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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Baruffini-Sasso del Gallo-Papi- Puzzat de Murat-Cancelletti-Zocca-Baruffini
3 h e 30 min.
450
EE
SINTESI. Portiamoci con l’automobile a Baruffini (imbocchiamo la strada di circa 4 km che sale al paese lasciando, a Tirano, la ss 38 dello Stelvio – se proveniamo da Sondrio –per prendere, prima del semaforo, a sinistra). Parcheggiata l’automobile nella piazza del paese, e ci incamminiamo salendo ad un bivio, al quale stiamo sulla sinistra, fino ad un nuovo bivio, al quale prendiamo ancora a sinistra. Siamo su una stradina asfaltata che supera una valletta e ci porta ad un nuovo bivio: anche qui proseguiamo a sinistra, per il nucleo del Piazzo. Restando sulla strada asfaltata, raggiungiamo le baite dell’antico nucleo del Piazzo (m. 925). Torniamo, ora, al bivio di prima, dove inizia il Sentiero del Contrabbando e della Memoria, e cominciamo a salire sulla pista che effettua una lunga traversata del versante mediano del monte, fino all’ex Caserma della Guardia di Finanza al Sasso del Gallo, presso il confine italo-svizzero. Riprendiamo a salire, per breve tratto, fino ad un bivio segnalato da diversi cartelli (980 metri). Qui ignoriamo il sentiero che scende sulla sinistra a Roncaiola e proseguiamo sulla pista che, superata una cappelletta, volge leggermente a destra: entriamo così in Valle di Poschiavo. Alterniamo ripide salite a tratti pianeggianti, ignoriamo uns entiero che si stacca sulla destra (indicazioni del Sentiero Italia) e passiamo a destra di un capanno in legno e di una fontana, raggiungendo la parte alta dei prati di Refreggio, alle cui baite scende anche una mulattiera. Proseguiamo diritti fino ad un nuovo bivio: il sentiero di destra sale in 10 minuti al Sasso del Gallo ed al confine, mentre quello di sinistra si porta, in 5 minuti, al rudere dell’ex-caserma. Visitato il rudere, torniamo al bivio e prendiamo il sentiero per il Sasso del Gallo. In una decina di minuti raggiungiamo il limite orientale del prato del maggengo Papi, sul cui limite opposto, alla nostra sinistra, si trova il confine con italo-svizzero. Prendiamo in direzione opposta, a destra, procedendo nel bosco di pini silvestri. Dopo breve tratto, un bivio, al quale proseguiamo diritti, in piano. La cornice dei pini silvestri ci abbandona ben presto: usciamo ad una desolante fascia di caotici arbusti. Intercettiamo un sentiero che sale da destra e proseguiamo la discesa; ad un bivio stiamo sulla sinistra. Passiamo per la località Puzzat de Murat. Qualche saliscendi ancora, poi il sentiero comincia gradualmente a scendere. Di nuovo qualche saliscendi, ed il versante alla nostra destra si fa decisamente più ripido. Entriamo in un rado bosco, ma in un punto il sentiero si restringe, ed alla nostra destra il versante è molto ripido (il sentiero è sconsigliabile in presenza di neve o ghiaccio, ma anche dopo abbondanti piogge). Ci ritroviamo, poi, in una macchia di pini silvestri: il versante è ancora ripido. In particolare, c’è una discesa esposta, problematica con ghiaccio o neve. Finalmente, una zona più tranquilla: attraversiamo due modesti corpi franosi e finiamo per intercettare carozzabile che sale da Baruffini. Un cartello dà Baruffini a 35 minuti. Non seguiamo la strada, ma la lasciamo per imboccare una pista che scende sul limite di un prato. Lasciamo anche questa pista per prendere, a sinistra, un sentiero che scende ripido in un bosco, prima un po’ verso destra, poi verso sinistra e di nuovo verso destra, tagliando, quindi, in rapida sequenza, due piste sterrate. Noi proseguiamo diritti sul sentiero, seguendo i segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi, e scendendo verso destra. Passiamo a sinistra di una baita, ed il sentiero piega a sinistra, in un bosco di betulle e pini silvestri. Anche l’andamento si fa meno ripido. Usciamo dal bosco e, descritto un arco a destra, intercettiamo la strada asfaltata che da Baruffini sale verso Pra Baruzzo e Pra Campo. Non la seguiamo ma, sul lato opposto, proseguiamo su un largo sentiero che scende alla località Case di Sopra. Da qui scendiamo facilmente alla piazza centrale di Baruffini.

