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Talamona (Talamuna) è uno dei più importanti comuni della bassa Valtellina (nei secoli passati, Terziere inferiore), situato sul versante orobico, sul conoide alluvionale del torrente Roncaiola, ai piedi delle valli Ranciga, Malasca e Roncaiola, che scendono quasi verticali dal crinale orobico a cavallo fra bassa Valtellina e Valle del Bitto di Albaredo. Il suo territorio ha un’estensione di 2124 ettari, su una fascia che va dai 233 m. s.l.m. al fiume Adda ad ovest ai 2322 metri del monte Culino. In nuclei abitati sono distribuiti sul declivio alluvionale che dal piede del monte scende fino alla piana del fondovalle. Il centro del paese, raccolto attorno all’imponente chiesa di Santa Maria Nascente, sorge nella parte bassa del conoide alluvionale, cosa piuttosto insolita rispetto alla più comune situazione di un centro posto al suo vertice.


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L’apertura della nuova ss 38 dello Stelvio l’ha tagliata fuori dal suo tracciato: per raggiungerla provenendo da Milano bisogna lasciare la ss 38 alla prima uscita alla rotonda che si trova subito dopo la seconda galleria di Paniga. Si torna così sulla vecchia ss 38 verso ovest, trovando tra successivi svincoi a sinistra che salgono a paese. Assai controversa la questione dell’origine del suo nome.
È stata ipotizzata un’origine etrusca (da “telamòn”, voce greca entrata nell’etrusco), che poggia sull’analogia del suo nome con il porto di Talamone, in provincia di Livorno. Il termine etrusco di riferimento significherebbe “luogo elevato dalle acque”. Il ritrovamento di un’anfora, di vasi, archi e frecce nel 1881 lascia aperta l’ipotesi dell’origine etrusca, anche se ve ne sono altre in campo. L’Orsini ipotizza la voce preindoeuropea “tala”, che significa “terreno alluvionale”, ma si sono chiamate in gioco anche il celtico “talos”, “stella”, e la voce “talamo”, che significa “monte” o “costa dirupata”. Il ritrovamento di monete di conio romani attesta la presenza dei Romani in questi luoghi.
Dopo la disgregazione dell’Impero Romano d’occidente venne il tempo delle invasioni (o migrazioni, a seconda dei punti di vista) delle popolazioni germaniche con la fondazione, dal 489, del regno ostrogoto di Teodorico. In quel medesimo V secolo si colloca la prima penetrazione del cristianesimo nella valle. Furono gettate le basi della divisione di Valtellina e Valchiavenna in pievi. “La divisione delle pievi”, scrive il Besta (cfr. bibliografia), “appare fatta per bacini… aventi da epoche remote propri nomi, come è infatti accertato per i Bergalei, i Clavennates, gli Aneuniates”. Esse, dopo il mille, erano San Lorenzo a Chiavenna, S. Fedele presso Samolaco, S. Lorenzo in Ardenno e Villa, S. Stefano in Olonio e Mazzo, S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e S. Pietro in Berbenno e Tresivio; costituirono uno dei poli fondamentali dell'irradiazione della fede cristiana. In origine, dunque, Talamona rientrava nei territori plebani di Ardenno. L’offensiva Bizantina riconquistò probabilmente alla “romanità” la valle della Mera e dell’Adda, anche dopo la conquista dei Longobardi (568); nell'VIII secolo, però, con il re Liutprando il confine dei domini longobardi raggiunse il displuvio alpino. Talamona, come “curtis” e “oppidum”, ha probabilmente origine in questo periodo: si trattava di un territorio legato al fisco regio ed assegnato in feudo al Vescovo di Como. Non si trattava di una condizione sfavorevole, perché alla popolazione veniva richiesto un censo tutto sommato esiguo. Nella corte un Capitano esercitava il suo potere sui servi della gleba, che non godevano della libertà di lasciare quella terra. I primi abitanti della Corte di Talamona risiedevano sul versante montuoso, a Premiana ed all’imbocco della Val Tartano, vivendo di pastorizia. Solo più tardi scesero al piano, iniziando la coltivazione di vite e gelso.


Talamona

Sconfitti, nel 774, i Longobardi da Carlo Magno, Valchiavenna e Valtellina rimasero parte del Regno d’Italia, sottoposto alla nuova dominazione franca. La frammentazione dell’Impero di Carlo portò all’annessione del Regno d’Italia al sacro Romano Impero. Il 3 settembre 1024 l’imperatore Corrado succedette ad Enrico II, inaugurando la dinastia di Franconia, e confermò al vescovo di Como i diritti feudali su Valtellina e Valchiavenna e due anni dopo abbiamo la prima attestazione documentale del paese di Talamona (“Curtis Talamona”, 1026). Il toponimo si trova poi citato in un atto dell’ottobre 1057 con cui Azzo figlio di Ottone di Talamona vendeva la metà di una vigna a Talamona. Nel 1208 Morbegno si staccò dalla chiesa plebana di Ardenno, e divenne centro principale cui Talamona era subordinata. Nel medesimo secolo XIII il potere feudale del Vescovo di Como si spense, lasciando il posto alla costituzione del libero comune di Talamona. Nella via Torre dell’odierna Talamona è ancora conservata, unico segno rimasto di un complesso di fortificazioni eretto nel secolo XIII, una torre dalla struttura molto semplice, con tetto obliquo. In quel medesimo periodo venne eretto il castello di San Giorgio, danneggiato il secolo successivo dai Visconti e definitivamente raso al suolo dalle Tre Leghe Grigie nel 1512. A memoria di questo castello è oggi rimasto il prato detto «del castello», al quale sono legate varie leggende e dicerie popolari, soprattutto connesse con l’epica disfida fra S. Giorgio ed il dragone incarnazione del male.


Talamona

Nel 1335 Como, e con essa Valtellina e Valchiavenna, vennero inglobate nella signoria milanese di Azzone Visconti. Sul carattere generale di tale dominazione, scrive il Romegialli, nella sua "Storia della Valtellina" (1834): "Noi lontani da sospettosi loro sguardi; noi popoli di recente acquisizione, noi senza famiglia con motivo o forza da rivalizzare con essi; noi per più ragioni, da Visconti riguardati con amore e in pregio tenuti, dovettimo essere ben contenti dell'avvenuto mutamento. Aggiungasi che il nostro interno politico economico regime, poco tuttavia distava dal repubblicano. E diffatti ci erano serbate le antiche leggi municipali, e soltanto dove esse mancavano, dovevano le milanesi venire in sussidio... Deputava il principe, non già Como, alla valle un governatore... Il governatore chiamavasi anche capitano, al quale associavasi un giudice o vicario... I pretori ed ogni altro magistrato liberamente eleggevansi dal consiglio della valle; e il supremo tribunale, cui presiedeva il capitaneo, stava in Tresivio."


