Dopo
una tappa così massacrante, ci attende una giornata che ci farà
versare ancora sudore, ma che comporterà una fatica minore.
La quinta tappa prevede, infatti, un dislivello in salita abbastanza limitato
(580 metri circa, a fronte dei circa 1550 del giorno precedente), anche
se si debbono compiere tratti considerevoli in discesa.
Meta è la croce G.A.M., cioè la croce del Gruppo
Aquile di Morbegno, è stata posata nel 1982 sulla cima quotata
IGM 2585, sul crinale fra Costiera dei Cech e Valle dei Ratti, ad ovest
della cima di Malvedello (m. 2640, massima elevazione del lungo crinale)
e ad est del monte Sciesa (m. 2487). La croce è dedicata agli alpinisti
morbegnesi, ed in particolare a Nandino Bottani. La quota 2585 è
posta sull’angolo di nord-ovest dell’ampio circo dell’alpe
Visogno, mentre sul lato opposto (nord-est), a quota 2575, si trova il
passo di Visogno, importante porta di accesso all’alta Valle dei
Ratti.
Scendiamo dal bivacco Bottani-Cornaggia all'alpe Visogno (il sentiero,
poco evidente ma segnalato, effettua una diagonale verso destra, cioè
sud ovest, per poi piegare leggermente a sinistra), lasciamo alle nostre
spalle le due baite e, raggiunto il limite inferiore del pianoro, deviamo
a destra, seguendo qualche raro segnavia; superiamo poi un valloncello,
portandoci ai piedi dell'evidente crinale che separa l'alpe dall'alta
valle di San Giovanni.
Possiamo distinguere facilmente
la prima meta, i Tre Cornini (chiamati anche Tre Frati), cioè i tre grandi massi erratici
che si trovano, quasi sospesi, proprio nel punto in cui il crinale aumenta
la sua pendenza verso valle. Per evitare faticose salite a vista, cerchiamo
i segnavia che ci indicano una traccia di sentiero che giunge proprio
ai piedi del Cornino orientale (m. 2021).
Finora abbiamo incontrato molta storia, molta cultura e molta natura.
Manca all'appello il mito. Eccolo. Questi tre grandi massi (che in realtà
sono conglomerati di massi più piccoli) ci riportano ad una dimensione
mitica, nella quale giganti, titani o altri esseri di ciclopiche dimensioni
si sono scontrati in epiche battaglie. L'atmosfera di questo luogo ha,
infatti, qualcosa di grandioso: i Tre Cornini sembrano vegliare, o forse
incombere sulla bassa Valtellina, come un segno arcano che è difficile
decifrare.
Sono come un interrogativo fatto
pietra, un enigma che non ci si stanca di cercare di decifrare, ma che
non trova risposta.
Apri qui una fotomappa degli alti bacini di Visogno e Toate
E allora bisognerà proseguire,
rimanendo sul crinale guadagnato e puntando verso nord, cioè verso
quella croce del Gruppo Aquile di Morbegno che costituisce la meta della
quinta giornata.
Superbo
il panorama, dal gruppo dell’Adamello, lontano, sul fondo, alla
nostra sinistra, al monte Legnone ed all’alto Lario, alla nostra
destra. Dopo aver meditato sul significato dell’incontro con i Tre
Cornini, rimettiamoci in cammino, verso nord, seguendo il sentierino che
percorre il facile crinale erboso (appoggiandosi, in alcuni tratti, all’uno
o all’altro versante). Davanti a noi, due grandi gobbe, prima che
il crinale muoia contro il versante montuoso. Incontriamo, salendo, anche
un quarto e più modesto cornino, prima di raggiungere, nel pianoro
di quota 2117, un cartello che segnala un trivio: a nord il sentiero che
punta alla croce G.A.M.; ad est, cioè a destra, un sentiero che
taglia, in leggera discesa, il fianco del crinale e si congiunge con quello
che sale dall'alpe Visogno al bivacco Bottani-Cornaggia; ad ovest, infine,
una labile e difficile traccia di sentiero che percorre l'alta Costiera,
fra la quota 2200 e la quota 2000, fino all'Oratorio dei Sette Fratelli.
Diciamo subito che quest'ultima opzione è sconsigliabile: la traccia
si perde con troppa facilità ed oltretutto taglia valloni molto
esposti.
