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Apri qui una panoramica del versante orientale della Val Tartano

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Strada Campo-Tartano - Barghett - Torrenzuolo - Gavazzi - Tartano - Strada
3 h e 30 min.
800
E
SINTESI. All’uscita della seconda galleria di Paniga (per chi proviene da Milano) della nuova ss 38 impegniamo alla rotonda la terza uscita (indicazioni: Forcola 3km, Tartano 14 km). Dopo poche centinaia di metri si lascia la strada Provinciale Pedemontana Orobica per prendere a destra (strada provinciale 11) ed iniziale a salire lungo l’aspro fianco del Crap del Mezzodì. Dopo dopo 10 tornanti attraversiamo una breve galleria scavata nella roccia e ci affacciamo alla Val Tartano. Altri due tornanti sx e dx ed entriamo a Campo Tartano, uno dei due nuclei principali della valle, passando a lato della chiesa di S. Agostino (m. 1060). Proseguiamo verso Tartano. Un paio di chilometri più avanti, incontriamo il ponte sulla val Vicima, sospeso sull'impressionante forra della bassa valle ominima, e, poco oltre, uno spiazzo con due tavolini in legno: da qui parte, sulla sinistra della strada, a circa 1160 metri, un largo sentiero che sale verso nord sul largo dosso che conduce all’alpe Barghett. Parcheggiata l'automobile, ci mettiamo in cammino. Superata un'immaginetta sacra, il sentiero conduce ad un bivio, al quale prendiamo a destra, passando accanto a due bei prati. Nel primo si trova una baita solitaria, mentre salendo al secondo se ne trovano due. Alle loro spalle il sentiero rientra nel bosco, congiungendosi con il ramo che sale da sinistra. Comincia a questo punto una diagonale verso sinistra, che porta alla pineta che riveste il lato settentrionale del dosso. Qui si incrocia una larga mulattiera che sale dal lato sinistro del dosso, e giunge al limite inferiore dell’alpe Barghett (m. 1627). Lasciano la mulattiera alla nostra sinistra, saliamo i ripidi prati seguendo una debole traccia, superando alcune baite e proseguendo diritti fino a raggiungere la sommità dei prati: qui un sentiero segnalato si inoltra nel bosco, iniziando, verso destra, una traversata alla volta dell'alpe Torrenzuolo. A metà circa della traversata attraversiamo un'ampia radura, dove si trova una baita ben conservata. Ancora un tratto nel bosco di larici, e ci ritroviamo sul ciglio del fianco di sud-ovest della val Castino: il sentiero scende per un buon tratto, fino a raggiungere il cuore della valle ed a risalire sul versante opposto. Raggiungiamo, così, l'agriturismo Torrenzuolo (m. 1794), nel cuore dell'alpe omonima. Ci incamminiamo sulla via del ritorno, imboccando il sentiero che parte dal limite inferiore dei prati a valle dell'agriturismo. In realtà i sentieri sono due: uno prende a destra, l'altro a sinistra, ma si ricongiungono più in basso, dopo aver attraversato la pineta del versante montuoso sopra Tartano. Sul sentiero troveremo diverse indicazioni che ci permettono di riconoscere le erbe pregiate che arricchiscono il sottobosco di questo splendido versante. Scendiamo, così, alle frazioni più alte sopra Tartano, proseguendo poi per le contrade Càneva e Gavazzi. Raggiunta Tartano, nei pressi dell'albergo-ristorante La Gran Baita, scendiamo sulla strada asfaltata, in direzione di Campo Tartano, per recuperare, dopo circa tre chilometri, l'automobile.


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Fra le molteplici possibilità escursionistiche offerte dalla Val di Tartano quelle legate ai numerosi alpeggi sui suoi versanti sono meno conosciute, ma non per questo meno interessanti, anche perché ci permettono di visitare i luoghi nei quali per secoli l'arte casearia della comunità di questa valle trovò (ed ancora trova, anche se in dimensioni ridotte) la sua espressione.
Giova ricordare, al proposito, che degli abitanti di Tartano si diceva, nel dialetto locale, che "èi nàas cùla bàla del càc' i màa", cioè nascono con la pallina del caglio in mano, per dire che sono abilissimi casari (si tratta della pallina del caglio serviva per quagliare una determinata quantità di latte).