Chiesa di S. Maria Nascente a Talamona

La Valtellina era ripartita nei terzieri superiore (con capoluogo Tirano), di mezzo (con capoluogo Tresivio), inferiore (con capoluogo Morbegno); Teglio non faceva capo alle giurisdizioni di terziere. La Valtellina conservò però la sua autonomia locale, tanto che i pretori venivano eletti dal consiglio di valle, che era l’organo in cui si riunivano i rappresentanti delle giurisdizioni. Il territorio comunale di Talamona comprendeva le vicinanze di Premiana, Dardona, Serterio; facevano inoltre parte di Talamona le contrade Costa, Dosso, Bormini nel territorio di Campo in Val di Tartano e la parte soliva della Val Corta di Tartano, dalla contrada Biorca alla Bratta fino al ramo del torrente Tartano in Val Bodrio, ma nel 1380 la Val Tartano si staccò da Talamona. Al 1375 risale l’autonomia religiosa di Talamona, che si staccò da S. Martino di Morbegno; nel 1391 la comunità risultava distinta in nobili e vicini.

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Talamona

Il successivo secolo XV pare concentrare una serie di calamità naturali di impressionante portata: nel 1450 i torrenti Tartano e Roncaiola devastano buona parte della campagna, e di lì a poco sopraggiungerà un’epidemia di peste a rendere più tragico il quadro. Nel 1479 il fiume Adda ed i torrente Tartano, Roncaiola e Malasca fecero danni ancora maggiori, tanto da far pensare ad un rinnovato diluvio universale. E, di nuovo e per soprammercato, ecco sopraggiungere altre epidemie di peste, nel 1485, nel 1513 e nel 1528.
Il Cinquecento non fu un secolo clemente, almeno nella sua prima metà: la natura si mostrò più volte piuttosto matrigna che madre. Nel 1513 la peste infierì in molti paesi della valle, Bormio, Sondalo, Tiolo, Mazzo, Lovero, Tovo, Tresivio, Piateda, Sondrio, Fusine, Buglio, Sacco, Talamona e Morbegno, portandosi via diverse migliaia di vittime. Dal primo agosto 1513 al marzo del 1514, poi, non piovve né nevicò mai, e nel gennaio del 1514 le temperature scesero tanto sotto lo zero che ghiacciò perfino il Mallero. L’eccezionale ondata di gelo, durata 25 giorni, fece morire quasi tutte le viti, tanto che la successiva vendemmia bastò appena a produrre il vino sufficiente ai consumi delle famiglie contadine (ricordiamo che il commercio del vino oltralpe fu l’elemento di maggior forza dell’economia della Valtellina, fino al secolo XIX).


Talamona

Le cose andarono peggio, se possibile, l’anno seguente, perché nell’aprile del 1515 nevicò per diversi giorni e vi fu gran freddo, il che arrecò il colpo di grazia alle già duramente colpite viti della valle. Nel 1526 la peste tornò a colpire nel terziere di Mezzo, e ne seguì una dura carestia, come da almeno un secolo non si aveva memoria. L’anno successivo un’ondata di freddo e di neve nel mese di marzo danneggiò di nuovo seriamente le viti. Dalle calende d’ottobre del 1539, infine, fino al 15 aprile del 1540 non piovve né nevicò mai, tanto che, scrive il Merlo, “per tutto l’inverno si saria potuto passar la Montagna dell’Oro (cioè il passo del Muretto, dall’alta Valmalenco alla Val Bregaglia) per andar verso Bregaglia, che forse non accadè mai tal cosa”. La seconda metà del secolo, infine, fu caratterizzata da una grande abbondanza di inverni rigidi e nevosi ed estati tiepide, nel contesto di quel tendenziale abbassamento generale delle temperature, con decisa avanzata dei ghiacciai, che viene denominato Piccola Età Glaciale (e che interessò l’Europa fino agli inizi dell’Ottocento). C’è davvero di che far meditare quelli che (e non son pochi) sogliono lamentarsi perché non ci sono più le stagioni di una volta…


Torre a Talamona

Sul piano politico il Cinquecento esordisce con un importante mutamento gravido di conseguenze per la storia di Valtellina e Valchiavenna: nel 1500 Ludovico il Moro con la sconfitta di Novara, perse il ducato di Milano ad opera del re francese Luigi XII. Per dodici anni i Francesi furono padroni di Valtellina e Valchiavenna; il loro dominio, però, per dispotismo ed arroganza, lasciò ovunque un pessimo ricordo, cosicché il loro rovescio e l’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie (1512) venne salutato non con entusiasmo, ma almeno con un certo sollievo. I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz (o Jante) il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); Valtellina e Valchiavenna figuravano come paesi confederati, con diritto perciò di essere rappresentati da deputati alle diete; le Tre Leghe promisero, inoltre,di conservare i nostri privilegi e le consuetudini locali, e di non pretendere se non ciò che fosse lecito e giusto.


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Ma, per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, compreso quello di San Giorgio in Talamona, anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto mediante un famoso avventuriero, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino. Sulla natura di tale dominio è lapidario il Besta (op. cit.): "Nessun sollievo rispetto al passato; e men che meno un limite prestabilito alla pressione fiscale. Nuovi pesi si aggiunsero ai tradizionali... I Grigioni... ai primi di luglio del 1512... imponevano un taglione di 21.000 fiorini del Reno pel pagamento degli stipendiari del vescovo di Coira e delle Tre Leghe.... Per quanto si cerchi non si trova al potere dei Grigioni altro fondamento che la violenza. Sarà magari verissimo che i Grigioni non fecero alcuna promessa ai Valtellinesi; ma è anche vero che questi non promisero a loro una perpetua sudditanza".


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Ogni comune conservò i propri ordinamenti, chiamati Ordini comunali, approvati però dal governatore, come lo erano tutte le gride comunali, che ne portavano la firma. Gli Antichi Statuti della Comunità di Talamona vennero approvati nel 1526. A capo dell’ordinamento comunale di Talamona c’erano consoli e sindaci, che dovevano giurare davanti al notaio e al popolo e nominare tre ragionieri o revisori dei conti (due di Talamona e uno di Campo), che dovevano far rendere conto ai sindaci, console, canepari e ufficiali del comune dei dazi, consegne e degli affari trattati, valutando l’operato degli amministratori. Ufficiali del comune di Talamona erano gli stimatori, i commissari alle strade, i canepari, i saltari, i deputati al riparo del torrente Roncaiola, i giudici delle vettovaglie, i sindaci dei poveri di Cristo, il custode della chiesa, il notaio. Gli stimatori stimavano i beni dei debitori e facevano restituire le somme ai creditori. I commissari alle strade, eletti dagli uomini del comune, pulivano le strade, le facevano spazzare dai proprietari confinanti, tagliavano siepi, roveti, e rimuovevano le immondizie. Campari e saltari sorvegliavano pascoli e boschi e controllavano il bestiame.


