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Da migliaia e migliaia di anni.
Come il corno di un rinoceronte che dorme da migliaia e migliaia di
anni. O forse di un animale di cui nessun uomo ha mai avuto notizia
o ha posseduto il nome. Come il corno di un mostro è quello spuntone
su cui si sofferma, curioso, l'occhio che, da Sacco, il primo paese
della Val Gerola, ne esplora la testata, spostandosi dall'imponente
pizzo di Trona, a destra, al defilato ed arrotondato pizzo dei Tre
Signori, alla sua sinistra, e poi al centrale e poderoso pizzo di
Tronella, ed infine a quel più modesto ed enigmatico corno.
Uncino, lo credono gli uomini, o artiglio; ma alla fine lo hanno
chiamato torrione, Torrione della Mezzaluna. Ricorda un po',
infatti, anche una mezzaluna. |
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Non sanno, gli uomini, che non di
uncino né di torre si tratta, e neppure dell'immagine terrestre
della pallida luna, ma del corno di un mostro possente che dorme, il
corpo sprofondato nella massima base della costiera Tronella-Trona.
Dorme di un sonno che non si avverte; solo, nel silenzio più riposto
della notte, l'orecchio attento ne può avvertire il respiro, lento e
profondo. |
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Al Torrione della Mezzaluna deve
salire chi vuol carpire il segreto della valle. Qui è il suo
ombelico. Qui il suo mistero. |
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Non è impresa che richieda grandi
doti escursionistiche: solo, attenzione ed un po' di allenamento.
Eccoci, allora, in valle: oltre Gerola (a 14,7 km da Morbegno: si
sale lungo la statale 405 di Val Gerola, che si imbocca staccandosi,
sulla destra, dalla ss. 38, al primo semaforo all'ingresso di
Morbegno, per chi provenga da Milano), proseguiamo per altri 6 km,
fino a Pescegallo (m. 1454). Era, questo, il regno dell'abete e del
gallo cedrone (rispettivamente, pesc e gal). Niente pesci, dunque.
Ma ormai il nome è questo. Ed ormai questo è il regno di un turismo
affezionato, legato un po' allo sci, un po' alle belle passeggiate
estive.
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Lasciamo qui l'automobile,
lasciamo alle spalle l'edificio dal quale parte l'impianto di
risalita, per imboccare una stradina che scende, verso nord-ovest,
ad una baita, lasciandolo però subito per un sentiero che se ne
stacca sulla destra. Troviamo qui il primo cartello, che dà il rifugio Benigni a 2 ore e 15 minuti, il lago di Trona ad un'ora e 40
minuti, il lago Rotondo a 3 ore.
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Proseguiamo sul sentiero
principale, |
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che si immerge subito in uno
splendido bosco di conifere, nel cui cuore incontriamo un primo
pannello illustrativo, che ci parla di abeti bianci, abeti rossi e
larici, i silenziosi testimoni del sonno del mostro, e dei piccoli
uccelli che li abitano. |
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Poi, ad una baita (il Dossetto,
m. 1600), due nuovi cartelli: il primo segnala una deviazione, sulla
sinistra, che sale al rifugio Benigni per la Val Tronella, ed il
secondo che dà il lago di Trona ad un'ora e 10 minuti.
Attraversiamo, poi, una splendida radura: guardando alla nostra
destra, godiamo di un ampio scorcio della Val Gerola, mentre sulla
sinistra, in direzione sud-ovest, ecco il Torrione, l'uncino che
spicca per il suo profilo singolare sulla costiera occidentale della
Val Tronella.
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Poi, oltrepassiamo un nuovo
pannello illustrativo e superiamo un torrentello, prima di
incontrare un terzo pannello, che parla dei calec', i baitelli senza
il tetto che servivano come ricovero per i pastori, e degli insetti
e delle piante che li circondano. Superato un secondo torrentello, |
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guadagniamo |
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un versante di prati che il
sentiero risale, ripido, con diversi tornanti, |
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snodandosi fra i primi e radi
larici. Guadagniamo, così, circa 200 metri e troviamo, a quota 1800,
un nuovo cartello, in corrispondenza di un sentiero che si stacca,
scendendo sulla sinistra, da quello principale: abbiamo intercettato
la Gran Via delle Orobie, che scende in Val Tronella, prosegue fino
al rifugio Salmurano ed al lago di Pescegallo (1 ora e 10 minuti),
sale al passo di Verrobbio (1 ora e 50 minuti) e raggiunge il passo
di San Marco (2 ore e 50 minuti). Proseguendo, invece, sul sentiero
principale, cioè verso destra, possiamo raggiungere i laghi di Trona
e Zancone (30 e 50 minuti), ed il nascosto e bellissimo lago Rotondo
(1 ora e 50 minuti). Nessuna menzione di un sentiero che porti al
Torrione.
