CARTE DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI - ALTRE ESCURSIONI A LIVIGNO

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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Ponte Calcheira-Plan da L'Isoleta
1 h
240
T
Ponte Calcheira-Plan da L'Isoleta-Cascina di Mortarecc'
1 h e 40 min.
390
T
Ponte Calcheira-Plan da L'Isoleta-Cascina di Mortarecc'-Sella di Carosello 3000
3 h e 45 min.
1030
E
SINTESI. A Livigno seguiamo le indicazioni per il Passo del Gallo e la Svizzera e prendiamo, poi, a sinistra poco prima di raggiungere il lago di Livigno (indicazioni per la Val Federia). Percorso un tratto di strada, seguendo le indicazioni per la Val Federia pieghiamo a destra e ci portiamo ai parcheggi che precedono il ponte di Calcheira (m. 1850), all'imbocco della Val Federia; parcheggiamo ai parcheggi oltre i quali il transito dei veicoli non autorizzati è vietato. Ci inamminiamo sulla strarina che oltrepassa la chiesetta di Val Federia (m. 1954). Proseguiamo, con andamento pianeggiante o in falsopiano, superiamo il modesto “Rin Toscè” su un ponticello in legno e siamo ad un primo bivio, al quale ignoriamo la pista di destra e proseguiamo diritti. Superato su alcune pietre un secondo torrentello, raggiungiamo una leggera discesa che ci porta al “Plan da l’Isoléta” (m. 2061). Sulla destra indoviniamo il solco di una valle piuttosto incassata, ed infatti poco più avanti siamo al bivio segnalato per il rifugio Cassana. Ignoriamo la deviazione e proseguiamo seguendo il corso della valle e passando per la località Baitèl de la Cheseira (Baitello della Casera). Poco oltre superiamo su un ponticello il rio della Valle del Leverone (m. 2146), che si apre a sud-est del pizzo Leverone (m. 3052). La pista qui piega leggermente a sinistra, passando dall'andamento sud-ovest a quello sud. Dopo aver superato su un nuovo ponticello il rio che scende dalla Valle del Forno, che scende ad est sempre dal pizzo Leverone, siamo alla Cascina di Mortarecc', o Cheseira da Fedaria (m. 2218), a circa un'ora e mezzo di cammino dal parcheggio. Qui troviamo anche l'agriturismo Federia. Dalla Cascina di Mortarecc' o Cheseira da Federia ci portiamo su un ponte (m. 2200) sul lato meridionale della Val Federia, quello di sinistra (per noi), proseguendo su un marcato sentiero, verso sud, in leggera salita. Il sentiero prosegue diritto fino alla stretta della valle di quota 2400 metri circa. Portiamoci su un ponte (m. 2200) sul lato meridionale della Val Federia, quello di sinistra (per noi). Abbiamo ora due possibilità per proseguire l'escursione. La prima sfrutta il sentierino ben marcato di mezza costa che sale per via più diretta tagliando in diagonale il versante occidentale dell'alta Val Federia. Pe rimboccarlo nel primo tratto dobbiamo salire il ripido prato del versante destro (per noi) della Val di Mortarecc', verso est, per poi piegare a destra e proseguire diritto, verso sud, nella salita che taglia diversi valloncelli, con ottimo colpo d'occhio sulla testata terminale della valle, dove, a sinistra, si vede già il cupolone sassoso del pizzo Cantone. Dopo l'ultimo valloncello il sentiero sbuca, a quota 2600 metri circa, al corridoio percorso dalla sterrata che corrisponde ad una pista della Blesaccia. Percorrendola verso sinistra in breve saliamo al ripiano dove riposa il laghetto di Blesaccia (m. 2694). Poco oltre l'ampia sella erbosa dove culmina l'impianto di risalita Carosello 3000 (m. 2740), dove si trova un secondo ristoro. Vediamo come salire fin qui dalla Cascina di Mortarecc' Cheseira da Federia per una via più lunga, cioè per il sentiero di fondovalle. Torniamo al ponte presso il ristoro: lo oltrepassiamo e proseguiamo sul tranquillo sentiero di fondovalle, verso sud, in leggera salita. Passiamo così appena sotto lo stallone quotato 2266 metri. Il sentiero prosegue diritto, mentre alla nostra sinistra incombe il candido versante della Corna dei Gessi. Giungiamo così alla stretta della valle di quota 2400 metri circa. Lasciamo il sentiero ed imbocchiamo la pista sterrata che sale verso sinistra (est-nord-est), passando per una struttura dell'impianto di risalita. Proseguendo diritti sulla pista in breve saliamo al ripiano dove riposa il laghetto di Blesaccia (m. 2694). Dal laghetto siamo infine subito alla panoramicissima sella di Carosello 3000 (m. 2740), dove possiamo fruire di un comodo ristoro.