Talamona

Ogni anno venivano eletti, a maggioranza, dagli uomini del comune anche due giudici alle vettovaglie, cioè ispettori del dazio del pane, vino e carni. I sindaci dei poveri di Cristo, in numero di due o più, raccoglievano e distribuivano ai poveri denaro e generi alimentari. Il custolo della chiesa di Santa Maria veniva eletto dalla maggioranza degli uomini ed era, al contempo, custode della chiesa, banditore, messo comunale e portatore della croce nei funerali; inoltre seppelliva i morti, era responsabile della torre campanaria e dell’orologio segnalando le funzioni religiose, le funzioni pubbliche e gli stati di pericolo, proclamava gli incanti e gli ordini del comune. Il notaio, iscritto all’albo, era eletto tra gli uomini di Talamona, custodiva presso di sé gli atti, i libri dell’estimo , degli incanti e degli ordini e tutte le scritture del comune, compresi affitti ed entrate, taglie e collette.


San Giorgio

Dal testo di questi Antichi Statuti, tradotto dal latino da Padre Marino Abramo Bulanti, apprendiamo che l’economia della comunità era centrata su pastorizia ed allevamento, ma importante era anche il contributo dell’agricoltura, con la coltivazione di frumento, avena, orzo, segale, farro, miglio e panico. Più tardi si aggiunse il granoturco, importato dalle americhe. L’alimentazione contadina era integrata da frutta, castagne, nocciole e noci, il cui olio veniva utilizzato per alimentare le lampade. Nonostante il paese fosse sul versante orobico, assai meno favorevole rispetto a quello retico, a Talamona la vite fu sempre coltivata e la produzione di vino apprezzabile. La raccolta della legna era un altro aspetto caratteristico della civiltà contadina, e Talamona deve la sua fama anche per la cultura ed abilità dei suoi boscaioli, particolarmente apprezzati nel mondo, tanto da aver inventato in tempi recenti la manifestazione delle Olimpiadi del Boscaiolo. Nei secoli passati, però, il taglio e la raccolta della legna erano rigidamente regolamentati, essendo buona parte dei boschi “tensi”, cioè sottratti al taglio per salvaguardare i versanti del monte dal pericolo di slavine. Il torrente Roncaiola alimentava diversi mulini ed i magli producevano attrezzi agricoli. Segherie e forni completavano il quadro delle attività di artigianato.

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Prati a monte di Talamona

Pochi anni dopo l’inizio della dominazione grigiona, nel 1531, iniziò l’edificazione del nucleo della chiesa arcipretale di S. Maria Nascente, monumento grandioso cui è legata buona parte dell’immagine di Talamona, e che, dopo il rifacimento operato dal 1920 al 1978, è diventata la chiesa con la superficie interna più ampia in provincia di Sondrio.
I grigioni sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Così negli Estimi del 1526 nel Communis Talamonae vengono censiti case e campi del valore complessivo di 1050 lire, 3235 pertiche di prati per un valore di 2126, 312 pertiche di pascoli per un valore di 22 lire, boschi comuni per 190 lire, 6494 pertiche di selve e campi per 2868 lire, un ospizio del valore di 45 lire, 562 pertiche di vigneti per 1916 lire, 12 torchi per un valore di 42 lire, alpeggi con capacità di carico di 700 capi ed un valore di 140 lire. Il valore complessivo dei beni veniva stimato 8530 lire (per avere un termine di paragone, il valore complessivo dei beni della vicina Morbegno era 12136 lire).


Premiana

Un quadro della situazione a cavallo fra Cinquecento e Seicento ci viene offerto dalla celebre opera di Giovanni Guler von Weineck (governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel biennio 1587-88), “Rhaetia”, pubblicata a Zurigo nel 1616 (e tradotta in italiano dal tedesco da Giustino Renato Orsini). Talamona viene così descritta: “Torniamo adesso nuovamente alpiano: ivi, passato il Tartano, (piccolo torrente chetalvolta, gonfiato dallo squagliarsi delle nevi e dalleforti piogge, diventa impetuosissimo) si giunge aTalamona, E' questo un borgo bello, vasto e ragguardevole, che forma un comune a sè, e dove le famiglie preminenti sono i Mazzoni ed i Camozzi;il paese sorge sopra un ventaglio alluvionale, lungo il torrentello Roncaiola, alle falde della catena meridionale e parecchio lontano dall'Adda.”


Maggenghi di Talamona

Le Tre Leghe Grigie concessero al vescovo di Como Feliciano Ninguarda, per la sua origine morbegnese, il permesso di effettuare una celebre visita pastorale, nel 1589, di cui diede un ampio resoconto pubblicato nella traduzione di don Lino Varischetti e Nando Cecini. Se ne ricavano molte notizie preziose sulla situazione di Talamona, così tratteggiata: “Giù al piano, salendo a destra per la Valtellina, ai piedi del monte vi è Talamona, distante un miglio e mezzo dalla plebana di San Martino, con oltre duecento famiglie, che con altre frazioni della stessa comunità era sottomesso alla chiesa di San Martino al pari del borgo di Morbegno. Per le difficoltà e le incomodità che gli abitanti di Talamona dovevano sopportare nell’ascoltare la messa e nel ricevere i sacramenti , soprattutto da quando il rettore di San Martino si era trasferito nel nuovo paese di Morbegno, venne costruita una chiesa nel paese di Talamona. Dopo averla ottimamente e consacrata sotto il titolo della Natività della Beatissima Vergine Maria e sufficientemente dotata, ottennero dal Vescovo di Como che la chiesa di Talamona fosse separata dalla plebana di San Martino e fosse eretta in parrocchia. L’esecuzione avvenne nell’anno 1375. Furono poste queste condizioni: che il curato di Talamona dovesse essere presente alle cerimonie divine e cantasse con gli altri nella festa di San Martino e della consacrazione della chiesa nonché al Sabato Santo; dovesse invitare il Rettore di San Martino ai Vespri e alla Messa nella festività della Natività della B. V. Maria e fosse obbligato a chiamarlo ai funerali e alle altre officiature funebri qualora occorresse un altro prete; la comunità di Talamona fosse tenuta a pagare al parroco di San Martino venticinque libbre di cera in onore di San Martino. …


Baita di Bgianc e monte Disgrazia

Con il passare del tempo la comunità di Talamona adornò quella chiesa assai grande non solo con immagini e pitture, ma anche con suppellettili e calici e altre cose del genere in maniera tale che se ne trovano poche di simili in tutta la Valtellina. E poiché la comunità di Talamona oltre al paese comprende sotto di sé altri paesi, per ognuno di essi si farà menzione separatamente. Il centro di Talamona conta circa duecento famiglie tutte cattoliche, eccetto il medico Ercole de Guarinoni di Morbegno… A mezzo miglio oltre Talamona c’è Serterio con circa cinquanta famiglie tutte cattoliche, con la chiesa consacrata a San Gerolamo e sufficientemente ornata. A circa tre miglia sul monte di Premana c’è la chiesa di San Giorgio con il paese dello stesso nome, che conta quaranta famiglie, ma tutte sparse. La chiesa è consacrata e nella festa del santo è visitata processionalmente da tutti i paesi e frazioni vicine. Da poco in questa chiesa è stata costruita da un uomo pio di Talamona una cappella in onore di San Lorenzo elegantemente ornata e dotata di molti paramenti, di un calice di argento dorato e di annui proventi, costituiti da 32 botti di vino, 25 staia di mistura e sei grandi libbre di burro. A tutto ciò il benefattore decretò di aggiungere altri proventi e la casa, così che li fosse mantenuto un cappellano con l’obbligo di celebrare quattro Messe la settimana; attualmente ne è cappellano il sac. Giacomo Mosizio di Talamona. Risalendo la Valtellina a un miglio abbondante da Serterio ai piedi del monte c’è Nimabia con circa quindici famiglie sparse, che è sottomesso, come gli altri, alla ricordata chiesa di Talamona.


