Torre di Santa Maria

Torre di S. Maria è, insieme a Spriana, Caspoggio, Lanzada e Chiesa in Valmalenco, uno dei cinque comuni nei quali è divisa la Valmalenco, e precisamente il primo che si incontra, sul lato sinistro per chi risale la valle, cioè su quello occidentale. Ma la sua costituzione in comune autonomo risale al 1816: prima la sua storia segue le tracce di quella della valle di cui sorveglia l’ingresso.


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Se ci potessimo proiettare molto indietro nel tempo, potremmo vedere uno scenario della valle assai diverso da quello attuale. Ai tempi delle grandi glaciazioni i ghiacciai ricoprivano gran parte della valle, fino ad una quota superiore ai 2.500 metri. Immaginiamo lo scenario: una coltre bianca ed immobile, dalla quale emergevano, come modesti isolotti, solo le cime più alte. L’azione di questo enorme ghiacciaio, lenta, inesorabile, scandita in ritmi difficilmente immaginabili, cioè in migliaia di anni, cominciò a modellare il volto della valle. Fu un’azione che si esercitò in quattro grandi tempi: tante furono, infatti, le successive glaciazioni (la quarta ebbe inizio 40.000 anni fa).


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Poi anche l’immane ghiacciaio Malenco cominciò la sua ultima e definitiva ritirata. Fra le terre liberate, quelle di media montagna si rivelarono le più propizie ad accogliere gli animali ed i primi insediamenti umani, perché il fondovalle valtellinese era in gran parte paludoso. Ecco apparire, dunque, alle porte della Valmalenco le prime tribù di cacciatori (homo alpinus), che vi si stabilirono definitivamente intorno al 3000 a.C., partendo dalla zona di Cagnoletti (Involto-Cagnoletti-Bressia) e, più tardi, di Torre di Santa Maria. Età della pietra, del ferro e del bronzo trascorsero senza grandi scosse in questo lembo allora periferico della Valtellina. Si affacciarono, infatti, alla valle forse Liguri, Etruschi, Galli ed infine, sicuramente, nel 15 d. C., i Romani, senza, però, probabilmente addentrasi in Valmalenco.


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Solo nel 252 d. C. questa valle entrò a pieno titolo nella storia: il console romano P. Licinio Valeriano, infatti, iniziò la costruzione della strada carovaniera che, risalendo l’intera valle, scavalcava il passo del Muretto e scendeva in Engadina, consentendo un passaggio rapido fra territori latini al di qua della catena retica e territori romanizzati a nord della Rezia. Il ritrovamento di monete romane nei pressi del passo attesta che questo era frequentato fin dall’epoca romana. A difesa della pista venne, probabilmente, costruita una torre che costituì il primo nucleo dell’abitato che da essa prese il nome, Torre, appunto. Poco più di due secoli più tardi, però, l’Impero Romano d’Occidente cadde e questa via di comunicazione venne abbandonata.
Seguì mezzo millennio di nuovo isolamento: scarsissima eco, infatti, ebbero in Valmalenco l’alternarsi di dominazione ostrogota, longobarda e franca. Venne, in questi secoli, tracciata una nuova via che collega Torre al Sondrio, la cosiddetta “Cavallera”, che da Sondrio, attraverso la via Scarpatetti, raggiungeva il castello Masegra, quindi il Moncucco, i piccoli centri di Pozzoni e di Scherini, Arquino e, dopo aver attraversato il ponte sull'Antognasco, Caparé, Menesatti, Cucchi; superato anche il mallero su un ponte, passava, infine, per Ca’ Meschina e Torre, proseguendo nella risalita della valle.
All’inizio del secolo XII si ebbe la prima forma di associazione dei nuclei del territorio di Torre, che però, nel medesimo secolo, con le sue tre quadre di Bondoledo, Campo e Melirolo, finì per essere attratta nell’orbita dell’ingombrante vicina, Sondrio, di cui divenne “vicinanza”. Ne è prova l’edificazione della prima chiesa della valle (citata nel 1192), quella di San Giacomo nell’attuale Chiesa (che appunto da essa prese il nome), la quale fu fondata proprio dai potenti feudatari di Sondrio, i Capitanei.


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Nelle “Istituzioni storiche del Territorio Lombardo”, a cura di Roberto Grassi, leggiamo: “Sul finire del XII secolo Malenco era una vicinia del comune di Sondrio con un decano “in antea”, avente, probabilmente, anche compiti militari. L’esistenza della Valmalenco come squadra unitaria all’interno del comune di Sondrio è testimoniata da un consiglio generale dei rappresentanti di Sondrio datato 9 aprile 1308. Successivamente, la squadra venne denonimata di Rovoledo (odierna Mossini) e Malenco; dalla seconda metà del XIV secolo questa squadra si divise in “foris” e “intus” (intus era la parte malenca) e partecipava, con diritto ad un voto, ai consigli della comunità di Sondrio. In età viscontea, la comunità di Malenco partecipava ancora unitaria ai consigli della comunità di Sondrio, ma nella propria zona di competenza aveva diritto di eleggere un anziano, riscuotere le decime, imporre taglie in base all’estimo per pagare le spese (regolando così in modo indipendente la gestione dell’economia di valle), nominava propri esattori ed emanava gride. Tali facoltà erano in possesso di ogni singola quadra in cui si suddivideva a sua volta la valle: ogni quadra al suo interno poteva tenere i propri conti particolari ed eleggere il proprio consigliere che una o più volte l’anno partecipava al consiglio della valle di Malenco.”
Nel 1335 divennero signori della Valtellina i Visconti di Milano, che soppiantarono l’egemonia comasca, ma nella vita della comunità di Torre cambiò poco. L’inizio del secolo XV vide la costruzione dell’atuale chiesa parrocchiale, dedicata alla nascita della Beata Vergine Maria (da cui la nuova denominazione del borgo: “Santa Maria della Torre”), probabilmente presso le rovine dell’antica torre romana.


