Rogolo


Rogolo

Alle falde dei contrafforti della Val Lésina, non lontano dal limite sud-occidentale della Valtellina, laddove la catena orobica occidentale si chiude con l’imperioso corno del monte Legnone, riposa il paese di Rògolo (Rùgul), fino al 1616 inglobato nel comune di Delebio. Il suo territorio comprende non solo una striscia di media montagna a monte del paese, con il nucleo di Fistolera, lo splendido poggio di Erdona ed il maggengo di Masonaccia, ma anche una gran parte del ramo orientale della Val Lesina, con l'alpe Mezzana.
Nell’agile monografia del delebiese Ercole Bassi “Delebio e il Legnone”, pubblicata nel 1897 a cura del Circolo Stella delle Alpi, così descrive questa porzione di Valtellina sul suo limite sud-occidentale: “La piccola e industriosa borgata di Delebio giace ai piedi del selvoso Legnone, allo sbocco dell’amena valletta del Lesina al punto ove la Valtellina misura la sua massima larghezza. ... In mezzo a questo piano sorge il colle di Montecchi, ancora coronato dalle maestose rovine del forte di Fuentes, piano fertilissimo, perché formato dagli alluvioni dell’Adda, già in buona parte bonificato dalle paludi e torbaie che l’infestavano… Fu in questa ampia pianura che al tempo delle invasioni etrusche in Valtellina più secoli prima di Cristo sorse la città di Volturrena o Volturnia, la cui esistenza pare dimostrata da vasi e tombe e dagli avanzi di una strada romana scoperta dagli scavi fatti per l’incanalamento dell’Adda nel 1857… “


Chiesa di S. Abbondio a Rogolo

La storia di Delebio e di Rogolo, dunque, parte da lontano. Nel suo territorio è stata scoperta un’ascia databile all’età del bronzo. Alcuni toponimi con terminazione in -asco, come Madriasco e Vedrasco, sembrano, poi, suggerire la presenza di una popolazione di stirpe ligure in un’epoca che si aggira intorno al 2000 a. C. La prima attestazione storica del paese è però di epoca romana, nella quale il “vicus Alebii” risulta appartenere all’antica Olonio, a sua volta compresa entro la pertinenza del Municipio di Como. Gli scavi collegati alla rettifica dell’Adda nel secolo XIX hanno portato a scoprire nel suo territorio una necropoli romana. I sono state scoperte anche monete romane. Alcuni storici ricollegano la denominazione “Alebii” ai cinquecento coloni greci che Giulio Cesare trapiantò nel comasco intorno al 44 a. C. Nei decenni successivi, dopo la definitiva conquista romana della Valtellina (campagna del 16-15 a. C., voluta dall’imperatore Ottaviano Augusto), alcuni di loro potrebbero essersi insediati in bassa valle. Una traccia di quest’antica presenza potrebbero essere alcuni singolari grecismi conservati nell’antico dialetto delebiese, come la voce “intemnà”, che significa “dare il primo taglio” ad un salume o al formaggio, e che deriva palesemente dal verbo greco “témnein”, “tagliare”.


Rogolo

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La disgregazione dell’Impero Romano d’occidente portò alle invasioni (o migrazioni, a seconda dei punti di vista) delle popolazioni germaniche e probabilmente Chiavenna fu inglobata, dopo il 489, nel regno ostrogoto di Teodorico, in quel medesimo V secolo nel quale si colloca la prima penetrazione del cristianesimo nella valle. Furono gettate le basi della divisione di Valtellina e Valchiavenna in pievi. “La divisione delle pievi”, scrive il Besta (cfr. bibliografia), “appare fatta per bacini… aventi da epoche remote propri nomi, come è infatti accertato per i Bergalei, i Clavennates, gli Aneuniates”. Esse, dopo il mille, erano San Lorenzo a Chiavenna, S. Fedele presso Samolaco, S. Lorenzo in Ardenno e Villa, S. Stefano in Olonio e Mazzo, S. Eufemia o S. Pietro in Teglio, dei martiri Gervasio e Protasio in Bormio e Sondrio e S. Pietro in Berbenno e Tresivio; costituirono uno dei poli fondamentali dell'irradiazione della fede cristiana. Delebio e Rogolo appartennero in origine alla pieve di Olonio.


Chiesa di S. Abbondio a Rogolo

L’offensiva Bizantina riconquistò probabilmente alla “romanità” la valle della Mera e dell’Adda, anche dopo l'irruzione e la conquista dei Longobardi (568); nell'VIII secolo, però, con il re Liutprando il confine dei domini longobardi raggiunse lo spartiacque alpino. Con i successori Rachis ed Astolfo, nel medesimo VIII secolo, queste valli risultano donate alla chiesa di Como. Delebio formò verosimilmente una curtis longobarda ed è citato in un diploma apocrifo del re Liutprando dell’anno 724 come Alebium.
Sconfitti i Longobardi, nel 774, da Carlo Magno, Valchiavenna e Valtellina rimasero parte del Regno d’Italia, sottoposto alla nuova dominazione franca. La frammentazione dell’Impero di Carlo portò all’assegnazione della Valtellina a Lotario, nipote di Carlo. In quel periodo sono documentati possessi del monastero milanese di S. Ambrogio nel vico di Delebio, nonostante sulla Valtellina prevalessero i diritti feudali del Vescovo di Como. Del secolo IX è un documento che attesta che nell’anno 837 Crescenzio prese in affitto un terreno posto in Dubino ed appartenente all’abate del monastero di Sant’Ambrogio di Milano: egli abitava “de finibus Valtelline, vico qui nominatur Alebio”.