Irma Rinaldi: nome ignoto ai più. Non in quel di Baruffini, piccolo e suggestivo nucleo sopra Tirano: qui tutti ricordano che si tratta di una giovane donna uccisa il 15 dicembre del 1964 durante un’azione di contrabbando. Due anni dopo, nel settembre 1966, il pericolosissimo sentiero detto «La passerella», che dal confine italo-svizzero porta alla frazione di Roncaiola, fu teatro di una seconda duplice tragedia. Due finanzieri fermarono, nel punto più pericoloso dove il sentiero è assai esposto, un contrabbandiere, il quale, spaventato e gravato del carico, fece un brusco movimento, perdendo l'equilibrio. Il finanziere Dario Cinus, che si trovava accanto, nel tentativo di trattenerlo, precipitò anch'egli nel vuoto. La Rinaldi ed il Cinus furono, dunque, entrambi, anche se su ”fronti”, se così si può dire, diversi e per differenti motivi, vittime di quel contrabbando che, fino a buona parte degli anni sessanta del secolo scorso, fu attività molto praticata dalla gente del posto, come integrazione spesso preziosissima delle magre risorse legate alla vita contadina. Diego Zoia, nell’articolo “Commercio minore e contrabbando”, in “Mondo popolare in Lombardia – Sondrio e il suo territorio” (Milano, Silvana editoriale, 1955), ci offre un ampio quadro storico di tale fenomeno:
Il miglioramento progressivo delle condizioni di vita nei primi decenni di questo secolo, particolarmente apprezzabile a partire dagli anni Trenta quando si iniziarono nella zona grossi lavori legati alla realizzazione di centrali idroelettriche, ed il relativo maggior benessere che ne seguì ridussero l'intensità del fenomeno contrabbandiero nella zona, con l'esclusione delle frazioni di Roncaiola e Baruffini, dove rimase endemico ancora per diversi decenni.
Una reviviscenza si ebbe comunque negli anni del secondo conflitto mondiale, per effetto soprattutto della penuria di generi alimentari che si accompagna a tutti i conflitti. Il traffico illegale di confine si rifece in quell'epoca assai intenso, in entrambe le direzioni ma soprattutto dall'Italia verso la Svizzera.
Nella provincia di Sondrio, infatti, la relativa fertilità del territorio, la migliore esposizione e le quote di fondovalle più basse consentivano una discreta produzione di grani, uva e castagne.
Va poi aggiunto che erano possibili sia gli allevamenti di suini, da parte di quasi tutte le famiglie, che discrete coltivazioni orticole; tutto ciò consentiva una, se pur stentatissima, autarchia di sopravvivenza; il riso, la pasta e lo zucchero arrivavano, anche se in quantitativi limitati, dalla pianura e bene o male si riusciva a campare.
La confinante valle di Poschiavo, in territorio svizzero, presenta invece possibilità di coltivazione assai più ridotte: le quote e l'orografia non consentono la coltura della vite, riducono ad entità marginale quella del castagno e penalizzano fortemente quella dei cereali, anche i meno esigenti (segale e grano saraceno). Il contrabbando venne esercitato in periodo bellico soprattutto da donne e ragazzi, in quanto i maschi validi erano quasi tutti partiti per svolgere il servizio militare.
Il traffico divenne tanto intenso e si allargò ad una tale varietà di beni, alimentari e non (tra questi ultimi pneumatici, tessuti, binocoli, macchinari leggeri e persino profilattici) che si diede vita, in prossimità della dogana svizzera di Viano, ad un vero e proprio mercatino, con esibizione in vendita di generi vari.
In direzione opposta andavano invece i trasporti di sale, all'epoca difficilmente reperibile in Italia (soprattutto dopo il 1943) ed indispensabile alle famiglie contadine per la conservazione delle carni dei maiali dalle stesse allevati, che rappresentavano una componente fondamentale dell'alimentazione, col latte e derivati, i grani ed il vino.
Poschiavo e Brusio erano, in territorio elvetico, i centri di smistamento delle merci. Da Poschiavo partivano infatti i carichi di sale in direzione sia di Grosio (attraverso i passi della val Grosína occidentale) che verso Ponte in Valtellina e Chiuro (attraverso la val Fontana), mentre dalla zona di Brusio partivano quelli diretti verso il Tiranese. Spesso erano le donne che si incaricavano del trasporto, caricandosi sulle spalle sacchi di 20-25 kg e valicando, anche in caso di cattiva stagione, passi alpini che superano abbondantemente i 2000 metri di quota…
Negli anni Cinquanta, ma soprattutto nel decennio successivo, l'attività contrabbandiera in zona subì una progressiva quanto radicale trasformazione, legata in gran parte alle disposizioni di legge, sia ín materia doganale, che di altro contenuto, relative al commercio del caffè, che fecero divenire Tirano e il suo circondario un vero e proprio centro di smistamento, a livello addirittura sovraregionale, di tale merce importata di frodo.
Causa prima di tale stato di cose furono gli elevati dazi doganali su tale genere, che rendevano oltremodo lucrosa l'evasione, combinati con le maglie troppo larghe delle disposizioni relative al trasporto del caffè tostato, che rendevano estremamente difficoltoso il controllo sulle evasioni dei dazi una volta che il prodotto fosse in territorio italiano.
