I tiùm del Gag


Clicca qui per aprire una panoramca dai Prati dell'O

C’è un’antichissima inimicizia fra gli abitanti della Costiera dei Ceck e quelli che vengono di solito chiamati “Grigioni”, vale a dire i soldati ed i funzionari delle Tre Leghe Grigie, costituitesi sul finire del Medio-Evo: la Lega Caddea, con capitale Coira (1367), la Lega Grigia, con capoluogo Ilanz (1395) e la Lega delle Dieci Giurisdizioni, con capoluogo Davos (1436). Le Tre Leghe si unirono nel 1471 in un’unica Repubblica indipendente (solo molto più tardi, all’inizio dell’Ottocento, confluirono nella Confederazione Elvetica).
Pochi anni dopo il loro sguardo cadde sul versante retico che guarda a meridione, cioè sulle valli della Mera e dell’Adda, possesso del Ducato di Milano. Era per loro di fondamentale importanza economica, oltre che militare, poter controllare quelle valli, e con esse i commerci fra la pianura Padana ed i territorio di lingua tedesca. Così si appigliarono ad un preteso lascito dei Visconti al vescovo di Coira e reclamarono per sé le valli, occupando militarmente la Valchiavenna e la Valtellina da Bormio a Sondrio, nel 1486. La Costiera dei Ceck non vide ancora alcun soldato grigione, ed anche Valtellina e Valchiavenna vennero ben presto sgomberate, dopo la pace di Ardenno del medesimo anno. All’inizio del secolo successivo si impadronirono di Milano e della Valtellina e Valchiavenna i Francesi, che si resero invisi ai valligiani per il loro comportamento prepotente e predatorio.
Per questo nel 1512, vinti temporaneamente i Francesi, l’insediamento dei Grigioni (che occuparono Valchiavenna, Terzieri di Valtellina e Bormiese a titolo di compenso per aver aiutato il pontefice Giulio II nella Lega Santa) al di qua del versante retico non fu visto troppo di malocchio dalle popolazioni locali. Ma nella Costiera dei Ceck le cose stavano un po’ diversamente, forse perché era ancora vivo l’oscuro sentimento dell’origine franca della popolazione della “Costéra". Fatto sta che tre anni dopo, nel 1515, alla notizia della disfatta delle truppe Grigione nella Battaglia di Marignano, ad opera dei Francesi, un fermento percorse i paesi dei Ceck: Traona e Caspano si posero in prima linea nel moto di ribellione e strapparono le insegne dell’”odiata cavra”  (cioè dello stambecco nello stemma delle Tre Leghe Grigie).
Non li seguirono gli altri Valtellinesi, li punirono duramente i Grigioni, che tennero saldamente nelle loro mani la valle: i capi della rivolta vennero imprigionati, i paesi ribelli furono multati di 3000 fiorini e le loro cantine prosciugate del vino vecchio e nuovo. Di qui, probabilmente, nacque, come nomignolo di scherno, quello di “Ceck”, affibbiato agli stolti partigiani dei Francesi e del loro re Francesco I (soprannominato, appunto, “Cecco”) dai convalligiani dell’opposta sponda orobica. Di qui, anche, il solco ancora più profondo che si scavò fra Grigioni e popolazioni dei Ceck.
Ora dobbiamo compiere un balzo di oltre cent’anni in avanti, trasportandoci al tragico 19 luglio 1620, quando i cattolici Valtellinesi insorsero contro i protestanti (uccidendone oltre 300) e la dominazione dei Grigioni, sospettati di voler favorire la diffusione dell’eresia in Valtellina. La rivolta sorprese i Grigioni, che furono all’inizio sopraffatti; la loro reazione, però, non si fece attendere: agli ordini dei capitani Michele Finer e Giacomo Ruinella un contingente grigione calò in Valchiavenna e passò in bassa Valtellina, occupandola fino a Traona ed al ponte di Ganda, mentre un forte nucleo di circa 1200 uomini calava dalla Valmalenco ed occupava Sondrio. Si colloca in questo contesto la storia che ora andremo a raccontare. I soldati Grigioni dal fondovalle risalirono ai paesi di mezza costa, Mello, Cercino e Cino.
