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Il gran
pubblico dei consumatori della televisione, anche in provincia di
Sondrio, probabilmente non aveva mai sentito parlare della Val
Febbraro prima della tragica notte fra il 6 ed il 7 agosto 1999. In
quella notte si scatenò un temporale di grande violenza (e a tal
proposito c'è da osservare che nella tradizione popolare
valtellinese e valchiavennasca è viva la credenza che a San Lorenzo
o nei giorni ad esso prossimi si scateni una burrasca, detta,
appunto, burrasca di San Lorenzo), che fu la causa di una tragedia
che costò la vita a tre giovanissime scout, Martina, di 11 anni,
Anna, di 12 anni e Giulia, di 13 anni, le quali partecipavano ad un
campo scout proprio in Val Febbraro.
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Tutti i
telegiornali, il 7 agosto, diedero notizia del tragico evento: il
temporale notturno aveva provocato un improvviso ingrossamento del
torrente Febbraro, che aveva travolto le palafitte sulle quali le
tre ragazze avevano posto la tenda nella quale pernottare. Le acque
tumultuose non avevano lasciato loro scampo. Il fatto suscitò grande
sensazione ed emozione in tutta Italia, e da allora una delle più
amene e dolci valli della Valchiavenna fu segnata da una fama
sinistra.
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Fama
immeritata, perché questa valle è uno dei luoghi più interessanti
dell'intera provincia, ed un'escursione che la percorra ad anello è
legata a più di un motivo di interesse, di natura non solo
naturalistica, ma anche storica e culturale. |
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Punto di
partenza per la salita in valle è Isola, nel cuore della valle del
Liro. La raggiungiamo facilmente partendo da Chiavenna e proseguendo
sulla ss. 36 in direzione del passo dello Spluga. Dopo 14 km la
Valle del Liro, da aspra ed incombente che era dopo Chiavenna, si fa
più dolce ed aperta, offrendo uno scenario riposante e suggestivo:
siamo a Campodolcino, nota e frequentatissima stazione di
villeggiatura estiva. Da Campodolcino, ignorando la strada a destra
per Pianazzo e Medesimo, imbocchiamo la strada a sinistra, per
Isola, che raggiungiamo dopo 4 km. Il piccolo paese, la cui
denominazione deriva dal fatto che un tempo sorgeva su un terreno
circondato da zone paludose, |
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è
preceduto da uno sbarramento artificiale, ed è posto a 1268 metri,
allo sbocco delle gole che chiudono la Valle del Liro prima del
ripiano terminale sul quale è posto Montespluga. Alla sua sinistra,
cioè ad ovest, si apre, invece, proprio la Val Febbraro. La salita
nella valle inizia proprio da qui, perché la carrozzabile che vi si
addentra per un tratto è chiusa al traffico dei veicoli non
autorizzati. Dopo aver parcheggiato l'automobile, invece di seguire
la strada asfaltata, imbocchiamo il sentierino che parte poco oltre
la quattrocentesca chiesa dei Santi Martino e Giorgio, risalendo,
ripido, alcuni prati, prima di assumere un andamento più dolce.
Siamo sul lato sinistro (per noi) della valle, cioè su quello
meridionale. La salita termina nei pressi del ponte sul torrente
Febbraro (m. 1487), che mette in comunicazione i due versanti della
valle. |
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Sul
versante opposto al nostro una strada asfaltata, poi sterrata sale
ai maggenghi che coprono il fianco settentrionale della valle,
costituito da un'ampia distesa di prati. Sul nostro versante, quello
meridionale, troviamo, invece, un bivio: una strada prosegue
inoltrandosi sul fondovalle e rimanendo a sinistra (per chi sale)
del torrente, mentre una seconda se ne stacca sulla sinistra e sale,
con ampi tornanti, sul fianco meridionale della valle, verso l'alpe
Frondaglio (m. 1760), dalla quale si può proseguire, in direzione
sud, raggiungendo l'alpe Zocana (m. 2006), ai piedi del Pian dei
Cavalli ed a monte di San Sisto. |
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Noi
dobbiamo percorrere la strada che fiancheggia il torrente, seguendo
le indicazioni per la cascata di Val Febbraro, Borghetto ed il passo
di Baldiscio. Prima però di incamminarci sulla pista, varchiamo il
ponte |
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per
visitare il nucleo di Ca' Raseri (Ca' d'I'aser), che si trova poco
distante.