Val Federia, ovvero la valle delle pecore, stando al nome, che deriva da "feda", cioè "pecora che ha partorito", ma anche semplicemente "pecora". Sul finire dell'Ottocento i pascoli della valle si estendevano per 62,697 ettari, fornivano un reddito di 1000 lire, venivano gestiti comunitariamente e caricavano 50 mucche, 400 pecore e 600 capre. Sarebbe riduttivo però pensarla solo come valle di pastori e pastorizia. E' anche la valle dei valichi, ben tre sul versante occidentale, che si affaccia alla bassa Engadina, valichi utilizzati in passato per scendere a S'chanf, anche perché il passaggio per la Valle di Livigno era sì più basso, ma anche più pericoloso, a causa del burrone di Ova Spin. Da sud sulla testata occidentale della valle troviamo la disagevole Forcola di Federia, il più praticato passo di Leverone e l'ancor più utilizzato passo di Cassana, denso di transiti e di storia.


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Il passo di Cassana (m. 2694, "pass da Casciàna", secondo l'espressione dialettale, “pass Chaschauna” - pronuncia: ciascèna - secondo la denominazione romancia del versante elvetico) è il più agevole valico che mette in comunicazione il Livignasco con S’chanf, quindi l’antica Contea di Bormio con l’Engadina (diciamo Bormio con Coira, attraverso Livigno, Arosa, Davos e il passo della Scaletta). Assunse, quindi, in passato una notevole importanza storica, soprattutto nel contesto delle guerre di Valtellina (1620-36), che videro contrapposte da una parte le Tre Leghe Grigie, cui si allearono i Francesi, dall’altra gli Spagnoli che appoggiarono la rivolta dei nobili cattolici valtellinesi e gli Imperiali della casa d’Asburgo (genericamente chiamati tedeschi).