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Saliamo, allora, ancora per un
breve tratto, fino a trovare, sulla sinistra di un masso che indica
i rifugi Trona e Falc, un sentierino; a pochi metri dalla sua
partenza, scorgiamo, su un sasso, la scritta "1/2 luna". Un tremito:
è la nostra via. Una via non segnata, una via che si mostra e si
nasconde, un sentierino che scorgiamo a tratti, a tratti invece solo
immaginiamo.
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E la meta è là, la vediamo fin da
subito, diritta, altera, nella direzione del filo del sentierino. |
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Alla nostra destra, incombente,
il massiccio e tormentato fianco orientale del pizzo del Mezzodì (m.
2116). |
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Seguiamo la traccia, che nella
prima parte del nostro cammino non ci tradisce; lasciamo alla nostra
destra un canalone, che scende a sud del versante orientale del
pizzo di Tronella (m. 2311), raggiungiamo una ganda, dove la traccia
appena si intuisce, fra i grandi massi. Qui si sale leggermente, poi
si taglia la ganda, fino a raggiungere una cengia ai piedi di una
formazione rocciosa. Ecco di nuovo il sentierino, che aggira la
roccia e porta ad una bella e gentile pianetta. Intanto, alle nostre
spalle, il pizzo di Tronella troneggia, altero, con la sua sommità
arrotondata, che precipita nei poderosi contrafforti del suo
versante orientale. |
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Oltre la pianetta, il sentiero
aggira un costone, passando proprio a ridosso della roccia, e ci
porta ad un grande corridoio di rocce levigate, sfasciumi e magri
pascoli. Memorizziamo il punto nel quale siamo giunti, per non
perderlo al ritorno, e cominciamo a salire. Da qui in avanti il
sentiero c'è e non c'è. |
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Ma questo non pone eccessivi
problemi: saliamo con una diagonale che tende molto gradatamente a
sinistra, |
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seguendo sempre lui, il corno,
che si mostra, severo e diffidente, oltre il filo del canalone di
roccette ed erbe. È lui che detta la direzione. O forse che attende
al varco.
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Dopo la prima salita, approdiamo
ad un modesto pianoro, che precede un ultimo e ripido versante
erboso, il quale sale fino al crinale della costiera. Il corno è
sempre là. Enigmatico. Abbiamo due possibilità per raggiungerne la
base: risalire il ripido versante erboso, seguendo una labile
traccia di sentiero, fino alla sommità, per poi piegare a sinistra,
oppure piegare subito a sinistra, sormontare alcune facili roccette
e
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guadagnare un più ampio e
splendido pianoro, ai piedi della possente base del corno, per poi
salire verso destra. |
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In entrambi i casi, eccoci ad una
selletta sul crinale (m. 2240 circa), che si affaccia sulla Valle di
Trona e sui laghetti di Trona e Zancone. |
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Sul versante opposto della valle, |
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è l'elegante ed imponente cono
del pizzo di Trona (m. 2510) ad imporsi allo sguardo. |
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Alla nostra destra, il
tondeggiante pizzo di Tronella guarda forse con un pizzico di
invidia ai più alti e massicci pizzi del gruppo del Masino, là sul
fondo, a nord. Verso est, oltre le cinque punte della Rocca di
Pescegallo, scorgiamo le valli di Salmurano e di Pescegallo. |
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Ma è il corno ad impressionare.
Da qui sembra emergere, con i suoi 2333 metri, solitario e
perentorio da una base antichissima, quasi una sfida al cielo.
Sembra una minaccia. E se l'animale si svegliasse? Lo farà,
pensiamo, prima o poi, scaraventerà enormi massi sul fondovalle,
niente di ciò che vediamo sarà più come prima.
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E poi, la rivelazione. No. Una
crepa profonda, due, solcano l'imponente corno. L'animale non dorme.