Troviamo, qui, infatti, uno dei grandi motivi di interesse della
valle, quello architettonico, Si possono ancora osservare le baite
costruire con la tecnica del "carden". Si tratta di una tecnica
costruttiva che caratterizza le popolazioni walser, ed è denominata
anche "blockhaus": vi ha un'importanza decisiva il legno, in quanto
le pareti sono, in parte o totalmente, costituite da travi che si
intrecciano e si incastrano negli angoli. |
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Se, poi,
scendiamo un po' più in basso, lungo la strada asfaltata, troviamo
la Baita Paggi di Canto (m. 1435), studiata in un capitolo del libro
sulle dimore rurali di Valtellina e Valchiavenna scritto da Aurelio
e Dario Benetti. Si tratta, infatti, di un esempio paradigmatico di
abitazione nella quale sono nettamente distinti due settori, quello
nel quale si soggiorna e si dorme e quello in cui si cucina (negli
alpeggi questi due elementi sono talora anche fisicamente separati,
per cui si ha la "cassina", edificio in cui si cucina, e il sulée",
edificio in cui si soggiorna e si dorme). Vi è da osservare, in
conclusione, che queste dimore erano, fino a metà circa del
Novecento, abitate permanentemente, in quanto la valle ha avuto un
notevole rilievo storico ed economico. Essa fu, fino alla
costruzione della strada dello Spluga, nell'Ottocento, una delle vie
di comunicazione più importanti fra la Valle del Liro e la Mesolcina.
Il passo di Baldiscio, infatti, permette un'agevole transito fra le
due valli, sembra fosse assai frequentato addirittura in età
preistoriche.
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Un
pannello che troviamo appena al di là del ponte (cioè presso Ca'
Raseri), ci ricorda questo secondo motivo di grande interesse,
informandoci che la Val Febbraro, vallone pensile delimitato dal
pizzo dei Piani, a nord, e dal Pian dei cavalli, a sud, fu
frequentata da gruppi di cacciatori fin dall'epoca in cui i ghiacci,
dopo l'ultima glaciazione, cominciarono a ritirarsi, cioè circa
10.000 anni fa, in età Mesolitica. A riprova di ciò recenti ricerche
archeologiche hanno, infatti, trovato tracce degli attendamenti di
questi antichissimi cacciatori, tracce che sono le più antiche della
Valchiavenna e fra le più antiche in assoluto nelle Alpi centrali.
Ma di questo avremo modo di parlare soprattutto descrivendo il Pian
dei Cavalli. |
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Torniamo,
ora, sul lato meridionale della valle e cominciamo a percorrere la
pista, che sale con leggera pendenza, correndo poco distante dal
torrente Febbraro. Incontriamo, sulla destra, anche una radura nella
quale un'edicola ricorda, nel luogo della tragedia, le tre ragazze
travolte dalla furia del torrente nell'agosto del 1999. |
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Sempre
guardando a destra, ma sul lato opposto della valle, vedremo la
famosa cascata annunciata dal cartello, che scende, impetuosa,
dall'aspro gradino roccioso che caratterizza il fianco della valle.
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La pista, |
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dopo aver
oltrepassato due ponti in legno, |
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termina
in corrispondenza di un terzo ponte, poco prima che il solco della
valle volga leggermente a sinistra. |
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Dobbiamo,
ora, valicare il ponte (m. 1596) ed imboccare un sentiero che sale,
ripido, nel cuore di una splendida pineta, vincendo il gradino che
ci separa dal circo più alto della valle. La salita è piuttosto
faticosa, ma la bellezza del bosco ne attenua l'asprezza. Alla fine
usciamo dal bosco sul limite inferiore dei prati dell'alpeggio di
Borghetto di Sotto (m. 1897). |
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In
passato questo centro era fra i più vivaci dell'intera Valchiavenna
e la presenza degli uomini in questi luoghi risale a circa 10.000
anni fa (com'è testimoniato, fra l'altro, dal ritrovamento di
oggetti in pietra scheggiata), anche se, a quell'epoca, essi non
allevavano animali. I primi "alpigiani", cioè i primi uomini che
conducevano animali al pascolo, comparvero qui almeno 3000 anni fa,
nel periodo di transizione tra Età del Bronzo ed Età del Ferro,
anche se solo nel Medio Evo l'allevamento animale assunse forme
simili a quelle moderne. |
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Anche
oggi, d'estate, l'alpeggio non manca di una sua vita, e gli
alpigiani si intrattengono volentieri con gli escursionisti,
