; cfr. per maggiori infornazioni il sito http://www.rifugioeita.it/it/il-rifugio.html).

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