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La situazione di Talamona nel primo quarto del Seicento viene invece così tratteggiata da don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), nell’opera “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi): “Talamona, terra quale ha 300 fameglie, tra le quali ve ne sono alcune molto nobili. Ha una bella chiesa, ben ornata, piene de reliquie de santi. Questa è prepositurale, creata da Lazaro Carafino, con quattro canonici et un chierico. Verso mattina, vicino alla terra, v'è l'oratorio di S. Carlo con nobile architettura et piazza ampia. Alle radici del monte verso mattina, un miglio e mezzo lontano dalla terra, v'è la chiesa di S. Gerolamo, la quale è canonicale; et nel monte lontano tre miglia, ve n'è un'altra di S. Giorgio, pure canonicale; et un'altra di S. Bernardo tre miglia lontano dalla parocchia già detta, alle radici del monte dove si va alla Valle del Tartano. Tutto il territorio è fertile e abbondante ancora di vino mediocre, grano, frutti, feno; ha monti altissimi per pascoli, per tagliar legnami. Ma d'estate ha l'aria assai cattiva. Il sito di Talamona è tutto chievoso; scorre per quella il fiume chiamato Roncaiolo. Né la parochia è tutta unita, ma è divisa in alcune contrate chiamate Premiana, Dondon e Serterio. Si conserva nel cimitero di Talamona il corpo d'una vergine contadina chiamata Margherita, la quale l'anni passati fu amazzata dalli capelletti per conservare la verginità, come un tesoro et reliquia pretiosissima.”

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Talamona

Nella sua visita pastorale del 27 maggio 1624 il Vescovo di Como Sisto Carcano trova a Talamona una chiesa “ampia, bella”, dotata di sei altari, ed una popolazione di 1800 anime. Nella storia più generale della Valtellina il Seicento fu secolo assai duro, nel quale le ombre sopravanzarono di gran lunga le luci. Un anno, sopra tutti, merita di essere ricordato come funestamente significativo, il 1618: in Europa ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni, nella quale Valtellina e Valchiavenna furono coinvolti come nodi strategici fra Italia e mondo germanico; a Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture; la medesima sera della sua morte, il 5 settembre 1618, dopo venti giorni di pioggia torrenziale, al levarsi della luna, venne giù buona parte del monte Conto, seppellendo le 125 case della ricca e nobile Piuro e le 78 case della contrada Scilano, un evento che suscitò enorme scalpore e commozione in tutta Europa.


Talamona

Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra. Interessante è leggere, a tal proposito, anche quanto scrive Henri duca de Rohan, abilissimo stratega francese nell’ultima parte delle vicende della guerra di Valtellina nel contesto della guerra dei Trent’Anni (1635), nelle sue “Memorie sulla guerra della Valtellina”: “Non si può negare che i magistrati grigioni, tanto nella camera criminale di Tosanna quanto nell’amministrazione della giustizia in Valtellina, abbiano commesso delle ingiustizie capaci di gettare nella disperazione e di spingere alla ribellione contro il proprio sovrano anche i più moderati. Ma bisogna riconoscere che anche i Valtellinesi passarono ogni limite e calpestarono tutte le leggi dell’umanità, essendosi spinti a massacri così crudeli e barbari che le generazioni future non potranno non ricordarli senza orrore. Così la religione è capace di spingere al male uomini che, animati da uno zelo sconsiderato, prendono a pretesto della loro ferocia ciò che dovrebbe essere un fondamento della società umana.”


San Giorgio

Il 22 luglio del 1620, tre giorni dopo lo scoppio della rivolta, uno dei suoi capi, Giovanni Guicciardi, fece liberare dalle carceri di Morbegno il talamonese Gampiero Camozzi, arrestato in quanto sospettato di ribellione. Il successivo 29 agosto la comunità di Talamona venne chiamata ad alloggiare 43 soldati del conte Serbelloni, a capo delle truppe spagnole accorse in aiuto degli insorti. Il successivo 3 ottobre giunse a Talamona il capitano don Rodrigo Lopez con altri nobili compagni. Il 20 novembre del medesimo anno giunse l’ordine di alloggiare la compagnia di 200 fanti del capitano Francesco Bellini. Talamona non poteva chiamarsi fuori dalla bufera che stava per scoppiare, e vi si trovò coinvolta.


Talamona

La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e dalla Valmalenco. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva. La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria e nel gennaio del 1621 fecero la loro comparsa a Talamona, per tre giorni, 100 soldati della fanteria napoletana, mentre il successivo 30 aprile la comunità dovette ospitare la compagnia del capitano Ghellino. Nel 1622 nuovi soldati napoletani e spagnoli vengono ospitati a Talamona. Un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece però nuovamente della valle un teatro di battaglia. Morbegno, dopo l’incendio del 1623, che distrusse un quarto dell’abitato, venne occupata nel 1624 dal francese marchese di Coeuvres, che vi eresse un fortino denominato “Nouvelle France”. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni.


Vigneti di Talamona

Ma la valle godette solo per breve periodo della riguadagnata pace: il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, più di un terzo della popolazione morì per le conseguenze del morbo. Il 1629 Talamona dovette fronteggiare due mali terribili: si affacciò il morbo della peste e ad essa si aggiunge una severa carestia; i due anni successivi la comunità dovette subirne le tragiche conseguenze. Fra il 1630 ed il 1631 morirono a Talamona, per gli stenti e la peste, 650 persone, fra cui 5 sacerdoti. Il 3 maggio 1632 venne deliberata nella comunità di Talamona la “purga generale… brutta e netta”, cioè la disinfezione, ad opera dei monatti (“brutti”, cioè guariti dal contaglio, o “netti”, cioè non ancora contagiati), delle case nelle quali si erano verificati casi di peste.I consoli furono altresì incaricato di allestire di “rastèi”, cioè i posti di blocco sulle tre vie principali di accesso al paese per impedire che forestieri sospetti vi potessero riportare il contagio della peste.


