Apri qui una galleria di immagini; Carta del percorso; Variante per il Tracciolino

1. Dascio-Codera

2. Codera-Frasnedo

3. Frasnedo--Rifugio Omio

4. Rifugio Omio-S. Martino

5. S. Martino-Rifugio Scotti

6. Rifugio Scotti-Rifugio Bosio


Frasnedo

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Codera-Vallone di Revelaso-Forcella di Frasnedo-Frasnedo
6 h
900
EE
Codera-Cola-San Giorgio di Cola-Vallone di Revelaso-Forcella di Frasnedo-Frasnedo
8 h
1200
EE
SINTESI. Partiamo da Codera e ad un bivio segnalato lasciamo il Sentiero Roma che prosegue verso la media Val Codera e scendiamo verso destra su un sentierino che scende al ponte sul torrente Codera, oltrepassato il quale incontriamo un bivio e prendiamo a destra, raggiungendo ben presto il ponte sul torrente della Val Ladrogno. Poi troviamo un secondo bivio, al quale prendiamo di nuovo a destra e lasciando alla nostra sinistra le indicazioni per il bivacco Castorate-Sempione. Attraversato un più tranquillo bosco di castagni, saliamo alle baite di Cii (m. 851). Il sentiero torna a salire in un bosco più rado, sembra farsi meno evidente, ed alla fine si congiunge con il Tracciolino (m. 910), il lungo tracciato in piano dalla Val Codera alla Valle dei Ratti. Seguendolo verso destra, valichiamo il solco della Val Grande, entrando poi in un bel bosco, sul grande dosso di Cola. Qui il tracciolino viene tagliato da un sentiero che, percorso in salita, conduce a Cola, mentre percorso in discesa porta a San Giorgio di Cola. Se non ci interessano questi fuori-programma (che comportano un paio di ore agguntive di cammino) ignoriamo le deviazioni e proseguiamo sul Tracciolino, che si porta al solco del Vallone di Revelaso. Qui giunti lasciamo il Tracciolino ed iniziamo a salire sul sentiero che, tagliando il fianco meridionale (di destra, per noi) dell’aspro vallone di Revelaso ci porta alla forcella (o forcola) di Frasnedo. Cominciamo a salire, in un bosco di betulle, (segnavia bianco-rossi), superando un valloncello e raggiungendo una prima baita solitaria (località Alla Valle, m. 1051). Procedendo in direzione est, il sentiero aggira una formazione rocciosa (il tratto è attrezzato da corde fisse ed allargato con dei tronchi), che precede un secondo e più marcato vallone. I tratti esposti della discesa nel vallone e della successiva risalita sono anch’essi protetti da corde fisse. Proseguiamo fino ad incontrare una radura con due nuove baite, quasi nascoste nel cuore del bosco (m. 1192). Attraversiamo, nella successiva salita, una bella pineta, con diversi tornanti, fino a raggiungere il limite inferiore dell’ultimo e più aspro tratto, dove la pendenza si fa più accentuata e la traccia più debole. Il sentiero, ora, serpeggia fra l’erba. Cominciamo ad intuire ed intravedere la meta, costituita dalla sella posta sulla verticale della direttrice di salita. L’ultimo tratto della salita, fra radi larici, è anche il più faticoso, perché la pendenza si fa davvero notevole. Ed alla fine siamo alla sospirata forcella di Frasnedo (m. 1662), dove troviamo il cartello giallo del Sentiero Life. Nel primo tratto di discesa in Vallle di Ratti effettuiamo un lungo traverso a destra, restando poco al di sotto del crinale ed attraversando un corpo franoso, poi entriamo in un bel bosco, intervallato da amene radure. Il sentiero comincia a scendere, rimanendo approssimativamente sul crinale fra Valle dei Ratti e Vallone di Revelaso, in direzione sud-ovest. Poi, appena prima di una bella radura panoramica, sul tronco di un grande faggio troviamo una ben visibile freccia che segnala il cambiamento di direzione, verso sinistra. Una seconda segnalazione di deviazione si trova, sempre in bella evidenza, su un masso. Inizia una discesa più decisa, che termina alla parte alta di Frasnedo. Due i sentieri praticabili e segnalati dai segnavia bianco-rossi. Suggerisco quello che sta più a destra, leggermente più in basso: lo si trova scendendo per un tratto quasi in diagonale verso sinistra (qui la traccia di sentiero è piuttosto incerta), fino a trovare, aiutati dai segnavia, un sentiero marcato, che prosegue scendendo verso sinistra. Su un masso troviamo anche il rassicurante quadratino azzurro con il logo del progetto Life. Poco sotto, passiamo a valle di uno splendido bosco di radi larici, che lasciano filtrare abbondante la luce del sole che si stende, con un effetto di rara suggestione, su un tappeto di felci. Difficile trattenere la tentazione di fermarsi e guardare. Poi, superata una piccola radura, affrontiamo l’ultimo tratto, che ci porta a monte delle case più alte di Frasnedo, appena sopra la chiesetta dedicata alla Madonna delle Nevi (m. 1287). Sul limite settentrionale del paese si trova il rifugio Frasnedo.


Apri qui una fotomappa del Tracciolino

Dal punto di vista dell’altimetria e dello sviluppo, la seconda tappa del Sentiero Life, da Codera a Frasnedo, è analoga alla prima. Dal punto di vista dell’impegno complessivo, invece, la si deve considerare più dura, sia per la maggiore altezza media, sia per la natura del terreno nel quale si articola.
Per questo in coda viene proposta una variante che evita la Forcella di Frasnedo (considerato che il sentierino che vi sale tende a chiudersi se non pulito periodicamente) e propone la traversta integrale sull'affascinante Tracciolino. Una variante più lunga nello sviluppo lineare, ma meno impegnativa in quello altimetrico.
Prima di raccontarla, però, qualche ultimo pensiero su Codera, un paese che ha saputo conservare la sua identità, anche se dell’intensa vita contadina del passato (si pensi che a metà del Seicento vivevano stabilmente qui circa 400 persone) è rimasta solo una modesta, ma tenace traccia.
È il pensiero che ci accompagna mentre lasciamo le sue case, per iniziare, con questa seconda tappa, una traversata per molti aspetti unica, quella che conduce dalla Val Codera (da "cotaria" e quindi da "cote", cioè masso) alla Valle dei Ratti, traversata che, nel primo tratto, sfrutta un sentiero che attraversa valloni e dirupi, mantenendosi
costantemente su una quota di poco superiore ai 900 metri. Si tratta del Tracciolino (o trecciolino), incredibile tracciato scavato, negli anni Trenta del secolo scorso, in gran parte nella viva roccia, fra dirupi di impressionante vertigine ed ardite gallerie. Esso aveva la finalità di congiungere, mediante un trenino a scartamento ridotto, le opere idroelettriche della Valle dei Ratti e della Val Codera. Il tracciato, con oltre 12 km di sviluppo, congiunge, infatti, la diga della Val Codera, sopra Codera, con la diga Sondel di Moledana (dalla voce milanese "moeula", mola), in Valle dei Ratti.
Partiamo, dunque, da Codera. Poco oltre l'Osteria Alpina, proseguendo verso l'interno della valle, sulla destra, troviamo un bivio: prendendo a destra (segnalazioni per San Giorgio ed il Sentiero Life delle Alpi Retiche) scendiamo, con pochi tornanti, al ponte sul torrente Codera (Punt de la Muta, m. 769), piccolo capolavoro d’ingegneria, sospeso su quaranta metri di vuoto. Subito dopo il ponte si incontra un bivio al quale si procede diritti (ignorando la deviazione di sinistra che sale nel bosco), raggiungendo ben presto l’impressionante forra terminale della val Ladrogno Val Mala), valicata da un secondo e non meno ardito ponte, il Punt de la Val Mala (m. 765), anch'esso costruito in pietra nel Settecento