Rogolo

Il 3 settembre 1024 l’imperatore Corrado succedette ad Enrico II, inaugurando la dinastia di Franconia, e confermò al vescovo di Como i diritti feudali su Valtellina e Valchiavenna, ma i documenti del medesimo periodo attestano vaste proprietà dell’Abate di S. Ambrogio a Milano sulla corte di Delebio, nella pieve di Olonio (mentre nelle vicine Vallate e Piona sono attestate proprietà del monastero di S. Abbondio in Como). A rendere più articolato il mosaico feudale della bassa Valtellina e di Delebio in particolare si aggiungevano i Vicedomini di Como, signori del castello di San Giorgio a Rogolo ma probabilmente anche della Torrazza e della torre del Carlascio a Delebio.
Della metà del secolo XII è un documento secondo il quale 1159 Federico I riconfermò alla basilica di San Carpoforo di Como sei masserie in Alebium e Morcintia (forse Morbegno). Verso la fine del secolo XII anche il celebre monastero cistercense dell’Acquafredda, sopra Lenno, acquista terre a Delebio e vi edifica la chiesa di S. Agrippino ed una residenza per i suoi monaci. Alla loro opera si deve la deviazione del corso del torrente Lesina, per alimentare un mulino, un maglio ed un torchio.


Il colle di San Giorgio

Nel 1204 compare per la prima volta il toponimo di Rogolo, nella forma “Rovole”. Infatti con atto del il 18 agosto 1204 furono stabiliti “statuta et ordinamenta et conventiones” tra il dominus loci, abate dell’abbazia di Acquafredda, e diciotto delegati della comunità “de Alebio et de Rovole”, alla quale veniva concesso di fare una “comunantia” con il patto che tenessero pulito e spazzato l’alveo del torrente Lésina: in sostanza alla vicinia di Delebio e Rogolo si dà la concessione di far comune, inteso come istituzione giuridica avente per fine l’esercizio dei diritti di signoria (districtus et honor) che sino ad allora erano tenuti dal dominus loci. Si tratta di una data davvero importante, perché fu questo il primo esempio di costituzione di libero comune in Valtellina. Alla Convenzione parteciparono gli anziani delle due comunità ed i patti vennero sanciti in un’assemblea “coram populi”, cioè pubblica.
Durante il Duecento la presenza più importante a Delebio furono però i Vicedomini, almeno fino al 1302, anno in cui venne distrutto il loro castello di Cosio Valtellino e probabilmente lo furono anche le loro torri di Carlascio e Torrazza. I Vicedomini eressero tre castelli, e quello di San Giorgio, eretto su un poggio alle spalle del paese, venne distrutto verso la fine del Medioevo.


Rogolo

Nel 1335 Como, e con essa Valtellina e Valchiavenna, vennero inglobate nella signoria milanese di Azzone Visconti. Sul carattere generale di tale dominazione, scrive il Romegialli, nella sua "Storia della Valtellina" (1834): "Noi lontani da sospettosi loro sguardi; noi popoli di recente acquisizione, noi senza famiglia con motivo o forza da rivalizzare con essi; noi per più ragioni, da Visconti riguardati con amore e in pregio tenuti, dovettimo essere ben contenti dell'avvenuto mutamento. Aggiungasi che il nostro interno politico economico regime, poco tuttavia distava dal repubblicano. E diffatti ci erano serbate le antiche leggi municipali, e soltanto dove esse mancavano, dovevano le milanesi venire in sussidio... Deputava il principe, non già Como, alla valle un governatore... Il governatore chiamavasi anche capitano, al quale associavasi un giudice o vicario... I pretori ed ogni altro magistrato liberamente eleggevansi dal consiglio della valle; e il supremo tribunale, cui presiedeva il capitaneo, stava in Tresivio." La Valtellina era ripartita nei terzieri superiore (con capoluogo Tirano), di mezzo (con capoluogo Tresivio), inferiore (con capoluogo Morbegno); Teglio non faceva capo alle giurisdizioni di terziere. Il giudice generale di valle (poi governatore di valle) risiedeva in Tresivio. Il giudice generale, di nomina ducale, svolgeva le funzioni di giudice d’appello, sempre con sede con sede in Tresivio, ed era anche detto podestà della Valtellina. La Valtellina conservò però la sua autonomia locale, tanto che i pretori venivano eletti dal consiglio di valle, che era l’organo in cui si riunivano i rappresentanti delle giurisdizioni.