…Tutto questo portò gradatamente ad un evidente snaturamento delle tradizionali forme di esplicazione dell'attività contrabbandiera: ad una vera e propria esplosione del fenomeno sotto il profilo quantitativo si accompagnò una grave degenerazione delle sue caratteristiche.
Nel solo 1965, secondo dati ufficiali, vennero denunciate per contrabbando, in provincia, 1339 persone e sequestrati 212.000 kg di caffè e 18.500 kg di tabacchi lavorati, oltre a 109 automezzi. I dati sono tra l'altro assai poco indicativi, soprattutto per quanto riguarda il caffè, per la notevole sproporzione tra le violazioni accertate e quelle commesse…”
I tempi difficili del contrabbando nel tiranese appaiono ormai lontano, e la distanza storica, si sa, aiuta a maturare una più pacata e pensosa consapevolezza. Frutto di questa riflessione è la dedica, alle figure di Irma Rinaldi e Dario Cinus, di un sentiero che tocca i luoghi più significativi legati al contrabbando nella zona Roncaiola-Baruffini. Si tratta del Sentiero del Contrabbando e della Memoria, e l’iniziativa è della Sezione tiranese dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia. Sulla piazza della chiesa di S. Pietro, a Baruffini, un pannello ci informa del significato e dello spirito che hanno indotto a questa iniziativa: “In questo paesaggio, cosi armonizzato con la nostra storia, il contrabbando ha fortementecaratterizzato la zona del Tiranese fino agli anni '70. Tra contrabbandieri e finanzieri si eracreato un rapporto dì contrapposizione, ma anche di rispetto reciproco. Per questo, L'A.N.F.I. (Associazione Nazionale Finanzieri d' Italia)- sezione di Tirano e protagonisti dell'altroschieramento hanno realizzato il progetto "Sentiero del contrabbando- Sentiero alla memoria".Indicazioni naturalistiche e rievocazioni storiche vi guideranno lungo il percorso, che accoglie i due punti di vista e lega alla montagna il ricordo di Irma Rinaldi, vittima del contrabbando e Dario Cinus, finanziere. Ad essi è intitolato il sentiero.”
Il medesimo pannello ci offre le informazioni sintetiche su tale percorso, che prevede la partenza e l’arrivo a Baruffini: lo sviluppo complessivo è di 8,5 km, il dislivello in altezza è di 450 metri ed il tempo di percorrenza è stimato in 4 ore. Un po’ tantine, forse: diciamo che in 3 ore di solito ce la si fa.
Il periodo ideale per camminare su questo percorso della memoria è probabilmente l’autunno: si è smorzata la fiera calura estiva (che su questo versante non scherza), non ci sono ancora neve e ghiaccio (che in un breve passaggio, di cui diremo, possono rappresentare un problema). E poi ci sono i colori, quelli vivi ed intensi dell’autunno, che oltretutto è la stagione in cui i frutti maturano, il tempo della consapevolezza, il momento in cui il pensiero rivendica spazio contro lo strapotere della vita: insomma, ci sono tutti gli ingredienti giusti perché l’esperienza abbia il giusto sapore storico.
Portiamoci con l’automobile a Baruffini (imbocchiamo la strada di circa 4 km che sale al paese lasciando, a Tirano, la ss 38 dello Stelvio – se proveniamo da Sondrio –per prendere, prima del semaforo, a sinistra). Parcheggiata l’automobile nella piazza del paese, concediamoci qualche istante per gustare le linee eleganti quanto essenziali della chiesa di S. Pietro martire, che fu consacrata nel 1537 ed eretta a parrocchia nel 1638. Nulla turberà la nostra pace, nonostante il nome di questa frazione derivi molto probabilmente dal verbo longobardo “rauffen”, cioè “azzuffarsi”.  
Cominciamo, dunque, la camminata seguendo la strada principale che sale alla parte alta del paese. Giunti ad un primo bivio, stiamo sulla sinistra, fino ad un secondo bivio. Qui i cartelli ci indicano che la strada di destra sale a Pra Fontana, Pra Baruzzo, Pra Zarè e Pra Campo, mentre quella di sinistra porta al Piazzo. Ci sono anche due cartelli escursionistici, entrambi relativi alla strada di sinistra: indicano l’uno Piazzo (20 minuti), Sasso del Gallo (un’ora e 5 minuti) e Roncaiola (30 minuti), l’altro il Sentiero del contrabbando e della memoria. Proseguiamo, dunque, verso sinistra, lasciandoci alle spalle le ultime case di Baruffini. Siamo su una stradina asfaltata che supera una valletta e ci porta ad un nuovo bivio: mentre la strada prosegue, a sinistra, per il nucleo del Piazzo, sulla destra se ne stacca una pista con fondo in erba. Un cartello indica che seguendo questa pista (che poi coincide con il primo tratto del Sentiero del Contrabbando e della Memoria) si raggiunge in 45 minuti il Sasso del Gallo. Si tratta di un itinerario storico, cioè dell’antichissima via che si addentrava, da Tirano, sul fianco mediano del versante orientale della Valle di Poschiavo, raggiungendo lo xenodochio di San Romerio (o Romedio). Il cartello dà, infatti, Viano ad un’ora e 30 minuti e San Romerio a 3 ore e 45 minuti. C’è, infine, una targa che segna l’inizio del Sentiero del contrabbando e della memoria.
