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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Mezzolpiano-Codera
2 h e 30 min.
580
E
SINTESI. Seguendo la ss 36 dello Spluga raggiungiamo l'imbocco della Valchiavenna e, dopo 2 gallerie, Novate Mezzola. Giunti in vista della chiesa della SS. Trinità, prendiamo a destra e saliamo alla parte alta del paese, parcheggiando al termine della strada, in località Mezzolpiano (m. 316). Qui parte (abbondanti segnalazioni del Sentiero Roma e del Sentiero Italia) una mulattiera ben scalinata, che sale al nucleo di Avedée (m. 790) e si addentra sul fianco occidentale della Val Codera, perdendo quota in un paio di punti, in corrispondenza di altrettante gallerie paramassi. Un'ultima salita porta al cimitero di Codera ed a Codera (m. 825), dove si trovano i rifugi Risorgimento ed Osteria Alpina.

La terza sezione del tratto Lombardia nord del sentiero Italia, percorsa dalla staffetta ANA-CAI nel 1999, permette di passare dalla Val Codera alla Valmalenco, seguendo una direttrice più meridionale rispetto al classico tracciato del sentiero Roma.
Diversi sono quindi gli scenari: mancano i profili maestosi ed imponenti delle più alte vette di
Val Masino, ma si ha modo di apprezzare e scoprire i più diversi volti della montagna, anche quelli meno noti, ma non meno suggestivi.
La quota media si abbassa ai 1500-1600 metri, il che rende anche meno impegnativa, fisicamente, una traversata che merita di essere compiuta.
La prima tappa di questo itinerario, che può essere portato a termine con una certa comodità in cinque giorni (ma sono possibili, ovviamente, soluzioni diverse: un buon camminatore può farcela in tre giorni, ma si può prendere molto più tempo, gustando in sette giorni, attraverso numerose digressioni, tutti gli aspetti che meritano di essere osservati) coincide, in parte, con quella del sentiero Roma e del Sentiero Life della Alpi Retiche.


Apri qui una panoramica di Novate Mezzola e del suo lago dalla mulattiera di Val Codera

Il Sentiero Italia sfrutta la classica (ma non unica) via di accesso alla Val Codera, quella che conduce dal fondovalle a Codera. Si tratta anche di un itinerario compreso in altre classicissime traversate, il Sentiero Roma ed il Sentiero LIFE delle Alpi retiche.
Si parte da Novate Mezzola (nuàa), paese posto all'imbocco della Val Chiavenna, e precisamente dai 316 metri del parcheggio della località "Il Castello" (castèl) della frazione di Mezzolpiano (mezalpiàn; lo raggiungiamo staccandoci dalla ss. 36 dello Spluga in corrispondenza di una farmacia e proseguendo diritti nella salita del conoide alluvionale della valle, cioè seguendo le indicazioni per la Val Codera, che ci portano alla parte alta del paese, sulla sinistra). Qui, anticamente (e ciò giustifica la denominazione del luogo) sorgeva una fortificazione che dominava lo sbocco della Valchiavenna, e che fu definitivamente smantellata nel 1639. Ne parla anche Giovanni Guler von Weineck, governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie fra il 1587 ed il 1588, nell'opera "Rhaetia" (Zurigo, 1616): "Fra Campo e Novate, il lago riceve un impetuoso torrente, che da una vallata montana, passando per una chiusa in mezzo ai dirupi, viene a sboccare nella pianura, arrecando gravissimi danni alle campagne. Presso la chiusa, là sul monte, sorge un'antica fortezza, in parte distrutta ed in parte oggi abitata da un povero contadino. Questo castello, insieme con un altro di cui si scorgono i ruderi poco lontano sopra l'estremità del lago, venne eretto dai duchi di Milano e più tradi smantellato dai Grigioni".