Il Punt de la Val Mala

Proseguiamo diritti ignorando una deviazione a sinistra (si tratta del sentiero che sale in Val Ladrogno ed al bivacco Casorate Sempione) e passiamo poi accanto ad un grande castagno che protende i suoi rami sul sentiero. Non è un castagno qualsiasi, ma è “l’èrbul di mort”, il castagno dei morti, perché le sue castagne venivano vendute per offrire il ricavato ai defunti. Portar via quelle castagne per sé era considerato quasi un sacrilegio. Superati un tratto fangoso e due vallecole, passiamo accanto alla croce collocata in memoria di Attilio Colzada (Tìlu), uno degli ultimi abitanti di Cii e posatore di lastre di pietra, che morì scivolando dal sentiero proprio in questo punto mentre tornava a casa da Codera. Proseguendo nel bosco di castagni dopo un ultimo strappo usciamo ai prati di Cii (m. 851), e precisamente al primo dei suoi quattro nuclei, Cà di Piatt.


Cii

Si tratta di uno dei più singolari nuclei della Val Chiavenna, l’unico della Val Codera a non avere neppure un fazzoletto di prato in piano. Per quanto piccolo, è diviso in quattro nuclei. Ci accolgono una fontana ed uno splendido colpo d’occhio sul lago di Mezzola e l’alto Lario.
Nella già citata statistica del Prefetto Scelsi del 1866 a Cii risultavano residenti 49 persone (26 maschi e 23 femmine), in 9 famiglie. Le case complessive erano 14, 9 abitate e 5 vuote.


Il lago di Mezzola visto da Cii

Oltre Cii, il sentiero prosegue nella salita, con traccia meno evidente, ma non lo si può perdere: alla fine si congiunge con il Tracciolino, che, con un tracciato pungo più di dieci chilometri, spesso intagliato nella viva roccia, unisce la Val Codera alla Val dei Ratti, partendo dalla presa d’acqua della Sondel poco sopra Codera e raggiungendo la diga di Moledana, sotto Càsten.
Il Tracciolino valica il vallone della Val Grande (Val di Curbiùm), entrando poi in un bel bosco, sul grande dosso di Cola (voce dialettale che significa colle, vetta). Superato l'edificio che fungeva da mensa per gli operai che lavoravano al Tracciolino, vediamo, sulla sinistra (scritta "Cola" in bianco su fondo rosso, segnavia rosso-bianco-rossi), la partenza del sentiero che conduce a Cola (m. 1018). Se possiamo mettere in conto un'oretta in più di cammino, vale la pena di lasciare temporaneamente il Tracciolino per salire all’abitato di Cola, dove, eccezion fatta per i mesi estivi, il silenzio è rotto solo dallo scampanìo delle capre. Il dosso termina alle pendici rocciose che salgono alla punta Redescala (m. 2304), che nasconde il Sasso Manduino.


Baite di Cola

Una manciata di baite ben curate, la piccola graziosa chiesetta dedicata a S. Antonio Abate ed alla Visitazione, due belle fontane con ampie vasche ricavate da grandi blocchi di granito (quella sotto la chiesa è chiamata "Pisa di Sant"), un'ampia fascia di prati dominio incontrastato delle capre, con un maestoso faggio solitario come nume tutelare, un panorama eccellente sul lago di Mezzola e l'alto Lario, qualche arnia con le api che producono un eccellente miele di montagna, tutto questo è Cola. D'estate si anima delle voci dei villeggianti che vi ritrovano le radici più profonde, poi, per molti mesi, regna un silenzio che non è malinconia, ma respiro profondo di un tempo che qui accenna appena a scorrere.
Diversa la situazione nei tempi passati, quando Cola era, insieme a San Giorgio (o Cola Inferiore) uno dei cinque cantoni del comune denominato, dal secolo XII al XVI, Lezzeno superiore, successivamente Novate (i cinque cantoni erano Novate, Codera, Cola con San Giorgio, Campo e Verceia con la Valle dei Ratti). Ogni cantone del comune gestiva autonomamente la propria economia tramite un consiglio. I parroci erano eletti autonomamente dai cantoni e ricevevano solo successivamente il placet del vescovo di Como. Nella già citata statistica del Prefetto Scelsi del 1866 a Cii risultavano residenti 10 persone (4 maschi e 6 femmine), in 2 famiglie. Le case complessive erano 13, 2 abitate e 11 vuote.


La chiesetta di S. Antonio a Cola

La chiesetta appare dimessa, ma riveste più di un motivo di interesse. Decorata nel 1674 grazie ai contributi degli emigranti di Roma, ha una sola navata ed ospita affreschi del celebre pittore G.B. Macolino il giovane, con scene della vita di Gesù e santi. Le due campane che oggi sono mestamente appoggiate sul campaniletto appena accennato non sono meno interessanti. Una, in particolare, è la più antica della Valchiavenna e risale al secolo XV, come attesta la scritta "Battista Cuanta Comensis 1486".


Lago di Mezzola ed alto Lario visti da Cola

Torniamo poi al Tracciolino. Possiamo ora decidere per un eventuale secondo fuori-programma, la visita a San Giorgio di Cola. In tal caso, invece di seguirlo verso sinistra (ma possiamo anche farlo, attraversando il Vallone di Ladrogno e sfruttando più avanti la deviazione segnalata sulla destra per San Giorgio: si tratta di una variante anche più sicura) imbocchiamo il sentiero che vediamo proprio sul lato opposto, cioè il sentiero segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi che scende verso il Vallone di Revelaso. Passiamo così accanto ad un castagno centenario ed una cappelletta e scendiamo per quasi duecento metri nel cuore impressionante dell’ombroso vallone di Revelaso (o Revelasco: da "rava", dirupo), una sorta di Purgatorio da cui si riemergiamo, sul lato opposto del vallone, superando un tratto di sentiero esposto e non protetto (attenzione, dunque). La risalita porta, in breve tempo, dopo un tratto con qualche saliscendi (non soffermarsi per pericolo di caduta pietre) al bellissimo abitato di San Giorgio di Cola (voce dialettale che significa "colle", "vetta", m. 748), paese di cavatori di granito, gentile e sorprendente isola bucolica in un mare di forre e precipizi. Dopo aver ricordato che al paesino possiamo giungere anche per via più tranquilla, anche se un po' più lunga, cioè procedendo sul Tracciolino ed imboccando il facile sentiero che scende a destra dopo il Vallone di Revelaso, cerchiamo di sapere qualcosa di più di questo luogo straordinario.
Nel 1866, qualche anno dopo l’unità d’Italia, il prefetto Scelsi curò la redazione di un’ampia statistica della provincia di Sondrio, dalla quale risultava che nelle 26 case di San Giorgio (di cui 9 vuote) abitavano 17 famiglie e 69 persone (31 maschi e 38 femmine), 45 celibi, 20 coniugate e 4 vedove. Una piccola comunità alacre, legata all’attività estrattive del granito. Nel comune di Novate, infatti, erano allora attive 4 cave di granito, il celebre sanfedelino, a grana molto compatta, di color grigio latteo, apprezzatissimo per costruzioni e pavimentazioni.


