Il rifugio Nani Tagliaferri (foto di Alessio Pezzotta, per gentile concessione)

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Parcheggio Ponte Frera-Passo venano e rifugio Nani Tagliaferri
4 h
970
EE
SINTESI. Stacchiamoci dalla ss 38 dello Stelvio a Tresenda prendendo a destra (per chi proviene da Milano) al passaggio a livello ed imboccando la statale che sale verso Aprica. Prima di raggiungere Aprica, la lasciamo sulla destra e scendiamo al ponte di Ganda (m. 915), all’imbocco della Val Belviso. Passati sul versante opposto (destro per chi sale), superiamo le Baite Valle Aperta (m. 1064), la località S. Paolo (m. 1216) ed il rifugio Cristina (m. 1255), raggiungendo, infine, la località Ponte Frera (m. 1373, a 4 km dal ponte di Ganda). Lasciamo l’automobile al parcheggio che si trova appena oltre il ponte (sul lato di sinistra per noi, est, della valle). Ci incamminiamo sulla pista che sale sul lato sinistro (per chi sale, cioè orientale) della Val Belviso, raggiungendo, dopo pochi tornanti, il livello della sommità della grande diga del lago di Belviso (Lach de Belvìs, m. 1485). Proseguendo diritti superiamo la casa dei guardiani e, sempre sulla pista, percorriamo un lungo tratto in piano (circa 6 km) costeggiando in piano la sua riva orientale, in direzione sud. Raggiunto il limite meridionale del lago, ad un bivio prendiamo a destra, seguendo le indicazioni del sentiero 312. Costeggiamo così, sempre su una pista, la riva meridionale del lago, passando per la baita di quota 1506. Dopo una ravvicinata serie di tornanti dx-sx, superiamo il torrentello della Val Mandra e proseguiamo salendo sul largo sentiero che ha sostituito la pista, verso sud-ovest, lungo la Val di Pila.  Il sentiero procede, con diversi saliscendi, a destra del torrente della Val Pila, superando diversi torrentelli che vi confluiscono. Giunto ai piedi del gradone chiamato “Gronde di Pila” il sentiero piega a destra (nord-ovest), risalendo alcune balze erbose e poi, con diversi tornanti (le “Scale di Pila”), il ripido versante roccioso (con qualche passaggio esposto ed insidioso se procediamo senza cautela o su terreno bagnato), superato il quale approdiamo agli scenari più ameni dei pascoli d’alta valle ed alla Malga o Grasso di Pila (m. 2010). Qui torniamo indietro per un tratto, procedendo verso nord e superando un torrentello. Risalito un dosso erboso, intercettiamo la Mulattiera del Passo Venano, parte del sistema difensivo noto come Linea Cadorna. Ci innestiamo anche nel tracciato della Gran Via delle Orobie, che descrive un ampio semicerchio come alta via della Val Belviso. Procediamo ora verso sud, in leggera salita, fino ad un canalino. Qui sulle rocce è segnalato un bivio, al quale lasciamo alla nostra destra il sentiero 312 che sale al passo di Belviso (Pas de Belvìs o Pas de Pila, m. 2578), procedendo diritti. Subito dopo, però, ad un nuovo bivio, ignoriamo l’indicazione per la Malga Demignone, lasciamo la Gran Via delle Orobie (GVO) che procede diritta e prendiamo a destra, seguendo il sentiero 315, verso sud-est. Superato un avvallamento, saliamo con pendenza via via più accentuata e, dopo diversi tornanti, raggiungiamo il passo di Venano (m. 2328), che si affaccia sulla Val di Scalve, nel versante orobico bergamasco. Poco oltre il passo raggiungiamo il rifugio Nani Tagliaferri (m. 2328).