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Le Tre Leghe Grigie, presero possesso della valle, nel 1512, dopo 12 anni di odiatissima occupazione francese: iniziò in quest'anno la loro dominazione di quasi tre secoli in terra di Valtellina). Fu un inizio… gelido: la cronaca del Merlo registra, infatti, che due anni dopo, nel 1514, “nel mese di Genaro venne tanto freddo che s’aggiacciò il Malero, che si sarebbe potuto passar sopra con 25 carri caricati ed era agghiacciato sin in Adda. Durò esso freddo giorni 25, et per questo freddo morirono tutte le viti in modo che in quell’anno a pena gli fu vino che bastasse per il nostro bevere, et di quel puoco di vino che gli fu non se ne trovava niente, perché li Mercanti Todeschi, ch’erano soliti comprar il vino, andavano in Bressana, et nel monte di Brianza, dove n’avevano mercato disfatto.” Nota en passant: i citati commerci di vino valtellinese dei mercanti tedeschi passavano per una parte significativa attraverso la Valmalenco ed il passo del Muretto: i mercanti che portavano al nord il vino di Valtellina e le piode malenche raggiungevano, da Sondrio, il passo del Maloja in circa un giorno e mezzo. L’eccezionale ondata di gelo annunciava, poi, l’inizio di quel periodo durato più o meno tre secoli e noto come PEG, Piccola Età Glaciale, con due punti di minimo nelle temperature medie, nel 1540 e nel 1620.


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I nuovi signori, comunque, poco badando al clima, pensavano piuttosto agli affari; proclamavano, infatti, di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); ma, per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto mediante un famoso avventuriero, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino. Sulla natura di tale dominio è lapidario il Besta (op. cit.): "Nessun sollievo rispetto al passato; e men che meno un limite prestabilito alla pressione fiscale. Nuovi pesi si aggiunsero ai tradizionali... I Grigioni... ai primi di luglio del 1512... imponevano un taglione di 21.000 fiorini del Reno pel pagamento degli stipendiari del vescovo di Coira e delle Tre Leghe.... Per quanto si cerchi non si trova al potere dei Grigioni altro fondamento che la violenza. Sarà magari verissimo che i Grigioni non fecero alcuna promessa ai Valtellinesi; ma è anche vero che questi non promisero a loro una perpetua sudditanza". Rimasero, però, probabilmente in piedi le fortificazioni nell’attuale territorio di Torre, vale a dire la torre di quota 822, detta “di Basci”, nei pressi dell’attuale strada provinciale della Valmalenco, poco oltre Torre; il complesso delle Torri di Melirolo, oggi trasformate in edifici agricoli; il castello di Torre S. Maria, probabilmente residenza fortificata nell’attuale località Volardi nel centro di Torre.


Val Torreggio (Val del Turéc')

I grigioni sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese). Dopo la registrazione del “communis Sondrij sine Malenco”, viene dato il dettaglio della “vallis Malenchi; vi vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 1070 lire (per avere un'idea comparativa, Sondrio fa registrare un valore di 3355 lire, Berbenno di 774 lire, Montagna di 1512 lire); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 11191 pertiche e sono valutati 4661 lire; i campi occupano 66 pertiche e sono valutati 31 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 7234 lire (sempre per avere un'idea comparativa, Sondrio fa registrare un valore di 19660 lire, Berbenno di 6415 lire, Montagna di 13400 lire). L’estimo registra, però, che alcuni di questi beni sono contesi fra i comuni di Sondrio e di Malenco, e precisamente: case e dimore per un valore complessivo di 58 lire, prati e pascoli per un'estensione complessiva di 1439 pertiche, valutati 340 lire, ed infine campi per 66 pertiche, valutati 31 lire.


Pra Marsciana

In quel periodo si ebbe anche il primo atto di regolamentazione dell’uso degli alpeggi in Valmalenco (prima comune), cioè l’arbitrato del 22 settembre 1544, che ne suddivideva la proprietà tra le quadre della valle, quelle di fuori (Piatta, Dosso, Maioni, Triangia con Moroni) e quelle di dentro (Bondoledo-Melirolo-Campo, Chiesa, Lanzada, Caspoggio). Il documento mostra che le quadre erano co­stituite da contrade e da un territorio delimitato da confini naturali, che, nell’attuale comune di Torre, erano Bondoledo (con Torre, Pizzi, Musci, Bianchi, Scio­lini, Voladri, Tornado), Campo, o Ciappanico (con Campo, Ciappanico, Conti, Sant’Anna, Basci) ed infine Milirolo (con Romegi, Milirolo, Tona, Cristini, Dagua e contrade limitrofe, Zarri). L’atto non pose fine, però, alle controversie, che proseguirono ed, anzi, si acuirono fino al secolo XIX. La metà di quel medesimo secolo (1550) fu segnata da un evento terribile: un’immane frana seppellì interamente il nucleo di Bondoledo, uno dei primi nel territorio di Torre, ed una delle tre contrade principali, posto probabilmente presso l’attuale chiesa di S. Giuseppe.