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Nel 1428, sempre sotto la dominazione viscontea, Cosio Valtellino e Delebio si staccarono dalla chiesa plebana di Olonio, e già nel 1429 Rogolo, Andalo e Delebio costituirono le rendite per la chiesa di S. Carpoforo e per la parrocchia autonoma che di lì a poco si costituì staccandosi da Cosio Valtellino. Nel 1432 Delebio fu teatro del più importante fatto della sua storia, la battaglia di Delebio, combattuta fra il 26 ed il 27 novembre. La Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio (1885, II ed., a cura di Fabio Besta), così la menziona: "Ad occidente avvi la località, chiamata ancora oggigiorno la Fossa dei Veneziani, che ci ricorda la battaglia ivi combattuta il 26 e 27 novembre del 1432. L’esercito veneziano comandato da Giorgio Cornaro, vincitore in una prima giornata delle forze viscontee, fu sconfitto il giorno seguente per opera specialmente di Stefano Quadrio, sopraggiunto colle truppe valtellinesi. La fossa, scavata dai Veneziani a difesa del campo, servì di sepoltura ai loro morti… Il Lavizzari fa ascendere a cinquemila i veneti caduti, e a due mila settecento i prigionieri, tra cui lo stesso Cornaro. Anche il Dolfin, cronista veneziano contemporaneo, attribuisce il merito della vittoria ai Valtellini, ma li accusa, a torto, di non serbata fede… Filippo Maria Visconti, a perpetua ricordanza della vittoria, dotò una cappella a Santa Maria della Vittoria, nell’antica chiesa di S. Domenica". Non si esagera l’importanza di questo fatto d’armi, che forse cambiò non poco le sorti future delle valli dell’Adda e della Mera. Se avessero prevalso di Veneziani la saldatura fra i loro domini bergamaschi e quelli valtellinesi avrebbe di certo reso più difficile le mire espansionistiche delle Tre Leghe Grigie, che si sarebbero concretizzate all’inizio del secolo successivo.


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Ed infatti caduti i Visconti e terminata la breve esperienza della repubblica milanese (1447), i Milanesi accolsero per loro signore Francesco Sforza, ma già cominciavano ad affacciarsi quelli che sarebbero stati, dal 1512, i nuovi signori delle valli dell’Adda e della Mera, le Tre Leghe Grigie (Lega Grigia, Lega Caddea e Lega delle Dieci Giurisdizioni, che si erano unite nel 1471 a Vazerol), che miravano ad inglobarle nei loro territori per avere pieno controllo dei traffici commerciali che di lì passavano, assicurando lauti profitti. In particolare, Chiavenna, priva di cinta muraria, fu incendiata, nel 1486, dalle loro milizie; queste, l’anno successivo, invasero il bormiese, fra il febbraio ed il marzo, saccheggiando sistematicamente i paesi della valle da Bormio a Sondrio. Le truppe ducali si mossero per fermarne l’avanzata e, dopo alcuni episodi sfavorevoli, riuscirono a sconfiggerle nella piana di Caiolo. La successiva pace di Ardenno (1487) prevedeva il cospicuo esborso, da parte di Ludovico il Moro, di 12.000 ducati a titolo di risarcimento per i danni di guerra. Si trattò solo di un preludio, di un segno premonitore di quel che Valtellina e Valchiavenna sarebbero apparse ai loro occhi nella successiva generazione, una inesauribile macchina per far soldi, diremmo noi oggi.


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Di lì a poco, nel 1500, Ludovico il Moro con la sconfitta di Novara, perse il ducato di Milano ad opera del re francese Luigi XII. Per dodici anni i Francesi furono padroni di Valtellina e Valchiavenna; il loro dominio, però, per dispotismo ed arroganza, lasciò ovunque un pessimo ricordo, cosicché il loro rovescio e l’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie (1512) venne salutato non con entusiasmo, ma almeno con un certo sollievo. I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz (o Jante) il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); Valtellina e Valchiavenna figuravano come paesi confederati, con diritto perciò di essere rappresentati da deputati alle diete; le Tre Leghe promisero, inoltre,di conservare i nostri privilegi e le consuetudini locali, e di non pretendere se non ciò che fosse lecito e giusto. Ma, per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, anche perché non li potevano presidiare.


Rogolo

Le Tre Leghe concessero, comunque, a Valtellina e Valchiavenna, pur nella subordinazione, un alto grado di autonomia. La Valle, sempre divisa in tre Terzieri, era amministrata da un consiglio detto di valle, con deputati nominati da ciascuna delle giurisdizioni, gli agenti di valle. Ogni deputato era nominato dal consiglio di una singola giurisdizione (a Sondrio ne erano riservati 3). I due contadi di Bormio e Chiavenna si amministravano autonomamente, ma, per le questioni di comune interesse, mandavano il loro voto per iscritto, o deputati delegati a rappresentarne gli interessi. Avevano propri codici e statuti Chiavenna, la valle S. Giacomo, Piuro, le singole giurisdizioni della Valtellina, e la contea di Bormio. Nel 1531 i Valtellinesi stesero un progetto di fusione delle leggi o statuti, e lo presentarono alla dieta o governo delle Tre Leghe Grigie, per l'approvazione col nome di Statuti di Valtellina, ove erano raccolte le disposizioni in materia civile e criminale e le discipline nel ramo acque e strade. Ogni comune, poi, aveva propri ordinamenti, chiamati Ordini comunali, approvati però dal governatore, come lo erano tutte le gride comunali, che ne portavano la firma, limitata però al nome di battesimo.


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L’inizio del protettorato grigione non fu, per Delebio e Rogolo, un periodo tranquillo. Anzi. Dapprima ci pensò l’Adda a turbarne la quiete: in seguito ad una eccezionale alluvione, nel 1520 esondò dal letto secolare in bassa Valtellina e cambiò il suo corso, sfociando non più nel lago di Mezzola, ma direttamente in quello di Como. La piana di Delebio venne investita dall’impeto alluvionale e trasformata in palude. Cinque anni dopo Delebio e Rogolo si trovarono coinvolta nel tentativo di riconquista della Valtellina posto in atto da Gian Giacomo Medici detto il Medeghino. Ne seguirono le guerre di Musso (dal castello roccaforte del Medeghino), nelle quali le due comunità subirono due rovinosi saccheggi nel 1525 e nel 1531.