Apri qui una panoramica dalla mulattiera per Codera

Non lontanto, alla nostra destra, corre il torrente Codera (l'impetuoso torrente citato dal von Weineck), il cui alveo è contenuto da un alto argine in pietra; una vicina fontanella ci invita al rifornimento di acqua: sarà bene accogliere l'invito, se ne siamo sprovvisti, dal momento che non se ne trova più fino a Codera. Alla nostra sinistra, infine, segnalata da alcuni cartelli (relativi ai rifugio Osteria Alpina, Bresciadega e Brasca, ed al Sentiero Italia - Lombardia 3 settore nord), oltre che da un segnavia rosso-bianco-rosso, parte, introdotta da pochi scalini in cemento, una bellissima mulattiera (codificata con A6), larga un paio di metri, spesso scalinata ed incisa nel granito, che sale, nel primo tratto, con diversi tornanti, in un bosco di castagni. Se vogliamo concentrare la mente in un compito che possa distrarci dalla fatica, secondo i principi della meditazione orientale, potremmo dedicarci a contare gli scalini: pare che siano 2600, uno più, uno meno, e giustificano la denominazione di Mulattiera delle Scale. Oppure potremmo rivolgere il nostro pensiero alla valle che non si è ancora rivelata al nostro sguardo. La Val Codera è l'unica fra le valli maggiori della provincia di Sondrio a non essere accessibile alle automobili: questo le conferisce un fascino per molti aspetti unico, anche se il suo nome deriva da "cotaria" e quindi da "cote", cioè masso; racconta una leggenda, poco generosa nei confronti della valle, che a Dio, dopo aver creato il mondo, avanzò un certo numero di massi, con i quali, messi un po' alla rinfusa, essa sarebbe stata creata. Le solite malelingue, verrebbe da dire.


Apri qui una panoramica della cappelletta di Suradöo sulla mulattiera per Codera e della punta Redescala

Le fatiche iniziali impongono qualche sosta, anche perché il fiato non è ancora rotto. In particolare, ad una prima cappelletta, in località Söra i Sasèi (m. 445), ci si può volgere alle spalle per ammirare l’ottimo colpo d’occhio sul Pian di Spagna e sul lago di Novate Mezzola, cui fanno da cornice, sul fondo, a sinistra, il massiccio corno del monte Legnone, estrema propaggine occidentale della catena orobica e, a destra, il monte Beleniga, all'imbocco della Val Chiavenna. Ignorato, alla nostra sinistra, il sentierino che sale alle baite di Montagnola, passiamo accanto ad un cartello avverte del pericolo di caduta sassi e che ci induce ad affrettare il passo. Poi alla cornice di un gentile bosco di castagni si sostituisce quella più severa della nuda roccia, il granito, signore del Sentiero Roma. Un granito che, però, in questa zona l’uomo ha piegato al suo servizio: si tratta, infatti, del San Fedelino, qualità pregiata che ha dato determinato l’apertura di numerose cave. Il sentiero è qui scavato proprio nel granito, e solo così può scavalcare la forra terminale della valle, che precipita, selvaggia, per circa 300 metri, sul fondo del torrente Codera. Effettuando un traverso che corre sul ciglio di un impressionante salto, superiamo due cave (nei pressi della seconda si vede un curiosissimo escavatore, i cui pezzi sono giunti fin quassù grazie alla teleferica e sono stati rimontati sul posto).


Apri qui una panoramica di Avedée

Più avanti iniziamo a trovare, sulla destra, la protezione di un corrimano ed incontriamo, a quota 714, una seconda cappelletta, chiamata di Suradöo, nella quale è raffigurata una Madonna incoronata con Bambino (dipinto però in buona parte rovinato), al culmine dello sperone roccioso che veglia il fianco settentrionale della bassa Val Codera; sul lato opposto della mulattiera, cioè sul ciglio del precipizio, una croce di ferro ricorda la tragedia di una persona precipitata a valle. Lasciamo, ora, alle spalle il gentile scenario del lago di Mezzola, ed entriamo effettivamente nella valle e ci tocca una prima discesa, appena accennata, all’ombra di un rado bosco di betulle, olmi e castagni, che regala ampi scorci verso nord (alla nostra destra), dove appaiono, in primo piano, la punta Redescala (m. 2304) e, alla sua destra, il profondo vallone di Revelaso (revelàas), che scende a sud della celebre cima del Sasso Manduino (m. 2888).


Apri qui una panoramica della Val Codera dalla mulattiera per Codera

Passata una cava abbandonata e superato un valloncello, riprendiamo a salire, fino all'abitato di Avedée, posto a 790 metri, sul lungo dosso che scende verso nord-est dal monte omonimo (m. 1405). Dalle sue baite solitarie si vede bene Codera, il centro principale della valle, per cui verrebbe da pensare che il nome del maggengo derivi da "a vedé", cioè "a vedere". In realtà l'etimo più probabile, comune alla località di Avedo in Val Grosina, è da "avéd", abete; meno probabile la derivazione dall'aggettivo "labidus" (da "labes"), cioè "scosceso". Ad Avedée troviamo anche una graziosa chiesetta (l'oratorio di S. Antonio), ma nessuna fontanella. Il piccolo nucleo ci regala, infine, anche uno spunto di riflessione, offerto dalle parola di Luca, scritte il 20 luglio 1995 ed incise su una targa di bronzo che lo ricorda: "Per me strada ha significato e significa soprattutto confrontarsi con gli altri, col mondo, cercare di sfruttare al massimo le esperienze che ti capitano ed evitare che le cose ti scorrano addosso. Questo è l'unico modo per non avere rimpianti dopo."