Pra Marsciana

Il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, nella famosa visita pastorale del 1589, così riferisce della località Torre: “La Valmalenco, comincia un miglio e mezzo sopra il paese di Ponchiera al ponte sul Mallero detto Ponte Nuovo; a due miglia dal punto stesso vi è un villaggio di 20 famiglie chiamato Torre dove esiste la chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria, e vi è rettore regolarmente investito, un religioso fr. Antonio da Bergamo dell'Ordine di S. Agostino.” Il Ninguarda, attento a registrare la presenza di “eretici”, cioè individui che avevano abbracciato la fede riformata, non ne registra alcuno a Torre. Per avere un’idea comparativa, si tenga conto che a fronte delle 20 famiglie registrate a Torre, se ne contavano 100 a Chiesa, 110 a Lanzada e 60 a Ca­spoggio.


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Il Guler von Weinceck, uomo d’armi e governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel biennio 1587-88, così descrive, nell’opera “Rhaetia” (pubblicata a Zurigo nel 1616) la Valmalenco e Torre: “Dietro a Sondrio si apre una grande con valle, che dal fiume Mallero, il quale sorge da una catena a nord, si dice Valmalenco; è una valle ben popolata da una razza bella e vigorosa, le cui principali risorse sono il bestiame e la segale, poiché non produce vino. Molti della valle si recano in paesi stranieri, e vivono facendo il barullo, od aprendo bottega. La valle costituisce un comune a parte, che per altro è in certo modo dipendente da Sondrio. I loro capi si chiamano anziani; nome che io ritengo derivi dai Francesi, (i quali un giorno furono signori di questo paese), e che in tedesco significa vecchi: infatti i meglio provveduti di senno, ed anche di anni, sono appunto i vecchi. Il primo villaggio che s’incontra, penetrando da Sondrio nella valle, è Arquino cui segue La Torre, poi Ciappanico, quindi un villaggio detto La Chiesa, perché vi sorge la chiesa madre della valle. Tutti questi villaggi stanno dalla parte sinistra del Mallero.” Il Guler, pochi anni dopo la pubblicazione dell’opera, nel 1620, ebbe modo di osservare questi luoghi con ben altri occhi rispetto a quelli del sereno viandante: comandata, infatti, il corpo di spedizione delle Tre Leghe Grigie che dal Muretto era riuscito a discendere la Valmalenco, eludendone le strutture difensive, per calare su Sondrio e riprendere la Valtellina caduta in mano agli insorti dopo il cosiddetto “Sacro Macello Valtellinese”. Ma di ciò diremo più avanti.
Il famoso arciprete di Sondrio Nicolò Rusca, che sarà, quattro anni più tardi, rapido dai soldati delle Tre Leghe Grigie e fatto morire sotto tortura a Thusis, scrisse, nel 1614, una relazione per il vescovo di Como Filippo Archinti, in occasione della sua visita pastorale. Vi si legge, a proposito della “Valle di Malenco: “In questa Valle sono quattro Vicecure, non essendo alcuna separata da Sondrio. S. Maria de la Torre, dove è V. Curato il R. ms. P. Gio. Franc. Interiortolo da Sondrio. Ha in casa una sorella. ... Son pagati questi V. Curati con collette che si fanno fuoco per fuoco. Il R. Interiortolo ha di moneta di Valtellina scudi novanta. Il R. Tuano [della chiesa dei ss. Giacomo e Filippo di Chiesa] ha scudi cento. Il R. Cilichino ha tra Lanzada e Caspoggio cento venti scudi”.


Val Torreggio (Val del Turéc')