San Giorgio di Cola

Retrocedendo nel tempo, San Giorgio nei secoli passati era, con Cola, uno dei cinque cantoni del comune denominato, dal secolo XII al XVI, Lezzeno superiore, successivamente Novate (i cinque cantoni erano Novate, Codera, Cola con San Giorgio, Campo e Verceia con la Valle dei Ratti). Ogni cantone del comune gestiva autonomamente la propria economia tramite un consiglio. I parroci erano eletti autonomamente dai cantoni e ricevevano solo successivamente il placet del vescovo di Como.
L’avvento del III millennio ha visto la popolazione permanente di San Giorgio ridotta a 3 abitanti. Oggi il piccolo museo di San Giorgio conserva alcuni dei segni di questo importante passato.


Apri qui una panoramica di San Giorgio di Cola

Questi luoghi, come testimonia un avello celtico nei pressi del cimitero, hanno visto da tempo assai antico la mano operosa dell’uomo. Una leggenda vuole che questo avello, insieme ad un altro simile, abbia ospitato la salma di un comandante spagnolo, in servizio al Forte di Fuentes (edificato nel 1603), morti per la malaria che infestava il Pian di Spagna (la leggenda è riportata nel volume di Giambattista Gianoli "Dizionario storico delle valli dell'Adda e del Mera", Tipografia Commerciale Valtellinese, Sondrio, 1945, pg. 59).
Un'altra leggende è legata alla denominazione del paese, che si dovrebbe alla reale presenza di San Giorgio, il grande santo che sconfisse un terribile drago e che negli ultimi anni scelse di vivere proprio qui, con il suo fidatissimo cavallo. Lo proverebbe, fra l'altro, l'orma impressa da quest'ultimo su un masso, quando spiccò, con il santo in sella, un prodigioso balzo fin sul versante opposto della valle, ad Avedée, dove si fermò per abbeverarsi. Una variante vuole che il santo, subito dopo la faticosa uccisione del drago, sia venuto a dissetarsi all'acqua di uno dei due avelli di origine forse celtica che sono uno dei motivi che rendono famoso questo borgo. Dopo la sua morte, sarebbe, quindi, stato sepolto nel cimitero del borgo, luogo davvero unico, con una cappella ricavata sotto un enorme blocco di granito.


Chiesetta di San Giorgio

La magia di questo pugno di baite e della chiesetta già dedicata ai santi Giorgio ed Eufemia (oggi dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria), manufatti tutti rigorosamente in granito, è difficilmente esprimibile.
Gli stipiti di granito sull’ingresso delle case recano incise le iniziali dei proprietari, ma ce n’è uno nel quale è incisa la tavola del gioco della tria (conosciuta anche con il nome di tris o mulinello – in tedesco mühlenrett ), uno dei più diffusi in tutto il mondo, assai conosciuto perché riportato sul retro di gran parte delle scacchiere (si tratta di un reticolo costituito da tre quadrati concentrici collegati da una croce inscritta, nel quale si inseriscono i pezzi con lo scopo di allinearne tre per eliminare un pezzo avversario).
La chiesetta conserva tratti romanici nell'abside semicircolare con lesene esterne, anche se fu interamente rifatta nel 1778 e decorata nel 1852 e nel 1901 (il campanile venne aggiunto nel 1880). Alle spalle della sua piazza ombreggiata da grandi platani, segnaliamo la fontana e l'adiacente cappelletta fatta costruire dal parroco di Cola, don Ghiggioli, nel 1855, per scongiurare la minaccia del colera, che in quegli anni mieteva non poche vittime in Val Chiavenna. Nella cappelletta viene raffigurata la Beata Vergine Maria Immacolata e si legge: "A gloria di Dio Trino e Uno, di Maria SS e dei Santi, i Colesi apprestando i materiali con amore, d. Gius. Maria Chiggioli parroco di Cola a sue spese fece edificare e dipingere la presente opera, dominando il colera morbo in Chiavenna, l'anno 1855". La vasca, scavata in un grande blocci di granito, è datata 1849.


Cappelletta a San Giorgio di Cola

Fra le curiosità di questo straordinario borgo si può ricordare anche la presenza di vigneti la cui uva viene raccolta a fine ottobre.
Ma per scovare i luoghi più suggestivi dobbiamo salire per breve tratto lungo il sentiero che, alle spalle della cappelletta, si dirige verso monte per intercettare a quota 920 metri circa la lunga striscia del Tracciolino. Una breve salita appena oltre il paese ci porta accanto al già citato masso-avello, a destra del sentiero, lungo 2 metri e largo circa 50 centimetri. Nel masso è scavato l'incavo destinato ad accogliere la salma, poi coperta da una lastra di granito andata perduta. Un canalino assicurava lo scolo dell'acqua piovana.
Misteriose le sue origini. Secondo alcuni risale all'epoca pre-romana (Barelli e Buzzetti) o romana (Giussani e Magni), anche se è probabile che si debba all'opera di popolazioni locali, estranee alla cultura romana. Secondo altri, invece, risalirebbe all'età medievale. L'immaginazione popolare vuole infine che nell'avello sia stato custodito il corpo di San Giorgio.


Masso-avello di San Giorgio di Cola

Se proseguiamo nella salita siamo subito al cimitero di San Giorgio, unico e davvero indimenticabile: al suo interno un enorme blocco di granito aggettante, che sembra la visibilizzazione della lotta di tutto ciò che sussiste contro lo strapotere beffardo del tempo, funge da cappelletta. Un po' più in alto ancora, infine, si trova un secondo masso-avello. Il breve ripiano del cimitero si chiamava anticamente "Mòta". Il parroco di Cola Martino della Pietra vi scoprì, nel 1798, varie ampolle, lucernetti ed olle con ceneri e bicchierini. Per questo chiamò il luogo "Cimitero dei pagani" (ma entrò nell'uso anche l'espressione "Sagràa di Pagàn"), supponendo che si trattasse di oggetti dedicati al culto pagano in epoca precedente all'arrivo dei cristianesimo fra questi monti. Purtroppo questi reperti sono andati smarriti.
Non così per uno "scyphus" (vasetto in pietra ollare lavorato al tornio) scoperto nel 1900 dallo storico chiavennasco don Pietro Buzzetti, che lo lasciò in dono alla Biblioteca capitolare laurenziana di Chiavenna.


Cimitero di San Giorgio di Cola

Nella seconda edizione della "Guida alla Valtellina" curata per il CAI di Sondrio da Fabio Besta (1886), si legge in proposito: "A pochi passi dal camposanto, sulla cima di due enormi massi sono scavati dei sepolcri, che il Barella e altri giudicano etruschi. Non molto lungi, là dove si dice la Motta, vicino alla chiesa, vi ha un antico sepolcreto che i contadini del luogo chiamano tuttora Sagrà di pagan (Sagtato dei pagani). Ivi nel 1798 dal curato di Cola, Martino della Pietra, furono rinvenuti diversi avanzi di sepolcri, ampolle, anelli e altri oggetti; probabilmente anche ora, scavando, si farebbero nuove scoperte."