La Val Belviso

Ottimo biglietto da visita della Val Belviso (Val Belvìs, interamente in territorio del comune di Teglio) è il suo stesso nome, che significa “di bell’aspetto”. La valle non tradisce le aspettative condensate nel suo nome: ampia ed aperta, offre ampia possibilità escursionistiche che regalano scenari luminosi e suggestivi. Fra gli elementi di interesse non ultimo è la particolare ricchezza floro-faunistica, per l’abbondante presenza di cervi, camosci, mufloni e caprioli, oggetto di costante monitoraggio e selezione da parte dell’Azienda Faunistico-venatori Valbelviso-Barbellino.
Vale dunque l’invito che già si legge nella “Guida alla Valtellina” edita dal CAI di Sondrio (1884, II edizione, a cura di Fabio Besta): “Più lunga, più profonda e più ampia delle precedenti, e ricca di boschi, di pascoli e di cime, la Valle di Belviso merita di essere assai più visitata che non sia stata fin qui. Vicino alla prima galleria si distacca dalla grande strada d’Aprica un sentiero che sale erto la Corna, e, attraversato il villaggo della Foppa, s’addentra nella valle. Ai Mulini è raggiunto da un altro sentiero più commodo, e praticabile ai muli, che viene d’Aprica e passa il torrente, la Valvarina, sopra un ponte di pietra. Poi continua attraversando maggenghi e alpi fino al fondo della valle, al Forno. Dal Forno un primo sentiero sale a destra ai Grassi di Pila, da dove un altro sentiero appena tracciato, per il valico che trovasi tra il monte Torrena e il pizzo Strinato, conduce alla conca di Barbellino.


La Val Belviso

Un secondo sentiero sale dal Forno la Valle di Pila e guida al passo di Belviso o della Bergamasca (circa 2600 metri) per cui si scende attraverso nevai, nella Val del Gleno e per essa a Vilminore (circa 1100 m.) in Val di Scalve. Un terzo sentiero sale a sinistra verso le Alpi o Grassi di Campo, e quindi piegando a destra sormonta con ripidi risvolti l’erta china, e, lasciata anche l’ultima alpe, giunge al Passo del Venerocolo (2344 m.). Di là il sentiero marcatissimo costeggia un primo laghetto il cui bacino è nell’arenaria e par quasi scavato ad arte, e poi altri, e quindi scende per la Valle Venerocolina rapidamente a Schilpario (1174 m.) la Val di Scalve. Questo è il più facile fra i passi che legano la Valtellina alla Valle di Scalve: da esso transitano annualmente migliaia di pecore che gli industri pastori bergamaschi conducono ai pascoli delle alte alpi della Valtellina e della Svizzera. La via suol essere, durante l’estate, nelle annate calde, sgombra di nevi; ma se le nevi non sono sciolte la china loro nel versante valtellinese è ripida assai.”


Il lago di Belviso

Il terzo dei sentieri segnalati dalla Guida (che, non sarà sfuggito, non menziona lo splendido lago di Belviso per il semplice motivo che nel 1884 era ancora di là dall’essere costituito in virtù dello sbarramento artificiale), cioè il sentiero che porta al passo del Venerocolo, può costituire la meta di un’escursione che ci porta a scoprire questa splendida valle. Escursione che però raggiunge non il passo del Venerocolo, ma quello vicino e più ad ovest, il passo Venano, nei cui pressi, sul versante della Val di Scalve, si trova il più alto rifugio orobico, il Nani Tagliaferri, aperto nel 1985.
Punto di partenza dell’escursione, di medio impegno e consigliabile a stagione inoltrata, è il parcheggio di Ponte Frera (Put de Fréra), raggiungibile, con l’automobile, per due vie. Si può percorrere la strada che da Tresenda (la si imbocca lasciando qui la ss 38 dello Stelvio, per chi procede verso Tirano, e prendendo a destra ad un passaggio a livello) sale verso Aprica, staccandosene, poco prima di raggiungere la nota località turistica, al bivio segnalato per imboccare la stradina sulla destra che scende al ponte di Ganda (m. 915), all’imbocco della Val Belviso. Passati sul versante opposto (destro per chi sale), si superano le Baite Valle Aperta (m. 1064), la località S. Paolo (m. 1216) ed il rifugio Cristina (m. 1255), raggiungendo, infine, la località Ponte Frera, a 4 km dal ponte di Ganda. Si può anche lasciare la ss. 38 dello Stelvio, in direzione del versante orobico (cioè, di nuovo, a destra per chi procede da Sondrio a Tirano, e di nuovo ad un passaggio a livello), a S. Giacomo di Teglio, prendendo ad un bivio a sinistra (ignoriamo la strada di destra che porta a Castello dell’Acqua) e salendo sulla strada che conduce a Carona (strada in più punti piuttosto stretta). Prima di raggiungere Carona, si trova, sulla sinistra, la deviazione, segnalata, per la Val Belviso. Imboccandola, si prosegue verso est, raggiungendo la soglia del fianco occidentale della Val Belviso e scendendo ad intercettare l’itinerario sopra descritto, poco oltre il ponte di Ganda.