Dalla relazione del Rusca la chiesa della Natività della Beata Vergine Maria risultava, dunque, essere vicecura di Sondrio; dieci anni dopo, però, se ne staccò, divenendo parrocchia autonoma, dalla quale dipendevano le chiese figliali di San Giuseppe di Bondoledo, di Sant'Anna, dell'oratorio di Ciappanico e di quello dedicato alla Beata Vergine del Buon Consiglio, situato in località Musci. In quel medesimo 1624 Torre contava 800 abitanti, Chiesa 1.083 e Lanzada 500.
Il Seicento fu, per l’intera Valtellina, un secolo nero, almeno nella sua prima metà. La tensione fra protestanti, favoriti dalle autorità grigioni, e cattolici crebbe soprattutto per le conseguenze del decreto del 1557, nel quale Antonio Planta stabilì che, dove vi fossero più chiese, una venisse assegnata ai protestanti per il loro culto, e dove ve ne fosse una sola venisse usata a turno da questi e dai cattolici. L'istituzione del tristemente famoso Strafgericht di Thusis, tribunale criminale straordinario di fronte al quale si dovevano presentare tutti coloro che venissero sospettati di attività eversive del potere grigione in Valtellina, rese la tensione ancora più acuta. La valle rimase, di nuovo, ai margini di questa frizione, ma fu coinvolta nell’episodio che portò al massimo la tensione: nel 1618 il già citato arciprete di Sondrio, Nicolò Rusca, venne rapito da una schiera di sessanta armati, scesi in Valmalenco proprio dal passo del Muretto, che lo sorpresero, nella notte fra il 24 ed il 25 luglio 1618, nella sua camera da letto. Il motivo del blitz era che il Rusca veniva considerato uno dei più fieri oppositori alla religione riformata in Valtellina. La sua figura, peraltro, si presta ad una diversa lettura: da una parte alcuni ricordano che, per la determinazione del suo impegno a difesa del Cattolicesimo, fu denominato “martello degli eretici”, dall’altra si ricorda, a riprova del suo atteggiamento di comprensione umana, l’affermazione “Odiate l’errore, amate gli erranti”. Una figura comunque scomoda.


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Gli venne, dunque, concesso solo di vestire il suo abito talare, poi fu legato, a testa in giù, sotto il ventre di un cavallo, ed il drappello si mosse sulla via del ritorno, seguendo l’itinerario che passa per Moncucco e Ponchiera. Proprio mentre passavano di qui, sul far del giorno, le cronache riportano un episodio curioso. La schiera di armati incrociò il parroco di Lanzada, che scendeva verso Sondrio travestito da “Magnan” (calderaio), per timore di essere catturato dalle milizie dei Grigioni (la loro discesa lungo la Valmalenco non era passata inosservata, e lui era uno dei ricercati: sarebbe, poi, riuscito a mettersi in salvo nella bergamasca). Egli non difettava certo di prontezza di spirito e, alla domanda se avesse visto il parroco di Lanzada, la sua risposta fu pronta: “Sì, questa mattina ha già detto Messa”. Di nuovo, ecco il Cantù, sulla vicenda dell'arciprete Rusca: "Il ben vissuto vecchio, benché fosse disfatto di forze e di carne e patisse d'un ernia e di due fonticoli, fu messo alla tortura due volte, e con tanta atrocità che nel calarlo fu trovato morto. I furibondi, tra i dileggi plebei, fecero trascinare a coda di cavallo l'onorato cadavere, e seppellirlo sotto le forche, mentre egli dal luogo ove si eterna la mercede ai servi buoni e fedeli, pregava perdono ai nemici, pietà per i suoi."
In quel medesimo 1618 scoppiò la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), nella quale la Valtellina, avendo una posizione strategica di nodo di comunicazione fra i territori degli alleati Spagna (milanese) ed Impero Asburgico (Tirolo), venne percorsa dagli eserciti dei fronti opposti, quello imperiale e spagnolo da una parte, quello francese e dei Grigioni, dall’altra.


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Due furono i momenti più tragici di questo periodo. Nel 1620 il cosiddetto “Sacro macello valtellinese”, cioè la strage di protestanti operata da cattolici insorti nella notte del 19 luglio, per il timore che i Grigioni intendessero imporre la fede riformata in Valtellina, fece registrare episodi tragici, una caccia al protestante che portò all’assassinio di un numero di persone probabilmente superiore a 400. Ecco cose ne scrive Henri de Rohan, duca ed abilissimo stratega francese nell’ultima parte delle vicende della guerra di Valtellina nel contesto della guerra dei Trent’Anni (1635), nelle sue “Memorie sulla guerra della Valtellina”: “Non si può negare che i magistrati grigioni, tanto nella camera criminale di Tosanna quanto nell’amministrazione della giustizia in Valtellina, abbiano commesso delle ingiustizie capaci di gettare nella disperazione e di spingere alla ribellione contro il proprio sovrano anche i più moderati. Ma bisogna riconoscere che anche i Valtellinesi passarono ogni limite e calpestarono tutte le leggi dell’umanità, essendosi spinti a massacri così crudeli e barbari che le generazioni future non potranno non ricordarli senza orrore. Così la religione è capace di spingere al male uomini che, animati da uno zelo sconsiderato, prendono a pretesto della loro ferocia ciò che dovrebbe essere un fondamento della società umana.” La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e, come sopra ricordato, dal passo del Muretto e quindi dalla Valmalenco, il successivo primo agosto. Le successive vicende belliche, che furono risparmiare alla valle, portarono al trattato di Monzon del 1626.