Tea in Val Federia

Di qui passarono gli eserciti di Bernesi e Zurigani, chiamati in aiuto dalle Tre Leghe (poi sconfitti nella attaglia di Tirano), decise a riprendersi la Valtellina ed i Contadi di Chiavenna e Bormio dopo l’insurrezione dei nobili cattolici del 1620.
Così scrive lo storico Enrico Besta ("Le Valli dell’Adda e della Mera nel corso dei secoli. Vol. II: Il dominio grigione", Milano, Giuffrè, 1964): "S'adunavano intanto i Grigioni e gli Svizzeri dietro le Alpi. Sette erano le compagnie dei Berrnesi, comandate dal colonnello Nicolò un massiccio gradasso che portava sul petto una grossa catena d'oro e che con volgare spacconeria prometteva di volerla ornare di tanti macabri ed osceni trofei tolti ai preti quanti ne erano gli anelli. Tre erano le compagnie dei Zurigani, comandati dal colon nello Gian Giacomo Steiner. Ai reparti prigioni, il cui supremo comando era rimasto sempre a Giovanni Giiler, erano preposti oltre che Florio Sprecher e Rodolfo Salis, a noi ben noti, Giovanni Yeuch, Cristiano Florin, Florio Buoi, Antonio Violant, Nicolò Nuttin. Parrebbe che dapprima volessero sboccar nella valle della Mera, correndo tutta l'Engadina, ma poi preferirono i passi bormiesi. Il 1 settembre del 1620 erano già nella valle di Livigno e, da quei pochi abitanti che non erano ancora fuggiti sulle vette, si facevano giurare fedeltà, dietro promessa di aver libero il culto cattolico. Per Foscagno e Trepalle scesero nella Valle di Dentro. Il piccolo presidio posto dietro la chiesa di S. Martino di Pedenosso fu sopraffatto; non resistettero le trincee frettolosamente apprestate..."
Il passo fu, poi, al centro di un decisivo fatto d’armi nel giugno del 1635: gli Imperiali tenevano Livigno ed il duca di Rohan, protagonista di una brillante campagna militare, scese proprio dal valico per sconfiggerli nella piana di Livigno, costringendoli alla ritirata. La battaglia è anche legata ad una curiosa leggenda, che ci racconta Glicerio Longa, nel suo bello studio su “Usi e costumi del Bormiese” (1912; nuova edizione a cura di Alpinia Editrice nel 1998):
L'esercito imperiale condotto in Valtellina dal Fernamonte (1635), forte di quasi ottomila uomini, con cavalleria, era accampato a Livigno sotto gli ordini di Breziguel. Il duca di Rohan, che era a Scanfs in Engadina, mandò Frezeliere con alcune truppe attraverso il passo di Cassanna e la Val Fedaria a occupare le alture di Blesécia, e poi scese egli stesso con tutte le truppe, circa quattromila fanti e quattrocento cavalli, per il passo e le valli sopraddetti. Il combattimento fu accanito specialmente attorno al Camposanto. Era notte. I francesi — in numero molto minore — ricorsero a uno strattagemma. Travestitisi coi bianchi camici dei confratelli occuparono il sacrato attorno alla chiesa. Sopraggiunti i tedeschi, a quella vista, gridarono: «Noi combattiam coi fanti e non coi santi!». E, in preda al più superstizioso terrore, fuggirono, rincorsi, fin sotto li Ostarìa (bàjta de l'òlta), dai furbi francesi, che rimasero padroni del campo. Questo episodio lo raccontano spesso i vecchi di Livigno, convinti come gli imperiali che i soldati combattenti in veste bianca, attorno al cimitero, fossero proprio... i mort.”


Tea in Val Federia

Ecco come Tullio Urangia Tazzoli, nel III volume de “La Contea di Bormio”, racconta la battaglia:
A Zuotz… il duca di Rohan… giunse in rapida marcia dal Maloja il 25 giugno 1635, congiungendosi ai distaccamenti del De Lande e Montauzier: un totale di 3000 francesi, 1500 grigioni e 400 cavalli. In valle di Livigno eranvi 8000 imperiali sotto il comando di Brisighel: quasi il doppio del piccolo esercito franco-svizzero. Nella notte dal 25 al 26 giugno Rohan tiene consiglio di guerra. Malgrado l’opposizione del De Lande decide l’azione a oltranza e dà l’ordine di avanzata immediata verso il passo di Cassana. Impresa ardita il valico di passi ancora coperti di neve, in una stagione, data l’altitudine, non la migliore, con centinaia di cavalli ed impedimenti, contro un nemico assai più numeroso, agguerrito, riposato!
Le avanguardie ai primi chiarori dell’alba pel vallone di Diveria sboccano nella valle dello Spöl. Un ripato misto, grigione e francese, occupa a sorpresa la chiesa parrocchiale di S. Maria ed il cimitero attiguo che diventa il perno della resistenza e dell’offensiva. Gli imperiali, sparpagliati largamente nelle bajte a bivaccare, senza alcuna ordinanza né protezione ai passi, vengono colti all’improvviso e quasi assonnati dai franco-svizzeri. Per maggiore sfortuna ed imprevidenza i ponti sullo Spöl erano stati tagliati e più difficile riusciva la ritirata. Al meglio le ordinanze imperiali si composero e contrattaccarono. Affermano Glicerio Longa e Giuseppina Lombardini, che si occuparono di storie bormiesi, che in un primo momento i francesi ebbero la peggio. Ma travestiti coi camici di una confraternita, spaventarono gli imperiali che fuggirono in preda al più superstizioso terrore… Ma la tradizione popolare non è questa: ha una concezione assai più larga, religiosa e patriottica insieme. Dice essa (e il ricordo in Livigno è ancora vivo) che contro gli invasori franco-svizzeri ed imperiali, comunque e sempre stranieri e predatori della valle, insorsero i morti livignaschi tanto più sdegnati dalla profanazione e dall’oltraggio recato ai luoghi sacri. Insorsero e gridarono altamente, nei primi bagliori dell’alba: “Via di qua!” E l’effetto fu immediato e disastroso! Poche ore dopo, infatti, gli imperiali si ritiravano su Bormio pei passi d’Eyra e di Foscagno ed, a sua volta, il Rohan per il passo della Forcola e Poschiavo si dirigeva su Tirano
.”