È morto. E nei suoi tempi che non si misurano con i nostri, si sta
disgregando. Un giorno il suo corno si spaccherà in due, tre, forse
quattro parti, precipiterà rovinosamente sui due versanti. E
l'animale non calcherà più il suolo di questa valle. |
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Questo pensiamo, mentre riposiamo
le membra dopo due ore e mezza circa di cammino (ed 800 metri di
dislivello superati). I nostri tempi non sono i tempi dell'animale,
e per noi viene presto l'ora di tornare. Il ritorno sarà più facile
se avremo memorizzato, di tanto in tanto, alcuni punti di
riferimento nella salita. Eccoci, alla fine, di nuovo al sentiero
per il lago di Trona.
Scendiamo per un breve tratto, poi, invece di proseguire per
Pescegallo, proseguiamo sulla destra, seguendo la Gran Via delle
Orobie. Dopo una discesa abbastanza ripida, con qualche tornantino,
ricominciamo a salire, superando anche un torrentello ed un curioso
corridoio nella roccia. Ed ecco, ad un pianoro acquitrinoso, un
nuovo pannello, che racconta degli ambienti umidi e dei loro
abitatori. Poi, a breve distanza, ancora un pannello, che illustra
la conformazione geo-morfologica della Val Tronella, con il suo
circo glaciale, e degli ungulati che possiamo scorgere sui dirupi
più scoscesi delle formazioni rocciose.
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Ma ciò che più ci colpisce è
quella serie frastagliata di punte che sta davanti ai nostri occhi,
sulla costiera orientale della valle. Si tratta delle cinque punte
della Rocca di Pescegallo, dette anche Denti della Vecchia (m.
2125). Ma non si tratta di denti, noi lo sappiamo, sono gli artigli
del mostro, protesi al cielo e così fissati nell'atto della morte.
La valle, con la sua ampia fascia di rocce striate ed arrotondate, è
insieme il suo cruore ed il suo ventre. Altro ci dice, invece, la
scienza. La geologia ci racconta che la testata della Val Gerola fa
parte dell'anticrinale orobica, con un nucleo di duro gneiss
rivestito di più friabili rocce sedimentarie, facilmente modellabili
da vento ed acqua, ne hanno cavato torrioni, guglie e pizzi, un
frammento di Dolomiti perso in una landa troppo occidentale. Guglie
e pizzi come il Pizzo della Mezzaluna (sì, c'è anche un pizzo della
Mezzaluna, m. 2373, e lo possiamo vedere, a sinistra del Torrione
della Mezzaluna, sulla parte occidentale della testata della valle)
ed il caratteristico Dente della Mezzaluna, alla sua sinistra. |
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Ma queste spiegazioni geologiche
sono troppo aride. Non danno conto della vita di questa valle, che
ha tratto linfa vitale dalla morte dell'immenso animale. Linfa che
scorre nelle sue caverne segrete, e che si manifesta, improvvisa,
proprio davanti a noi: ecco, infatti, una sorgente impetuosa le cui
acque sono raccolte in un piccolo invaso (m. 1808). Presso l'invaso,
un cartello ci informa che scendendo verso sinistra si raggiunge,
dopo 40 minuti, Pescegallo, mentre prendendo a destra si sale verso
il rifugio Benigni, dato ad 1 ora e 10 minuti (questo sentiero
risale, nella parte terminale, un canalino aspro ed esposto, per cui
richiede grande cautela). |
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Cominciamo la discesa sulla
sinistra (direzione nord), seguendo i segnavia (e facendo attenzione
a non seguire quelli che stanno di fronte a noi, e che segnano la
Gran Via, nel tratto Val Tronella-Valle di Salmurano). Un ultimo
pannello ci parla dei rettili e degli arbusti contorti. Ma la nostra
mente è sempre là, al mostro che non vedremo mai, che nessuno mai
vedrà più. E che forse nessuno ha visto mai, perché quando
percorreva terribile questa splendida catena l'uomo non aveva ancora
aperto i suoi occhi curiosi e presuntuosi.
Rieccoci, alla fine, al bivio del Dossetto. Scendiamo verso destra
ed in poco tempo siamo di ritorno a Pescegallo. È passato il tempo
dei mostruosi animali. È questo il tempo dei piccoli bipedi che
affollano, d'estate, località come questa, alla ricerca di frescura
e forse di qualche pensiero che osi immaginare una vita che nessuno
ha mai visto. |
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