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La pace sembrava tornata e tutti tirarono il fiato; fu, però, il sollievo dell’inconsapevolezza, perché il peggio doveva ancora venire. Il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi, scesi dalla Valchiavenna per partecipare alla guerra di Successione del Ducato di Mantova, portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). Non era certo la prima: solo nel secolo precedente avevano toccato la Valtellina le epidemie del 1513-14, del 1526-27 e del 1588. Ma quella fu la più terribile, e non si fermò alle soglie della Valmalenco. L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, almeno più di un terzo della popolazione morì per le conseguenze del morbo.
L'epidemia, che, secondo una leggenda, aveva interamente spopolato l'importante nucleo di Melirolo (diventato paese fantasma e di fantasmi), aveva gettato la popolazione in uno stato d'animo che era un misto di prostrazione e terrore. Questo tipo di paura genera quasi sempre un'irrazionale caccia al colpevole, cui addebitare la genesi di un male tanto orribile quanto enigmatico nel suo modo di diffondersi e colpire. Non stupisce, dunque, che, reintrodotta in Valtellina l'Inquisizione nel 1929, qualche anno dopo, nel 1634, si celebrassero, nel sondriese, i processi a quattro presunte streghe, istruiti dall'inquisitore frate Geronimo Fulgenzio Rangone. Fra le quattro infelici torturate ed uccise figura una ragazza di Torre, Domenica Volarda, morta sotto le torture.


Lago di Zana

Come se non bastasse, riesplose la guerra, con la campagna del duca di Rohan, fra il 1635 ed il 1637; solo il capitolato di Milano, del 1639, portò ad una pace definitiva, che riconsegnava la Valtellina ai Magnifici Signori Reti, proibendo, però, che vi venisse praticata altra religione rispetto a quella cattolica e che vi venisse praticata l'Inquisizione (il che non significò la fine della caccia alle streghe, ma la sua prosecuzione per mano laica).
Un quadro sintetico di Torre nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: “La Torre ha una chiesa della Madonna nuovamente fabricata collocata in un precipitio sopra il Mallero. Haverà 700 paesani in sette contrate, parte di qua, parte di là dal Mallero; qui vi si cuociono le calcine.
La seconda metà del seicento ed il settecento videro una costante ripresa economica e demografica, fino al 1797, anno in cui la prima campagna d’Italia di Napoleone portò alla fine della dominazione retica ed all’annessione della Valtellina alla Repubblica Cisalpina prima, ed al Regno d’Italia (1805) poi.


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Venne, così, costituito il comune di Malenco, che figurava fra i settanta comuni del III distretto di Sondrio, nel dipartimento del Lario. Nel regno d’Italia esso contava 3250 abitanti e fu inserito nel I cantone di Sondrio. Negli anni successivi si prospettò l’unificazione con il comune di Sondrio, sostenuta anche dal consultore di stato e direttore generale della polizia Guicciardi, con la motivazione che Malenco era stata “per l’addietro sempre unita a Sondrio”, sebbene se ne fosse “sul principio della rivoluzione” separata “per sottrarsi alla preponderanza dei signori di Sondrio”; egli era consapevole però che la riunione avrebbe eccitato “sicuramente il malumore dei rozzi, ma altezzosi abitanti della valle di Malenco”. Ma non se ne fece nulla. Anzi, caduto Napoleone, con il Congresso di Vienna, che sancì l’annessione della Valtellina al Regno Lombardo-Veneto, dominio della casa imperiale degli Asburgo d’Austria,  l’antico comune di Malenco venne suddiviso negli attuali comuni. Si costituì, dunque, il comune di Torre, con Bondoledo, Melirolo e Campo, che fu inserito nel I distretto di Sondrio. Nel 1853 esso, con le frazioni Bondoledo, Melirolo, Campo e Zana, figurava comune con consiglio senza ufficio proprio, con una popolazione di 1.201 abitanti.


Lago di Zana

Alla II Guerra d’Indipendenza, che portò all’unità d’Italia, parteciparono anche alcuni abitanti di Torre, Cristini Leopoldo fu Luigi, Cometti Pietro fu Giovanni e Gianotti Michele fu Giovanni. All’Unità d’Italia, proclamata nel 1861, il comune di Torre di Santa Maria contava 1277 abitanti. Nella successiva III Guerra d’Indipendenza, del 1866, partecipò un numero decisamente maggiore di abitanti di Torre, Basci o Bassi Achille fu Giuseppe, Cometti Pietro fu Giovanni, Cristini Giovanni Abbondio, Cristini Timoteo, Cometti Giacomo, Foianini Ferdinando, Mitta Ernesto, Malenchini Giuseppe di Andrea, Malenchini Gaetano, Praitella Giuseppe, Tarchini Clemente fu Pietro, Vanotti Giacinto, Vanotti Ambrogio, Vanotti Clemente fu Giovanni e Zopatti Ercole.
La statistica curata dal prefetto Scelsi nel 1866 ci offre il seguente quadro del comune:


Nei decenni successivi l’andamento demografico fu piuttosto oscillante: dai 1312 abitanti del 1871 si passò ai 1351 del 1881, e poi ai 1239 del 1901 ed infine ai 1381 del 1911.
La Guida alla Valtellina edita nel 1884 dalla sezione valtellinese del CAI, curata da Fabio Besta, così presenta Torre ed il suo territorio:
Il viaggiatore lascia anche alla sua sinistra, cioè a destra del Mallero, il monte Rolla, di puro gneis, che s'eleva nudo, brullo e arrotondato sopra il casale degli Aschieri. Da Arquino fino quasi alle alture dei Tornadù la strada corre sul gneìs, e lassù si osservano grandi scoscendimenti di bevola propriamente detta, che vien messa a profitto per lastricature ed altre opere di edilizia richiesta dalla vicina Sondrio.
Parlasi sempre del basso fondo della valle, perché a poca altezza dal medesimo sonvi sempre i micascisti , che a destra e sinistra predominano, e ciò tanto sui fianchi della valle principale, quanto nei valloncelli secondari, quali sono quelli di Valdone e Mada a sinistra salendo, e dello Antognasco a destra. L'Antognasco è un torrente d’acqua potabile eccellente, che scende dal ghiacciaio del Pizzo Scalino, e prima di gettarsi nel Mallero piomba in magnifica cascata sopra Arquino.