Tea in Val Federia

Vediamo, infine, cosa scrive il protagonista di quella giornata, cioè il Rohan, nelle sue memorie:
“Il 26 le truppe francesi si incamminarono verso l’alpe di Cassana e là venne riunito tutto l’esercito, che poteva contare su non più di tremila Francesi, millecinquecento Grigioni e quattrocento cavalli. Livigno è una valle che dipende dal contado di Bormio e che si estende per circa due ore in lunghezza e mille e duecento o mille cinquecento passi in larghezza; essa ha tre uscite, la prima attraverso la valle di Fraele a Bormio, la seconda attraverso il monte di Pisciadello a Poschiavo e la terza per il monte di Cassana in Engadina alta. È un prato ininterrotto, disseminato di case distanziate fra di loro; è divisa nel mezzo da un piccolo torrente difficile da guadare in estate quando si sciolgono le nevi. Per attaccare le truppe imperiali occorreva che i Francesi varcassero la montagna di Cassana e da lì scendessero nella Val Federia, che gli Imperiali potevano difendere con gran facilità, sia perché sbarrata da una grande trincea sia per essere stretta in alcuni punti e dominata da una montagna sovrastante il passaggio difeso dagli Imperiali. La principale preoccupazione di Rohan era di occupare questa montagna per dominare dall’alto coloro che custodivano l’ingresso di Livigno…
Egli scelse per questa impresa Isaac de la Frezelière, gentiluomo pieno di coraggio e di ambizione che, con settecento uomini, partì a mezzanotte per andare a impossessarsi della montagna e… quando arrivò in Val Federia tagliò a destra e occupò la montagna… Il duca di Rohan fece avanzare le sue truppe quando ritenne che il Frezelière fosse di fronte a lui. Ma il duca, avanzando per la vai Federia, era molto intralciato da un torrente, che scorre lungo detta valle, di cui i nemici avevano rotto i ponti. Gli Imperiali accennarono a disporsi in battaglia, ma poi, vedendosi attaccati dall'alto e dal basso, cedettero il passo e dopo avere ripassato il torrente che taglia la valle di Livigno, fecero resistenza sull'altra sponda, tenendo vivala scaramuccia per oltre un'ora e mezzo. Ci si battè tutto quel tempo, divisidal torrente, í cui ponti erano stati bruciati dai Tedeschi e che era ritenuto inizialmente non guadabile. I Francesi all'inizio non avevano tentato di superarlo, ma dopo averlo fatto scandagliare si avvicinarono per passarlo e allora gli Imperiali si ritirarono attraverso una montagna prendendo la strada per Bormío; così i Francesi rimasero quel giorno padroni del campo di battaglia e della valle.”
(Henri de Rohan, “Memorie sulla guerra di Valtellina”, edito dalla Editoriale Mondatori per la Fondazione Credito Valtellinese nel 1999).