San Giorgio di Cola

Riprendiamo, dalle case alte del paese, il cammino e, seguendo le indicazioni, incamminiamoci sul sentiero che riporta al Tracciolino, passando appunto a lato del citato cimitero. Superati il cimitero ed un bel bosco di betulle, intercettiamo di nuovo il Tracciolino, che dobbiamo percorrere, per un brevissimo tratto, in senso contrario, cioè verso sinistra, prima di incontrare la segnalazione della partenza del sentiero che dovremo seguire per salire alla forcella di Frasnedo. Si tratta di una freccia bianca contornata di rosso, posta, insieme con la targa gialla del Sentiero Life, su un masso a lato del tracciolino, nei pressi di un traliccio. Se abbiamo scelto di non effettuare il fuori-programma della discesa a S. Giorgio giungiamo, invece, fin qui più comodamente seguendo il tracciolino, che attraversa il vallone di Revelaso e propone un tratto nel quale dobbiamo prestare attenzione, perché esposto alla caduta di massi.
Dobbiamo, ora, lasciare il tracciolino ed iniziare a salire sul sentiero che, tagliando il fianco meridionale dell’aspro vallone di Revelaso (o Val Revelàs, che scende dalla parete meridionale del Sasso Manduino), ci porta alla forcella (o forcola) di Frasnedo, l’unica porta naturale fra Val Codera e Valle dei Ratti. Un sentiero davvero suggestivo, che non è segnato, se non nella
prima parte, neppure sulla carta IGM. Cominciamo, dunque, a salire, in un bosco di betulle, sempre accompagnati dall’assidua e graditissima compagnia dei segnavia bianco-rossi, superando un valloncello e raggiungendo una prima baita solitaria (località Alla Valle, m. 1051). Procedendo in direzione est, il sentiero aggira una formazione rocciosa (il tratto è attrezzato da corde fisse ed allargato con dei tronchi), che precede un secondo e più marcato vallone. I tratti esposti della discesa nel vallone e della successiva risalita sono anch’essi protetti da corde fisse.
Raggiunti lidi più tranquilli, proseguiamo fino ad incontrare una radura con due nuove baite, quasi nascoste nel cuore del bosco (m. 1192). Attraversiamo, nella successiva salita, una bella pineta, con diversi tornanti, fino a raggiungere il limite inferiore dell’ultimo e più aspro tratto, dove la pendenza si fa più accentuata e la traccia più debole. Il sentiero, ora, serpeggia fra l’erba, che minaccia sempre di mangiarselo di nuovo (dico di nuovo perché è stato appena pulito nel luglio del 2006; se, però, non vi saranno interventi successivi, prima o poi sarà sommerso dall’erba). Cominciamo ad intuire ed intravedere la meta, costituita dalla sella posta sulla verticale della direttrice di salita. Alla nostra destra sta un aspro fianco roccioso, che mette paura solo a guardarlo. Qualche larice stroncato dai fulmini rende l’atmosfera ancora più inquietante. L’ultimo tratto della salita è anche il più faticoso, perché la pendenza si fa davvero notevole; qualche sosta si impone e, guardando alle spalle, riconosciamo le case di Cola (voce dialettale che significa colle, vetta), dominate dall’affilata punta
Redescala (m. 2304). I radi larici sparsi lungo il pendio sembrano mostrarci tutta la loro solidarietà.
Alla fine, non senza aver pagato un copioso tributo di sudore al severo vallone, nelle due ore di salita di salita, siamo alla sospirata forcella di Frasnedo (m. 1662), dove il cartello giallo del Sentiero Life sembra sorriderci, congratulandosi con noi per la perseveranza. 760 metri circa di dislivello dividono il Tracciolino dalla forcella, non uno scherzo! Ora il dado è tratto: col piede sinistro siamo ancora in Val Codera, con quello destro già in valle dei Ratti (o viceversa). Nessun roditore in vista: la valle, infatti, deve il suo nome alla nobile famiglia comasca dei Ratti, che, in passato, ne possedevano tutti gli alpeggi. Una valle che ci mostra il suo versante meridionale, ricco di boschi e di alpeggi. Una tranquilla discesa in scenari più gentili ci attende. Nel primo tratto effettuiamo un lungo traverso a destra, restando poco al di sotto del crinale, che propone, qui, lo spettacolo un po’ desolante di diversi scheletri di larice. Nel traverso attraversiamo un corpo franoso e, dopo aver gettato un’ultima occhiata al lago di Mezzola, entriamo in un bel bosco, intervallato da amene radure. Il sentiero comincia a scendere, rimanendo approssimativamente sul crinale fra Valle dei Ratti e Vallone di Revelaso, in direzione sud-ovest. Poi, appena prima di una bella radura panoramica, sul tronco di un grande faggio troviamo una ben visibile freccia che segnala il cambiamento di direzione, verso sinistra. Una seconda segnalazione di deviazione si trova, sempre in bella evidenza, su un masso. Inizia una discesa più decisa, che termina alla parte alta di Frasnedo.


Apri qui una fotomappa di Frasnedo e della Forca o Forcella di Frasnedo

Due i sentieri praticabili e segnalati dai segnavia bianco-rossi. Suggerisco quello che sta più a destra, leggermente più in basso: lo si trova scendendo per un tratto quasi in diagonale verso sinistra (qui la traccia di sentiero è piuttosto incerta), fino a trovare, aiutati dai segnavia, un sentiero marcato, che prosegue scendendo verso sinistra. Su un masso troviamo anche il rassicurante quadratino azzurro con il logo del progetto Life. Poco sotto, passiamo a valle di uno splendido bosco di radi larici, che lasciano filtrare abbondante la luce del sole che si stende, con un effetto di rara suggestione, su un tappeto di felci. Difficile trattenere la tentazione di fermarsi e guardare.
Poi, superata una piccola radura, affrontiamo l’ultimo tratto, che ci porta a monte delle case più alte di Frasnedo, appena sopra la chiesetta dedicata alla Madonna delle Nevi (m. 1287). In breve siamo al sagrato della chiesetta, sulla cui facciata, fra i santi Rocco ed Antonio, si legge una dedicazione in latino, dalla quale ricaviamo che il popolo di Frasnedo la fece erigere nel 1686 a perpetua memoria dell’apparizione di fiori fra le nevi. La chiesetta è posta in posizione rialzata, rispetto al corpo centrale del paese. Paese simpatico davvero, Frasnedo, che si anima di vita nella stagione estiva, nonostante i villeggianti debbano salire fin quassù da Verceia con un’ora e mezza buona di cammino, in quanto la strada carrozzabile non accede alla valle, ma si ferma ad una quota approssimativa di 600 metri. È questo, come già detto, il motivo principale che ha conservato alla valle un volto antico, pressoché intatto.