Alpe di Arcoglio superiore

Poco prima di giungere a Torre, primo villaggio abbastanza importante che s' incontra sulla via di Malenco, la strada comincia ad aprirsi in quella specie di roccia che è così diffusa in Valmalenco, il talcoscisto; e che dal suo primo apparire t'accompagna costante quasi fino a Chiesa, che senza far torto agli altri villaggi si può ben dire il capo luogo di tutta la valle. In Chiesa i viaggiatori alpinisti troveranno alberghi ed albergatori che gli accoglieranno con premura e li tratteranno con tutta cortesia.


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Ma torniamo per un momento indietro a Torre, dove trovasi pure cortese ospitalità ed osserviamo il torrente impetuoso che vi discende a sinistra della strada, e sul quale è gettato un solido ponte. Esso discende da una diramazione dei monte della Disgrazia, monte che ricompare sotto gli occhi dappertutto, perché, in vero è il punto più culminante, il dominatore di tutta la catena alpina che sovrasta a settentrione dei bacino da Sondrio a Morbegno.
Il Torreggio forma un valloncello che scorre in senso opposto a quello di Sasso Bisolo in valle del lvlasino, col quale ha comuni e poco distanti le sorgenti. Il Torreggio va da sera a mattina radendo e diroccando micascisti, talcoscisti e pietra ollare.
È appunto a mezza via da Torre a Chiesa che la strada, e per conseguenza il Mallevo, troncano bruscamente e momentaneamente una striscia di marmo bianco atto a far calce. Questa striscia ha origine dal monte della Disgrazia, rade a settentrione la valle del Torreggio…


Val Torreggio (Val del Turéc')

Procedendo per un'altra mezz'ora si trova Torre (950 m.1351 ah.Antica osteria Joli). Ha una bella casa parrocchiale, e da essa e dalla chiesa si domina gran parte della Valmalenco e si scorge da lontano la Valtellina. Da Sondrio a Torre sonvi 10 chilometri, che si percorrono in vettura in un' ora e mezza , o a piedi in due ore. La Valle del Torreggio e la Capanna di Corna Rossa.Pochi passi al nord delle ultime case del borgo, scende, perdendosi nel Mallero, il Torreggio che raccoglie le acque della valle dello stesso nome. Si sale a questa valle, molto erta e monotona fino alla sua parte più elevata, prendendo la via che si stacca a sinistra dalla strada. carrozzabile appena al di là, del ponte sul torrente. Dopo circa. tre quarti d'ora di ascesa si arriva a Ciappanico, piccolo villaggio posto su terreno franoso.
Da Ciappanico prende nome la grande frana sottoposta, lo scoscendersi della quale, dopo più giorni di ostinata pioggia, fu la principale cagione della piena del Mallero, che nel 1835 distrusse buona parte di Sondrio. La quantità di sabbia, di ciottoli e di massi, che in quella memoranda epoca il Torreggio versò nel Mallero appena può immaginarsi. A rendere meno facili altre sventure si è deviato, merce potenti arginature, il corso del torrente, allontanando dalla frana e stringendolo fra robuste briglie. Anche dopo Ciappanico la strada sale erta tenendosi sempre sulla sponda sinistra del torrente. Chi dalla Chiesa vuol penetrare nella Valle del Torreggio, anzichè discendere sino alla Torre per seguire poi la strada sopra descritta, può, per via più breve salire all'alpe Lago in Val Giumellino, ed entrarvi di là.
Dall'alpe Airale (2175 m.Rali della carta dello S. M. A.), l'ultima di Valle Torreggio, volgendo a sinistra si può per la bocchetta del Caldenno e di Scermendone scendere nella Valle del Masino.
Salendo invece da quell'alpe direttamente verso nord-ovest, per gandoni e nevai, si arriva, dopo circa tre ore di cammino, al Passo di Corna Rossa (2930 m.) e alla Capanna ivi fatta costruire nel 1880 dalla Sezione Valtellinese del C. A. I. coll'aiuto di altre Sezioni e di privati.


