Monte Canale e monte Disgrazia

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio sulla pista per i Piasci-Alpe di Arcoglio inferiore-Colma di Arcoglio-Monte Arcoglio
2 h e 15 min
730
E
Parcheggio sulla pista per i Piasci-Alpe di Arcoglio inferiore-Colma di Arcoglio-Monte Arcoglio-Lago di Arcoglio-Alpe di Arcoglio superiore-Alpe di Arcoglio inferiore (anello breve di Arcoglio)
3 h e 30 min
730
E
Parcheggio sulla pista per i Piasci-Alpe di Arcoglio inferiore-Bocchetta-Monte Canale-Bocchetta-Colma di Arcoglio-Monte Arcoglio-Lago di Arcoglio-Alpe di Arcoglio superiore-Alpe di Arcoglio inferiore (anello ampio di Arcoglio)
4 h e 30 min
1050
EE
SINTESI. Da Torre di S. Maria, seguendo l'indicazione per i rifugi alpini, saliamo su carozzabile al bivio Arcoglio-Piasci, presso il quale possiamo parcheggiare l'automobile, salendo poi sulla pista di sinistra che porta all'alpe di Arcoglio inferiore. In alternativa o se non disponiamo del permesso di transito, superiamo S. Giuseppe e raggiungiamo, dopo alcuni tornanti, la località Musci (m. 1000). Qui un cartello segnala la partenza di un sentiero che sale nei boschi fino ai maggenghi di Sasso, Pra' Fedugno e Zocche, intercettando poi la citata carrozzabile. Prendendo a destra siamo in breve ad un bivio, dove parcheggiamo, salendo a piedi sulla pista di sinistra, che dopo qualche tornante sale all'alpe di Arcoglio inferiore. Qui prendiamo a sinistra, superando su un ponticello il torrente e portandoci al nucleo meridionale delle baite dell'alpe, fino al termine della pista, nei pressi del baitone dell'alpe (m. 1976). Da qui inizia la salita del ramo sud-orientale dell’alta alpe di Arcoglio. Saliamo dal baitone verso sud-sud-ovest, ignorando il sentiero che punta a sinistra e rimanendo sul filo del ripido dosso erboso alle spalle del baitone stesso. Ci ritroveremo ad una piana, sul cui limite è posta una croce di legno. Qui troviamo anche due baite (m. 2080), ed un sentiero che prosegue verso sinistra. Raggiunto un versante erboso, non proseguiamo verso il centro del vallone, ma pieghiamo ancora a destra, salendo ad un pianoro più alto (quota 2200), dove cominciamo una facile traversata in leggera salita verso sinistra, in direzione della depressione sul crinale, la colma d’Arcoglio, che si distingue facilmente. A quota 2240 incontriamo i segnavia che provengono da destra, e che ci guidano alla larga mulattiera che, dopo una svolta a destra, porta facilmente alla colma di Arcoglio. Noi però non saliamo alla colma, ma prendiamo in direzione opposta, verso sinistra, gradagnando il crinale a sinistra di uno spuntone. Procediamo salendo a sinistra, su un ripido sentiero che procede vicino al crinale. Quandio questo si fa più ripido, seguendo pochis egnavia ci portiamo un po' a destra e saliamo su versante erboso ad una pianetta appena accennata, che una traccia di sentiero taglia quasi pianeggiante verso sud est, fino al vicino crinale meridionale dove intercettiamo il sentierino che, preso verso sinistra, ci porta in prossimità della cima del monte Canale. Ci appoggiamo sul versante alla nostra destra e ragigungiamo così la cima del monte Canale (m. 2510). Torniamo indietro per la medesima via, raggiungendo la sella che separa la bacino di Arcoglio dalla media Valtellina, scendendo di poco in valle di Arcoglio e traversando verso ovest fino ad intercettare la mulattiera che sale alla colma d'Arcoglio (m. 2313). Attaccando il sentierino sul crinale davanti a noi (verso ovest), che parte alle spalle di un paletto con una freccia in legno puntata nella direzione del versante retico. Procediamo salendo verso ovest-nord-ovest e raggiungiamo, in breve, una prima elevazione erbosa, per poi scendere ad una marcata sella sulla quale è posta un’antenna per le trasmissioni della Protezione Civile. La salita riprende, in direzione dell’ampio cupolone erboso che la carta IGM individua come monte Arcoglio (m. 2368): nell’ultimo tratto la traccia di sentiero lascia il crinale portandosi leggermente a sinistra, sul versante a monte dell’alpe Morscenzo, e poi, piegando ancora leggermente a destra, descrive una serie di ripidi tornantini, che ci portano ai 2459 metri della larga cima erbosa del monte Arcoglio. Dalla sella appena oltre la cima scendiamo ora in direzione del visibile lago di Arcoglio, seguendo una traccia di sentiero assai incerta, su terreno smosso e ripido; con molta attenzione ci portiamo, quindi, ad una lingua erbosa, che termina ad una fascia di massi, non difficile da attraversare. Oltrepassata questa fascia, procediamo su terreno più tranquillo, sempre in direzione del lago di Arcoglio (ora non si vede più, ma, se abbiamo prestato attenzione alla sua collocazione, ne raggiungiamo facilmente la riva sud-orientale – di destra, m. 2234 – dopo aver sormontato un dosso erboso). Continuando a scendere, verso est, seguendo i triangoli gialli dell'Alta Via della Valmalenco e raggiungiamo l'alpe di Arcoglio superiore (m. 2132). Proseguiamo nella discesa e, raggiunto il limite di un dosso erboso, prendiamo a destra, raggiungendo le numerose baite del nucleo settentrionale dell’alpe di Arcoglio inferiore (m. 1916). Proseguendo su ripido tratturo ci immettiamo nella pista che ci riporta al parcheggio.