Colle di San Giorgio

Il 1531 fu anche l’anno nel quale furono stesi gli Estimi generali, che rispondevano all’esigenza deigrigioni di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre. Furono così stesi, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese n. 53 del 2000). Nel "communis Delebij" vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 963 lire (per avere un'idea comparativa, Forcola fa registrare un valore di 172 lire, Tartano 47, Talamona 1050, Morbegno 3419); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 5963 pertiche e sono valutati 3072 lire; campi e boschi occupano 5883 pertiche e sono valutati 3705 lire; gli alpeggi, che caricano 386 capi, vengono valutati 77 lire; i vigneti si estendono per 444 pertiche e sono stimati 804 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 9489 lire (sempre a titolo comparativo, per Tartano è 642, per Forcola 2618, per Buglio 5082, per Talamona 8530 e per Morbegno 12163).


Erdona

Non fu, in generale, il cinquecento secolo clemente, almeno nella sua prima metà: la natura si mostrò più volte piuttosto matrigna che madre. Nel 1513 la peste infierì in molti paesi della valle, Bormio, Sondalo, Tiolo, Mazzo, Lovero, Tovo, Tresivio, Piateda, Sondrio, Fusine, Buglio, Sacco, e Morbegno, portandosi via diverse migliaia di vittime. Dal primo agosto 1513 al marzo del 1514, poi, non piovve né nevicò mai, e nel gennaio del 1514 le temperature scesero tanto sotto lo zero che ghiacciò perfino il Mallero. L’eccezionale ondata di gelo, durata 25 giorni, fece morire quasi tutte le viti, tanto che la successiva vendemmia bastò appena a produrre il vino sufficiente ai consumi delle famiglie contadine (ricordiamo che il commercio del vino oltralpe fu l’elemento di maggior forza dell’economia della Valtellina, fino al secolo XIX). Le cose andarono peggio, se possibile, l’anno seguente, perché nell’aprile del 1515 nevicò per diversi giorni e vi fu gran freddo, il che arrecò il colpo di grazia alle già duramente colpite viti della valle. Nel comune di Sondrio, annota il Merlo, cronista del tempo, vi furono in tutto solo un centinaio di brente di vino. Nel 1526 la peste tornò a colpire nel terziere di Mezzo, e ne seguì una dura carestia, come da almeno un secolo non si aveva memoria, annota sempre il Merlo. L’anno successivo un’ondata di freddo e di neve nel mese di marzo danneggiò di nuovo seriamente le viti. Dalle calende d’ottobre del 1539, infine, fino al 15 aprile del 1540 non piovve né nevicò mai, tanto che, scrive il Merlo, “per tutto l’inverno si saria potuto passar la Montagna dell’Oro (cioè il passo del Muretto, dall’alta Valmalenco alla Val Bregaglia) per andar verso Bregaglia, che forse non accadè mai tal cosa”. La seconda metà del secolo, infine, fu caratterizzata da una grande abbondanza di inverni rigidi e nevosi ed estati tiepide, nel contesto di quel tendenziale abbassamento generale delle temperature, con decisa avanzata dei ghiacciai, che viene denominato Piccola Età Glaciale (e che interessò l’Europa fino agli inizi dell’Ottocento). C’è davvero di che far meditare quelli che (e non son pochi) sogliono lamentarsi perché non ci sono più le stagioni di una volta…


Erdona

Un quadro della situazione a cavallo fra Cinquecento e Seicento ci viene offerto dalla celebre opera di Giovanni Guler von Weineck (governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel biennio 1587-88), “Rhaetia”, pubblicata a Zurigo nel 1616 (e tradotta in italiano dal tedesco da Giustino Renato Orsini). Leggiamo: “Il villaggio di Rogolo... non sorge in cattiva posizione: dipende in tutto dal territorio di Delebio, tranne che per la giurisdizione ecclesiastica, in cui è autonomo. Poco al di sopra del paese, in un bosco, vi è la località detta l'Oca, posseduta in antico dai Rossi dell'Oca. Alcuni rami di questa famiglia risiedono ora a Delebio, altri a Piantedo e nelle vicinanze. Anche nella città di Parma esistono molte famiglie della stirpe dei Rossi.”
Le Tre Leghe Grigie concessero al vescovo di Como Feliciano Ninguarda, per la sua origine morbegnese, il permesso di effettuare una celebre visita pastorale, nel 1589, di cui diede un ampio resoconto pubblicato nella traduzione di don Lino Varischetti e Nando Cecini.
Vi leggiamo: “Oltre Delebio salendo in linea retta verso Morbegno per mezzo miglio, vi è la frazione di Rogolo con quindici famiglie tutte cattoliche, con una chiesa semplice, abbastanza ben costruita, dedicata a S. Abbondio; vi si celebra Messa in determinati giorni. Spetta alla cura del rettore di Delebio.