Lasciamo, dunque, la strada asfaltata e cominciamo a salire sulla pista: troveremo quasi subito, alla nostra destra, una croce in ferro, una fotografia ed una targa che commemora Irma Rinaldi, uccisa il 15 dicembre del 1964 durante un’azione di contrabbando. La targa, posta dai compaesani di Baruffini, è posta sul luogo stesso della tragedia. C’è anche una targa del Sentiero del contrabbando e della memoria, sulla quale si legge: “Località Piazzo – Nella notte fra il 14 e il 15 dicembre 1964, a soli 25 anni, moriva qui Irma Rinaldi, ferita a morte da un colpo di pistola sparato da una guardia di finanza. Si tratta dell’unica donna vittima del contrabbando durante il dopoguerra nella Provincia di Sondrio e di un tragico esempio di contrapposizione fra gli uomini. Poco più avanti si trova la cappelletta, “santella”, dedicata alla Beata Vergine Immacolata, molto cara a contrabbandieri e finanzieri, tanto invocata da ambedue nei momenti di pericolo. Possa Ella vegliare e infondere serenità negli animi e in questi luoghi, tristi e cari insieme.
Poco più avanti, ci raggiunge, salendo da sinistra, la mulattiera che proviene da Roncaiola, il nucleo che se ne sta affacciato sullo strapiombo di roccia che sovrasta Tirano. Qui troviamo altri cartelli, che danno Sasso del Gallo a 50 minuti (Sentiero del contrabbando e della memoria), Pradentia ad un’ora e 30 minuti, Pra Baruzzo a 2 ore, il lago di Schiazzera a 4 ore e 45 minuti (Sentiero Italia). Ancora un pezzo in salita, poi eccoci alla cappelletta dedicata alla Beata Vergine Immacolata, di cui già sappiamo: è posta in un punto panoramico, perché il bosco di pini silvestri si apre e, dal ciglio di un salto di roccia, godiamo di un ampio panorama su Tirano e sulla media Valtellina, fino al colle di Teglio.
La strada volge ora leggermente a destra: entriamo così in Valle di Poschiavo, ed infatti davanti a noi vediamo, sul versante opposto, la Val Saiento, sua prima tributaria occidentale, chiusa sul lato sinistro dal pizzo Combolo. Un grande muraglione alla nostra destra è stato eretto quando un incendio rovinoso (di cui vediamo i segni) ha imposto il rifacimento di questo tratto di pista. La traversata prosegue alternando alcune ripide salite a tratti quasi pianeggianti. Appare, in fondo alla valle, davanti a noi, uno spaccato della sezione orientale del gruppo del Bernina, con le tre cime del piz Palϋ ed il piz Varuna. Scorgiamo anche la meta cui ci approssimiamo, il rudere dell’ex caserma della Guardia di Finanza posta in località Sasso del Gallo. Sotto i nostri piedi, invece, le antichissime e levigate pietre della storica strada che fu, nei secoli passati, importante via di commerci e pellegrinaggi. Raggiungiamo, quindi, un bivio: mentre la strada prosegue diritta (Sasso del Gallo è dato a mezzora), alla sua destra si stacca una mulattiera (Sentiero Italia) che porta in un’ora e 15 minuti a Pradentia. Noi tiriamo diritto, sempre circondati dal desolante spettacolo del bosco sfregiato dall’incendio. Poco oltre questa deviazione, prestiamo attenzione sul lato sinistro della strada: su un grande masso vedremo incise alcune coppelle, che, secondo alcuni, potrebbero riprodurre la disposizione delle stelle dell’Orsa Maggiore. Tutto ciò testimonia l’antichissima antropizzazione di questi luoghi.
Passiamo, poi, a destra di un capanno in legno e di una fontana, raggiungendo la parte alta dei prati di Refreggio, alle cui baite scende anche una mulattiera (un cartello dà Nasen a 25 minuti, Roncaiola ad un’ora e Madonna di Tirano ad un’ora e 15 minuti). Se scendiamo a dare un’occhiata fra le baite di Refreggio, potremo scovare una singolarissima costruzione con pietre a secco, ad ogiva, che si trova, oltre che in Valle di Poschiavo, pressoché solo, in Provincia di Sondrio, in pochi luoghi del versante retico medio valtellinese. Si tratta di un analogo di quel che altrove è detto il casello del latte, cioè piccola baita dove gli alimenti venivano conservati grazia ad una temperatura fresca costante. Mentre, però, i caselli classici sono in genere edificati sopra piccoli corsi d’acqua che facilitano la conservazione, queste curiose costruzioni, dette “tegie”, si trovano su versanti aridi: di qui la loro struttura più massiccia, per limitare val minimo l’interscambio termico fra interno ed esterno.