Clicca qui se vuoi aprire una splendida panoramica dalla cima del monte Canale

I monti Canale (m. 2522, chiamato anche “Erbera” dai pastori dell’alpe Morscenzo perché è quasi interamente ricoperto di pascoli) ed Arcoglio (m. 2459) chiudono l’ampio anfiteatro degli alpeggi di Arcoglio, che non sfigura, per bellezza, di fronte alle più classiche mete dell’escursionismo in terra malenca. La suggestione di queste due facili ed erbose cime è la panoramicità e la collocazione strategica, sul confine fra Valmalenco e versante retico a monte di Sondrio e Castione Andevenno. La salita alle cime richiede nell'ultimo tratto una certa esperienza escursionistica, ed è consigliabilissima nel cuore dell’autunno, quando ancora la neve non ha affermato la sua signoria e la montagna ha recuperato l’arcana dimensione della solitudine e del silenzio, cioè la dimensione sua propria. Può avvenire sfruttando entrambi i versanti.
Su quello malenco punto di partenza è l’alpe di Arcoglio Inferiore (m. 1976), alla quale sale una pista che parte da Torre di S. Maria (entrati in paese da sud e salendo in direzione della chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente, troviamo il cartello, che ci porta a sinistra, “Ai rifugi”).


Monte Canale

La pista è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati (per informazioni, telefonare agli uffici municipali;  regolamentazione ed acquisto dei pass sono soggetti, infatti, a cambiamento). Nel primo tratto, superata la chiesetta di San Giuseppe, sale verso sud, proponendo poi una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx, cui segue un nuovo tratto verso sud che passa per la località dei Pizzi. Una nuova sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx-sx-dx introduce all’ultimo lungo traverso, questa volta in direzione nord-ovest (attenzione, soprattutto nella sequenza di tornanti, ad alcuni tratti alquanto ripidi, che possono risultare insidiosi in presenza di ghiaccio o di neve). La pista, dopo aver attraversato il solco della valle del torrente Arcoglio, termina all’alpeggio dei Piasci, dove si trova il rifugio Cometti. Ben prima del suo termine e del solco della valle, però, si trova una deviazione a sinistra per l’alpe di Arcoglio inferiore. Nei pressi della deviazione vi è anche una piazzola nella quale è possibile (ma non probabile nel cuore della stagione estiva o nei giorni festivi) lasciare l’automobile. Inizia da qui, cioè da una quota approssimativa di 1700 metri, l’escursione, che segue la direttrice alpe di Arcoglio inferiore-Colma di Arcoglio-Monte Canale.
Seguiamo una sterrata e, dopo un buon tratto di salita, nel bosco, con pochi tornanti, usciamo all'aperto; con ultimo ripido strappo, raggiungiamo quindi le baite dell’alpe di Arcoglio inferiore (m. 1976 nella parte alta). L’alpeggio è diviso in due nuclei di baite: il tratturo raggiunge quello settentrionale (sul lato di destra, per noi, del solco di un ramo del torrente Arcoglio). Da queste baite parte, alla nostra destra (segnalazione con bolli bianco-rossi e triangoli gialli) la salita verso l’alpe di Arcoglio superiore, lo splendido lago di Arcoglio ed il Sasso Bianco. Si tratta della prima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, che segue un itinerario sfruttabile per la discesa.