Apri qui una panoramica della mulattiera per Codera

Dopo un breve tratto nel quale ci fanno da scorta gentili betulle, ci affacciamo al tratto più caratteristico della mulattiera, nel quale ci attende una discesa, elegantemente scalinata, con qualche tornante, che ci fa perdere complessivamente un centinaio di metri circa. Da qui la vediamo interamente, ed ottimo è il colpo d'occhio su Codera e sulle cime del Sas Becchè (m. 2728) e del monte Grüf (m. 2935), che la incorniciano. Impressiona, invece, la grande colata di sfasciumi di color bianco che riempie buona parte del versante a valle della mulattiera. Nella discesa superiamo due valloni dirupati, che ci impongono poi diversi saliscendi, ed anche l’attraversamento di due gallerie paramassi. Prima della seconda, superiamo un breve tratto nel quale la montagna sembra incombere proprio sul nostro capo: un grande roccione si ripiega sopra la nostra testa, come una bocca pronta a richiudersi. Niente paura: l'ora del giudizio non è ancora arrivata per cui si continua a sudare nel faticoso al di qua. Sudare in un ulteriore traverso intagliato nella roccia (la Taiàda, appunto), dalla quale colano diversi rivoli d'acqua, e protetto da una seconda galleria paramassi. Volgendo lo sguardo a destra, cioè al versante opposto della valle, vediamo l'ampio versante boscoso dal quale fanno capolino le baite di Cii (m. 851), sormontate, a destra, dalla punta Redescala, mentre a sinistra si impone il solco della selvaggia val Ladrogno coronata, da sinistra, dalle austere cime di Gaiazzo (m. 2920), dalla punta Magnaghi (m. 2871) e dal Sasso Manduino (m. 2888).

Attraversata la seconda galleria (non senza volgere lo sguardo alle spalle per osservare lo scenario da brivido dell'impressionante forra terminale della Val Codera), torniamo a salire, incontriamo una terza cappelletta con dipinto di Madonna con Bambino (m. 777) che ci rivolge uno sguardo accigliato, quasi di rimprovero, e raggiungiamo, poco più avanti, il piccolo cimitero di Codera (cudéra), incorniciato dal selvaggio profilo del Mut Luvrè (cima di lavrina, m. 2307), sul fianco settentrionale della Val Ladrogno. Una scritta sulla parete della posta al suo ingresso e dedicata alla Vergine delle Grazie ci invita a meditare sulla fragilità della condizione umana: “Ciò che noi fummo un dì voi siete adesso, chi si scorda di noi scorda se stesso”.


Apri qui una panoramica del cimitero di Codera

No, non ci vogliamo scordare di chi riposa qui. Delle generazioni che qui, in questa valle aspra ed insieme dolce, hanno visto dipanarsi l’intero filo dell’esistenza, un’esistenza quieta, severa, anche misera, difficilmente immaginabile. L’esistenza di chi ha dovuto strappare alla valle di che sopravvivere, mentre noi, ora, strappiamo scampoli di emozioni profonde. Dentro la cappelletta, la Madonna della visione dell’Apocalisse, coronata di stelle, nell’atto di schiacciare il dragone-serpente, simbolo del male. Il suo volto è decisamente più dolce rispetto a quella del dipinto della cappelletta precedente. Ai suoi lati, San Giuseppe (alla nostra sinistra) e San Giovanni Battista (a destra). Proseguiamo, incontrando un’altra cappelletta, dedicata alla Madonna della Misericordia, con Bambino, che rivolge un sorriso amabile alle due bambine di Vhò e di Lirone (Val San Giacomo) alle quali apparve il 10 ottobre 1492 (a questa apparizione è dedicato il celebre santuario di Gallivaggio, all'imbocco della Val San Giacomo, sopra Chiavenna).


Apri qui una panoramica dell'accesso a Codera

Siamo di nuovo in cammino: un ultimo breve tratto in una rada selva, ed ecco, infine, apparire l'imponente campanile della chiesa di Codera, dedicata, dal 1764, a S. Giovanni Battista (m. 825), staccato dal corpo della chiesa; la chiesa, eretta probabilmente nel XVI secolo, venne originariamente dedicata a S. Martino.