Rifugio Frasnedo

Termina qui la seconda tappa: il pernottamento si effettua presso il rifugio Frasnedo, aperto, il 10 maggio 2010. Per informazioni si possono chiamare Elda 3336266504, Martin 331 9714350, Livio 338 4469448, l'ufficio comunale di Verceia tel./fax. 0343 39503 (sempre per acquisire informazioni: info@rifugiofrasnedo.it; sito web: www.rifugiofrasnedo.it). Il rifugio è posto all’uscita del paese in direzione dell’alta valle (la pista passa sotto la chiesa), nell’edificio posto poco oltre il punto d’arrivo della teleferica. Se si è grandi camminatori è anche possibile anticipare il “tappone ammazzagambe”, comunque previsto per la terza giornata, a questa seconda giornata, proseguendo nella salita al bivacco Primalpia (etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza; cfr. presentazione della terza giornata).
Se tutto va bene, invece, ecco il saldo della giornata: abbiamo superato circa 900 metri di dislivello (fuori-programma esclusi: questi portano il dislivello complessivo a circa 1200 metri), in 6 ore approssimative (o 7, con i fuori-programma); lo sviluppo complessivo, infine, è di circa 13 km.
Chi volesse ulteriori informazioni o aggiornamenti, può rivolgersi all’ERSAF, a Morbegno (SO), tel. 02 67404.581, fax 02 67404.599, oppure all’Infopoint ERSAF, tel. 02-67404451 o 02-67404580; può anche scrivere a oscar.buratta@ersaf.lombardia.it, oppure a life@ersaf.lombardia.it.
Risulta utile anche la consultazione del sito Internet www.lifereticnet.it/italiano/home.htm


Verso la media Valle dei Ratti

Ricordiamo, infine, che è anche possibile salire direttamente a Frasnedo da Verceia: una strada-pista sterrata ha raggiunto al momento la Motta (m. 850 circa). la pista agro-silvo-pastorale è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati, ma è possibile acquistare il permesso di transito giornaliero nei bar Val di Ratt, Pinki, Milky, Circolo "Al Sert"; presso gli uffici Comunali (tel. 0343 44137; www.comune.verceia.so.it) è possibile anche acquistare un permesso annuale. Dalla pista (destinata a proseguire verso Frasnedo) si imbocca la mulattiera che, tagliato il Tracciolino, si affaccia alla media Valle dei Ratti e porta, infine, a Frasnedo (tempo di percorrenza: un'ora e mezza circa).


Apri qui una panoramica sul sentiero di accesso alla Valle dei Ratti

VARIANTE PER IL TRACCIOLINO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Codera-Tracciolino-Frasnedo
7 h
620
E
SINTESI. Partiamo, dunque, da Codera e ad un bivio segnalato lasciamo il Sentiero Roma che prosegue verso la media Val Codera e scendiamo verso destra su un sentierino che scende al ponte sul torrente Codera, oltrepassato il quale incontriamo un bivio e prendiamo a destra, raggiungendo ben presto il ponte sul torrente della Val Ladrogno. Poi troviamo un secondo bivio, al quale prendiamo di nuovo a destra e lasciando alla nostra sinistra le indicazioni per il bivacco Castorate-Sempione. Attraversato un più tranquillo bosco di castagni, saliamo alle baite di Cii (m. 851). Il sentiero torna a salire in un bosco più rado, sembra farsi meno evidente, ed alla fine si congiunge con il Tracciolino (m. 910), il lungo tracciato in piano dalla Val Codera alla Valle dei Ratti. Seguendolo verso destra, valichiamo il solco della Val Grande, entrando poi in un bel bosco, sul grande dosso di Cola. Qui il tracciolino viene tagliato da un sentiero che, percorso in salita, conduce a Cola, mentre percorso in discesa porta a San Giorgio di Cola. Se non ci interessano questi fuori-programma (che comportano un paio di ore agguntive di cammino) ignoriamo le deviazioni e proseguiamo sul Tracciolino, che si porta al solco del Vallone di Revelaso. Proseguiamo sul versante opposto e, ignorata la deviazione a sinistra del sentiero LIFE che sale nel Vallone di Revelaso, ci portiamo sul filo di un ampio dosso. Qui troviamo l'indicazione della partenza, alla nostra destra, del sentiero che in 15 minuti scende a San Giorgio: con un'ora aggiuntiva di cammino possiamo così scegliere di scendere a visitare il piccolo nucleo. Tornati per il medesimo sentiero sul Tracciolino, proseguiamo sempre in piano (quota 912 m.) attraversando una lunga serie di gallerie e valloni orridi e dirupati (il sentiero è sempre esposto, ma protetto da corrimano e largo; ad un certo punto vi troviamo i binari). Dopo la più lunga galleria (250 metri, pulsante per l'illuminazione a tempo all'ingresso), usciamo ad un bivio ed ignorato il ramo di destra della ferrovia, proseguiamo diritti. Dopo qualche breve galleria raggiungiamo così la casa dei guardiani della Diga di Moledana e, poco oltre, l'incrocio con la mulattiera che da Verceia sale a Frasnedo. Lasciato il Tracciolino, la seguiamo salendo verso sinistra e passando appena sotto il nucleo di Càsten. Oltrepassata la cappelletta della valle d'Inferno, proseguiamo nella salita che ci porta a Frasnedo (m. 1287).

Per evitare la problematica salita alla Forcella di Frasnedo per il Vallone di Revelaso si può seguire per intero il Tracciolino.


Apri qui una fotomappa del Tracciolino

Il Tracciolino (o Trecciolino) è uno straordinario percorso che si snoda per circa 12 km, ad una quota costante di circa 912 metri, dalla Val Codera alla Val dei Ratti. Venne tracciato negli anni Trenta del secolo scorso dalla SONDEL per unire la presa idroelettrica di Saline, in Val Codera, alla diga di Moledana, in Valle dei Ratti. Nella sua seconda parte troviamo anche i binari di una ferrovia a scartamento ridotto (con relative traversine), che serviva il villaggio costruito per ospitare gli operai.


Il Vallone di Revelaso

Negli ultimi decenni la sua fama presso gli appassionati dell’escursionismo ma anche della mountain-bike è cresciuta con inarrestabile progressione, tanto da indurre gli amministratori locali a porre in atto una serie di interventi che lo hanno messo in sicurezza. Il fondo è sempre buono, largo almeno 170 cm e in buona parte protetto da corrimano che fungono da protezione, anche se chiunque lo percorra, a piedi o su due ruote, deve conservare sempre la dovuta attenzione.


Il Tracciolino

Al momento (estate 2018) il percorso viene aperti solo nel periodo estivo (è stato aperto per la stagione attuale il 28 maggio 2018). Inoltre, per il ripetersi di eventi franosi e smottamenti nel primo tratto, da Saline alla Val Grande, il primo tratto è chiuso, in attesa della realizzazione del progetto di ponte tibetano di cui però non si intravvede ancora la concretizzazione. Per questo chi volesse percorrerlo deve salire da Novate Mezzola a Codera e da qui percorrere il sentiero Life (o anche sentiero Italia) che passa per Cii e sale ad intercettare il Tracciolino prima dell’attraversamento della Val Grande (da Codera a Moledana lo sviluppo si riduce quindi a 10 km circa). Una variante più breve (utile soprattutto per chi procede a piedi) prevede la salita da Novate Mezzola a San Giorgio di Cola e da lì con sentiero diretto al Tracciolino nel tratto fra Vallone di Revelaso e la Val di Monte.


Il Tracciolino

Gli amanti della mountain-bike optano in genere per il percorso in senso inverso, che offre il vantaggio di poter salire quasi interamente all’imbocco del Tracciolimo su due ruote (una carrozzabile sale infatti da Verceia fino ad una quota di poco inferiore all’intersezione con il Traccolino), mentre da Novate Mezzola, sia che si salga a Codera, sia che si salga a San Giorgio, non vi sono piste per l’accesso, ma solo due mulattiere scalinate in granito. Il Tracciolino è interamente ciclabile, ma non lo è la discesa dal Traccolino a Cii ed a Codera. Molto problematica è anche la mulattiera che da Codera scende a Novate, per cui, in sostanza, l’anello del Tracciolino è ciclabile per una percentuale del 70% circa (a meno che lo si ripercorra a ritroso: in tal caso è ciclabile al 97% circa).