Torniamo alla strada per il Sasso del Gallo, che ora si fa più stretta: mancano ormai, solo una decina di minuti alla caserma. Poco oltre, un nuovo bivio: il sentiero di destra sale in 10 minuti al Sasso del Gallo ed al confine, mentre quello di sinistra si porta, in 5 minuti, al rudere dell’ex-caserma. Il luogo, brullo, desolato, complice anche la devastazione dell’incendio, ha qualcosa di tristemente spettrale. Andiamo a visitare, dunque, la caserma, della quale un pannello del Sentiero del contrabbando e della memoria ci dice: “Punto strategico lungo la linea di confine italo-svizzera, la caserma di Sasso del Gallo è stata operativa fino al 1987, ospitando cani anticontrabbando e giovani guardie di finanza, pervenute dopo il corso allievi della Scuola Alpina di Predazzo. In una notte di fine agosto 1966, con un gesto di generosità, perdeva la vita in un tragico incidente il finanziere Dario Cinus, un giovane di 23 anni di Cagliari, da pochi mesi in servizio presso questo distaccamento. Incurante del pericolo, il milite offriva il proprio aiuto ad un contrabbandiere che, vistosi inseguito, perdeva l’equilibrio e precipitava nel vuoto, trascinando con sé il giovane finanziere Dario Cinus”.
Sulla facciata della caserma, ancora in buone condizioni, si legge il motto “Nec recisa recedit”, cioè “neppure spezzata arretra”. Volendo, possiamo interpretarlo in un senso che si attaglia al ricordo del sacrificio del giovane: neppure spezzata la sua vita si lascia portar via dall’oblio.
Ora, però, dobbiamo lasciare il sentiero, che sale ripido lasciando sulla sinistra la caserma e portandosi in una zona instabile, e tornare sui nostri passi, per breve tratto, al bivio sopra menzionato: qui, prendendo a sinistra, in una decina di minuti raggiungiamo il limite orientale del prato del maggengo Papi, sul cui limite opposto, alla nostra sinistra, si trova il confine con italo-svizzero. Siamo sul limite del bosco, ed un nuovo pannello ci informa che “questo maggengo costituiva il punto di osservazione dei contrabbandieri che curavano gli spostamenti delle pattuglie di finanzieri e, di conseguenza, comunicavano ai loro compagni quando poter partire dalla Svizzera con bricolle di caffè e di sigarette. Molti appostamenti notturni sono stati compiuti in questi luoghi: percorre oggi i sentieri e le mulattiere del contrabbando significa immergersi in una natura ricca di storia e rivivere quei momenti che tanto hanno caratterizzato il passato. “
Un cartello dà, poi, la Zocca a 50 minuti e Baruffini ad un’ora e mezza. Prendiamo, dunque, a destra, procedendo nel bosco di pini silvestri. Dopo breve tratto, un bivio: proseguendo diritti, in piano, si va alla località Zocca, mentre salendo a sinistra ci si dirige a Pradentia e Pra Baruzzo. Proseguiamo, dunque, diritti, in piano. La gentile cornice dei pini silvestri, purtroppo, ci abbandona ben presto: usciamo ad una desolante fascia di caotici arbusti, esito della devastazione di un incendio. Questo versante è davvero desolante, stringe il cuore. Quantomeno ci offre lo spunto per riflettere su come non ci sia solo la violenza degli uomini sugli uomini, ma anche quella degli uomini sulla natura. Dopo un breve tratto, intercettiamo un un sentiero che sale da destra: i cartelli indicano che seguendolo in salita ci si porta a Pradentia in 45 minuti, mentre scendendo a destra ci si porta a Roncaiola in 40 minuti.
Scendiamo, dunque. Quasi subito siamo ad un roccione e ad bivio: mentre la discesa prosegue verso destra (Roncaiola è data a 40 minuti), prendendo a sinistra si continua sul Sentiero del contrabbando e della memoria (la Zocca è data a 30 minuti). Stiamo, dunque, a sinistra, e raggiungiamo un nuovo pannello, posto davanti ad un roccione che forma una cavità naturale; leggiamo: “Località Puzzat de Murat. Questo luogo costituiva una postazione fissa della Guardia di Finanza, utilizzata per tenere sotto controllo gli spostamenti dei contrabbandieri, che però, a loro volta, ne conoscevano bene la funzione. Sotto una roccia si possono ancora vedere i ruderi di una vecchia postazione della pattuglia della Regia Guardia di Finanza, impiegata in servizio di anticontrabbando negli anni 1900-1945, a testimonianza di un’origine molto lontana nel tempo di questo fenomeno.”