Chiesa del Serterio

Neppure il tempo per riaversi dall'epidemia, e la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali. Il duca, penetrato d'improvviso in Valtellina nella primavera del 1635, con in una serie di battaglie, a Livigno, Mazzo, S. Giacomo di Fraele e Morbegno, sconfisse spagnoli e imperiali venuti a contrastargli il passo. La sua presenza si fece sentire anche in quel di Talamona: qui una grida solennemente affissa il 28 aprile del 1635 intimò a tutti gli abitanti fuggiti sui monti, portando con sé quel che potevano dei loro beni, di tornare al paese e di dichiarare con franchezza il loro patrimonio, per poter sostenere o sforzo bellico dei francesi. Nel periodo successivo Talamona venne chiamata a mantenere 100 cavalieri francesi. Nel 1636 di nuovo nel paese infierì la peste, e di nuovo fu necessario ricorrere all’opera dei monatti.


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Nel 1637 le vicende belliche giunsero ad una decisiva svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle alleanze: i Grigioni, che pretendevano la restituzione di Valtellina e Valchiavenna (mentre i Francesi miravano a farne una base per future operazioni contro il Ducato di Milano), si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio. In quel medesimo 1639 a Talamona si dispose la riesumazione delle ossa dei morti nelle epidemie di peste, sepolti alla bell’e meglio in campi e selve: le loro ossa dovevano essere sepolte nel sagrato della chiesa, e ciascun consigliere doveva curare che ciò venisse fatto nel proprio colondello.


Talamona

Sembra l’atto finale di una quasi ventennale tragedia. Così commenta Ines Busnarda Luzzi, nell’articolo “1620-1639: anni di passione anche per Talamona” (nel Bollettino della Società Storica Valtellinese del 1992):”Attraverso prove di ogni genere – miseria, malattie, violenze – era passato quasi un ventennio da quando le genti della nostra valle, più o meno coscienti, più o meno d’accordo, avevano iniziato, con lo spargimento di sangue di presunti nemici, un movimento di liberazione che non era stata raggiunta. Erano tornate al punto di prima, per prendere atto, con grande delusione e sfiducia, di essere state tradite da quanti, dichiarandosi amici, avevano armato le loro mani e le anime per sfruttare a proprio vantaggio la sete d’indipendenza. I Grigioni tornavano e il loro dominio sarebbe durato ancora per più di un secolo e mezzo, ricalcando i modelli di quello del secolo precedente.”


Luci ed ombre su Talamona

La seconda metà del secolo fu caratterizzata da una graduale ripresa. Nell’economia di Talamona il sistema degli alpeggi (a monte del paese e in Va Tartano) svolgeva un ruolo importante, e da un documento del 1656 apprendiamo che il comune ne aveva ricavato le seguenti somme: 1800 lire dall’alpe Porcile, 400 dall’alpe Gavedo di Dentro, 160 dall’alpe Gavedo di Fuori, 380 dall’alpe Comunello, 480 dall’alpe Budria, 130 dall’alpe Pisello, 280 dall’alpe Postareccio, 100 dall’alpe Olza e Luniga, 130 dall’alpe Madrera e 130 dal Livello Premestino. ed il successivo Settecento furono caratterizzati dall’incremento del flusso migratorio. Significative le note di sintesi che del fenomeno dà Giustino Renato Orsini, nella sua Storia di Morbegno (Sondrio, 1959): “Le condizioni economiche della Valtellina, assai depresse dopo il suo passaggio ai Grigioni (1512) e per il distacco della Lombardia, cominciavano lentamente a risollevarsi per effetto dell'emigrazione. I nostri massicci montanari, pieni di buon volere, lasciavano in piccole frotte 11 loro paesello per recarsi nei luoghi più lontani: i Chiavennaschi a Palermo, a Napoli, a Roma, a Venezia e persino in Francia, a Vienna, nella Germania e nella Polonia: a Napoli i Delebiesi e quelli di Cosio Valtellino; a Napoli, Genova e Livorno quelli di Sacco; pure a Livorno ed Ancona i terrieri di Bema e di Valle; a Venezia quelli di Pedesina; a Verona quelli di Gerola; a Roma, Napoli e Livorno quelli d'Ardenno. Numerosi muratori e costruttori di tetti emigravano in Germania; e i montanari della Valmalenco si spargevano come barulli nei più diversi paesi.”Mazzali e Spini (cfr. op. cit. in bibliografia) scrivono, al proposito: “La corrente migratoria maggiore fu costituita, nel Cinquecento…., da artigiani… Ma a partire dal primo Seicento si aggiunsero muratori, braccianti e perfino gruppi di soldati mercenari. I chiavennesi si indirizzarono soprattutto Roma, Napoli e Palermo, con qualche variante su Venezia.”

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Colpo d'occhio su Talamona dal versante retico

A partire dal Settecento la situazione economica migliorò progressivamente. La ripresa settecentesca non fu, però, priva di arresti e momenti difficili, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709 (passato alla storia come “l’invernone”, “l’inverno del grande freddo”), quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti.
In quel secolo lo storico Francesco Saverio Quadrio così sintetizza la situazione di Talamona: “Talamona, che un picciolo Fiume, detto Rancajuola, bagna, ha le Vicinanze Premiana, Dondona, Serterio, e la Valle del Tarteno, che tutte insieme concorrono a formarne la Comunità. Il Tarteno minaccioso Torrente, che dà il nome alla detta Valle, è il terribil flagello di questa Terra. In detta Valle è poi il Luogo, o Villaggio di Campo. Indi essa Valle in due altre si parte, l'una detta Biorca, e l'altra Zoccata, da l'una, e l'altra delle quali a' Bergamaschi si fa passaggio. Quivi fiorirono i Camucci, i Foccari, i Mazzoni, ec.


Chiesa di S. Maria Nascente a Talamona

Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie nelle due valli crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno. Per meglio comprendere l’insofferenza di valtellinesi e valchiavennaschi, si tenga presente che la popolazione delleTre Leghe, come risulta dal memoriale 1789 al conte di Cobeltzen per la Corte di Vienna, contava circa 75.000 abitanti, mentre la Valtellina, con le contee, superava i 100.000. Fu la bufera napoleonica a risolvere la situazione, con il congedo dei funzionari Grigioni e la fine del loro dominio, nel 1797.