Val Torreggio (Val del Turéc')

La Capanna o Rifugio è in muratura, assai ben riparata. Vi possono trovar ricovero de sette a otto persene. Ivi trovarsi il mobilio e gli attrezzi strettamente necessarii, a chi vuol passarvi la notte e cuocere un podi cibo. La sua costruzione e la provvista del mobilio costò 2355 lire. Da questa Capanna in poco più di tre quarti d' ora si può scendere per il ghiacciaio di Corna Rossa alla Capanna Cecilia, e di là per la Valle di Sasso Risolo e Cataeggio in Val del Masino. La Capanna di Corna Rossa è il punto di partenza più opportuno, a chi viene da Val Malenco, per l'ascensione alla punta settentrionale del Corno Bruciato (3099 m.) e al Disgrazia.
Interessante è anche il prospetto del sistema degli alpeggi di Valmalenco nell'ultimo quatro dell'Ottocento, riportato ne “La Valtellina (Provincia di Sondrio)”, di Ercole Bassi (Milano, Tipografia degli Operai, 1890). Eccolo:

Nel 1904 la vita del paese fu segnata da una piccola rivoluzione: una centralina costruita sul torrente Torreggio fornì per la prima volta l’energia elettrica. Se pensiamo a quanto sia difficile immaginare la nostra esistenza senza di essa, possiamo ben valutare la portata della rivoluzione. In un articolo di Mario Volpe su “Pro Valtellina”, del 1910, si legge, al proposito: “Una forma di cooperazione, più unica che rara, è quella di Torre S. Maria, fra consumatori di energia elettrica. La maggior parte degli abitanti del Comune hanno costituito una società cooperativa per la produzione della forza elettrica, sia ad uso di illuminazione che industriale: essa funziona benissimo e credo sarebbe molto bene che l’esempio fosse seguito anche altrove” (citato da “L’energia elettrica in provincia di Sondrio”, di Giuseppe Songini, edito a cura del BIM).


Lago di Arcoglio

Pesante fu il tributo del paese alla prima guerra mondiale, nella quale caddero Cometti Angelo, Ioli Giuseppe, Cristini Armido, Vanotti Quansito, Orsatti Pietro, Gianelli Paolo, Taddeo Giovanni, Ioli Enrico, Ioli Giovanni, Tornadù Ettore, Cometti Andrea, Mitta Nilo, Cometti Enrico, Cometti Giovanni, Tarchini Angelo, Orsatti Pietro, Corlatti Enrico, Foianini Emilio, Mitta Cesare Luigi, Sciolini Cesare e Tornadù Luigi. Nel periodo fra le due guerre la popolazione diminuì: gli abitanti erano 1268 nel 1921, 1164 nel 1931 e 1191 nel 1936.


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Ecco come Ercole Bassi, ne “La Valtellina – Guida illustrata”, (1928, V ed.), presenta il paese di Torre: “Torre S. Maria (m. 978 - ab. 1267 - alb. Folatti, dellaPace, degli Amici, pens. est. Rossi, - soc. coop. elett. - latt. soc. ai Giumelini - med. cond. - P. T. Telef. - Staz.clim. est. - campi per ski in Val Torreggio (Val del Turéc')). Vi si producono gerle di larice e di castano. La parrocchiale di Torre possiede un magnifico stendardo ricamato in oro, che alcuni terrieri durante l'occupazione dei Francesi a Milano nel 1796 acquistarono e donarono alla chiesa del loro paese; una tavola a tempera di grande pregio, del 1530, attribuita a Fermo Stella e che rappresenta la Natività coi Ss. Gio. Battista, Giacomo e Filippo, Gottardo e Rocco; recenti affreschi del Gavazzeni; un bell'ostensorio d'argento del 700; coro, pulpito e confessionale intagliati del 1600. Di faccia a Torre vi è una cava di beola, e sulla strada di Chiesa, poco dopo la frazione di S. Anna, una cava di talco. Da Torre S. Maria, salendo laVal Torreggio (Val del Turéc') per l'abitato di Ciappanico (m. 1029) e le alpi Acquabianca, Serra (m. 2076) ed Airale, si giunge alla Capanna di Corna Rossa (m. 2839), ormai inservibile, dalla quale si sale la cima del monte Disgrazia o Pizzo Bello (m. 3678), circondato dal ghiacciaio di Preda Rossa a sud, e dalla vedretta Ventina e del Disgrazia a nord. La vetta presenta uno dei più spaziosi panorama di montagne, quasi senza confine. S'intravvede la gran valle del Po, sino alla catena degli Appennini. Per l'ascesa si trovano buone guide e portatori a Chiesa, a Torre ed a Spriana. Fanno corona al Disgrazia: a sud il Corno Bruciato (m. 3114), a est il Pizzo Cassandra (m. 3222), a nord il Pizzo Ventina (m. 3253), e a ovest il Monte Sissone (m. 3314) e il Pizzo Torrone m. 3332). Dal Disgrazia, scendendo a sera pel ghiacciaio di Preda Rossa, si raggiunge la Capanna Cecilia, indi, per la valle di Preda Rossa e l'alpe omonima, la valle di Sassobissolo che sbocca in Val Masino.
Durante la seconda guerra mondiale caddero Ragazzi Alfredo (1939), Bruseghini Giovanni, Cristini Virgilio, Del Giovannino Alberto, Ioli Luigi, Soncelli Giov. Battista, Gianotti Quansito, Dell'Agostino Luigi e Gianotti Bruno. Morirono in conseguenza di malattie Cometti Mario e Cometti Enrico, mentre furono dichiarati dispersi in Russia Morelli Umberto, Conti Mario, Basci Aristide, Pradella Annibale, Corlatti Fedele e Foianini Enrico.