spiegando soprattutto ai "cittadini" come qui la vita sia priva di
comodità, ma più semplice e sana, e come gli echi delle grandi
vicende mondiali giungano qui lontani, attenuati, quasi irreali. |
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È la sera
il momento più difficile, spiega una contadina, perché è alla sera
che ti prende la malinconia, mentre durante il giorno la vita scorre
tranquilla e serena, come tranquillo e sereno è lo sguardo delle
mucche al pascolo. |
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Ma è
tempo di por fine alla conversazione, perché l'anello completo della
Val Febbraro è piuttosto lungo: riprendendo a salire, superiamo
anche le baite di Borghetto di Sopra, a 1980 metri, e proseguiamo
sul sentiero, segnalato dalle bandierine rosso-bianco-rosse, per il
passo di Baldiscio. |
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Per la
verità i contadini lo chiamano il sentiero per "il lac", cioè per il
lago Grande di Baldiscio, posto appena sotto il passo. Superato un
valloncello, il sentiero taglia alcuni dossi erbosi, correndo sul
filo di un ultimo dosso (il Mot del lago Grande), |
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che
precede l'ampia conca nella quale è posto il lago, annunciato dalle
acque del torrente che è alimentato da esso. |
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Ci
ritroviamo, alla fine, sul lato destro (per noi) del bel lago
alpino, posto a 2302 metri e frequentato anche da alcuni pescatori.
La conca è chiusa, alla nostra sinistra, dal monte Baldiscio (m.
2851) e, alla nostra destra, dalle propaggini meridionali del pizzo
Bianco (m. 3036). Il carotaggio dei sedimenti (spessi circa 5 metri)
sul fondo del lago ha permesso di scoprire che dopo l'ultimo ritiro
dei ghiacci, avvenuto circa 11.500 anni fa, il clima mutò tanto
profondamente che la fascia del bosco raggiunse la quota del lago,
cioè i 2300 metri, per poi tornare a scendere successivamente, fino
agli attuali 1900 metri circa.
Oltrepassato il lago, un'ultima breve salita conduce ad una conca
superiore, quella del passo di Baldiscio (m. 2350), preceduto da un
laghetto più piccolo, il laghetto del Mot.
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Si
colloca qui lo spartiacque fra Valchiavenna e Val Mesolcina, ma non
il confine fra Italia e Svizzera, che è spostato leggermente più ad
ovest, |
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cosicché
anche l'ampia conca oltre il passo, detta Serraglia, è in territorio
italiano. Ciò fu deciso nel contesto del Congresso di Vienna,
all'inizio dell'Ottocento, ma suscitò, ancora agli inizi del
Novecento, le proteste del governo elvetico. |
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Facciamo
due conti: siamo in cammino da circa tre ore e mezza, ed abbiamo
superato un dislivello di circa 1100 metri. Possiamo tornare,
ovviamente, per la medesima via di salita, ma se abbiamo ancora
energie da spendere nelle gambe possiamo scegliere una via
alternativa, che passa per il lato opposto dell'alta Val Febbraro, o
meglio per il Pian dei Cavalli, il lungo altipiano che la chiude a
sud. Questa soluzione allunga sensibilmente i tempi del ritorno, ma
ha il pregio di permetterci di incontrare uno dei luoghi più
affascinanti delle montagne valchiavennasche.
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Se
optiamo per essa, possiamo seguire le indicazioni cartografiche,
ripercorrere per un buon tratto il sentiero di salita, fino ad
intercettare, sulla nostra destra, a quota 2150 circa, sul filo
dell'ultimo dosso (il Mot del Lago), il sentiero che proviene dal
Pian dei Cavalli (sentiero segnalato da segnavia biancorossi, per la
verità poco numerosi, tanto che non è facile trovarlo). È, tuttavia,
preferibile scegliere una seconda soluzione, che ci permette di
guadagnare 20-30 minuti di cammino: una volta ridiscesi al limite
inferiore del lago Grande di Baldiscio, invece di rimanere alla sua
sinistra (per noi che scendiamo), portiamoci, superando il
torrentello alimentato dal lago, sul lato opposto (cioè a sud),
affacciandoci su un sistema di grandi dossi arrotondati. |
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Possiamo
ora tranquillamente scendere sul filo di questi dossi, con
direttrice sud-sud-est, tenendoci sempre sulla destra, cioè quasi a
ridosso del fianco montuoso, fino a raggiungere una boccettina che
ci introduce ad una conca: qui intercettiamo il sentiero sopra
menzionato, proprio mentre questo attraversa un torrentello.