Alpe di Arcoglio inferiore

Noi prendiamo, invece, a sinistra, seguendo un tratturo e superando su un ponticello il torrentello che ci separa dal nucleo meridionale della baita. Una volta raggiunto quest’ultimo, saliamo in direzione del ben visibile e lungo baitone dell’alpe. Salendo fra le baite, ignoriamo, alla nostra sinistra, la deviazione per l’alpe Canale e procediamo verso sud-sud-est, puntando, appunto, al baitone. Alle spalle del baitone proseguiamo nella salita impegnando un dosso che si tiene a destra (sempre per noi) del solco centrale del vallone di Arcoglio. La traccia non è chiara, ma non c’è problema, perché procediamo in terreno aperto ed in alto, sul crinale che si affaccia sulla media Valtellina, è ben visibile la più marcata depressione denominata Colma di Arcoglio.  Nella salita lasciamo alle nostre spalle una croce di legno, che domina l’ampio terrazzo dei prati dell’alpe di Arcoglio, una baitella ed un casello dell’acqua. Dopo un tratto in direzione sud, pieghiamo leggermente a destra (direzione sud-sud-ovest) e ci avviciniamo al solco principale del vallone, per poi piegare ancora verso sinistra (direzione sud) e tagliare due modesti corsi d’acqua. Sul lato opposto del vallone sono ben visibili i contrafforti rocciosi del monte Canale. Il sentiero si è perso, ma qualche sbiadito segnavia rosso-bianco-rosso ci rassicura, finché, in prossimità ormai della modesta banconata di rocce e sfasciumi che sale al crinale troviamo una marcata mulattiera, che, piegando nell’ultimo tratto a destra, raggiunge infine la Colma d’Arcoglio (m. 2329).


Lago di Arcoglio

Attenzione, però: per salire al monte Canale non dobbiamo seguire la mulattiera in quest’ultima diagonale verso destra, ma procedere in direzione opposta, cioè salire verso sinistra, a vista, fra facili roccette, fino a raggiungere una più stretta depressione gemella (bocchettina dove troviamo uno sbiadito segnavia bianco-rosso su una roccetta), separata dalla prima da un antipatico spuntone roccioso. È come approdare ad un nuovo mondo: si apre lo scenario della media Valtellina, chiuso dalla serrata sequenza delle valli orobiche. In basso, la solare alpe Morscenzo, attraversata dalla pista che proviene dall’alpe Poverzone e conduce all’alpe Colina.


Apri qui una fotomappa della Val Torreggio (Val del Turéc')

Per salire al monte Canale dobbiamo ora risalire nel primo tratto il crinale, in direzione sud-est. Una traccia appena accennata segue lo stretto crinale, finché questo si fa più roccioso e ripido. Lo lasciamo, dunque, spostandoci per pochi metri verso destra e risalendo un largo scivolo erboso. Ora dobbiamo prestare attenzione, alla nostra destra: ad un certo punto, raggiunta una pianetta appena accennata, indovineremo un’esile traccia che lascia il crinale tagliandolo, in direzione sud-est (traverso verso destra) e portando al crinale che scende dalla cima verso sud. È questo il tratto più delicato dell’escursione, e richiede attenzione. L’ultimo tratto di salita, invece, avviene sfruttando questo più largo e facile crinale, fino ad una prima anticima, dalla quale, con brevissima traversata su terreno smosso che avviene scendendo sul fianco destro al di sotto del crinale, raggiungiamo, infine, i 2522 metri della cima del monte Canale, dopo circa due ore e mezza di cammino (il dislivello approssimativo in altezza è di 822 metri). Le fatiche profuse sono ampiamente ripagate.