Tee in Val Federia

Peraltro la calata dei franco-grigioni dal passo di Cassana non è il primo episodio storico che riguarda questo valico. Nel 1499 truppe imperiali provenienti dal Tirolo passarono di lì per calare in Engadina ed incendiare i villaggi di Zuoz e di S’chanf, nel contesto della guerra fra gli Asburgo ed i cantoni della futura Confederazione Elvetica che rivendicavano orgogliosamente la propria indipendenza dalla casa d’Austria.
Retrocedendo più ancora nel tempo, al tardo Medio-Evo, vediamo il passo al centro di un episodio a metà fra la storia e la leggenda. Siamo nel secolo XIV ed i rapporti fra livignaschi e tavatini (abitanti di Davos, l'antica Tavate) erano molto tesi, anche perché le due comunità stavano a guardia rispettivamente della Valle dell'Adda e del bacino del Reno, e questo determinava attriti e scontri che avevano portato la tensione al culmine. Venne, dunque, decisa da entrambe le parti un'azione che aveva lo scopo di portare alla rovina la comunità nemica, il rapimento della sua stessa radice vitale. Si trattava di due animali, nei quali si riassumeva la potenza generatrice della natura, il toro Nino, a Livigno, e l'orso Moro, a Davos. Ebbene, durante una notte oscura avvenne una duplice spedizione di manipoli che rubarono, dall'una e dall'altra parte, questi animali. Le conseguenze non si fecero attendere. A nord ed a sud del passo di Cassana la natura cominciò a perdere, gradualmente ma inesorabilmente, la propria potenza vitale: i pascoli inaridirono, gli armenti non diedero più latte, nessuna bestia rimase più gravida. Tutto sembrava condurre alla morte, perché gli uomini non sarebbero potuti sopravvivere a lungo alla morte della natura che li ospitava. Ed allora, su entrambi i fronti, fu deciso di chiedere consiglio agli spiriti dei defunti. Così nel livignasco le anime purganti della Valle delle Mine pronunciarono un verdetto inequivocabile: restituite ai tavatini l'orso rapito. Analogo il verdetto del Genio del Bosco nella Valle dello Zug: restituite il toro ai livignaschi. Così il passo di Cassana fu teatro, questa volta alla piena luce del giorno, della restituzione delle bestie rapite e della riconciliazione. La natura subito rifiorì, tutto tornò alla vita ed il 18 maggio 1365 fra le due comunità venne firmata una pace solenne.


Baita in Val Federia

Basti questo per comprendere motivi di interesse storico della Val Federia. Quanto al suo interesse naturalistico ed escursionistico, bisognerebbe sperimentarlo in prima persone. I bikers da decenni amano moltissimo questa valle, per le belle pedalate ad anello che vi si possono disegnare. Ma anche chi sale a piedi può trovarvi più di un motivo di interesse. In primis la salita al già citato passo di Cassana o, in alternativa, una rilassante camminata lungo la valle, dal suo imbocco fino ai ripiani alti dove giungono gli impianti di risalita del Carosello 3000. Camminata modulabile a seconda di gambe, tempi ed esigenze, in breve, media ed impegnativa. Vediamo come.
Punto di Partenza è Livigno, e precisamente il ponte di Calcheira, all’imbocco della Val Federia (m. 1850). Lo raggiungiamo con l’automobile dirigendoci verso il lago di Livigno (indicazioni per il Passo del gallo e la Svizzera) e prendendo, poi, a sinistra poco prima di raggiungerlo (indicazioni per la Val Federia). Percorso un tratto di strada, seguendo le indicazioni per la Val Federia (o Val Fedarìa) pieghiamo a destra e ci portiamo ai parcheggi che precedono il ponte, oltre il quale il transito dei veicoli non autorizzati è vietato.


Baite in Val Federia


Parcheggiata l’automobile, iniziamo a salire lungo la stradina asfaltata che si addentra in questa incantevole valle. Incontriamo subito un cartello escursionistico che segnala, sulla destra, la partenza del Sentiero Federico Cusini; proseguendo sulla stradina, invece, viene segnalato il rifugio Cassana, dato a 3 ore, ed il passo di Val Federia, dato a 5 ore. C’è da dire che l’indicazione delle 3 ore è sicuramente abbondante: camminando con passo medio si impiegano circa 2 ore ed un quarto.


Chiesetta in Val Federia

La stradina comincia a salire, passando a valle di alcune belle baite; incontriamo anche una prima cappelletta, datata 1970, e poco più avanti una seconda. Molto bello è lo scenario che lasciamo alle nostre spalle, nel quale spicca, al centro, il corrugato massiccio del pizzo del Ferro e della Cassa del Ferro. Davanti a noi, invece, dopo un po’ compare l’ottocentesca chiesetta di Val Federia (m. 1954), con il caratteristico campanile a bulbo, un gioiellino perfettamente incastonato nello scenario bucolico della valle. È dedicata alla Beata Vergine Addolorata ed è stata interamente ricostruita, rispettando però fedelmente il modello originale, nel 1984.