Segue un nuovo pannello, che ci propone uno scenario diverso, e reca scritto: “Linea Cadorna. Per impedire una possibile offensiva delle truppe austro-ungariche attraverso la neutrale Svizzera, nel 1915, durante il primo conflitto mondiale, il generale Luigi Cadorna diede ordine di realizzare una linea difensiva lungo il confine italo-svizzero, ma dopo la disfatta di Caporetto gran parte dei militari fu trasferita al fronte. Di questa linea ci è rimasta in eredità una fitta rete di vie di comunicazione, trincee e camminamenti percorribili a piedi. Si è voluto ricordare, in questo modo, il sacrificio di molti giovani dei nostri luoghi, che, giovanissimi, sono partiti per il fronte e, spesso, mai più ritornati.”
Scenario diverso, dunque, ma non meno tragico. Di nuovo procediamo, con qualche saliscendi, fra le devastazioni dell’incendio. Superato un modesto corpo franoso, siamo al pannello che segnala la località Cancelletti: “In questo punto avveniva lo scambio di visti sui fogli di servizio fra le pattuglie della Guardia di Finanza provenienti da Tirano e quelle di Sasso del Gallo. L’intensificarsi del contrabbando negli anni ’60 ha condotto in questi luoghi finanzieri da ogni località della penisola. Questi giovani si sono alternati in lunghi turni di vigilanza, di giorno e di notte, con l’orecchio teso a cogliere ogni movimento sospetto e con il cuore rivolto alle famiglie lontane. E spesso il sostentamento dei propri cari è stato il motore che ha spinto su queste montagne, se pur su schieramenti contrapposti, gli uni e gli altri, finanzieri e contrabbandieri in un periodo storico che rimarrà nella memoria di questi luoghi per sempre.”
Sopra la targa, un cartello dà Baruffini ad un’ora e 10 minuti. Qualche saliscendi ancora, mentre alla nostra destra la desolazione del bosco annientato è temperata dal bel colpo d’occhio su Tirano. Poi il sentiero comincia gradualmente a scendere. Di nuovo qualche saliscendi, ed il versante alla nostra destra si fa decisamente più ripido. Entriamo in un rado bosco, ma in un punto il sentiero si restringe, ed alla nostra destra il versante è talmente ripido che se scivoliamo qui non ci fermiamo per un bel pezzo. Ecco perché il sentiero è sconsigliabile in presenza di neve o ghiaccio, ma anche dopo abbondanti piogge. Ci ritroviamo, poi, in una macchia di pini silvestri: il versante è ancora ripido. In particolare, c’è una discesa esposta, problematica con ghiaccio o neve. Finalmente, una zona più tranquilla: attraversiamo due modesti corpi franosi e finiamo per intercettare carozzabile che sale da Baruffini. Un cartello dà Baruffini a 35 minuti.
Non seguiamo la strada, ma la lasciamo per imboccare una pista che scende sul limite di un prato. Lasciamo anche questa pista per prendere, a sinistra, un sentiero che scende ripido in un bosco, prima un po’ verso destra, poi verso sinistra e di nuovo verso destra, tagliando, quindi, in rapida sequenza, due piste sterrate. Noi proseguiamo diritti sul sentiero, seguendo i segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi, e scendendo verso destra. Passiamo a sinistra di una baita, ed il sentiero piega a sinistra: finalmente lo scenario si ingentilisce, in un bosco di betulle e pini silvestri. Anche l’andamento si fa meno ripido, ed il fondo del sentiero è più riposante. Usciamo dal bosco e, descritto un arco a destra, intercettiamo la strada asfaltata che da Baruffini sale verso Pra Baruzzo e Pra Campo. Non la seguiamo ma, sul lato opposto, proseguiamo su un largo sentiero che scende alla località Case di Sopra (attenzione ai cani).