Apri qui una fotomappa della traversata dall'alpe Canale alla bocchetta del Valdone

Nella Guida alla Valtellina edita, a cura del CAI di Sondrio, nel 1873, leggiamo infatti: “Il suo panorama supera in bellezza e in estensione, è facile immaginarlo, quello del Rolla. La Disgrazia, col sottoposto ghiacciaio di Cassandra, da qui appare veramente imponente; da qui la Valmalenco si vede tutta e forma il fondo verde d’un quadro grandioso contornato di ghiacciai e di cime superbe.” Ecco una rassegna delle cime che possiamo distinguere nella meritata sosta che segue quasi due ore di cammino (se siamo partiti dall’alpe Poverzone, superando circa 630 metri di dislivello).
Partiamo da sinistra (ovest): sul fondo si distingue il profilo largo e regolare della cima del Desenigo, o monte Spluga, sull’angolo sud-occidentale della Val Masino (m. 2845); procedendo verso destra, si riconoscono, più vicini e quasi gemelli, i due Corni Bruciati, sul lato orientale della medesima Val Masino (m. 3114 e 3097). Alla loro destra si mostra l’imponente versante sud-orientale del monte Disgrazia (m. 3678), dal quale scende, ormai ridotto ad esile lingua, il ghiacciaio della Cassandra. Poi, più modesto ma riconoscibile per la forma affilata e regolare, il pizzo Rachele (m. 2998), che si affaccia sulla Val Ventina, in alta Valmalenco. E ancora, più difficili da distinguere, la cima del Duca (m. 2953) ed il monte Braccia (còrgn de bracia, m. 2909), fra Vasl Ventina e vallone di Sassersa.


Apri qui una fotomappa del gruppo Canale-Arcoglio-Sasso Bianco

Alle loro spalle, sul fondo, il monte del Forno (m. 3214), sull’angolo di nord-ovest della Valle del Muretto. Segue la caratteristica triade del pizzo Tre Mogge (m. 3441, riconoscibile per le chiare rocce calcaree della cima), pizzo Malenco (m. 3438) e della Sassa d’Entova (m. 3329). Alle loro spalle inizia la teoria delle cime della testata della Valmalenco: il pizzo Gluschaint (3594), le caratteristiche cime gemelle della Sella occidentale ed orientale (m. 3564), i meno pronunciati pizzi Gemelli (m. 3501) e pizzo Sella (m. 3511), i giganti della testata, pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3936), monte Scerscen (m. 3971), pizzo Bernina (m. 4050), Cresta Güzza (m. 3869), pizzo Argient (m. 3945), pizzo Zupò (m. 3996), chiudendo con il pizzo Palù (m. 3906). Chiude la testata della Valmalenco, più defilato, sulla destra, il pizzo Veruna (m. 3453).
Procedendo verso nord-est, ecco l’inconfondibile piramide del pizzo Scalino (m. 3323), seguita dalla punta Painale (m. 3248) e dalla vetta di Ron (m. 3136), sulla cresta di confine fra l’alta Val di Togno (Val Painale) e la Val Fontana. Poi lo sguardo è proiettato lontano, ad est, e raggiunge il gruppo dell’Adamello. Infine, a sud-est e a sud, possiamo ammirare tutte le cime della catena orobica orientale e centrale. Un panorama davvero eccellente, che ripaga ampiamente della fatica sostenuta.


Monte Canale

Ridiscesi, per la medesima via di salita, alla stretta bocchettina, mettiamo di nuovo piede sulla parte alta dell’anfiteatro di Arcoglio e torniamo ad intercettare la mulattiera per la colma d’Arcoglio. Possiamo, ovviamente, ripercorrere interamente i nostri passi fino all’automobile, ma possiamo anche cogliere l’occasione per salire alla vicina cima del monte Arcoglio e scendere passando per l’omonimo laghetto. La salita a questa seconda cima è più semplice: seguiamo la mulattiera fino alla colma d’Arcoglio e qui, ignorata la traccia che scende sulla sinistra all’alpe Morscenzo, seguiamo l’ondulato e facile crinale, procedendo verso nord-ovest. Superata una tondeggiante anticima, scendiamo per un tratto ad una modesta depressione, dove è posta un’antenna della Protezione Civile e dalla quale un ultimo breve strappo conduce alla cima del monte Arcoglio (m. 2459), anch’essa molto panoramica. Da qui, in particolare, è straordinario il colpo d’occhio sull’intero comprensorio di Arcoglio. Vale la pena di ricordare che chi non se la sentisse di affrontare la salita al monte Canale, può optare per la più semplice escursione al monte Arcoglio.