A Cino vivevano, allora, un centinaio di famiglie, tutte cattoliche. Molte di loro, all’annuncio dell’arrivo di truppe grigione, in atteggiamento, si poteva supporre, tutt’altro che amichevole, avevano trovato rifugio su maggenghi ed alpeggi (molte, peraltro, erano già lì, essendo la fine di luglio). I soldati delle Tre Leghe, dunque, lasciata una piccola guarnigione in paese, proseguirono la loro marcia verso il monte, determinati ad estorcere alla popolazione cattolica un pesante risarcimento per la sanguinosa ribellione che aveva messo in discussione la loro potestà sui Terzieri della Valtellina. Si poteva ben immaginare cosa avessero in animo: se le cose fossero andate bene, si sarebbero limitati a depredare vino (e già iniziavano a farlo in paese), fieno e formaggi. Ma nulla assicurava che non si sarebbero spinti oltre, nelle angherie e nelle violenze alla popolazione pressoché inerme (nessun armato dell’improvvisato esercito Valtellinese messo in piedi dal capitano Giacomo Robustelli stazionava, infatti, su quei monti).
Il sentiero del Caslètt, cioè l’antica mulattiera per i Prati dell’O, il primo dei maggenghi a monte di Cino, partiva allora dal Pian dell’Asino, poco ad ovest di Cino. Per arrivarci, bisognava passare dalla località Gorla, dove, a quel tempo, si trovava il cimitero del paese. Ora, sentite bene quel che accadde in quelle ore convulse. Alcuni abitanti di Cino, in fuga dalle proprie case, avevano aperto le porte del cimitero, gesto che significava una richiesta di aiuto rivolta ai defunti che lì riposavano. Cimitero significa luogo del riposo, luogo in cui si dorme. Ma il sonno non impedì alle anime dei defunti cinensi di raccogliere l’appello disperato dei vivi. Vennero fuori, dalle tombe, non sappiamo bene se in forma di spirito o più concretamente di corpo. Era il crepuscolo, e vennero fuori per opporsi all’avanzata della soldataglia dei Grigioni. Fu una vera agonia, un combattimento, cioè, non fra morte e vita, ma fra morti e vivi. E, come accade sempre nelle agonie, furono i morti ad avere il sopravvento: non sappiamo precisamente come, se, cioè, con l’arma del terrore o con la forza del braccio, ma i morti poterono tornare al loro sonno dopo aver messo in fuga i nemici del paese, che se la diedero a gambe levate, scendendo al piano, qualcuno davvero…ingrigito per lo spavento provato. Si raccolsero, quindi, al ponte di ganda, dal quale furono successivamente sloggiati dagli insorti valtellinesi.
Torniamo, però, in quel di Cino. Mentre gli spiriti degli antenati dei cinensi sbarravano la strada al grosso dei soldati grigioni, un manipolo di questi, un’avanguardia, già si era incamminato alla volta del maggengo e quindi non era stato impegnato in battaglia. Salivano, ignari e baldanzosi, decisi a dare una lezione memorabile a quei contadini papisti che nulla avevano fatto per impedire l’oltraggio al potere delle Tre Leghe. Le prime ombre della sera già salivano dalla valle, quando si affacciarono alla soglia occidentale dei prati, decisi a ritemprarsi delle fatiche con un alloggiamento forzato nelle baite del maggengo. La notizia del loro arrivo li aveva, però, preceduti, ed i contadini del maggengo, aiutati da quelli che erano scesi dall’alpe Bassetta per dar loro man forte, non se ne erano stati con le mani in mano. Le donne tenevano in mano i loro rosari, perché la preghiera è sempre un ausilio potente, mentre gli uomini si davano da fare per barricare gli usci delle baite e nascondere nel bosco vino e vettovaglie.
Alcuni fra loro, però, erano corsi al vicino maggengo dei Nestrelli, posto più o meno alla stessa quota, ma più ad est. Non si trattava di una fuga: lì viveva, infatti, un mago potente e rispettato, il mago Nestrelli. Potente perché di magie di cui era stato artefice se ne raccontavano davvero tante, una più strabiliante dell’altra. Rispettato perché non aveva mai usato i suoi poteri per nuocere ad alcuno. Accolse i contadini trafelati senza sorpresa: già sapeva, già sapeva tutto. Li rassicurò con il suo sguardo profondo, poi scomparve alla loro vista: prima ancora che avessero potuto chiedersi cosa succedeva, era già ai Prati dell’O. Quel che accadde rimase per sempre scolpito nella memoria dei presenti, che ne parlarono fino alla fine dei loro giorni, ed i loro figli ai figli, e questi ai figli dei figli.