Il nucleo propone antichi rustici di grande interesse. Dario Benetti, nell’articolo “Abitare la montagna.Tipologie abitative ed esempi di industria rurale”, (in AA.VV., “Sondrio e il suo territorio”, Silvana Editoriale, Milano, 1995), così tratteggia le caratteristiche delle dimore rurali di questo nucleo: "Ca' di Gavei in contrada Case Alte. Nella zona del Tiranese il versante solatìo di Baruffini, caratterizzato da un intenso sfruttamento agricolo, con terrazzamenti a vigneto e a seminativo e dalle contrade sparse, è quello che maggiormente lascia individuare le tipologie originarie della casa rurale. Le contrade sono costruite prevalentemente al centro delle aree coltivate con schiere di edifici contrapposte. Prevalentemente in pietra, le architetture più antiche spiccano per gli eleganti ballatoi e per i colori scuri delle facciate annerite dal fumo dei focolari. Al piano interrato si accede spesso dall'interno della cucina con una apertura a botola chiamata us-cèra; la cantina (involt) si utilizza per la conservazione del vino e dei prodotti dell'allevamento (salami, formaggi). La cucina (cüsina) è il vero centro della casa, con il fugulaa che affumica tutto, senza cappa (il fumo esce solo da una piccola finestrina, la bogiula). Sopra il focolare si mettevano le castagne ad essiccare e nella cucina faceva bella vista, frequentemente, il forno casalingo (füran). I piani superiori ospitavano le camere (stüe) dalle quali si poteva accedere al ballatoio (lolbia) in fondo al quale era collocato lo stüett, una caratteristica della casa di Baruffini che difficilmente si trova altrove con la medesima frequenza: si tratta del locale apposito per la conservazione del pane di segale che veniva collocato su delle rastrelliere. All'ultimo piano il sottotetto e la crapéna per l'essiccazione dei cereali. La crapéna si utilizzava anche per lavori agricoli, per esempio la battitura del grano saraceno con il correggiato (scèl)"
Passiamo fra le case e pieghiamo a sinistra, scendendo decisamente su un sentiero che taglia i prati e termina di nuovo alla strada che sale da Baruffini, non molto sopra la chiesa. Sul lato opposto, l’ultimo tratto di sentiero ci porta appena sopra la chiesa. Scesi al sagrato, chiudiamo questa indimenticabile esperienza, motivo di riflessione e sicuramente di arricchimento umano. Perché, come scriveva il commediografo latino Terenzio, “homo sum et nihil humani a me alienum puto”, “sono uomo e non ritengo estraneo a me nulla di ciò che può toccare l’uomo”.

APPENDICE: alcuni passi da “Diario di uno spallone”, di Giuseppe bombardieri (Zane editrice, Meledugno, Lecce, 2003)

"Sono nato e vissuto, finché non ho preso moglie, a Baruffini piccola frazione del comune di Tirano. Per giungervi occorre inerpicarsi per circa 5 Km., partendo appunto da Tirano, lungo una strada molto pittoresca, orlata da muretti a secco che delineano il bellissimo paesaggio di vigne coltivate a terrazzo.
Purtroppo, al di là delle bellezze naturali offerte dal luogo, esisteva ed esiste ancora per gli abitanti del paese il problema del lavoro; all'infuori di un po' di agricoltura, per il resto nessuna alternativa di occupazione, peggio ancora in quei tempi andati. Per sbarcare il lunario, valigia alla mano e si emigrava in Svizzera, in America, in Australia...
Verso gli anni '60 si aprì uno spiraglio: in alternativa all'emigrazione, il contrabbando!
Non so dire come cominciò, allora ero vergognosamente giovane, le necessità della vita si facevano sentire e tutto andava bene pur di racimolare il necessario per tirare a vivere alla meno peggio.
Di certo, so dire come funzionava quel... "mestiere"! Ci si recava in Svizzera, si prendeva una certa merce (caffè) e si portava in sacchi da 20, 30 pure 40 Kg, secondo la forza e resistenza individuale, attraversando boschi, sfidando le guardie di finanza ed altri pericoli... fino giungere a destinazione.
A volte si camminava per più di tre ore, pur di guadagnare qualcosa e non essere costretti a girovagare per il mondo, come tanti.
Naturalmente questo "nuovo lavoro" era considerato contrabbando a tutti gli effetti dallo Stato Italiano per cui la Guardia di Finanza cercava a tutti i costi di impedirlo.
Oltre ai finanzieri della Compagnia di Tirano, che noi chiamavano "il nucleo", vi erano altri distaccamenti formati da 7, 8 unità dislocati al Valico di Sasso del Gallo e a Pra-Campo, non tanti in verità per crearci delle vere preoccupazioni, anche se cercavano di "fare il proprio dovere". Ve ne erano altri pure a Schiazzera e a Sernio e, ben presto, vennero unificati al nucleo di Tirano.
L'appellativo col quale gli spalloni indicavano i finanzieri era «sgarbasach».
Pur facendo del loro meglio non riuscivano a stroncare questa frode, anche perché i contrabbandieri con un po' di fortuna, a volte, o per qualche particolare furbizia riuscivano a farla franca…

Tra i vari divieti che mi erano stati imposti dai miei genitori vi era quello di non transitare per il sentiero cosiddetto "Barella", in quanto ritenuto molto pericoloso anche dagli spalloni più esperti.
Non rispettare questo divieto mi fu però quasi obbligatorio. Era dal pomeriggio che gruppi di spalloni cercavano di transitare per il confine, ma avevano scoperto più di una pattuglia di finanzieri lungo i sentieri. Anch'io facevo parte della comitiva e sentivo che i più esperti del mestiere parlottavano tra di loro, cercando una via di uscita senza peròriuscire a trovarne neppure una.
Noi, i più ingenui, si aspettava e si ascoltava con trepidazione l'evolversi della situazione. Sopraggiungevano intanto le prime ombre della sera e l'unica ed ultima soluzione rimasta sembrò quella di passare per la "Barella".