Campanile della chiesa di San Giorgio

Si trattò di una svolta importante, sulla quale il giudizio degli storici è controverso; assai severo è Dario Benetti (cfr. l’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota”, in “Sondrio e il suo territorio”, IntesaBci, Sondrio, 2001), per il quale la dominazione francese rappresentò l’inizio di una crisi senza ritorno, legata alla cancellazione di quei margini di autonomia ed autogoverno riconosciuti durante i tre secoli di pur discutibile e discussa signoria delle Tre Leghe Grigie: ”L’1 aprile 1806 entrò in vigore nelle nostre valli il nuovo codice civile, detto Codice Napoleone, promulgato nel 1804. A partire da questo momento si può dire che cessi, di fatto, l’ambito reale di autonomia delle comunità di villaggio che si poteva identificare negli aboliti statuti di valle. I contadini-pastori continueranno ad avere per lungo tempo una significativa influenza culturale, ma non potranno più recuperare le possibilità di un pur minimo autogoverno istituzionale, soffrendo delle scelte e delle imposizioni di uno Stato e di un potere centralizzati. Già l’annessione alla Repubblica Cisalpina, peraltro alcuni anni prima, il 10 ottobre 1797, dopo un primissimo momento di entusiasmo per la fine del contrastato legame di sudditanza con le Tre Leghe, aveva svelato la durezza del governo francese: esso si rivelò oppressivo e contrario alle radicate tradizioni delle valli; vennero confiscati i beni delle confraternite, furono proibiti i funerali di giorno, fu alzato il prezzo del sale e del pane, si introdusse la leva obbligatoria che portò alla rivolta e al brigantaggio e le tasse si rivelarono ben presto senza paragone con i tributi grigioni. Nel 1798 a centinaia i renitenti alla leva organizzarono veri e propri episodi di guerriglia, diffusi in tutta la valle: gli alberi della libertà furono ovunque abbattuti e sostituiti con croci.. Nel 1797, dunque, la Valtellina e contadi perdono definitivamente le loro autonomie locali, entrano in una drammatica crisi economica e inizia la deriva di una provincializzazione, di una dipendenza dalla pianura metropolitana e di un isolamento culturale e sociale che solo gli anni del secondo dopoguerra hanno cominciato a invertire”.


Prati a monte di Talamona

Per alcuni mesi, dopo il 1797, comunque, rimase in piedi l'ipotesi di un'aggregazione di Valtellina e Valchiavenna come Quarta Lega alla federazione grigiona, cui non erano contrari né Napoleone né Diego Guicciardi, cancelliere di Valle del libero popolo valtellinese. Il sorprendente voto nei comuni delle Tre Leghe Grigie, di cui giunse notizia il primo settembre 1797, chiuse, però, definitivamente questa prospettiva: 24 si espressero contro, 21 a favore, 14 si dichiararono incerti e 4 si astennero. Di conseguenza il 10 ottobre 1797 Napoleone dichiarò Valtellinesi e Valchiavennaschi liberi di unirsi alla Repubblica Cisalpina. Seguì, il 22 ottobre, l'unione della Valtellina e dei Contadi di Bormio e Chiavenna alla Repubblica Cisalpina ed il 28 ottobre la confisca delle proprietà dei Grigioni in Valtellina. Alla Repubblica Cisalpina seguì, nel 1805, il Regno d’Italia. In questo turbolento periodo con l’organizzazione del dipartimento dell’Adda nel regno d’Italia, adottato con decreto dell’8 giugno 1805, il comune di Talamona rientrava nel cantone V di Morbegno, come comune di III classe, e contava 2.657 abitanti. Nel prospetto dei comuni del dipartimento dell’Adda (decreto del 22 dicembre 1807) il comune di Talamona, con 2.546 abitanti totali, figurava composto dalle frazioni di Talamona (1.528), Campo (468) e Tartano (550). Cadde anche Napoleone, lasciando ai posteri il problema di formulare l'ardua sentenza sulla sua vera gloria. Il Congresso di Vienna, nel 1815, anche grazie all'operato della delegazione costituita dal chiavennasco Gerolamo Stampa e dal valtellinese Diego Guicciardi, sancì l'aggregazione del dipartimento dell’Adda al Regno Lombardo-Veneto, sotto il dominio della casa d’Austria.


Serterio

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Il dominio asburgico fu severo ma attento alle esigenze della buona amministrazione e di un’ordinata vita economica, garantita da un importante piano di interventi infrastrutturali. Fra il 1845 ed il 1858 venne scavato un nuovo alveo artificiale per l'Adda tra Berbenno e Ardenno e, nel suo corso inferiore, tra Dubino e il Lario, che pose le basi per la bonifica ed il successivo ricupero agricolo della piana della Selvetta e del piano di Spagna. Venne tracciata la strada principale che percorreva bassa e media Valtellina, fino a Sondrio, poi prolungata fino a Bormio. Venne tracciata la carrozzabile da Colico a Chiavenna, e, fra il 1818 ed il 1822, la strada dello Spluga, la prima grande strada che attraverso le Alpi centrali mettesse in comunicazione la pianura lombarda con la valle del Reno. Tra il 1820 e il 1825 anche Bormio fu allacciata alla valle dell'Adige con l’ardita strada dello Stelvio progettata dall’ingegner Carlo Donegani, che già aveva progettato la via dello Spluga. Nel 1831, infine, fu inaugurata la strada lungo la sponda orientale lariana, da Colico a Lecco, che consentì alla provincia di Sondrio di superare lo storico isolamento rispetto a Milano ed alla pianura lombarda. Agli ultimi anni della dominazione asburgica (1855) risale anche la carozzabile che da Tresenda saliva all'Aprica; la strada fu, poi, prolungata fino a Edolo nei primi anni del nuovo Regno d'Italia, mettendo in comunicazione la valle dell'Adda con la Valcamonica.


Prati a monte di Talamona

Il periodo asburgico fu, però, anche segnato anche da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Anche a Talamona la carestia era stata durissima, anche se mitigata dall'abbondante produzione di patate, introdotte in Valtellina sul finire del Settecento. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855). Anche Talamona venne duramente colpita: l'arciprete Giovan Battista Spini scrisse che "il terribile morbo cholera invase nel mese di luglio questa parrocchia e nello spazio di un mese e mezzo perirono 110." Si aggiunse l'epidemia della crittogama, negli anni cinquanta, che mise in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo, sia di quella stagionale verso Francia e Svizzera, sia di quella spesso definitiva verso le Americhe e l’Australia.
All’unità d’Italia (1861) Talamona (entro il cui territorio comunale rientrava ancora la Val Tartano) contava 2504 abitanti, saliti a 2517 nel 1871, a 2619 nel 1881, a 2723 nel 1901 ed a 2792 nel 1911. La relazione sulla situazione della Provincia di Sondrio voluta dal prefetto Scelsi nel 1866 rileva a Talamona la presenza di 1258 maschi e 1161 femmine, di cui 9 sordomuti e 2 ciechi. Nel centro di Talamona vivevano 1058 abitanti, nelle contrade De Giovanni 173, Caseggio 211, Civo 101, Serterio superiore 138, Serterio inferiore 178, in case sparse 470; in Val di Tartano vivono a Campo 79 persone, in Vallunga 71 ed in Valcurta 42.
Ecco il quadro complessivo:


Chiesa di S. Maria Nascente a Talamona

La seconda metà dell’Ottocento fu un periodo a luci ed ombre. Da una parte venne aperta a Talamona la prima latteria sociale della provincia di Sondrio, la Latteria Valenti, avviata nel 1880 dall'ingegner Clemente Valenti (1842-1895). La Latteria raccoglieva in cooperativa oltre 150 proprietari di bestiame. La qualità dei suoi prodotto caseari è attestata dalle esportazioni in Egitto, Grecia e India e dalla vittoria, nel 1891, della medaglia d'oro «con menzione onorevole» all'Esposizione nazionale di Milano. Dall’altra parte la situazione di cronica depressione economica (che fece coniare l’espressione “Irlanda d’Italia” che il senatore Stefano Jacini applicò alla Provincia di Sondrio in un suo famoso studio) accentò il movimento migratori, rivolto all’estero, cioè a Francia, Svizzera, Australia e Sud America. Nella sola Argentina emigrarono 139 talamonesi.
Anche la natura ci mise del suo: nel 1885 una rovinosa alluvione devastò il conoide del Tartano e provocò ingenti danni. Così ne parla don Giacinto Turazza, autore negli anni Venti del secolo scorso di un documentato studio sulla storia di Talamona: “I fiumi, e specialmente il Tartano, recarono frequenti e gravi rovine. L’Arciprete Ciaponi lasciò scritto che nella notte del 27 settembre 1885, dopo tre giorni di insistenti piogge, nella Val Lunga del Tartano essendo cadute varie frane arrestarono per parecchie ore il corso delle acque; indi irruppero con violenza traendo seco piante e macigni, e sbucando sopra San Bernardo la fiuma si divise in più rami nelle sottostanti praterie che rimasero distrutte per circa la metà del territorio. La strada provinciale e, conseguentemente, la ferrovia, attivata in questo stesso anno, di fronte a Desco rimasero distrutte per oltre 300 metri. Varie famiglie soffersero gravissimi danni e perdite di bestiame. Vi furono anche 5 morti nella famiglia Bulanti.” Altre esondazioni del torrente Tartano si ebbero nel biennio 1903-1904, ed indussero la direzione delle Ferrovie a mutare il corso dei binari scavando la galleria di Desco nel culmine di Dazio. Nel 1911 una nuova disastrosa alluvione portò la furia del torrente Tartano a riempire il conoide allo sbocco della Val Tartano di quel mare di pietre che ancora lo caratterizza. Venne allora distrutta la chiesa di San Bernardo, che si trovava all’imbocco della storica mulattiera di accesso a Campo Tartano da Talamona.


Prati a monte di Talamona

All'inizio del secolo XX Talamona poteva vantare un asilo infantile con 160 bambini, una cassa rurale, una cooperativa agricola, una società operaia ed una sezione sportiva, particolarmente attiva nel gioco delle bocce. Ma di lì a poco la tempesta si sarebbe scatenata sull'intera Europa. Pesante, come per tutti i comuni della provincia, il contributo di vittime che Talamona dovette pagare alla Grande Guerra. Sul monumento ai caduti presso il Municipio di Talamona (opera dello scultore Egidio Gunella di Viggiù, 1864-1934) sono commemorati i seguenti soldati morti nella prima guerra mondiale: Barri Cirillo, Bianchini Donato, Bianchini Giuseppe, Bianchini Lodovico, Bona Giovanni, Bricalli Carlo, Cerri Alberto, Ciaponi Battista, Ciaponi Carlo, Ciaponi Cesare, Ciaponi Costante, Ciaponi Giacomo, Ciaponi Serafino, Colombini Gino, Colombini Luigi, Del Nero Domenico, Ducca Erminio, Ducca Lazzaro, Ducca Michele, Gavazzi Carlo, Gavazzi Giacomo, Gavazzi Giovanni, Libera Giacomo, Libera Giuseppe, Paniga Pietro, Pasina Vittore, Perlini Battista, Perlini Giuseppe, Perlini Lodovico, Petrelli Angelo, Petrelli Ernesto, Pirola Guido, Raitelli Carlo, Riva Giovanni Battista, Simonetta Fedele, Simonetta Giovanni, Simonetta Lino, Spini Olimpio, Tedoldi Giacomo, Tedoldi Luigi, Tirinzoni Francesco, Tirinzoni Giuseppe, Vairetti Enea, Valenti Cesare, Valenti Cesare, Vola Antonio, Vola Luigi e Zuccalli Battista. Sono anche commemorati i caduti su altri fronti: Angelini Santo, Valenti Assuero e Zuccalli Emilio.

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Prati a monte di Talamona

Ecco lo spaccato che di Talamona, del suo patrimonio culturale e della sua storia ci offre, nel 1928, Ercole Bassi, in “La Valtellina – Guida illustrata”:
Talamona (m. 285 - ab. 3052) P. T. - Albergo Frangi - due latterie (Valenti e Contrada Coseggio) - coop. agr. di cons., cassa rur., coop. di lavoro "Risorgimento", mutua assicur. bestiame; altra contro gli incendi - assoc. Unione agric. Talamonese con circ. - soc. elettr. - corpo music. - soc. filodramm. - circ. vinic. - ferm. ferr. - luce elett. - osterie - vi si fabbricano utensili domestici ed agricoli; vi sono telai a mano e una piccola fonderia per campanelli - casa di ricov. - asilo infantile.
Talamona è patria del pittore
Giovanni Gavazzeni, che fece studi regolari presso l'Acc. Carrara di Bergamo, frescante e ritrattista, morto settantenne il 29 novembre 1907, che riempì, delle sue bellepitture la Bassa e Media Valtellina. La sua modestia, pari alla bravura, gli ha impedito diemergere comemeritava, in mezzo a molti altri che vanno per la maggiore. Per la grazia e vivezza di espressione e di colorito, per la bontà e perizia della composizione, per la perfezione del disegno e la freschezza dell'esecuzione sarebbe meritevole di uno deimigliori posti fra i pittori italiani contemporanei. Nella piccola cappella della sua casa si trova la sua tela con la Tappa della Sacra Famiglia in viaggio per l'Egitto, che basta a dare un saggio della sua valentia. Nel camposanto trovasi una sua pregevole lunetta nella cappella Valenti. Nello studio, tra molti interessanti abbozzi a colori e a carbone, lasciò il disegno di una soavissima M. col B. e copiosa messe di studi dal vero, per lo più a matita, ammirevoli per la freschezza e la perfezione del tratto; un'abbozzo di P. Ligari colla Sacra Famiglia e due tele deperite, attribuite a Vittoria Ligari. Da un suo manoscritto furono tolte molte notizie riguardanti i pittori valtellinesi. A Talamona sono nati anche il pitt. Gerolamo Mazzoni, della primametà del 400, che lasciò molti pregiati dipinti di maniera bizantino-giottesca nella scuola di S. Clara, e in altre chiese diVenezia; e Gaspare Cotta, pittore del 700, che studiò a Bologna alla scuola di Guido Reni, di cui vi sono trenta lodevoli medaglie nella chiesa, e altri dipinti in diverse chiese e cappelle del mandamento. Secondo gli storici Saverio Quadrio e Bardea, nacque all'ala marra nel 495 di C., Esusperanzio vescovo di Como. Vi nacque l'arciprete Tommaso Valenti, morto sullo scorcio del XIX, secolo, studioso di cose storiche ed artistiche, che scrisse un opuscolo interessante sulle «Antichità Bormiesi».