Rogolo

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Il Seicento segna una svolta decisiva nella storia della comunità di Rogolo, la svolta dell’autonomia. Con un processo avviato agli inizi del XVII secolo, Rogolo ed Andalo, infatti, si resero autonome da Delebio. Nel 1602 la parrocchia di Rogolo, con Andalo, si stacca dalla prepositurale di Delebio. Le contrade al di sotto del torrente Lésina, insieme alle contrade Toraza e Oca vennero a formare il comune di Delebio, quelle al di sopra la comunità di Rogolo. La divisione venne formalizzata nel 1616. Il comune di Rogolo ebbe quindi i suoi statuti, sulla base dei quali era retto da un console, responsabile dell’amministrazione del comune della quale rendeva conto al termine del mandato. Egli rappresentava il comune nei consigli di squadra e di terziere. Le rese dei conti del console e quelle dei conservatori del comune, o canepari, venivano approvate nei sindicati, o consigli generali, adunanze del popolo di Rogolo, e nei consigli, formati dai deputati eletti in rappresentanza dei colondelli di Rogolo e di Andalo. L’utilizzo dei beni comuni e l’amministrazione erano regolamentati da ordini della comunità.


Rogolo

Se il Cinquecento fu un secolo in chiaroscuro, nel Seicento le ombre sopravanzarono di gran lunga le luci, nel Chiavennasco ed in Valtellina. Un anno, sopra tutti, merita di essere ricordato come funestamente significativo, il 1618: in Europa ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni, nella quale Valtellina e Valchiavenna furono coinvolti come nodi strategici fra Italia e mondo germanico; a Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture.
Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra.


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La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna e dalla Valmalenco. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva, ma la bassa Valtellina divenne teatro fondamentale di guerra. La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della bassa Valtellina un teatro di battaglia, di cui Delebio ebbe a risentire con pesanti vessazioni. Morbegno, dopo l’incendio del 1623, che distrusse un quarto dell’abitato, venne occupata nel 1624 dal francese marchese di Coeuvres, che vi eresse un fortino denominato “Nouvelle France”. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni. In quegli anni, a partire cioè dal 1620, Delebio e Rogolo divennero il principale punto di raccolta delle truppe spagnole, con tutte le vessazioni che ciò comportava. In quegli anni, e precisamente nel 1624, Rogolo contava 422 abitanti.
Ma la valle godette solo per breve periodo della riguadagnata pace: il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, più di un terzo della popolazione, compresa quella di Delebio, morì per le conseguenze del morbo.


La chiesa di Sant'Abbondio a Rogolo

Un quadro sintetico di Rogolo in quegli anni si trova in unno scritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice). Vi si legge: “Rodolo, parochia separata, con le contrate sparse nel piano et montagna, chiamate Ocha, Pistolera, Minudello, Casina, farà 80 fameglie circa. Ha territorio fertile di grano, vino mediocre, fieno caregioso, la montagna fertile di castagne, quasi tutta la cima abbondante di legna et pascoli, qual confina con Valle Sassina. Sopra la terra v’era un castello chiamato S. Giorgio; adesso si veggono solo le ruine. Passa puoco lontano, verso mattina, un rivo qual scorre dalla montagna. Questa communità appartiene alla communità di Delebio.”
Nel medesimo periodo la “Pallas Rhaetica”, o “Cronaca della Rezia”, di Fortunato Sprecher von Bernegg, podestà di Teglio nel 1583 commissario a Chiavenna nel 1617 e nel 1625, riporta questi dati: “Rogolo. In località soprastante, sul pendio, si ergeva la fortezza di S. Giorgio. Le comunità vicine si chiamano Andalo, Oca, Fistolera e Casin” (trad. di Cecilia Giacomelli).


La Masonaccia ed Erdona

Neppure il tempo per riaversi dalla peste, ed ecco che la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali. Il duca, penetrato d'improvviso in Valtellina nella primavera del 1635, con in una serie di battaglie, a Livigno, Mazzo, S. Giacomo di Fraele e Morbegno, sconfisse spagnoli e imperiali venuti a contrastargli il passo. Poi, nel 1637, la svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni, che pretendevano la restituzione di Valtellina e Valchiavenna (mentre i Francesi miravano a farne una base per future operazioni contro il Ducato di Milano), si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio.


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Rogolo risentì pesantemente, come tutti i comuni della valle, di questo terribile periodo. Molti lasciarono la valle per migrare a Venezia e Napoli. La seconda metà del secolo ed il successivo Settecento furono infatti caratterizzati dall’incremento del flusso migratorio. Significative le note di sintesi che del fenomeno dà Giustino Renato Orsini, nella sua Storia di Morbegno (Sondrio, 1959): “Le condizioni economiche della Valtellina, assai depresse dopo il suo passaggio ai Grigioni (1512) e per il distacco della Lombardia, cominciavano lentamente a risollevarsi per effetto dell'emigrazione. I nostri massicci montanari, pieni di buon volere, lasciavano in piccole frotte il loro paesello per recarsi nei luoghi più lontani: i Chiavennaschi a Palermo, a Napoli, a Roma, a Venezia e persino in Francia, a Vienna, nella Germania e nella Polonia: a Napoli i Delebiesi e quelli di Cosio Valtellino; a Napoli, Genova e Livorno quelli di Sacco; pure a Livorno ed Ancona i terrieri di Bema e di Valle; a Venezia quelli di Pedesina; a Verona quelli di Gerola; a Roma, Napoli e Livorno quelli d'Ardenno. Numerosi muratori e costruttori di tetti emigravano in Germania; e i montanari della Valmalenco si spargevano come barulli nei più diversi paesi.