Questo sentiero, data la sua pericolosità, non era tenuto molto in considerazione neppure dalla
Guardia di Finanza e poco anche dagli spalloni, ma in casi eccezionali bisognava rischiare…
Aspettammo che l'oscurità fosse più fitta prima di incamminarci; il primo tratto, infatti, era allo scoperto dalla vegetazione e rasentava la caserma, per cui il rischio di essere visti era alto.
Noi amici avevamo deciso di avanzare uno vicino all'altro e di aiutarci nel caso ce ne fosse stato bisogno. Uno spallone pratico della zona andò avanti a fare da "palo" ed al suo segnale saremmo partiti tutti.
La caserma di Sasso del Gallo era situata in cima a dei burroni spaventosi e a paurose rovine che scendevano fino alla valle sottostante di Campocologno. Pareva incredibile l'abilità di chi si inoltrò per primo tracciando questo famoso sentiero cosiddetto appunto "Barella". Finalmente arrivò il tanto atteso segnale di partenza. Il primo impatto con le difficoltà da superare mi creò uno stato d'animo tremendo; capii subito che non si poteva sbagliare nulla e non potevi concederti la minima distrazione: occorreva essere concentrati ed intrepidi. Le luci dei paesini della vallata di Campocologno mi sembravano appena lì sotto... sbagliare un passo mancare un appiglio significava sfracellarsi sui. dirupi. Dopo una ventina di minuti giungemmo ai prati dell'agognato alpeggio denominato "Barella" dove un cippo marcava il confine.
Posai la bricolla e mi guardai indietro dove eravamo passati; pensavo di aver compiuto una grande impresa vincendo la soggezione e la paura che quel sentiero incuteva e, solo in quel momento, mi accorsi di quanto le gambe stessero ancora tremando…

Pure le guardie di finanza italiane identificammo con dei soprannomi. Qui i ricordi si limitano alla fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70, anche perché in quegli anni ho avuto modo di aver più a che fare con loro, contrariamente agli inizi della mia "carriera".
Il comandante del Nucleo di Tirano era un certo Maresciallo Russo, uomo inflessibile e ligio al dovere, tanto da essere soprannominato "Maresciallo di ferro".
Ne ricordo un altro, poi, al giubett (il giubbotto), a causa di un giubotto nero che era solito indossare. Un altro ancora lo chiamavamo al butùn (il bottone); egli portava appuntato sul petto un bottone nero, in segno di lutto; era in disuso questo dalle nostre parti e ciò bastò per inventargli il soprannome.
… Un finanziere portava la pistola alla cow-boy e non da meno era il comportamento: lo chiamammo Bingo... Spavaldo e impettito, s'aggirava sempre con aria da duro, ma nella realtà era tutt'altra cosa.
Ricordo poi al biundin (il biondino), un tiretto magro, insignificante. Non così al mula rasagli (l'affila rasoi), tagliente di lingua e d'atteggiamenti, c'era da guardarsi da quello.
Quagiada era un finanziere grasso, un "portami pane che mangio", molliccio appunto come il quaglio del latte. Da lui non c'era granché da preoccuparsi.
Il finanziere cavalin (cavallino), un tale svelto velocissimo, simpatico in fondo.
Una nota particolare meritano pure i sentieri ricadenti nel territorio di mia competenza, se così si può dire.
Partendo dalla dogana di Sasso del Gallo, si risaliva verso nord, fino al Cippo n. 12 per prosemire lungo gli ulteriori cippi numerici fino al confine.
Dalla caserma di Sasso del Gallo, il sentiero più agevole risultava la cosidetta strada del Carro che in linea retta conduce, ancora oggi, fino a Baruffini. Più che un sentiero una mulattiera, per cui ben conosciuta ed utilizzata da tempi memorabili, come raccontavano gli anziani di quel tempo, per trasportare il fieno sui carri trainati dai muli o dai buoi e, da qui la derivazione del nome.
Naturalmente non sempre quel che appare più agevole è pure più confortevole: la mulattiera era molto ben conosciuta e frequentata pure dalle guardie di Finanza.
Fortunatamente a ridosso della strada del Carro, risalendo poco più sopra, si dipartiva il sentiero la Buschina, la cui denominazione, né derivazione, non conosco come pure di altri sentieri che, a quei tempi, praticavo. Il sentiero la Buschina, dunque, ad un certo punto si immetteva sulla strada del Carro e, questo, poteva renderlo pericoloso. Per cui, spesso, si prendevano sentieri posti ancora più in alto, come: Caneigi, Bucheli, Li Zochi, Cippo 7, Pian Cavallino, La Aiuta ed altri ancora, sempre risalendo verso nord fino a raggiungere la cima del Massuccio ed oltre, almeno agli albori del contrabbando, pur di riuscire a farla franca. Passo Portone, ad esempio, all'incirca è a ben 2.630 metri."


CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la mappa on-line

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