Alpe di Arcoglio

Nel secondo dopoguerra la curva demografica mostra una costante discesa: gli abitanti erano 1247 nel 1951, 1220 nel 1961, 1107 nel 1971, 1049 nel 1981, 943 nel 1991, 892 nel 2001 ed infine 891 nel 2006.
Un’occhiata, ora, al territorio comunale, costituito da un’ampia porzione del fianco orientale della bassa Valmalenco, dalla Val Torreggio (Val del Turéc') e da un’ampia porzione della valle di Dagua, sul versante orientale della Valmalenco, in tutto 45,49 kmq. Il confine meridionale, con Sondrio, segue, dal punto di confluenza nel Mallero, il corso del torrente Valdone, che scende, da ovest ad est, lungo la valle omonima. Seguendolo verso ovest, cioè procedendo in senso orario, osserviamo che esso sale alla cima del monte Rolla (m. 2277), che si affaccia al versante retico sopra Sondrio, piegando in direzione nord, passando per la bocchetta del Valdone e salendo alla cima del monte Canale (m. 2523).


Torre di S. Maria

Qui cambia nuovamente direzione, piegando a nord-ovest e seguendo il crinale che separa il versante meridionale della Val Torreggio (Val del Turéc') dal versante retico sopra Castione. Passa, così, per il monte Arcoglio (m. 2453), il Sasso Bianco (m. 2490), il monte Caldenno (m. 2669), il passo di Caldenno (m. 2517), la cima di Postalesio (m. 2952), la punta nord-orientale dei Corni Bruciati (m. 3097). In questa sezione il confine separa il territorio di Torre da quello dei comuni a sud, Castione, Postalesio e Berbenno. Il confine, quindi, piega a nord e segue il crinale che separa l’alta Val Torreggio (Val del Turéc') dall’alta Valle di Preda Rossa, passando per il passo di Corna Rossa (m. 2836) e per la cima di Corna Rossa (m. 3180), fino a raggiungere la cima del monte Disgrazia (m. 3678), il punto di massima elevazione del territorio comunale.


San Giuseppe

Da qui cambia direzione e procede verso sud-est, seguendo il crinale che separa il lato settentrionale della Val Torreggio (Val del Turéc')  dall’alta Val Ventina e passando per il passo di Cassandra (m. 3097) ed il pizzo Cassandra (m. 3226), dove assume di nuovo l’andamento nord-est, passando per il pizzo Giumellino (m. 3094) ed il monte dell’Amianto (m. 2955). Nuovo brusco cambiamento di direzione: ora il confine scende diritto, in direzione sud-sud-ovest, ritagliando la porzione terminale della Val Giumellino e tornando sul crinale settentrionale della Val Torreggio (Val del Turéc'), che segue in direzione est e nord-est, fino alla cima quotata m. 2180.


Apri qui uno scorcio della Val Torreggio con il monte Disgrazia

Qui piega in direzione sud-est, passando poco ad est dell’alpe Mastabia, scendendo fino a quota 1560. Un nuovo mutamento di direzione (nord-est e nord) lo fa passare ad ovest della Rocca del Castellaccio (m. 1660). Con andamento est, scende, quindi, fino al torrente Mallero e risale il versante orientale della Valmalenco, con andamento est-sud-est, giungendo poco sotto la Motta di Caspoggio. Assunto l’andamento sud-est, raggiunge il solco della Valle Dagua e sale al crinale che separa la Valmalenco dalla Val di Togno, seguendolo verso sud e toccando la cima del monte Foppa (m. 2462). Nuovo scarto, questa volta ad est, e brusca discesa al Mallero, passando appena a nord di Marveggia (che rientra nel comune di Spriana). Raggiunto il Mallero, lo segue verso sud, fino alla confluenza, da ovest, del torrente Valdone, dalla quale è partita questa carrellata. 


Val Torreggio (Val del Turéc')

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Pavesi, Ezio, "Val Malenco", Cappelli Editore, Sondrio, 1969

Sagliani, Ermanno, "Tutto Valmalenco", Edizioni Press, Milano, 1977

Canetta, Nemo, "L'importanza strategica della strada del Muretto dal XIII al XVII secolo e le fortificazioni ad essa collegate" (in "Bollettino della Società Storica Valtellinese", Sondrio, 1978)

Canetta Nemo, Corbellini Giancarlo, "Valmalenco - Itinerari storici, etnografici, naturalistici. Itinerari sci-escursionistici. Alta via della Valmalenco", Bologna, 1984

Boscacci, Antonio, "L'alta Via della Valmalenco", Edizioni Albatros, Milano, 1995

Vannuccini, Mario, “Escursioni in Valmalenco ”, Nordpress edizioni, Chiari (BS), 1996

Canetta Nemo, Corbellini Giancarlo, “Alta Via della Valmalenco”, CDA Vivalda, Grugliasco, Torino, 2004

Arzuffi, Luca, “Valmalenco - Le più belle escursioni”, Lyasis Edizioni, Sondrio, 2006

AA. VV., "Valmalenco, 100 sentieri", a cura dell'Unione dei Comuni della Valmalenco, Morbegno, 2007

Per saperne di più consulta il sito www.comune.torredisantamaria.so.it


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