Panorama dal monte Arcoglio

Se non vogliamo tornare per la medesima via di salita, procediamo verso ovest e scendiamo fino alla successiva depressione, prima della rampa che precede la cima quotata 2409 metri. Invece di puntare a questa elevazione, lasciamo il crinale, scendendo a vista, verso destra, in direzione dell’ampia conca che ospita il laghetto di Arcoglio (m. 2234), dalla forma che richiama vagamente quella di un fagiolo. Destreggiandoci un po’ fra gli sfasciumi ed i pascoli, puntiamo diritti al laghetto, passando a destra di un baitello e raggiungendone la riva meridionale. Oltre il limite delle sue silenziose acque si innalzano, non troppo lontane, le tre altrettanto silenziose punte del pizzo Scalino, della cima di Painale e della vetta di Ron.


Lago di Arcoglio

Può essere interessante leggere, a distanza di oltre un secolo, le note che sul lago stese il dott. Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, nell’operetta “I laghi alpini valtellinesi”, edita a Padova nel 1894: “Grazioso laghetto di forma lievemente arcuata, colla concavità rivolta a mezzodì e la convessità a N. è quello d' Arcoglio. Situato sulla sponda destra del torrente Torreggio, ha a S.O. il monte Arcoglio (2457 m.) dal quale si distacca una cresta montuosa che piegando a S. indi ad E. circonda il lago a guisa d'ampio anfiteatro e termina colla vetta del monte Canale (2523 m). Verso N. O. e N. E. è libero affatto da qualunque notevole rilievo montuoso, e dove le sue sponde di poco elevate, si mostrano dolcemente arrotondate dall'agente glaciale.