Tea in Val Federia

Oltrepassata la chiesa, il fondo della strada diventa sterrato e propone una breve discesa. Ripresa la salita, oltrepassiamo alcune baite che hanno la forma caratteristica della “tea” livignasca (baita in legno), ed un crocifisso. Su un successivo baitone alla nostra sinistra vediamo dipinto un crocifisso con le anime purganti, e leggiamo: “Oh passeggier se brami di sicurar la via dimmi un requiem con una Ave Maria”. Sulla nostra destra, ora, si stende un’ampia fascia di prati, con qualche baita disseminata qua e là; i prati sono ben curati, e testimoniano di un’attività agricola che è ancora presenza importante nella valle.


Salendo in Val Federia

L'escursione ci consente di ammirare diversi esempi ben conservati di dimore rurali livignasche. Scrive, al proposito, Dario Benetti, nell’articolo “Abitare la montagna.Tipologie abitative ed esempi di industria rurale”, (in AA.VV., “Sondrio e il suo territorio”, Silvana Editoriale, Milano, 1995):
"La valle di Livigno è posta al di là dello spartiacque ed è stata sempre condizionata, fino ad un recentissimo passato, da un particolare isolamento e dalla quota elevata (tutto il territorio è posto al di sopra dei 1800 m s.l.m.). L'economia era basata sostanzialmente sull'allevamento, rigoglioso grazie agli ampi pascoli. L'agricoltura era limitata ad un brevissimo periodo ed a pochi resistenti prodotti (come le rape). Ancora oggi, nonostante il «boom» edilizio e turistico di questi ultimi anni, è riconoscibile l'antico assetto insediativo, caratterizzato da una lunga teoria di abitazioni in legno, poste ad una certa distanza l'una dall'altra. È probabile che l'insediamento di Livigno sia da collegarsi a migrazioni di popolazioni walser: la cosa sarebbe confermata anche da alcune caratteristiche della casa, come la presenza delle piccole aperture dalle quali si pensava dovesse uscire l'anima delle persone morenti.


Tee in Val di Livigno

La tipologia delle dimore rurali si ripete con poche varianti, dovute soprattutto alla diversa epoca di costruzione. Le case più antiche sono completamente in legno, con struttura a travi incastrate, qui detta cardàna (a parte le zone interrate adibite a cantina, detta ceseta), mentre più ci si avvicina temporalmente ai nostri giorni acquista rilevanza la muratura in pietrame. A causa del clima molto rigido acquista una certa importanza l'atrio interno coperto (cort) che divide l'edificio residenziale (‘l bait) da quello rurale (toilà) e che è utilizzato anche come svincolo dei locali e come luogo riparato per svolgere attività lavorative. La corte interna si ripete anche ai piani superiori e a volte dà accesso ad un balcone (lòbia) con parapetto in assicelle lavorate e alla latrina esterna (omìn).


Salendo in Valle di Federia

Per quanto riguarda le destinazioni d'uso, al piano terra sono poste le stalle e il pollaio (tipica è la scaletta esterna per l'accesso delle galline), al primo piano da una parte troviamo il fienile, dall'altra la cucina (cogina), la stüa e le camere da letto vere e proprie (arcobi). È frequente la presenza di un altro piano nella parte residenziale dove è collocata la stüa alta; mentre la stüa, quando è costituita solo dalla struttura a travi incastrate senza rivestimento interno, è detta stüa mata. Il sottotetto della parte residenziale è detto i sot i teit, mentre nella parte rustica è denominato crapéna (nella crapéna venivano legati a fasci i salami di rape, detti lughégna da pàssola). Altra caratteristica della casa di Livigno è la larga scala in legno esterna che conduce al fienile (la pont da toilà). La casa in genere è attigua alla stalla e al fienile; in certi casi però il fienile è isolato, senza stalla ed è chiamato nassa. Nonostante la quota elevata, anche nella valle di Livigno si assiste ad uno spostamento estivo della residenza, seguendo, in agosto e settembre, il bestiame. A mezza costa si trovano infatti delle baite di alpeggio dette li tea."