Il Tracciolino

Il fascino del Tracciolino è legato agli scorci incredibilmente selvaggi che non manca di regalare, perché si snoda, nella parte centrale, fra valloni e strapiombi impressionanti e selvaggi. Non è facile trovare altre occasioni per poter camminare in tutta tranquillità sul filo di strapiombi vertiginosi e quasi assediati da roccioni che si piegano ed incombono sopra il capo. A chi procede a piedi conviene disporre di due automobili, da parcheggiare a Mazzolpiano o presso il ponte sul torrente Codera (Novate Mezzola) ed al parcheggio terminale della pista sopra Verceia (accesso previo pagamento di pass al bar del paese), per evitare il lungo e monotono ritorno a piedi da Verceia a Novate.

Ma vediamo come procedere. Torniamo al punto nel quale il Tracciolino taglia il Vallone di Revelaso.


Il Tracciolino oltre S. Giorgio

Oltrepassato il centro del vallone, proseguiamo quasi schiacciati contro una parete verticale (il pericolo di caduta massi è qui concreto, per cui evitiamo di soffermarci), con l’ausilio di quattro passerelle di assi e metallo. Superiamo il punto nel quale parte, sulla sinistra, un sentierino che sale lungo il vallone (indicazioni del Sentiero LIFE delle Alpi Retiche, che lo sfrutta per salire alla Forcella di Frasnedo). Lo ignoriamo proseguendo fino al filo del lungo crinale che scende dalla cima di Provinaccio.
Il Tracciolino piega qui a sinistra e vediamo a destra la partenza segnalata del sentierino che scende a San Giorgio di Cola (cfr. sopra), che vediamo, sui prati alle spalle di uno sperone, quasi duecento metri più in basso. La rapida discesa allo straordinario nucleo ed il ritorno richiedono un’oretta.


Il Tracciolino

Proseguiamo sul Tracciolino e ci approssimiamo al suo cuore selvaggio. Ecco comparire, infatti, le gallerie scavate nella viva roccia che ne costituiscono l’elemento più caratteristico. Ad una prima breve galleria ne segue una seconda lunga una cinquantina di metri, che ci porta dal bacino di Revelaso a quello della Valle del Monte (Val de Munt). Ma quella che si apre ai nostri occhi non è una valle, bensì un ripido ed impressionante dirupo, stretto fra pareti verticali. Poco più avanti si apre un bello scorcio su San Giorgio, lago di Mezzola e bassa Valchiavenna. Dopo la breve terza galleria siamo ancora nel cuore della montagna più aspra: il Tracciolino, zigzagando, ne segue l’alternarsi di speroni e rientranze.


Il Tracciolino

Dopo la quarta galleria, ci immergiamo nella quinta, contrappuntata da finestre che regalano suggestivi scorci. Procediamo ora quasi sospesi su balconi di roccia esposti al vuoto. La sesta galleria ci impone di procedere a capo chino, essendo alta 1 metro e 75 centimetri. Dopo qualche breve perforazione, siamo alla settima galleria, che, dopo poche decine di metri, ci fa uscire ad un nuovo vallone che sembra sospeso sul nulla. Entriamo poco oltre nell’ottava galleria, lunga 80 metri, per uscirne al cospetto di un’alta parete verticale che si eleva alla nostra sinistra, sul lato del terzo selvaggio vallone detritico. Vista da qui sembra un ardito picco. Stiamo sempre percorrendo i possenti fianchi della cima di Provinaccio (il Pruinàcc’).


Il Tracciolino

Passiamo quindi a sinistra di una cabina di sezionamento e nella successiva nona galleria incontriamo i binari che ci accompagneranno per tutto il resto della traversata. Alla nostra sinistra possiamo udire lo scroscio dell’acqua che corre nella condotta forzata dalle prese di Saline ai tubi che servono la centrale di Campo di Novate, 500 metri più in basso. Ci attende ora la più ampia e lunga galleria, la decima. La percorriamo per 250 metri. La necessaria illuminazione si attiva azionando un pulsante a tempo al suo ingresso, sul lato sinistro.


Apri qui una panoramica sull'ultimo tratto del Tracciolino

All’uscita si apre uno scenario diverso: non più orride ombrose pareti, ma un ampio panorama che spazia sull’alto Lario, incorniciato, sul lato sinistro, dall’inconfondibile corno del Monte Legnone. Abbiamo lasciato alle spalle il bacino della Val Codera e ci stiamo avvicinando a quello della Valle dei Ratti. Alla nostra destra un ramo della ferrovia a scartamento ridotto si stacca dal Tracciolino e porta ai ruderi del piccolo villaggio costruito per ospitare gli operai che costruirono il manufatto. Sul muro a sinistra due grandi scritte a vernice, San Giorgio, Cola e Val Codera nella direzione dalla quale proveniamo e Valle Ratti nella direzione che stiamo seguendo. C’è anche una terza scritta, sulla diramazione della ferrovia alla nostra destra, Campo, perché seguendola ci portiamo alla partenza di un sentierino che scende ripido a Campo di Novate.


Vallone

Proseguiamo diritti, verso la Valle dei Ratti, attraversando il Vallone di Campo, che segna il confine fra i comuni di Notate e Verceia, superando una breve galleria paramassi ed un’altrettanto breve galleria scavata nella roccia. Siamo sempre a ridosso di un versante roccioso, quasi spinti verso un salto pauroso, ma lo scenario è decisamente più luminoso e gentile. Dopo una nuova galleria paramassi ed un ponticello in metallo su un vallone quasi verticale, ci approssimiamo al termine del Tracciolino. Davanti a noi si aprono il lago di Mazzola, Verceia e la riserva naturale del Pian di Spagna. Sul fono, l’alto Lario.


Rudere del villaggio dei costruttori del Tracciolino

Qui salutiamo il Tracciolino e proseguiamo sulla mulattiera per Frasnedo, che continua a salire con andamento est. Dopo breve salita, alcuni cartelli ci segnalano la presenza, poco a monte della mulattiera, del piccolo nucleo di Casten (così è chiamato sulle carte, ma un cartello lo chiama Casctan ed è citato anche come Castàn, con evidente derivazione da “castagno”). Di nuovo un riferimento al castagno, l’albero che regna incontrastato su questo segmento della valle. Saremmo inclini a pensare che da sempre esso abbia abitato le valli alpine, integrato perfettamente com’è nella magra economia di sussistenza delle sue popolazioni, data la versatilità degli usi alimentari della castagna; così, però, non è: fu introdotto, dai boschi appenninici dell’Italia centrale, in epoca romana e cominciò a soppiantare l’incontrastato dominio del faggio in età medievale.