Valle e lago di Belviso

A Ponte Frera (m. 1373) lasciamo l’automobile al parcheggio che si trova appena oltre il ponte (sul lato di sinistra per noi, est, della valle), dal quale si ammira l’imponente (138 metri d’altezza) sbarramento artificiale del lago Belviso (m. 1485). Ci incamminiamo sulla pista che sale sul lato sinistro (per chi sale, cioè orientale) della Val Belviso, attraversando la Valle Soffia e raggiungendo, dopo pochi tornanti, il livello della sommità della grande diga del lago di Belviso (Lach de Belvìs, m. 1485). Proseguendo diritti superiamo la casa dei guardiani e, sempre sulla pista, percorriamo un lungo tratto in piano (circa 6 km) costeggiando in piano la sua riva orientale, in direzione sud.
La monotonia di questo tratto è stemperato dallo stupendo scenario del lago, il più esteso di tutta la catena orobica, e degli splendidi boschi di abete che gli fanno da corona. La diga che lo ha generato è stata costruita fra il 1956 ed il 1959 e contiene circa 50 milioni di metri cubi d’acqua. Purtroppo ha sommerso uno dei più ampi alpeggi della valle. Per vincere la noia possiamo anche lasciar correre la fantasia ai secoli passati, quando questi scenari di fitte peccete e generose malghe erano territorio di orsi e lupi, minaccia costante per gli armenti, tanto che nel 1478 il duca di Milano (allora signore della Valtellina), concesse agli abitanti della valle il permesso di portare armi per la difesa personale. Gli ultimi due orsi di Val Belviso furono abbattuti l’otto novembre del 1894 da Giovanni Boggini, guardaboschi di Carona. Ma, come accade spesso nelle vicende del tempo, il passato a volte ritorna, anche se mai identico a se stesso: così probabilmente in futuro la valle ospiterà qualche orso e qualche lupo, quelli però postmoderni, meno minacciosi e più corteggiati dai mass-media.


Rifugio Nani Tagliaferri

Certo non troveranno più la ricchezza di armenti di un tempo, quando la valle era famosa anche per la ricchezza degli alpeggi, o malghe, assai ambiti ed oggetto di vere e proprie aste per l’aggiudicazione. Fino agli anni Trenta del secolo scorso, e la cosa è davvero singolare, queste aste erano regolate con il sistema della candela vergine: a ciascuno degli aspiranti ne veniva consegnata una, di egual misura. Le candele venivano accese contemporaneamente e l‘alpeggio veniva dato in affitto a colui la cui candela si spegneva per ultima. Morale della favola: restare con il cerino acceso in mano non è mai cosa bella, ma con la candela accesa sì!
Percorrendo la pista immersi in questi pensieri, ignoriamo alcune deviazioni che salgono alla nostra sinistra e passiamo nei pressi di un’esuberante cascata. Raggiunto il limite meridionale del lago, ad un bivio prendiamo a destra, seguendo le indicazioni del sentiero 312. Costeggiamo così, sempre su una pista, la riva meridionale del lago, passando per la baita di quota 1506. Un tempo qui, prima della sommersione della valle legata alla costruzione della diga, si trovava la località Forno, toponimo che ha un chiaro riferimento alle attività di prima lavorazione del minerale ferroso che poi veniva portato sul versante orobico opposto attraverso il passo di Venano.