All’ingresso del paese troviamo un cartello di benvenuto, che esplicita però anche le regole cui debbono attenersi gli escursionisti: “Tranne i principali sentieri di accesso e l'alveo del torrenti, tutta la valle è di proprietà consortile o privata; non accendete fuochi; non disturbate e non attirate a voi il bestiame al pascolo; tenete i cani al guinzaglio; non entrate nei prati da sfalcio; non campeggiate senza il previo accordo del proprietario del fondo; la raccolta delle castagne è consentita dietro autorizzazione dei proprietari delle piante. Questo si legge nelle righe. Fra le righe si intravedono dissapori passati fra la popolazione locale, gelosa, come avviene per chi da generazioni vive abbarbicato ad una rude montagna, della propria terra, ed un certo turismo caratterizzato da un approccio troppo disinvolto.


Apri qui una panoramica della chiesa di San Giovanni a Codera

Siamo, dunque, nel piazzale antistante la chiesetta dedicata a San Giovanni Battista. Alla nostra destra, il rifugio-locanda “Risorgimento”; una targa reca scritto: “Sorto come scuola di Codera, tratto nel 1987 da ventennale abbandono e destinato a “Casa di valle” per concordia d’intenti, valligiani, autorità e Associazione Amici Val Codera a ricordo e conferma della perenne vitalità di questo paese. Codera, venti anni dopo, 4.5.2008”.
Un cartello ci offre importanti elementi di conoscenza sull’habitat di questa straordinaria valle. Vi si legge, fra l’altro: “Salendo da Mezzolpiano, con lo sfondo del Lario e del Pian di Spagna, attraverserete in un paio d'ore habitat diversissimi tra loro: lembi di macchia submediterranea a cisto (un arbusto dalla foglie simili alla salvia) e ad erica arborea, castagneti, pendici rocciose, boschetti pensili. Oltre i terrazzamenti di Avedee ecco fresche vallette con boschi di castagno, frassino, tiglio ed acero. Qui compaiono alcuni esemplari di tasso e, nelle esposizioni settentrionali, anche le prime piante di rododendro ferrugineo. La profonda e fresca forra del torrente Codera che si intravede dal sentiero, costituisce uno dei migliori esempi lombardi di un habitat considerato raro e prioritario dall'Unione Europea: i valloni ad acero-tilieto, abitati anche dal gufo reale. Di fronte a noi una rigogliosa foresta di latifoglie si estende verso gli abitati di Cii e Cola, composta da tigli, aceri, roveri e castagni, in alcune zone da betulle; nell'ambito del progetto Life Reticnet ha subito interventi di diradamento selettivo che hanno anche permesso di migliorare Ia vista di un curioso fenomeno di erosione su deposito glaciale, una grossa piramide di terra ornata da un pesante cappello di granito, posta alto sbocco di Val Ladrogno, di fronte a Codera. Più in alto entriamo nella regione dei lariceti e dei ripidi pascoli, sovrastati dai potenti contrafforti del Sasso Manduino. Luoghi remoti, dove si possono osservare ancora i grandi rapaci e la coturnice. Sulle scoscese pendici della Salubiasca, popolate da camosci, si conservano nuclei di raro pino uncinato e gli ultimi lembi delle antiche cembrete che hanno fornito, fino al recente passato, legname prezioso per la mobilia delle case della valle.”


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Oggi solo pochissimi (una decina di persone circa) restano nel paese tutto l'anno, ma in passato il nucleo era di grande importanza, tanto che vi si registrarono, nella visita pastorale del vescovo di Como del 1668, 38 nuclei famigliari e 400 anime, cifra del tutto considerevole per quei tempi, che si spiega anche tenendo presente che la terribile epidemia di peste del 1630-31, la quale aveva più che dimezzato la popolazione di Valtellina e Valchiavenna, si era fermata alle soglie della valle ed aveva risparmiato il borgo. Le dure condizioni di vita della montagna erano ripagate da importanti vantaggi: il relativo l'isolamento rispetto al fondovalle preservò la popolazione di Codera non solo dalla peste, ma anche dagli effetti nefasti dei passaggi di eserciti e dei saccheggi di cui fu costellata la storia di Valchiavenna e Valtellina dalla seconda metà dei quattorcento alla prima metà del seicento. Si sviluppò, così, un microcosmo contadino autosufficiente, con un'economia legata alla coltivazione di patate, orzo, segale, granoturco, castagne ed ortaggi, all'allevamento delle capre (ben ambientate fra le aspre balze della valle) ed alla caccia.


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Per scoprire come, aprite la presentazione della seconda tappa, da Codera a Frasnedo (dalla Val Codera alla Val dei Ratti).

 

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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