La casa dei guardiani della diga di Moledana

Qui a Casten si respira, però, un’aria quasi cosmopolita: un simpatico cartello indica la direzione per Chiavenna e St. Motitz ed un altro definisce il gruppo di baite frazione d’Europa. Un terzo cartello, infine, posto dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, commemora la traversata della 55sima brigata Fratelli Rosselli, che, nel novembre del 1944, incalzata da un rastrellamento delle forze nazi-fasciste, passò di qui scendendo dall’alta Valle dei Ratti per effettuare la traversata in Val Codera sul Tracciolino ed espatriare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola.  Poco più avanti, a sinistra della mulattiera, un grande masso cavo raccoglie l’acqua di una sorgente, ed una scritta indica che si tratta di un “böi” (trogolo) di origine forse cinquecentesca.
Salendo ancora, ci affacciamo alla soglia della media valle, che comincia a regalarci qualche scorcio dal quale possiamo già apprezzarne, per quanto parzialmente, l’ampiezza. La soglia è presidiata da una terza cappelletta, a 1171 m., quella della Val d’Inferno (così si chiama il vallone laterale che precipita da nord nel solco principale della valle). Vi è raffigurata una Madonna con Bambino. Mentre Gesù, con volto singolarmente “adulto”, le cui fattezze richiamano quelle dei montanari di queste valli, addita con l’indice il cielo e volge lo sguardo, serio e compreso, lateralmente, la Madonna, con espressione dolcemente malinconica, guarda direttamente il viandante. Le valli alpine abbondano di questi segni della devozione popolare, che assumevano diverse funzioni: erano luoghi di sosta nella faticosa salita degli alpigiani al monte, sempre con un carico di molti chilogrammi, ed erano, insieme, invito alla preghiera ed a pensieri edificanti; spesso presidiavano luoghi pericolosi, soprattutto per l’esposizione, e quindi fungevano anche da segno della divina protezione; talvolta servivano anche da riparo in caso di intemperie. Su un lato di questa cappelletta dobbiamo alla penna ed alla vena poetica di un tal Andreino (classe 1947) una simpatica poesiola che ne celebra il restauro: “Vegia capela de la Val d’Infern. Al me par er che andevi in Talamüchä, pasevi via quaivolt sempar de fughà e te vidivi ilò, in ör a sctreda, a fe la guardia a tüta la valeda. Te ne paset denenz de tüti ‘l nöt: tudesch, cuntrabandier e partigiani, ma te te mai tremeet, chära capela, driza ilò, impee a fe da sentinela. Pasevan i nos vec cul zainu in scpala, chilò i se fermevan a quintala; un fiuu, un pater, e dopu via debot, andevan a pusee cuntent ai crot. Adess i pasan via sempar de presa, se ferman piö ninch a cambiat i fiuu! La nef, al suu, vürün maledücheet töc i tö sant t’an quasi cancelet. “Quanta fadighä i nos vecc a fala sö” i disaran un dè i nos fiö, cun i falò d’ascteet, al frec d’invern, vegia capela de la Val d’Infern! An te farè növa, bela cumè prüma, senza scpecee chè i vegnin sö da Roma e quei che i pasarè cun gran riscpet i pensaran: “Parò ‘l 47”  Peccato doverla tradurre, magari pedestremente: “Vecchia cappella della Val d’Inferno. Mi pare ieri quando andavo in Talamucca, passavo via qualche volta di fretta e ti vedevo qui, sul ciglio della strada, a far la guardia a tutta la vallata. Te ne sono passati davanti di tutti i generi: tedeschi, contrabbandieri, partigiani, ma tu non hai mai tremato, cara cappella, dritta, qui, in piedi a fare la sentinella. Passavano i nostri vecchi con lo zaino in spalla e si fermavano qui per chiacchierare; un fiore, un pater e dopo via ancora, andavano anche più contenti ai crotti. Adesso passano via sempre di fretta, non si fermano più neppure a cambiarti i fiori! La neve, il sole e qualche maleducato hanno quasi cancellato tutti i tuoi santi. “Quanta fatica i nostri vecchi a costruirla”, diranno un giorno i nostri figli, con i falò d’estate, il freddo d’inverno, vecchia cappella della Val d’Inferno! Ti faremo nuova, bella come prima, senza aspettare che vengano su da Roma e quelli che passeranno con gran rispetto penseranno: “però, il ‘47”. I riferimenti storici nella poesia testimoniano di come questa valle non fu in passato avulsa dalle vicende più generali di Valchiavenna e Valtellina. Già abbiamo visto come di qui passò, nel novembre 1944. la 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che aveva iniziato un lungo ripiego dalla Valsassina, per la Val Gerola, alla Costiera dei Cech, dalla quale era appunto scesa fin qui per passare in Val Codera sfruttando il Trecciolino e di qui guadagnare la Svizzera varcando la bocchetta della Teggiola. Di qui passarono, nel secolo scorso, anche molti contrabbandieri, che scendevano dalla Val Codera. Meno chiaro è il riferimento ai tedeschi. Potremmo pensare a truppe naziste, perché nel novembre del 1944 truppe nazifasciste salirono in valle per cercare di intercettare la citata ritirata della 55sima Rosselli. Ma forse c'è un'allusione anche al celebre colonnello tedesco Pappenheim che, al serbvizio degli Spagnoli, combattè con successo, nel settembbre del 1625, contro gli avversari, Francesi e Grigioni, nel contesto delle guerre per la Valtellina successive alla rivolta dei cattolici del 1620. Per suo ordine 700 soldati, guidati dal Perucci, compirono un’ardita traversata dalla Val Codera per il vallone di Revelaso e la forcella di Frasnedo, scendendo poi dalla Valle dei Ratti per sorprendere alle spalle le truppe franco-grigione di stanza a Verceia. La manovra riuscì in pieno e fu il preludio della ritirata di Francesi e Grigioni, che, presi alle spalle, lasciarono Verceia, che tenevano da qualche mese, e sgomberarono la bassa Valtellina fino a Traona. La manovra voluta dal Pappenheim, che poi regalò un quadro celebrativo della sua vittoria alla chiesa di S. Fedele di Verceia, è così descritta nella “Storia della Valtellina” del Romegialli 1836): “All’impresa adunque di Campo e Verceja pose egli [Pappenheim] ordine, e dati settecento al cavaliere Perucci, questi, con alcuni di Valle Codera, prese le aclività di quel monte, e superandone l’altezza, non che la costa di quelli che dividono dall’altra Valle detta dei Ratti, d’onde uscivasi sopra Verceja, dopo due giorni e tre notti di periglioso arrampicarsi e marciare, prendevano alle spalle e ai fianchi gli alleati, senza che le scolte od alcun avamposto se ne accorgesse…” Con uno sforzo di immaginazione possiamo figurarci i fanti agli ordini del Perucci scivolare silenziosi giù per il sentiero, fino ad affacciarsi agli ultimi pendii sopra Verceia.


Frasnedo

Non abbiamo, invece, bisogno di immaginazione alcuna per figurarci Frasnedo, che vediamo, in alto, sulla sinistra. C’è ancora un po’ da camminare: la mulattiera ci porta ad un bivio, segnalato da un cartello, che indica il ramo di sinistra come direzione per Frasnedo (la sigla S.I., che abbiamo già incontrato al Traccolino, sta per Sentiero Italia, di cui ora percorriamo un tratto della tappa Codera-Frasnedo), mentre quello di destra porta a Moledana e Corveggia. Dopo un tratto scalinato e qualche tornantino, incontriamo una nuova fresca fontanella, sempre gradita se camminiamo nella calura estiva. Poi la selva si dirada progressivamente e superiamo un tratto nel quale la mulattiera incide alcune formazioni rocciose affioranti, volgendo in direzione nord-nord-est. Qualche ultimo sforzo ci porta al limite dell’ampia fascia di prati che ospita Frasnedo, il paese dei molti frassini (questo è il significato etimologico del nome).