Il rifugio Nani Tagliaferri (foto di Alessio Pezzotta, per gentile concessione)

Dopo una ravvicinata serie di tornanti dx-sx, superiamo il torrentello della Val Mandra (Val de la Màndra) e proseguiamo salendo sul largo sentiero che ha sostituito la pista, verso sud-ovest, lungo la Val Pila o Val di Pila (Val de Pila), ramo occidentale dell’alta Val Belviso.  Il sentiero esce all’aperto e procede, con diversi saliscendi, a destra del torrente della Val Pila, superando diversi torrentelli che vi confluiscono. Lo scenario appare a tratti un po’ desolante, perché la vegetazione sopravvissuta qui è quella che ha rinunciato al principio di amor proprio “mi spezzo ma non mi piego”: si tratta di ontani e betulle che si sono piegati ma non spezzati all’urto delle slavine che di frequente battono il versante alla nostra destra. Vediamo davanti a noi i gradoni che sbarrano l’accesso al circo terminale della Val Belviso.
Giunto ai piedi del gradone chiamato “Gronde di Pila” il sentiero piega a destra (nord-ovest), risalendo alcune balze erbose e poi, con diversi tornanti (le “Scale di Pila”), il ripido versante roccioso (con qualche passaggio esposto ed insidioso se procediamo senza cautela o su terreno bagnato), superato il quale approdiamo agli scenari più ameni dei pascoli d’alta valle ed alla Malga o Grasso di Pila (Gras de Pila, m. 2010). Qui torniamo indietro per un tratto, procedendo verso nord e superando un torrentello. Risalito un dosso erboso, oltrepassiamo un bivacco, di proprietà dell'Azienda faunistica Val Belviso.
Volgiamo a sinistra ed intercettiamo la Mulattiera del Passo Venano, parte del sistema difensivo noto come Linea Cadorna, voluto dal generale Cadorna, durante la Prima Guerra Mondiale, per arginare un’eventuale sfondamento del fronte dello Stelvio da parte dell’esercito Austro-Ungarico. Ci innestiamo anche nel tracciato della Gran Via delle Orobie, che descrive un ampio semicerchio come alta via della Val Belviso. Procediamo ora verso sud, in leggera salita, di fronte all’imponente mole del monte Gleno (Mut Glèn, m. 2854), fino ad un canalino. Qui sulle rocce è segnalato un bivio, al quale lasciamo alla nostra destra il sentiero 312 che sale al passo di Belviso (Pas de Belvìs o Pas de Pila, m. 2578), procedendo diritti. Subito dopo, però, ad un nuovo bivio, ignoriamo l’indicazione per la Malga Demignone, lasciamo la Gran Via delle Orobie (GVO) e prendiamo a destra, seguendo il sentiero 315, verso sud-est.
Superato un avvallamento, saliamo con pendenza via via più accentuata e, dopo diversi tornanti, raggiungiamo il passo di Venano (Pas del Venàa, m. 2328), che si affaccia sulla Val di Scalve, nel versante orobico bergamasco.
Il suo nome (come quello della sopra citata località Forno) segnala che anche questa valle, come buona parte delle valli orobiche valtellinesi, fu interessata in passato (fino ad inizio Ottocento) alle attività di estrazione e prima lavorazione del minerale ferroso, che poi transitava per i passi orobici.


Il rifugio Nani Tagliaferri (foto di Alessio Pezzotta, per gentile concessione)

Il rifugio Nani Tagliaferri (m. 2328), annunciato dalla bandiera italiana che vediamo salendo, non si vede ancora, perché è posto appena oltre lo spartiacque; procedendo sul largo sentiero, lo raggiungiamo in una manciata di minuti.
Inaugurato il 22 settembre del 1985 per iniziativa della sottosezione Val di Scalve Venano del CAI di Bergamo, il rifugio è attualmente gestito da Francesco Tagliaferri ed è dedicato alla memoria del fratello Nani Tagliaferri, scomparso tragicamente nel 1981 durante una spedizione nelle Ande peruviane (Pukajirka). Dispone di 60 posti letto e di un locale invernale adibito a ricovero (per informazioni scrivere a stefania_tagliaferri@libero.it oppure telefonare allo 0346 55355.
Lo raggiungiamo dopo circa 4 ore di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 970 metri). Nei suoi pressi un obice ricorda il doloroso periodo della Prima Guerra Mondiale, che non interessò direttamente queste montagna ma che fece della stessa Val Belviso una zona militarmente strategica nel contesto del sistema difensivo di contenimento della già citata Linea Cadorna. Vicino al rifugio è stata collocata anche una campana che commemora tutti i caduti in montagna.


Val Belviso

CARTA DEL PERCORSO sulla base di Google Earth

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