Possiamo, ora, seguirlo con una certa facilità mentre effettua un
traverso lungo il fianco nord-orientale che scende dalla cima di
Barna (m. 2857), rimanendo più basso rispetto ad un sistema di
roccette che, purtroppo, impedisce una traversata al Pian dei
Cavalli senza perdere quota. |
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Dopo un
tratto quasi pianeggiante, il sentiero ricomincia a guadagnare
quota, effettuando, ad un certo punto, una svolta a destra, cioè
assumendo l'andamento sud-sud-ovest. La traccia si fa debole, i
segnavia non aiutano molto, ma possiamo anche salire a vista,
cercando il varco che ci permette di raggiungere, a quota 2350 metri
circa, il punto terminale dell'altipiano. Questa via ci impone una
salita supplementare di circa 200 metri di quota, fatica, tuttavia,
ampiamente ripagata dal fascino dei luoghi che ora andiamo ad
attraversare.
La più breve via di discesa prevede, ora, un cammino che tiene il
lato sinistro dell'altipiano (nord), su traccia debole e discontinua
di sentiero. Prima di intraprenderla, però, vale la pena di
effettuare un fuori-programma di una ventina di minuti per visitare
il bel lago Bianco, |
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che si
trova più a sud rispetto al punto che abbiamo raggiunto. Seguendo i
segnavia, se li abbiamo ritrovati, o procedendo a vista e tagliando
la parte più alta dell'altipiano portiamoci, allora, ad una lunga
recinzione costituita da un muretto piuttosto basso, scavalcato il
quale ci ritroviamo appena sopra il lago (m. 2322), che raggiungiamo
con una breve discesa. Lo scenario è sempre bellissimo: di fronte a
noi, verso sud, danno da cornice al lago la punta Dale (m. 2611)
mentre fa capolino, sulla testata della valle più a sud, la valle di
Starleggia, lo svelto profilo del pizzo della Sancia (m. 2718).
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Torniamo,
ora, sul lato opposto dell'altipiano, cioè su quello settentrionale,
e cominciamo a percorrerne, verso est, le tranquille ondulazioni,
perdendo lentamente quota. Incontreremo, in successione, cinque
pannelli che ci illustrano i diversi aspetti di interesse di questo
incomparabile luogo. Ma prima di occuparci di essi, ammiriamo lo
scenario superbo che si apre di fronte ai nostri occhi. Guardando ad
est, cioè proprio di fronte a noi, possiamo riconoscere quattro
grandi cime che scandiscono il fianco orientale della valle del Liro,
vale a dire, da destra, il pizzo Stella (m. 3163), il pizzo Groppera
(m. 2968), dove sono ben visibili gli impianti di risalita di
Medesimo, il monte Mater (3023), dal profilo proco pronunciato, ed
il pizzo Emet (m. 3208). Proseguendo verso sinistra, cioè verso
nord-est, ci si presenta la compatta compagine che va dal pizzo
Spadolazzo (m. 2722) al pizzo Suretta (m. 3027). |
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A nord si
impone l'elegante profilo delle cime gemelle del pizzo dei Piani (m.
3148 e m. 3158), il cui ghiacciaietto alimenta la cascata che
abbiamo osservato dal fondo della Val Febbraro, salendo. Alle sue
spalle, sulla destra, è ben visibile anche il pizzo Ferrè (m. 3103).