I soldati Grigioni, spavaldi, sguaiati, già pregustavano il terrore dei contadini, quando si videro di fronte, improvvisa apparizione fra sé e le baite, la figura arcana del mago, con un mantello ampio e fluente, un cappello a punta leggermente ripiegato su un lato, la barba candida e quasi luminosa nella penombra della sera, gli occhi come bracieri ardenti. Non ebbero il tempo di dire nulla, né disse parola il mago, che si limitò ad alzare entrambe le mani in alto, con le dita protese come rami scuri contro il cielo che imbruniva. Spirava una leggera breva, quell’alito di vento che proviene dal lago. Cessò, anch’essa, in un silenzio profondissimo ed irreale. I contadini spiavano, dalle finestre delle baite. Contro il cielo, dove ancora non si era spento del tutto l’ultimo bagliore del sole tramontato, si stagliava la figura potente del mago, immobile, con le braccia levate. Dal silenzio parve, poi, emergere un suono indistinto, assai simile ad un lamento. Durò qualche istante, poi più nulla, sparì, come inghiottito dalla notte incombente. Sparì anche il mago.
Nessuno osò uscire dalle baite prima del far dell’alba. I primi che misero fuori il naso non videro alcuna traccia dei soldati. Tutti pensarono che se la fossero data a gambe levate e tirarono un gran respiro di sollievo. Solo dopo ci si accorse che sul limite del bosco, al Gag, erano comparsi alcuni alberi mai visti prima, alcuni enormi pini (tiùm), di cui non ci si sapeva dar ragione. Solo in seguito si capì: quando, infatti, il vento schiaffeggiava i loro grandi rami, produceva un suono che gli abitanti del maggengo avevano già udito, quella sera di fine luglio, il lamento dei soldati Grigioni che erano stati tramutati proprio in quei pini. E da allora nessuno osò più neppure toccarli.
La storia dei rapporti fra Cino ed i soldati Grigioni non finì, però, qui. Per qualche anno, dopo la battaglia di Tirano, dell’11 settembre di quel medesimo 1620,  la Valtellina fu nelle mani degli insorti e di un contingente di truppe pontificie. I retici, con l’appoggio delle armi francesi, tornarono, però, sotto il comando del marchese di Coeuvres, occupando, nel febbraio del 1625, Traona, Cino, Mantello, Dubino e Sorico. Mentre Dubino, Ferzonico, Cantone e Monastero dovettero alloggiare la cavalleria francese e veneta, mentre a Traona toccò l'onere davvero gravoso di ospitare le compagnie del Voubecourt, Cino si vide assegnare i soldati di Zurigo. Non mancarono, come sempre accade in questi casi, violenze e soprusi, tanto che il Coeuvres fece innalzare, nel piano di Traona, una forca alla quale appese i soldati che si erano macchiati dei crimini più odiosi. Nessuno soldato osò, però, esercitare violenza sulla popolazione di Cino, o, ancor meno, salire ai maggenghi.
Lo stesso accadde una decina di anni dopo, nella primavera del 1635, quando Cino dovette sobbarcarsi l’onere dell’alloggiamento di alcuni reparti Grigioni al comando del celebre duca di Rohan, che aveva posto il suo quartier generale a Morbegno. Il ricordo di quanto accaduto quindici anni prima protesse, probabilmente, il paese ed impose ai soldati occupanti un sano timore. A riprova di ciò si può citare una grida del duca, che ingiungeva agli abitanti di Traona fuggiti sui maggenghi di Bioggio e dei Prati di Bioggio, di tornare alle loro case e di denunciare quanto possedevano, per sottostare alle requisizioni necessarie per il sostentamento dell'esercito franco-retico, pena la distruzione delle abitazioni stesse. Non vi sono citati i maggenghi di Nestrelli e dei Prati dell’O, evidentemente perché a Cino nessuno aveva sentito la necessità di fuggire.
Oggi i venti di guerra sulla bassa Valtellina sono un remoto ricordo consegnato ai libri di storia. I tiùm, invece, sono ancora lì. Qualcuno, forse, riuscirà a sentire ancora, nella voce dei loro rami percossi dal vento, un antico disperato lamento.

[Torna ad inizio pagina]

Copyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas La riproduzione della pagina o di sue parti è consentita previa indicazione della fonte e dell'autore (Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)

Copyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas Designed by David Kohout