La Val Federia dalla Cascina di Mortarecc' Cheseira da Federia

Salendo in Val Federia

Torniamo al nostro cammino. In cima ad un primo vallone che intaglia il crinale vediamo innalzarsi da un’ampia base di rocce pallide quello che da qui sembra poco più che uno spuntone di roccia. Si tratta della già citata punta di Cassana (m. 3007), che sorveglia da nord-est il passo omonimo. Proseguiamo, con andamento pianeggiante o in falsopiano, superiamo il modesto “Rin Toscè” su un ponticello in legno e siamo ad un primo bivio: un cartello indica la pista che sale a destra come percorso della “Pedaleda”; noi proseguiamo diritti, seguendo l’indicazione “Passo Cassana”. Superato su alcune pietre un secondo torrentello, raggiungiamo una leggera discesa che ci porta ad una splendida conca, eletta da molti villeggianti come luogo per un riposante pic-nic in un’area attrezzata: si tratta del “Plan da l’Isoléta”. Sulla destra indoviniamo il solco di una valle piuttosto incassata, ed infatti poco più avanti siamo al bivio segnalato per il rifugio Cassana, dato ad un’ora e 45 minuti (sentiero 119): qui, ad una quota di 2050 metri, prendiamo a destra, imboccando una pista che corre sul lato sinistro (per noi) del solco della valle, salendo nel primo tratto diritto, per poi piegare a sinistra.


Salendo in Val Federia

Laghetto di Blesaccia

Ignoriamo la deviazione e proseguiamo seguendo il corso della valle e passando per la località Baitèl de la Cheseira (Baitello della Casera). Poco oltre superiamo su un ponticello il rio della Valle del Leverone (m. 2146), che si apre a sud-est del pizzo Leverone (m. 3052). La pista qui piega leggermente a sinistra, passando dall'andamento sud-ovest a quello sud. Dopo aver superato su un nuovo ponticello il rio che scende dalla Valle del Forno, che scende ad est sempre dal pizzo Leverone, siamo alla Cascina di Mortarecc' o Cheseira da Federia (m. 2218), a circa un'ora e mezzo di cammino dal parcheggio. Qui troviamo l'agriturismo Federia, ottima opportunità per una sosta ristoratrice.


Salendo in Val Federia

Portiamoci su un ponte (m. 2200) sul lato meridionale della Val Federia, quello di sinistra (per noi).
Abbiamo ora due possibilità per proseguire l'escursione. La prima sfrutta il sentierino ben marcato di mezza costa che sale per via più diretta tagliando in diagonale il versante occidentale dell'alta Val Federia. Pe rimboccarlo nel primo tratto dobbiamo salire il ripido prato del versante destro (per noi) della Val di Mortarecc', verso est, per poi piegare a destra e proseguire diritto, verso sud, nella salita che taglia diversi valloncelli, con ottimo colpo d'occhio sulla testata terminale della valle, dove, a sinistra, si vede già il cupolone sassoso del pizzo Cantone. Dopo l'ultimo valloncello il sentiero sbuca, a quota 2600 metri circa, al corridoio percorso dalla sterrata che corrisponde ad una pista della Blesaccia. Percorrendola verso sinistra in breve saliamo al ripiano dove riposa il laghetto di Blesaccia (m. 2694). Poco oltre l'ampia sella erbosa dove culmina l'impianto di risalita Carosello 3000 (m. 2740), dove si trova un secondo ristoro.


Laghetto di Blesaccia

Vediamo come salire fin qui dalla Cascina di Mortarecc' o Cheseira da Federia per la via più lunga del sentiero di fondovalle. Torniamo al ponte presso il ristoro: lo oltrepassiamo e proseguiamo sul tranquillo sentiero di fondovalle, verso sud, in leggera salita. Il sentiero prosegue diritto, mentre alla nostra sinistra incombe il candido versante della Corna dei Gessi. Giungiamo così alla stretta della valle di quota 2400 metri circa.


Salita da Carosello 3000 al pizzo Cantone

Lasciamo il sentiero ed imbocchiamo la pista sterrata che sale verso sinistra (est-nord-est), passando per una struttura dell'impianto di risalita. Proseguendo diritti sulla pista in breve saliamo al ripiano dove riposa il laghetto di Blesaccia (m. 2694). Alla nostra destra (sud) vediamo il cupolone di sfasciumi che costituisce il pizzo Cantone.
Dal laghetto siamo infine subito alla panoramicissima sella di Carosello 3000 (m. 2740), dove possiamo fruire di un comodo ristoro.


La Val Federia vista dal pizzo Cantone

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

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