Sulla sua sinistra, invece, si riconosce la meno pronunciata vetta
del pizzo Bianco (m. 3026), che domina, a nord, il passo di
Baldiscio. Una cornice di cime davvero superba, che accompagna i
nostri passi. |
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Scendendo, incontriamo innanzitutto uno dei siti archeologici più
interessanti, recintato ed illustrato da un pannello. Si tratta del
sito denominato Cavalli I, dove sono state ritrovate numerose tracce
(reperti di punte di frecce, coltelli ed utensili ricavati dalla
pietra scheggiata ed addirittura residui dei fuochi di bivacco)
della presenza di nuclei di cacciatori nel Mesolitico, cioè circa
10.000 anni fa. Questi cacciatori salivano al Pian dei Cavalli
partendo da campi-base posti sul fondovalle, accendendo fuochi e
collocando tende. Questo luogo consentiva loro di dominare la valle
sottostante, avvistando le prede più ambite, i cervi. |
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Si
trattava di cacciatori nomadi, che passavano con facilità sul
versante opposto dello spartiacque, in territorio svizzero. Non si
può evitare di lasciar correre la fantasia, cercando di immaginare
cosa pensassero, cosa provassero osservando la splendida teoria di
cime che si apre ora, a istanza di tanto tempo, immutata di fronte
ai nostri occhi. |
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Scendiamo
ancora, fino a trovare il laghetto denominato Lago Basso (Lagh di
fiòc): nei sedimenti del suo fondale sono state trovate altre tracce
(particelle di carbone, polline, aghi di conifere e pigne) dei
fuochi accesi dall'uomo già circa 10.500 anni fa, come illustra un
secondo pannello posto nei pressi del laghetto. Un terzo pannello,
più avanti, illustra le caratteristiche generali del Pian dei
Cavalli, dove sono stati individuati trenta siti di interesse
archeologico: si tratta di un altipiano costituito da rocce
solubili, che hanno conferito ad esso caratteristiche carsiche,
contribuendo a fargli assumere il tipico aspetto ondulato. |
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La sua
natura carsica è testimoniata dal singolarissimo Buco del Nido (Böcc
del nìi, m. 2157), che troviamo, con un quarto pannello, proseguendo
nella discesa lungo il suo orlo settentrionale. Niente di che, in
apparenza: solo un buco in una piccola conca, che sembra introdurre
ad una modesta spelonca. In realtà esso introduce ad un complesso e
ramificato sistema di gallerie carsiche (con uno sviluppo
complessivo di 3.600 metri, una profondità massima di 32 metri ed un
interessante sistema di torrenti e laghetti sotterranei), di grande
interesse per gli amanti della speleologia. La cartina, che ne
traccia il disegno e riporta le denominazioni curiose e simpatiche,
rende l'idea della sua complessità. Immaginare questo regno delle
ombre, che sembra il rovescio del trionfo della luce nella vasta
prateria che stiamo percorrendo suscita sicuramente un'impressione
singolare. |
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È
scontata, ma sempre opportuna l'avvertenza di evitare di
avventurarsi in questo dedalo senza guida ed attrezzatura adeguate:
sussiste infatti, fra gli altri, anche il rischio di essere travolti
da piene improvvise dei torrenti sotterranei.
Riprendiamo a scendere, dirigendoci a destra, cioè verso il limite
orientale dell'altipiano, dove troviamo un quinto ed ultimo
pannello. L'orlo orientale si affaccia sul pendio che guarda alle
alpi Zocana e Toiana, a loro volte poste a monte della piana di San
Sisto. Una breve discesa, che ci permette anche di osservare, alla
nostra destra, il curioso solco della modesta valle di Buoi, ci
porta all'alpe Zocana (m. 2006).
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In
corrispondenza delle baite più alte, dopo l'ultimo tratto di
discesa, troviamo un masso sul quale è segnata l'indicazione per
Isola: volgendo, quindi, a sinistra e seguendo il sentiero indicato
proseguiamo la discesa, verso nord, raggiungendo l'alpe Frondaglio,
a 1763 metri di quota, posta sul fianco boscoso nel quale
l'altipiano degrada a nord-est.
L'ultimo facile tratto della discesa, sempre in direzione nord, ci
riporta nei pressi del ponte di Ca' Raseri, dove, sfruttando il
sentierino già utilizzato nella prima parte della salita da Isola,
possiamo chiudere lo splendido anello tornando al parcheggio
dell'automobile. Sono trascorse 6 ore e mezzo dal momento della
partenza (al netto di eventuali soste), ed abbiamo superato circa
1300 metri di dislivello in salita, ma possiamo senza dubbio
concludere che ne valeva ampiamente la pena.
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Un'ultima
indicazione: se abbiamo a disposizione due automobili, possiamo
lasciarne una a Starleggia (paesino posto a 1565 metri, che si
raggiunge lasciando la strada Campodolcino-Isola, poco dopo la sua
partenza, sulla sinistra e salendo per circa 7 chilometri);
raggiunta l'alpe Zocana, invece di prendere a sinistra possiamo
proseguire nella discesa, che ci porta dapprima all'alpe Toiana e
poi, dopo un breve tratto nel bosco, alle case di San Sisto, |
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sul
limite orientale dell'omonima bellissima piana (m. 1763), dominata
dall'elegante pizzo della Sancia. |
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Qui, in
prossimità dell'isolato campanile, |
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parte il
ripido sentiero che scende a Starleggia. |
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Questa
seconda soluzione ci permette di risparmiare |
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circa tre
quarti d'ora di cammino. |
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