Proseguiamo dunque verso nord,
con una pendenza che si fa via via più severa, mentre la traccia
si fa meno visibile, tanto che nel tratto più ripido non è
facile seguirla (i segnavia non abbondano).
Proseguiamo
dunque verso nord, fino al punto nel quale si ha una brusca impennata
del crinale, che si fa assai ripido. La traccia tende a perdersi, ed i
pochi segnavia non ci sono di troppo aiuto. Dopo un primo tratto nel quale
procediamo tendendo leggermente a destra, comunque, cominciamo a portarci
verso sinistra. Al termine del crinale, vediamo il bordo di una grande
ganda. Il sentiero, però, non lo raggiunge, ma rimane appena sotto
il suo limite, proseguendo verso sinistra, fino al piede di un nuovo e
più imponente crinale, che sale fino allo spartiacque Costiera
dei Cech-Valle dei Ratti.
Inizia, ora, una serie di aspettative erronee. Ci aspetteremmo di dover
salire lungo questo crinale. Invece i segnavia volgono a destra e ne tagliano
la parte bassa del fianco, segnalando un sentierino che rimane un po’
rialzato rispetto alla grande conca di sfasciumi di quota 2344, che ci
stende alla nostra destra. Non dovremmo perdere questa traccia, ma, in
ogni caso, teniamo presente che taglia il versante erboso a monte della
conca, a nord-ovest, e conduce ai piedi di un primo canalone erboso, che
scende dallo spartiacque.
Proseguendo in diagonale, la traccia, sempre segnalata dai non abbondanti
e sbiaditi segnavia rosso-bianco-rossi, ci porta ai piedi di un grande
sperone di granito che delimita, sulla destra, il canalone. Osservando
con attenzione, avremo la netta impressione che prosegua nella sua diagonale
passando a valle dello sperone; invece un segnavia sulla sua parte bassa
ci indica che dobbiamo piegare
a sinistra e salire lungo il canalone. Salendo, abbiamo modo di osservare
che questo, più in alto, si divide in due canalini erboso gemelli,
ripidi ma, almeno all’apparenza, praticabili, per cui ci aspettiamo
di dover salire di lì.
Altro errore: dopo il primo tratto di salita, i segnavia ci portano sulla
destra, ad una bocchettina erbosa che si apre nella roccia, una specie
di porta sorvegliata, sulla destra, da una curiosa formazione rocciosa,
che sembra una fiamma di granito (ricordiamoci di essa, nella discesa).
Ci affacciamo, così, ad un canalone gemello, dove la traccia di
sentiero prosegue nella salita con una prima diagonale a destra, che ci
porta sotto un’altra porta nella roccia, per poi piegare a sinistra.
È questo il punto di maggiore difficoltà, perché
la pendenza è notevole, l’erba (detta paiùsa) è
quella tipica a queste quote, resistente, se afferrata, ma insidiosissima
perché scivolosa.
Superiamo, zigzagando, questo tratto erto, e giungiamo in vista dello
spartiacque erboso terminale. La pendenza si attenua un po’, per
cui l’ultimo tratto della salita è più tranquillo.
Nelle soste, memorizziamo, però, bene le formazioni rocciose sotto
di noi, per evitare problematiche discese a vista nel ritorno. Ci aspettiamo,
ora, di salire diritti fino al crinale erboso, ed invece, poco sotto il
crinale, la traccia di sentiero piega decisamente a sinistra, effettuando
un breve traverso che ci porta proprio sotto la croce.
Alla fine la vediamo, pochi metri più in alto rispetto a noi, sulla
nostra destra, e raggiungiamo i 2585 metri della cima della Croce GAM (ben poco pronunciata,
per la verità, dal momento che il crinale è, in questo punto,
quasi piatto. Dall'altra parte, una visione superba, intensamente emozionante:
improvvisa e sorprendente, l'intera testata della val dei Ratti si apre
di fronte al nostro sguardo. Di eccezionale valore il panorama, anche se la cima di Malvedello
e la cima del Desenigo, a nord-est, nascondono alla vista il gruppo del
Masino. A nord, dunque, in primo piano, la testata della Valle dei Ratti,
delimitata, a sinistra, dall’affilato e facilmente riconoscibile
Sasso Manduino (m. 2888), seguita, a destra, dalla punta Magnaghi (m.