Frasnedo

Ci accoglie una piccola croce in ferro dedicata alla memoria di Oregioni Teresa (Oregioni e Penone sono i più diffusi cognomi nella valle ed a Verceia) ed una quarta cappelletta, circondata da alcuni grandi aceri, dove è dipinta, non ce ne stupiamo, una Madonna con Bambino (ma questo dipinto è di fattura assai più recente rispetto ai precedenti). Ci viene incontro, poi, la prima baita, sulla quale si legge ancora la scritta “Frasnedo comune di Verceia”. Le baite, ben curate e ristrutturate, regalano qualche dettaglio che ne testimonia l’antichità, come uno stipite in legno datato 1721. Attraversiamo il primo e più consistente nucleo di baite, notando anche una piccola targa in legno che invoca sulla valle la protezione di Santa Barbara. Se abbiamo un po’ di spirito di osservazione, noteremo anche che alcune di queste baite sfruttano la presenza di una vicina piccola roggia, che serve a fornire acqua fresca per conservare alimenti e bevande nella parte più calda della stagione. Paese simpatico davvero, Frasnedo, che si anima di vita nella stagione estiva, nonostante i villeggianti debbano salire fin quassù da Verceia con un’ora e mezza buona di cammino, in quanto la strada carrozzabile non accede alla valle, ma si ferma ad una quota approssimativa di 600 metri. È questo, come già detto, il motivo principale che ha conservato alla valle un volto antico, pressoché intatto: per giungere fin qui occorrono circa un’ora e tre quarti di cammino.


Frasnedo

D’estate non patiremo certamente la malinconia: la vivace e cordiale presenza della gente di Verceia riempirà di suoni, umori e colori la vita del paese. Ecco quel che scrive, al proposito, Giuseppe Miotti in “A piedi in Valtellina” (Istituto geografico De Agostani, 1991):
Il villaggio sorge a 1287 metri, poco sotto il selvaggio crestone che separa la Val dei Ratti dal Vallone di Revelaso. Come Codera anche Frasnedo fino a pochi anni or sono era abitato tutto l’anno; oggi i suoi paesani vengono quassù solo d’estate, alcuni per passarvi le ferie, altri per falciare il fieno e portarvi le mucche. È gente rustica quella di Frasnedo, gente che mi par vada fiera del fatto che la valle sia rimasta immune dal progresso e dal clamore. Una strada che da Verceia conducesse al paese sarebbe molto comoda, ma quelli con cui ho parlato sembrano poco propensi… Finora i rifornimenti giungono al paese tramite la teleferica, che è gestita da un consorzio formato dagli stessi abitanti di Frasnedo e della quale tutti sono giustamente fieri. Nel mese di agosto il piccolo villaggio è animato da numerose feste e vale certo la pena di passare una giornata in loco per dividere con gli abitanti la gioia e le sensazioni antiche che questi “riti” evocano. Forse la festa più importante è quella della seconda domenica del mese: quella della Madonna delle Nevi. Dalla piccola e graziosa chiesa, dedicata appunto alla Vergine, parte la processione che esce dal paese addentrandosi per un breve tratto nella valle e facendo ritorno dalla parte opposta di quella donde si è mossa. Mentre la processione si allontana e per tutta la sua durata, le campane vengono suonate a martello da due esperti percussionisti locali. Tutto il villaggio è parato a festa e, soprattutto la sera, l’allegria si scatena con mangiate, bevute e fuochi d’artificio.”


Frasnedo

Proseguendo sulla mulattiera, ci portiamo, in breve, al sagrato della chiesetta della Madonna delle Nevi (m. 1287), dedicata anche a S. Anna, sulla cui facciata, fra i santi Rocco ed Antonio, si legge una dedicazione in latino, dalla quale ricaviamo che il popolo di Frasnedo la fece erigere nel 1686 a perpetua memoria dell’apparizione di fiori fra le nevi (il campanile, però, venne eretto più tardi, nel 1844). Ci regala la sua preziosa ombra un grande olmo montano, fiero di essere stato inserito fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio (censimento del 1999) per il suo portamento, la sua eleganza ed anche la sua rarità botanica (a questa quota): la circonferenza del suo tronco misura 270 cm ed è alto 10 metri. Ma se glielo chiedete, sicuramente vi fornirà dati approssimati per eccesso. La vanità non è solo animale. La chiesetta è posta in posizione rialzata, rispetto al corpo centrale del paese. La sua collocazione ci permette di vivere la sensazione di una curiosa sospensione: guardando oltre la soglia della bassa valle scorgiamo uno spicchio del lago di Mezzola, mentre volgendo lo sguardo alla testata della valle vediamo il monte Spluga o cima del Calvo (m. 2967), dove si incontrano Valle di Ratti, Valle dell’Oro e Valle di Spluga. Noi siamo in una sorta di dimensione intermedia fra le placide sponde lacustri ed i contrafforti graniti delle cime del gruppo del Masino, di cui scorgiamo, da qui, il monte Spluga o cima del Calvo. Una dimensione intrisa di suggestione ma anche di mistero. In questo, come in tanti altri luoghi remoti della montagna alpina, sono fiorite le leggende, perlopiù a fondo oscuro.


Frasnedo

La più famosa ha come cornice una delle fredde e brevi giornate invernali a Frasnedo, quando il paesino era ancora abitato per l’intero arco dell’anno: una sera un umile contadino di Verceia, rimasto a Frasnedo per custodire il gregge di capre, udì bussare alla sua porta, e, colmo di stupore, come ebbe aperto si ritrovò di fronte questo elegante signore. Gli venne spontaneo chiedere cosa facesse lì ad un’ora così tarda, e se non si fosse perso. La risposta fu enigmatica: da cinquecento anni dimoro in questa valle, disse l’uomo misterioso, che poi si sedette su una panca, vicino al focolare, togliendosi le scarpe per scaldarsi i piedi. Fu allora che il contadino ebbe modo di comprendere di chi si trattasse: al posto dei piedi, infatti, comparvero due zampe caprine. Gli si raggelò il sangue nelle vene, perché non ci voleva molto a capire che si trattava del diavolo in persona. Fu, però, in quell’occasione almeno, un buon diavolo, perché non fece alcun male al contadino, ma si limitò a riscaldarsi, a ringraziare e ad andarsene. Il contadino, nondimeno, non perse tempo, e, congedato l’ospite inquietante, scese precipitosamente alla casa di Verceia. Lo spavento fu tanto che cadde anche in una lunga malattia. Non sappiamo se si riebbe; noi, sperimentato il balsamo di questo luogo magico, dalle fatiche per salire fin qui ci sentiamo interamente ristorati.


Frasnedo

Termina qui la variante della seconda tappa. Il pernottamento si effettua presso il rifugio Frasnedo, aperto, il 10 maggio 2010. Per informazioni si possono chiamare Elda 3336266504, Martin 331 9714350, Livio 338 4469448, l'ufficio comunale di Verceia tel./fax. 0343 39503 (sempre per acquisire informazioni: info@rifugiofrasnedo.it; sito web: www.rifugiofrasnedo.it). Il rifugio è posto all’uscita del paese in direzione dell’alta valle (la pista passa sotto la chiesa), nell’edificio posto poco oltre il punto d’arrivo della teleferica.
Se tutto va bene, invece, ecco il saldo della giornata: abbiamo superato circa 620 metri di dislivello (fuori-programma esclusi: questi portano il dislivello complessivo a circa 1200 metri), in 7 ore approssimative.
Chi volesse ulteriori informazioni o aggiornamenti, può rivolgersi all’ERSAF, a Morbegno (SO), tel. 02 67404.581, fax 02 67404.599, oppure all’Infopoint ERSAF, tel. 02-67404451 o 02-67404580; può anche scrivere a oscar.buratta@ersaf.lombardia.it, oppure a life@ersaf.lombardia.it.
Risulta utile anche la consultazione del sito Internet www.lifereticnet.it/italiano/home.htm

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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