Chiesa del Serterio

Talamona possiede non poche pitture di pregio. Nell'interno della parrocchiale, che pare esistesse sinodal VII° secolo, e che si separò da quella di S. Martino di Morbegno sino dal 1375, ricostruita e ampliata nel 1521, sono di C. Valorsa due buoni dipinti murali, e quattro tempere. Il primo è un bellissimo affresco nel primo altare a d. e rappresenta la V. col E., S. Rocco, S. Sebastiano, S. Antonio e un santo Domenicano; il secondo, nascosto dalla mediocre tela del Crocefisso del Cotta, un po' monco nellaparte inferiore, ma ben conservato, porta la V., il B. S. Pietro Martire e S. Marta. Il Monti li ritiene anteriori al 1562, epoca della morte di G. P. Mazzoni, gentiluomo del luogo, che si ritiene li facesse eseguire. Le quattro tempere, rappresentano due miracoli di S. Gio. Apostolo, l'Eremo di Patmos e il Martirio del Santo. Le figure sono piccole, la fattura buona; gusto un po' del 400 e cioè della prima maniera del Valorsa. Interessanti affreschi del 700 sono dipinti sulla volta del coro. Buoni quadri del 600 si trovano nella sagrestia e nell'oratorio dietro la chiesa, sopra la porta del quale vi è pure un bellissimo affresco, protetto dagrata, di G. P. Romegialli. La chiesa possiede un ricco paramento di velluto rosso, una croce d'argento del 500, un calice d'argento massiccio, un ostensorio del 700, piviale e pianeta con ricami del 500, palliotto e tappeto, oggetti provenienti in gran parte dalla ex-chiesa di S. Antonio diMorbegno. Sulla parete sud della chiesa, verso la piazza, vi è un affresco di gran valore con M. V. e il B., già erroneamente attribuito a Fermo Stella…


Talamona

L'oratorio di S. Domenico in Erbosto, annesso allacasa Mazzoni del 400, poi Simonetta, contiene dipinti del Gavazzeni. Una cappelletta in contrada Torre ha una pittura del 400 con la M. e S. Antonio. Al centro del paese, all'esterno di una casa vi è un affresco del Cotta. P attribuibile al Valorsa l'affresco con M. V. e il B. fra S. Antonio e S. Rocco all'esterno della casa Simonetta in contrada Coseggio. Della maniera del Valorsa è un altro affresco con M. V., il B., S. Gerolamo e S. Giorgio alle case Bulanti. Nel 1913, negli scavi per la casa di Giac. Cerri, sirinvenne una lama di bronzo, che fu consegnata al museo archeologico di Milano. Nell'ingrandimento del cimitero, fatto nel 1881, si trovò un'anfora che andò perduta (Riv. Archeol. di Como, 1919). Il già lodato don Turrazza afferma che si rinvennero altri vasi, armi e freccie di una necropoli etrusca. Sopra Talamona, nella chiesetta di S. Giorgio, vi sono una scadente cena di Francesco De Guaitis da Como e una M. di Abbondio Banda da Domaso, con la data del 1554. La pregevole tela, con la Vergine, il Bambino, S. Giorgio e S. Adalberto, è del pittore Carlo Buzzi del 1601. Vicino a S. Giorgio, a Primiana (m. 750), è dipinta all'esterno di una casa una leggiadra M. col B., dal Monti e da molti altri attribuita aGaudenzio Ferrari, ma più di recente e con maggior ragione dall'ing.Giussani a Cipriano Valorsa di Grósio.”


Talamona

Nel periodo fra le due guerre la popolazione passò da 3052 abitanti nel 1921 a 3038 nel 1931 ed a 2931 nel 1936 (decrescita legata all'emigrazione). La Seconda Guerra Mondiale, con le sue tragedie, non risparmiò Talamona. Caddero i soldati Angelini Enrico, Barri Costante, Barri Fermo, Bertolini Aldo, Bertolini Costante, Bona Giuseppe, Borla Alfredo, Bulanti Mario, Cerri Alberto, Cerri Genesio, Colombini Giuseppe, Colombini Quirino, Colombini Secondo, Colombini Tersilio, Cucchi Domenico, Duca Erminio, Duca Raimondo, Fogliadini Riccardo, Gavazzi Luigi, Gavazzi Roberto, Gusmeroli Riccardo, Gusmeroli Sergio, Luzzi Celso, Luzzi Ermete, Pasina Ernesto, Pasina Gerolamo, Pasina Jafet, Perlini Giovanni, Petrelli Raimondo, Raitelli Antonio, Raitelli Giovanni, Riva Gino, Simonetta Aldo, Spinetti Italo, Spinetti Tullio, Spinetti Venanzio, Spini Umberto, Spini Vittorio, Strigiotti Massimo, Tarabini Enrico, Tirinzoni Carlo, Tirinzoni Damiano, Tirinzoni Giovanni, Vairetti Tersillo, Valenti Emanuele, Vola Ernesto, Vola Giuseppe e Zuccalli Attilio. Sono, infine, commemorati i caduti su altri fronti Fieramonte Ercole, Fondrini Beniamino, Luzzi Augusto, Marioli Bruno, Mezzera Pasquale, Pasina Gustavo, Petrelli Ettore e Petrelli Giorgio.
Nel secondo dopoguerra la popolazione passò da 3150 abitanti nel 1951 a 3578 nel 1961, 3789 nel 1971, 4057 nel 1981, 4261 nel 1991, 4506 nel 2001 e 4768 nel 2011. La fisionomia dell’economia talamonese mutò progressivamente, ed il settore industriale vi assunse un peso sempre maggiore. Oggi il paese conserva un felice equilibrio fra l’apertura alla modernità e la volontà tenace di conservare le radici di un passato sentito come elemento essenziale della propria identità.


Apri qui una panoramica sulla bassa Valtellina e su Talamona (primo paese a sinistra)

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BIBLIOGRAFIA

Gusmeroli Duca Palmira (a cura di), "Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi - Talamona ", edito dalla Società Storica Valtellinese nel 1971

Turazza, don Giacinto, "Talamona, notizie documentate di storia civile e religiosa", Sondrio, 1920, rist. an. 1990

Busnarda Luzzi, Ines, "1620-1639: anni di passione anche per Talamona", in Bollettino della Società Storica Valtellinese, 1992

Bulanti, A., "Ul talamùn. Vocabolario talamonese", edito da «I Soci dè la Cruscö dè Talamuno», Sondrio s.d

Larraburu, Daniela, "Talamonesi nel mondo : trenta giorni di nave a vapore", edito dal Comune di Talamona (Sondrio, Polaris, 2008)

AA. VV. (a cura di Guido Combi), "Alpi Orobie Valtellinesi, montagne da conoscere", Fondazione Luigi Bombardieri, Bonazzi, Sondrio, 2011

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