Masonaccia ed Erdona

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A partire dal Settecento la situazione economica migliorò progressivamente. La ripresa settecentesca, economica e demografica, non fu, infatti, priva di arresti e momenti difficili, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709 (passato alla storia come “l’invernone”, “l’inverno del grande freddo”), quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti. Lo storico Francesco Saverio Quadrio attesta che intorno alla metà del Settecento (1755) il territorio comunale di Rogolo comprendeva anche i villaggi di Andalo, Occha, Fistolera, Le Cassine. Nelle sue “Dissertazioni storico-critiche...” scrive: “Rogolo (Rogulum). Rogolo aveva già sopra nel monte un Castello, detto di San Giorgio, dove non si veggono ora, che le rovine. Andelo, Occha, Fistolera e le Cassine sono i Villaggi che concorrono a formarne tal Comunità. Quivi fioriscono tuttavia i Peregalli.”


Erdona

Dal territorio di Rogolo si staccò come comune autonomo Andalo, tra il tra il 1767 e il 1778, e questa scissione, che aveva come premessa un pluridecennale dissidio, ebbe come strascico una serie di controversie giudiziarie. Scrive in proposito Martino Fattarelli, in “La sepolta Olonio e la sua pieve”: “Sarà però una separazione assai sofferta, perché darà luogo ad una sequela di contrasti veramente impressionanti. Infatti le due comunità troveranno pace solamente dopo un secolo e mezzo di litigi. A scorrere il lungo elenco dei convocati, degli arbitrati, giudici, atti notarili, ecc., si ha l’impressione che il gioco non valesse la candela, in quanto le spese forse superavano i supposti guadagni, da cui traeva origine il litigio stesso. Una volta era la linea confinaria, altra volta era il taglio delle piante e l’uso della “voga” [ripidi sentieri-canali per il trascinamento dei tronchi a valle], ritenuti abusivi or dall’una, or dall’altra parte, un’altra volta ancora l’estimo mal distribuito, ecc. A nulla valsero i ripetuti interventi di Morbegno e di Coira… Finalmente l’energico intervento dell’Eccelso I. R. Governo austriaco con decreto del 15 giugno 1817 poneva fine all’ultrasecolare litigio… Nessuna meraviglia Non era il primo e nons arà l’ultimo caso del genere.”


Mulattiera per Erdona

Nel Settecento il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie nelle due valli crebbe progressivamente, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno. Per meglio comprendere l’insofferenza di valtellinesi e valchiavennaschi, si tenga presente che la popolazione delle Tre Leghe, come risulta dal memoriale 1789 al conte di Cobeltzen per la Corte di Vienna, contava circa 75.000 abitanti, mentre la Valtellina, con le contee, superava i 100.000. Fu la bufera napoleonica a risolvere la situazione, con il congedo dei funzionari Grigioni e la fine del loro dominio, nel 1797. In quell’anno Rogolo contava 400 abitanti e nel consiglio generale del comune di Rogolo del 2 luglio 1797 la comunità di Rogolo, su richiesta del cancelliere della squadra di Morbegno Giacomo Castelli, abilitò il console e i deputati in carica di Rogolo ad intervenire nelle riunioni della società patriottica di Morbegno, eleggendo come giudice civile e criminale di Rogolo Paolo Delfini.


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Per alcuni mesi, dopo il 1797, comunque, rimase in piedi l'ipotesi di un'aggregazione di Valtellina e Valchiavenna come Quarta Lega alla federazione grigiona, cui non erano contrari né Napoleone né Diego Guicciardi, cancelliere di Valle del libero popolo valtellinese. Il sorprendente voto nei comuni delle Tre Leghe Grigie, di cui giunse notizia il primo settembre 1797, chiuse, però, definitivamente questa prospettiva: 24 si espressero contro, 21 a favore, 14 si dichiararono incerti e 4 si astennero. Di conseguenza il 10 ottobre 1797 Napoleone dichiarò Valtellinesi e Valchiavennaschi liberi di unirsi alla Repubblica Cisalpina. Seguì, il 22 ottobre, l'unione della Valtellina e dei Contadi di Bormio e Chiavenna alla Repubblica Cisalpina ed il 28 ottobre la confisca delle proprietà dei Grigioni in Valtellina.


Rogolo

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Alla Repubblica Cisalpina seguì, nel 1805, il Regno d’Italia. Con l’organizzazione del dipartimento dell’Adda nel regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805), il comune di Rogolovenne ad appartenere al cantone V di Morbegno: comune di III classe, contava 355 abitanti.
Nel prospetto dei comuni del dipartimento dell’Adda, secondo il decreto 22 dicembre 1807, figurava anche il comune denominativo di Rogolo, con 352 abitanti. Nel 1810 Rogolo ed Andalo tornarono ad essere fusi con il comune di Delebio, e tale fusione fu confermata nel 1815, dopo l’assoggettamento del dipartimento dell’Adda al dominio della casa d’Austria nel Regno Lombardo-veneto. In quell’anno Rogolo figurava, on 352 abitanti, insieme ad Andalo e Piantedo, come comune aggregato al comune principale di Delebio, nel cantone V di Morbegno. Nell’estate del 1815, però, i delegati di Rogolo trasmisero l’istanza, accolta, per il ripristino dell’autonomia comunale: Rogolo tornò quindi ad essere comune autonomo del Distretto III di Morbegno, e nel 1853 contava 352 abitanti.