Baita del Barghèt

Non possiamo, però, raccontare l’escursione senza prima presentare gli elementi di base per capire cos’è e come funziona un alpeggio. Ci aiuta Dario Benetti, nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” (in “Sondrio e il suo territorio”, edito da IntesaBci nel 2001), nel quale descrive la struttura e l’organizzazione tipica degli alpeggi orobici nell’area del Bitto (dalla Val Lesina, ad ovest, alla valle del Livrio, ad est): “Gli alpeggi di questa zona, anche quelli comunali, erano prevalentemente dati in affitto a comunità di pastori. A tale tipo di gestione corrisponde una struttura architettonica ben precisa: il pascolo d’alpeggio è suddiviso in bàrech, un reticolo di muretti a secco, più o meno regolare, che delimita “il pasto” di una giornata di malga. Questa suddivisione permette di sfruttare razionalmente il pascolo. Il pascolo non è infatti ricco e, se il bestiame fosse lasciato libero, finirebbe con l’esaurirsi anzitempo. In ogni alpeggio il bestiame si sposta dunque quotidianamente da un bàrech all’altro, restando prevalentemente all’aperto (in pochi alpeggi sono previsti stalloni – baitùu – o tettoie aperte per il ricovero notturno o in caso di brutto tempo). Numerose baite sono collocate sull’alpeggio in corrispondenza dei principali spostamenti. Al centro dell’alpeggio c’è la caséra, la costruzione dove si depositano i formaggi e le ricotte per la salatura e la conservazione temporanea… La necessità di sorvegliare il bestiame durante il pascolo di notte, lontano dalla baita dei pastori, era risolta con una particolare forma di ricovero temporaneo, il bàit. Si tratta di un rifugio trasportabile in legno con copertura inclinata rivestita, negli esempi più recenti, in uso fino a qualche anno or sono, in lamiera. Il bàit era diffuso in val Tartano e nelle valli del Bitto e del Lesina; a volte era a due posti. Nella parete laterale è ricavata una apertura trapezoidale per l’accesso con sportellino in legno, mentre in testata sono ricavati due fori per l’aria e per infilarvi due lunghi bastoni per il trasporto a spalla da una sede all’altra. Caratteristico delle valli del Bitto e Lesina, ma presente in passato anche in val Tartano, è il caléc. Esso era utilizzato nel caso in cui la permanenza dei pastori in una certa parte dell’alpeggio superava i 5-6 giorni.


Baita sul percorso della traversata Barghèt-Torrenzuolo

Questa struttura consiste essenzialmente nei quattro muri perimetrali e in una apertura a valle per l’accesso. La copertura veniva realizzata di volta in volta con elementi provvisori, per esempio una struttura in legno e un telo. La distribuzione interna degli spazi è simile a quella della baita in muratura, con il paiér (il focolare), il supporto girevole in legno per la culdèra e un ripiano sul quale si poggiavano i formaggi ad asciugare. In alcuni alpeggi, infine, è presente il baituu, una grande stalla per il ricovero delle mucche in caso di maltempo. Si tratta di una costruzione molto allungata (20-30 metri) a un solo piano, con muratura in pietrame a secco e tetto a due falde con manto di copertura in piode selvatiche (se il fronte verso valle è aperto la costruzione prende il nome di tecia)… I baituu ospitavano fino a 90 capi di bestiame. All’interno, in un soppalco ricavato nelle capriate del tetto alloggiavano due pastori.
In passato su questi alpeggi, negli ottanta e più giorni di caricamento dell’alpe,  ferveva la vita di una piccola comunità, con una precisa organizzazione e gerarchia. Ecco come la descrive sempre il Benetti (op. cit.): “Nel caso della val Tartano il cap è la massima autorità e in genere corrispondeva al caricatore dell'alpeggio; al cap spettano le principali decisioni strategiche. dallo spo­stamento da una baita all'altra, alla dislocazione dei pastori nell'alpeggio; subito dopo il cap c'è il casèr (il casaro), l'esperto che coordina le fasi di lavorazione dei prodotti caseari. Altre figure della comunità sono il cassinèr (che assiste il casaro), il caurèr (il capraio) e il manzulèr (incaricato di accudire alle manze quando pascolano separate dalle mucche), il pegurèr (il pecoraio). In fondo alla scala gerarchica, all'ultimo gradino, c'è la figura del cascìi (il pastorello). Quest'ultima figura merita un cenno particolare perché costituiva una specie di iniziazione per tutti i ragazzi della valle che entravano così nel mondo degli adulti e del lavoro, trascorrendo lontano dalla famiglia il periodo estivo.