Lago di Arcoglio

Presso le acque si estende un terreno alquanto torboso alternata. mente a lembi ghiaiosi, e si continua tosto coi pascoli ridenti degli ameni rilievi circostanti. Qua e là, specialmente verso N. dove manca il terriccio, emergono piccoli cocuzzoli di roccia in posto, dai quali si può conoscere la natura di questa e l'origine del lago. La roccia è di gneiss micaceo e cloritico quasi crittomera, a finissimi elementi, con stratificazione ben evidente, pressoché perpendicolare all’orizzonte e diretta da N. a S. Questo lago è dunque, per la sua origine, orografico. Il detrito morenico, depositatosi fra i rilievi della roccia in posta, ha cooperato a rialzare il livello delle sue acque. Queste sono assai limpide e trasparenti e lasciano scorgere il fondo del lago per un largo tratto dalla sponda, il quale indi s’abbassa assai notevolmente, e le acque assumono il loro colore proprio, di un bel verde azzurrognolo, corrispondente al num. VI. della scala Forel. Ha un piccolo affluente a S. che vi trasporta dalle dirupate pendici sovrastanti, notevole quantità di detrito, ed un eguale emissario a N. che si apre fra i cocuzzoli della roccia viva o di poco elevati, onde le acque si mantengono costantemente al medesimo livello.
È situato all'altezza di 2230 m. secondo le misure dell'Istituto cartografico di Firenze. Presenta una superficie maggiore di quella assegnatavi dal Cotti, nel suo solito Elenco, cioè di 8300 m. q. e non di 7000. La temperatura delle sue acque, alle 12 merid. del giorno 2 Sett. 1892, era di 11° C, mentre l'esterna era di 17°,3 C.
Sulle sponde limacciose e torbose vive abbondante la Rana temporaria L. ma non ebbi indizio della esistenza di pesci: mi consta però che viveva un tempo la pregiata Trutta fario L. e che venne distrutta or è già qualche anno. Sarebbe certamente assai utile cosa il ripopolare anche questo lago del suo antico naturale abitatore, il quale come già per il passato dovrebbe trovarvi buone condizioni di sviluppo, avuto specialmente riguardo alla abbondante vita inferiore ed alla notevole profondità del lago. Per le speciali condizioni della spiaggia e della grande trasparenza delle acque, la reticella Müller mi tornò sempre senza alcun individuo di Entomostraci.
Feci abbondante raccolta di saggi di limo per lo studio delle Diatomeo, delle quali determinai buon numero di specie, fra cui alcune che non soglionsi generalmente trovare che in rapporto alle formazioni calcaree, come già ebbi occasione più volte di osservare. Infatti a S. E. del monte Arcoglio, e precisamente sul fianco sovrastante al lago, esiste un affioramento calcareo-dolomitico, nel quale si aprono ampie fessure a guisa di caverne. Le specie cui ho accennato sono la Cymbella Ehrenbergii, la Navicula Tuscula e quelle del genero Epilhemia. Non rinvenni però l'unica specie del genere Achnanlidium, che pure si suole trovare con quelle ora menzionate. Compare la non comune Achnanthes delicalula (Falcatella delicalula Rab.) che incontrammo raramente nei laghi precedentemente studiati, che il Van Heurck indica proprie delle acque salmastre, ma che il Brun dice comune fra le roccie ed i muschi umidi delle cascate alpine.”
Per illustrare meglio le caratteristiche di questo lago (e di quello di Zana) e dell'ambiente che lo ospita riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993: “Li accomuna… il fatto di appartenere entrambi ai grande sistema di pianori (diciamo: declivi a gradoni, non troppo ripidi) che digradano da una parte (oriente) e dall'altra (occidente) della cresta rocciosa che si origina dal Monte Arcoglio scendendo giù verso la Valle del Torreggio. Più ampi e più irregolari quelli dove sta ben nascosto (quasi introvabile) il minuscolo laghetto di Zana, più definiti quelli verso Arcoglio, con pascoli un tempo fiorenti e popolati. La natura morbida e friabile dei terreni (micascisti) dà al paesaggio una nota di dolcezza segantiniana, mentre in distanza si osservano le forme aspre del Gruppo del Disgrazia, e, proprio dirimpetto al Lago di Zana, più lontano ancora, il massiccio dioritico del Bernina, sul lato aperto della conca di Arcoglio. Si tratta, come si intuisce, di un ambiente di spazi aperti verso nord, estremamente gradevole e interessante dal punto di vista scenografico, oggi un po' trascurato forse come meta turistica, anche se assai più facilmente raggiungibile che in passato grazie alla strada che sale da Torre S. Maria, e alle sue diramazioni. Da ricordare ancora che la Cima Bianca di Arcoglio, così denominata dall'affioramento calcareo, offre, per quanto limitata e in scala ridotta, qualche illusione... dolomitica.
L’ultimo tratto di discesa tocca gli alpeggi di Arcoglio superiore ed inferiore. Per raggiungere il primo dobbiamo contornare il laghetto verso sinistra, fino ad intercettare i triangoli gialli della prima tappa dell’Alta via della Valmalenco. Scendendo su un sentiero ben marcato, per breve tratto verso nord, poi verso nord-est, raggiungiamo il primo alpeggio (m. 2123), sul cui limite settentrionale vediamo una chiesetta che si disegna, enigmatica, sul fondo della testata della Valmalenco. Il sentiero non si porta, però, alla chiesetta, che resta, ad una certa distanza, alla nostra sinistra, ma, lasciate le baite alle spalle, procede scendendo deciso verso est, fino ad una vasca di raccolta dell’acqua in cemento, per poi piegare bruscamente a destra, cioè verso sud. Eccoci, infine, all’alpe di Arcoglio inferiore: il sentiero termina al tratturo che abbiamo salito nella prima parte dell’escursione. L’ultima ripida discesa sul tratturo ci riporta all’automobile, dopo circa 4 ore e mezza/5 di cammino (il dislivello complessivo approssimativo è di 1050 metri).