Masonaccia

Il dominio asburgico fu severo ma attento alle esigenze della buona amministrazione e di un’ordinata vita economica, garantita da un importante piano di interventi infrastrutturali. Fra il 1845 ed il 1858 venne scavato un nuovo alveo artificiale per l'Adda tra Berbenno e Ardenno e, nel suo corso inferiore, tra Dubino e il Lario, che pose le basi per la bonifica ed il successivo ricupero agricolo della piana della Selvetta e del piano di Spagna, di cui trassero giovamento tutti i comuni orobici della bassa Valtellina.
Venne tracciata la strada principale che percorreva bassa e media Valtellina, fino a Sondrio, poi prolungata fino a Bormio. Venne tracciata la carozzabile da Colico a Chiavenna, e, fra il 1818 ed il 1822, la strada dello Spluga, la prima grande strada che attraverso le Alpi centrali mettesse in comunicazione la pianura lombarda con la valle del Reno. Tra il 1820 e il 1825 anche Bormio fu allacciata alla valle dell'Adige con l’ardita strada dello Stelvio progettata dall’ingegner Carlo Donegani, che già aveva progettato la via dello Spluga. Nel 1831, infine, fu inaugurata la strada lungo la sponda orientale lariana, da Colico a Lecco, che consentì alla provincia di Sondrio di superare lo storico isolamento rispetto a Milano ed alla pianura lombarda.


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Il periodo asburgico fu, però, anche segnato anche da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855). Il Cantù, nella Storia della città e della Diocesi di Como, edita nel 1856, scrive: “Nella provincia di Sondrio arrivò il giugno 1836 e visi mantenne tutta l’estate, poco essendosi proveduto ai ripari e male ai rimedj. Meglio trovossi preparato il paese all’invasione del 1855; e le comunità restie alle precauzioni pagarono cara la negligenza, perché Ardenno, Montagna, Pendolasco, popolate di 1800, 1850, 630 abitanti, dal 29 luglio al 13 settembre deplorarono 40, 61 e 35 vittime, mentre Sondrio, Tirano, Morbegno, con 4800, 4860, 3250 anime, ebber soli 17, 9 e 11 casi: 50 Chiavenna; e tutta insieme la Provincia 428 casi, 259 morti: proporzione più favorevole che in ogni altra provincia.” Si aggiunse anche l'epidemia della crittogama, negli anni cinquanta, che mise in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo, sia di quella stagionale verso Francia e Svizzera, sia di quella spesso definitiva verso le Americhe e l’Australia.


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Pochi anni dopo, come esito della II Guerra d’Indipendenza, venne proclamato il Regno d'Italia.
La relazione voluta dal prefetto Scelsi, di pochi anni successiva all’unità d’Italia (1865) riporta una serie di dati preziosi su tutti i comuni della provincia. Rogolo, comune del Mandamento di Morbegno, conta 381 abitanti, 192 maschi e 189 femmine, 102 case (di cui 9 vuote) e 93 famiglie. Vi si trova la chiesa prepositurale di S. Abbondio, officiata da due sacerdoti. Sul suo territorio si trova l’alpe Mezzana, in Val Lesina, che carica 120 mucche. Il suo patrimonio complessivo è stimato in 190.027 lire. Ha inoltre 4 scuole dell’ordine primario, 2 maschili e 2 femminili, con 135 alunni, 70 maschi e 65 femmine. Gli insegnanti sono 4, 2 donne e 2 uomini. Il Comune vi provvede con una spesa annua di 724 lire.
Nella Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio, a cura di Fabio Besta, ne 1885 (II ed.) vengono dedicate a Rogolo scarne note: “Oltrepassato Rololo (290 m. 444 ab.), a destra sopra un poggio si vedono avanzi di un antico castello. È il castello di Cosio, che lo Sprecher chiama fortissimo, già dei Vicedomini, disrrutto da Guelfi Vitani nel 1404”.


Rogolo

L’andamento della popolazione di Rogolo dall’unità d’Italia alla prima guerra mondiale registra 404 abitanti nel 1861, 403 nel 1871, 444 nel 1881, 435 nel 1901, 452 nel 1911, 484 nel 1921, 396 nel 1931 e 408 nel 1936.
Il monumento ai caduti presso la chiesa di Rogolo riporta i seguenti nominativi di caduti nella prima guerra mondiale: Ferrè Pietro, Fallati Antonio, Castelletti Rocco, Gusmeroli Alfredo, Gusmeroli Aniceto e Villa Achille. I morti nella seconda guerra mondiale sono, invece, Linsciardi Battista e Patriarca Giacinto; Curtoni Miro fu dichiarato disperso.
Una targa reca scritto: "Questa area rappresenta il cuore pulsante e il centro culturale di Rogolo. Vi sorge l'ex edificio scolastico - el palàz - inaugurato nel 1910. Il palazzo è stato dapprima sede delle aule scolastiche; ospitò anche il Municipio e l'asilo infantile. Dopo il 1918 questo luogo divenne parco della rimembranza a ricordo dei caduti rogolesi della Grande guerra e di quelli della II guerra mondiale. Successivamente il cortile venne abbellito dal monumento voluto dal Gruppo Alpini e dall'Amministrazione Comunale: un'opera costituita da tre sassi in granito della Val Masino che vogliono ricordare le montagne sulle quali combatterono i nostri soldati. All'interno di un masso arde la lampada votiva, simbolo dello spirito che animò i combattenti. Sul pennone sventola il nostro tricolore che ricorda la Patria liberata."