Alpe Torrenzuolo

All’uscita della seconda galleria di Paniga (per chi proviene da Milano) della nuova ss 38 impegniamo alla rotonda la terza uscita (indicazioni: Forcola 3km, Tartano 14 km). Dopo poche centinaia di metri si lascia la strada Provinciale Pedemontana Orobica per prendere a destra (strada provinciale 11) ed iniziale a salire lungo l’aspro fianco del Crap del Mezzodì. Dopo dopo 10 tornanti attraversiamo una breve galleria scavata nella roccia e ci affacciamo alla Val Tartano. Altri due tornanti sx e dx ed entriamo a Campo Tartano, uno dei due nuclei principali della valle, passando a lato della chiesa di S. Agostino (m. 1060). Il paese è uno splendido osservatorio sulla bassa Valtellina. Proseguiamo verso Tartano: oltrepassato il cimitero troviamo la frazione di Case, presso una sella erbosa che costituisce una sorta dibelvedere sulle montagne di Val Masino.
Un paio di chilometri più avanti, incontriamo il ponte sulla val Vicima, sospeso sull'impressionante forra della bassa valle ominima, e, poco oltre, uno spiazzo con due tavolini in legno: da qui parte, sulla sinistra della strada, a circa 1160 metri, un largo sentiero che sale verso nord sul largo dosso che conduce all’alpe Barghett. Parcheggiata l'automobile, ci mettiamo, dunque, in cammino.
Superata un'immaginetta sacra, il sentiero conduce ad un bivio: se si prende a destra, si raggiungono e risalgono due bei prati. Nel primo si trova una baita solitaria, mentre salendo al secondo se ne trovano due. Alle loro spalle il sentiero rientra nel bosco, congiungendosi con il ramo che sale da sinistra. Comincia a questo punto una diagonale verso sinistra, che porta alla pineta che riveste il lato settentrionale del dosso. Qui si incrocia una larga mulattiera che sale dal lato sinistro del dosso, e giunge al limite inferiore dell’alpe Barghett (m. 1627).


L'agriturismo Torrenzuolo

Mentre la mulattiera prosegue sul margine sinistro dei prati, un sentierino permette di risalire i prati attraversando i bei nuclei di baite. Il panorama verso la Valtellina mostra, oltre il Culmine di Campo, le cime della Costiera dei Cech e della valle di Spluga. Se si vuole salire alle baite superiori, bisogna seguire scrupolosamente le tracce di sentiero, per non rovinare l’alpe. A sinistra di un gruppo di baite un sentiero scende alla mulattiera che, fiancheggiati i prati, prosegue, lasciando l'alpe ed inoltrandosi nel bosco, sulla sinistra: attraversato il fianco meridionale della val Vicima (il destro, per chi sale in valle), la mulattiera porta all’alpe omonima, dalla quale si può scendere, sul lato opposto, alla strada della Val di Tartano, sfruttando una comoda mulattiera. Se invece si risalgono ulteriormente i prati dell'alpe, si trova, a destra di un gruppo di baite, un sentiero che, dirigendosi ulteriormente verso destra, si inoltra nel bosco, perdendosi però ben presto. Non bisogna, quindi, imboccarlo, ma salire ancora, fino a raggiungere la sommità dei prati: qui un sentiero segnalato si inoltra nel bosco, iniziando, verso destra, una traversata alla volta dell'alpe Torrenzuolo.
A metà circa della traversata attraversiamo un'ampia radura, dove si trova una baita ben conservata. Ancora un tratto nel bosco di larici, e ci ritroviamo sul ciglio del fianco di sud-ovest della val Castino: il sentiero scende per un buon tratto, fino a raggiungere il cuore della valle ed a risalire sul versante opposto.


La frazione Càneva

Raggiungiamo, così, l'agriturismo Torrenzuolo (m. 1794), nel cuore dell'alpe omonima. Prima di imboccare il sentiero che scende a Tartano, e che parte sul limite inferiore del prato sottostante, prendiamoci mezzora di tempo per visitare l'alpe. Per farlo,dobbiamo salire in direzione di una baita più alta, verso destra, proseguendo poi, in uno scenario di grandiosa bellezza, fino ad un piccolo dosso con una croce in legno: qui troveremo, sulla destra, la partenza del sentiero che compie la traversata all'alpe del Gerlo, sul fianco di nord-est della Val Lunga (il ramo orientale dei due in cui si divide la Val Tartano). Poco sopra troviamo anche il rifugio Fratelli Aldo e Sergio Gusmeroli.
Il tempo di gustare lo stupendo scenario retico, e ci incamminiamo sulla via del ritorno, imboccando il sentiero che parte dal limite inferiore dei prati a valle dell'agriturismo. In realtà i sentieri sono due: uno prende a destra, l'altro a sinistra, ma si ricongiungono più in basso, dopo aver attraversato la pineta del versante montuoso sopra Tartano. Sul sentiero troveremo diverse indicazioni che ci permettono di riconoscere le erbe pregiate che arricchiscono il sottobosco di questo splendido versante. Scendiamo, così, alle frazioni più alte sopra Tartano, proseguendo poi per le contrade Càneva e Gavazzi.
Raggiunta Tartano, nei pressi dell'albergo-ristorante La Gran Baita, percorriamo un tratto in leggera salita per visitare la chiesa parrocchiale di S. Bàrnaba, consacrata nel 1624 ed ampliata nel 1874.
Non ci resta, infine, che incamminarci sulla strada asfaltata, in direzione di Campo Tartano, per recuperare, dopo circa tre chilometri, l'automobile. Questo incantevole anello, che comporta il superamento di poco meno di 800 metri di dislivello in altezza, richiede circa tre ore e mezza di cammino.


Scendendo a Tartano

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