Alpe di Arcoglio superiore

È interessante, infine, leggere il racconto dell’escursione ai monti Rolla e Canale effettuata (dall’opposto versante retico) da Bruno Galli Valerio, naturalista ed alpinista che molto amò queste montagna, il 25 agosto 1908: “Le ore che precedono l'alba sono per me fra le più tristi. Salendo da Sondrio a Triangia, alle tre e mezzo del mattino, nonostante il cielo splendido, ho la malinconia nell'anima. Quanti anni sono passati dalla mia ultima ascensione al Rolla, fatta in una giornata freddissima di dicembre, affondando nella neve fino alla cintola. Il mio compagno di allora, l'amico Antonio Facetti, doveva morire qualche anno più tardi al Monte Rosa (agosto 1903). Poco sopra Moroni, un viottolo sassoso mi conduce ai simpatici valloni che stanno ad oriente del lago di Triangia. Fa giorno. Le creste grigie del gruppo dell'Adamello si disegnano nettamente sul cielo arancione. Dalla parte opposta si rizza la cima dello Spluga. Tutt'intorno vi sono splendide eriche in fiore, enormi grappoli rossi di Berberis, bacche scarlatte di Vaccinium sitis ideae. Un saltimpalo ritto su una pietra, mi guarda curiosamente. Il mio pensiero va a colui la cui scomparsa ha lasciato un vuoto sì grande nella mia vita e a cui eran tanto cari i dintorni del lago di Triangia. E risalgo per un bel bosco di pini, fra boscaglie di nocciuola. Fra le piante si vedono apparire le cime delle Alpi Orobie, la valle del Liri e il Legnone. Alle sette, arrivo al pascolo di Ciasturba. Risuona un allegro tintinnio di campanelle. Una ragazzina, in alto sulle coste erbose, con una mandria di pecore, canta a squarciagola. Mi inerpico per coste ripide coperte di lamponi e di eriche in fiore. Arrivo a un altro pascolo il cui sfondo è chiuso, verso oriente, dal gruppo Scalino-Painale. I prati sono smaltati di splendide genziane pratensi (Gentiana pratensis), dalle larghe corolle violette. La ragazzina colle pecore continua a cantare e, alla mia volta, mi metto a fischiettare la "Matchicha", la simpatica melodia che s'è diffusa su tutta la terra e che mi ricorda le belle cavalcate tunisine. Ma il cielo, poco a poco, si copre. Il vento si leva. Bianche nebbie salgon dalle valli ed involgon le cime. Superata l'ultima costa tocco la cresta orientale del Rolla e appaiono davanti a me Disgrazia e Corni Bruciati. Alle nove, raggiungo la cima, il cui panorama si estende fino a un lembo del lago di Como. Giù sotto, il triste spettacolo del bosco di Castione bruciato. Lasciata la cima alle dieci e dieci arrivo in venti minuti, seguendo la cresta nord, sulla Bocchetta del Valdone (2181 m.). Dall'alpe di Morscenzo sale il tintinnio delle campanelle delle vacche. Sulle pendici del Monte Canale, i contadini battono le falci. Attacco la cresta nord-ovest del Canale, prima di roccia calcarea a flora ricchissima, poi di granito a povera flora e infine completamente coperto di erba. Delle coturnici volano via. Il tempo ridiventa bello. Alle dieci e dieci, tocco la prima punta e giù sotto appare l'alpe d'Arcoglio. Seguendo sempre la cresta, mi porto alla seconda e alla terza cima alle undici e venti. Il panorama è analogo a quello che si gode dal Rolla. Si vede lontano la capanna di Corna Rossa, così utile per l'alpinista se i vandali non l'avessero più volte rovinata. Spingendomi un po' in giù sulla cresta nord, vedo i paesi di Chiesa e di Primolo, in Val Malenco. A mezzogiorno e mezzo, scendo lungo le pendici di sud-est fino a un comodo sentiero che mi conduce a un'eccellente sorgente d'acqua, vivamente desiderata dal lago di Triangia in poi. Il sentiero scende ripido verso la chiesa dei Cagnoletti che si vede giù in fondo alla valle. Tocco i primi castagneti, le vigne, la strada della Val Malenco che mi riconduce a Sondrio per le quattro pomeridiane”. (B. Galli Valerio, Punte e Passi, traduzione dal francese di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, ed. CAI di Sondrio, 1998).

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

GALLERIA DI IMMAGINI

ESCURSIONI A TORRE DI S. MARIA

Copyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas Designed by David Kohout