Dipinto su un'abitazione di Rogolo

Ne "La Valtellina - Guida illustrata" di Ercole Bassi (1928, V edizione) troviamo queste notizie su Rogolo fra le due guerre: "A km. 2 da Delebio si arriva a Rogolo (fermata ferroviaria, m. 216 - abitanti 398), a sinistra rotabile al ponte sull'Adda per Mantello e Cino (cooperativa di consumo - circolo agricolo - latteria sociale). Nel coro della parrocchiale vi sono due begli affreschi del Gavazzeni colla Deposizione e Gesù fra i Dottori. La chiesa possiede qualche buon quadro, ricchi paraventi e vestiti ricamati in oro con pizzi d'argento per la statua della Madonna, magnifici stendardi pure ricamati in oro. Sopra Rogolo vi sono gli avanzi di un castello Vicedomini, posto sopra un poggio sulla strada che conduce ad Erdona e distrutto da Guelfi Vitani nel 1304. La chiesetta di San Giorgio, unita al castello, porta sulla facciata l'affresco con la Crocefissione e sopra la data che può leggersi 1447 ma che è 1557. Ha colori vivaci, espressione e movimento. Sul lato nord è dipinto un San Giorgio. La tela sopra l'altar maggiore, del 500, rappresenta la Crocefissione con la Madonna, la Maddalena e San Giovanni. Altri dipinti del 500 assai deperiti si trovano all'esterno di case nelle località Era e Fistolera. Nella chiesetta della seconda, del 600, vi è una copia della Madonna del Rosario del Petrini di Delebio, e un'altra tela con una Anninciazione del 600."
La popolazione, nel secondo dopoguerra, passò da 437 abitanti nel 1951 a 441 nel 1961, 452 nel 1971, 461 nel 1981, 475 nel 1991, 501 nel 2001 e 564 nel 2011.


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Piace chiudere questa presentazione con una carrellata di proverbi e modi di dire tipici del paese: El tée a màa dela spina, el laga ‘nda del buriùn” (risparmia dalla spina e non controlla il buco grosso della botte, cioè spende più di quel che guadagna); “L’è mèi vanzà d’en balòs che duà dàghen a ‘n galantùm” (è meglio avere un credito con un briccone che avere debiti con un galantuomo); “En ne sa püsée en màt a ca sua che ‘n savi a ca di òtri” (ne sa di più un matto a casa sua che un savio in casa d’altri); “En trii a tirà de fò, ed düü a tirà dedéent: la ca la va en niéent” (se tre pensano a spendere e due a guadagnare, la casa va in malora); “La maravéia l’ha cüürt i pée, la va lagliò, po’ la turna ‘ndrée” (la meraviglia ha i piedi corti, prima esce di casa, poi torna, cioè quando ci si scandalizza per qualcosa, poi lo si ritrova a casa propria); “I catìif i gà i dèenc’ de càa, se i muurt miga ìncöö i muurt dumàa” (i cattivi hanno i denti di cane, se non mordono oggi, mordono domani); “Quàant la cabra l’è ‘mbechìda la ‘ngüra el bèch en buca al lüüf” (quando la capra è stata montata dal caprone, si augura che finisca in bocca al lupo, cioè non è riconoscente); “La prima volta se perduna, la segunda se cundàna, la terza volta se bastùna” (la prima volta si perdona, la seconda si condona, la terza si bastona); “L’è mèi en rat en buca al gat che ‘n cristiàn en màa a l’aucàt” (è meglio un ratto in bocca ad un gatto che un cristiano in mano ad un avvocato); “Quàant i nàs i è tücc’ bèi, quàant i möör i è tücc’ dabée” (quando nascono sono tutti belli, quando muoiono sono tutti buoni); “Chi trop stüdia mat el diventa e chi nu stüdia porta la brénta” (chi troppo studia matto diventa, chi non studia porta il gerlo); “Se la vipera la ghe sentès e l’urbanèla la ghe vedès poca gent ghe sarès” (se la vipera ci sentisse e l’orbettino ci sentisse, sopravviverebbe poca gente); “Muntàgna ciara e valada scüra, mètet en viac’ sénza pagüra” (se al monte è sereno e sulla valle è scuro, mettiti in viaggio senza paura, perché il tempo sarà bello); “A fa el duminée ghe vöö ‘n sach de danée. Quaànt el duminée l’è fac’, lü l’è sàvi e i òtri i è màc’” (per fare un maestro ci vogliono molti soldi, ma quando il maestro è fatto, lui è saggio e gli altri sono stolti); “Per sàant Simùn Giüda strèpa la rava che l’è marüda. Marüda u de marüdà, strèpa la rava e ménela a ca” (per san Simone e Giuda, 28 ottobre, strappa la rapa che è matura. Matura o no, strappala e portala a casa); “El fa cume i mercàant de Varées: el compra a vìnti, el vént a dées" (fa come i mercanti di Varese, compra a venti e vende a dieci); “El prim an basìn e carèzi, el segùunt fasi e patéi, el tèerz an cüü a cüü, che t’avèsi mai vedüü” (il primo anno baci e carezze, il secondo fasce e patelli, il terzo anno schiena a schiena, non t’avessi mai incontrato!).


La funtana granda a Rogolo

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BIBLIOGRAFIA

Cazzola Peregalli Ardiana, Ruffoni Irma (a cura di), "Inventario dei toponimi valtellinesi e valchiavennaschi - Rogolo", edito dalla Società Storica Valtellinese nel 1971

Fattarelli, Martino, "La sepolta di Olonio e la sua pieve alla sommità del lago e in bassa Valtellina", Oggiono, 1986


Rogolo

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