2871), dalle cime di gavazzo (m. 2920 e 2895) e, proprio al centro, dall’arrotondato
e poco pronunciato pizzo Ligoncio (m. 3032). Più a destra ancora,
i pizzi della Vedretta (m. 2907) e Ratti (m. 2919), ed il monte Spluga,
o cima del Calvo (sciöma del munt Splügam. 2967), alla cui destra si intravede uno spicchio
appena della Val Ligoncio, in Val Masino. Vorremmo vedere di più,
ma l’impressionante (vista da qui) cima di Malvedello (m. 2640),
che mostra un vertiginoso salto roccioso sulla Valle dei Ratti, ce lo
impedisce. Alla sua destra, la quota 2676 e la cima del Desenigo (m. 2845),
che scende, a destra, alla depressione del passo del Colino (m. 2630),
dietro la quale si vede solo una piccola porzione del crinale che scende
verso sud-est dal monte Disgrazia (m. 3678).
Si vedono bene invece, procedendo verso destra, i Corni Bruciati (m. 3097
e 3114). Alle loro spalle, uno scorcio di Valmalenco, con il pizzo Scalino
e la punta Painale. Più lontano ancora, appena distinguibile, il pizzo Combolo, alle porte della Val Fontana. Poi lo sguardo si perde,
ad est, nella vaga lontananza del gruppo dell’Adamello. Segue, a
sud-est, la catena orobica: solo lo sguardo esperto vi distingue i tre
“Tremila”, vale a dire i pizzi di Scais, Redorta e Coca; alla
loro destra, riconoscibile per la regolare forma conica, il pizzo del
Diavolo di Tenda. Ancora più a destra, ecco un bello spaccato della Val Tartano. Ma sono le Valli del Bitto di Albaredo e di Gerola a mostrarsi
in primo piano, ed in tutta la loro bellezza, a sud. Si vede quasi interamente,
a sud-ovest, anche la Val Lésina, con il monte Legnone a fare da
gendarme sul suo limite occidentale.
Proseguendo verso ovest, a destra della sottile punta del Legnoncino,
ecco un bello scorcio dell’alto Lario e delle cime della Mesolcina.
Alle loro spalle, in una lontananza appena afferrabile, il gruppo del
Monte Rosa. Ad ovest e nord-ovest, infine, vediamo la bassa Valchiavenna,
che propone la serrata teoria delle valli del suo versante occidentale.
Chiudiamo con un’avvertenza: incamminandoci sulla via del ritorno,
ricordiamoci di prendere a sinistra, fino al masso con un segnavia che
segnala il punto in cui piegare a destra ed iniziare la ripida discesa.
Ecco, in sintesi, le tappe di
questa discesa. Torniamo al limite inferiore dell'alpe Visogno, dove troviamo
il cartello che indica il bivacco Bottani-Cornaggia. Seguiamo il sentiero
che scende verso sinistra, superando un ampio vallone e raggiungendo un
piccolo pianoro. Attraversata verso destra il pianoro, il sentiero riprende
a scendere, in una sorta di cimitero di alberi, dove si vedono molti scheletri
di tronchi bruciati da un incendio; la discesa, che tende leggermente
a destra, conduce, superato un piccolo corso d'acqua, al limite superiore
del Pra' Sücc (la cui denominazione, che significa prato asciutto,
è una conferma dell'aridità di questi luoghi). Dal limite
inferiore occidentale (destro) dei prati il sentiero riprende, effettuando
prima una lunga traversata verso sinistra, poi scendendo con ripidi tornanti
in un bel bosco, che termina poco distante dalla chiesetta di Poira. Da
Poira scendiamo poi a Roncaglia e proseguiamo verso Serone, abbandonando
però la strada asfaltata per deviare a destra in corrispondenza
della strada sterrata che già abbiamo percorso in senso contrario
il primo giorno e che ci porta a Civo, da cui, in breve, scendiamo a Mello,
dove possiamo pernottare, dopo sei-sette ore di cammino (alberghi Miramonti
-via Pozzo 22, tel.: 0342 652182- e Baraglia -via Bondo 70, tel.: 0342
652112). Ecco anche due possibili varianti. La prima e più ovvia
è questa: se ci siamo portati con l'automobile a Poira, la useremo
anche per scendere a Mello. La seconda è la seguente: da Poira
di Civo ci portiamo, seguendo un sentiero che parte dal limite occidentale
della piana e prosegue pianeggiante, a Poira di Mello, o Poira di Fuori;
dal limite sud-orientale del maggengo parte una carrozzabile che scende
a Mello.
Panorama dalla Croce GAM