DA FRACISCIO AL RIFUGIO CHIAVENNA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Soste (Fraciscio)-Rifugio Chiavenna
2 h
600
E
SINTESI. Alla chiesa di S. Giovanni Battista di Campodolcino lasciamo la ss 36 dello Spluga prendendo a destra e salendo a Fraciscio. Proseguiamo portandoci oltre la parte alta del paese, fino al parcheggio di Soste (m. 1442). Incamminiamoci su una pista che lascia il posto ad un sentiero e ad un bivio andiamo a sinistra, risalendo verso nord-est il versante settentrionale della Val Rabbiosa. Dopo monti tornanti pieghiamo a destra (in direzione sud-est), per superare le ultime gole che ci separano dall’alpe. Oltrepassato un torrentello (attenzione ai massi bagnati), ci infiliamo nella gola dalla quale scende uno dei torrentelli che confluiscono nel torrente Rabbiosa. Nell’ultimo tratto passiamo proprio a lato del torrente, prima che questo precipiti in una cascata, e, dopo l’ultimo tratto, ci affacciamo ai pascoli dell’alpe Angeloga. Passando a sinistra del lago omonimo ci portiamo al rifugio Chiavenna (m. 2044), presso le baite dell'alpe.


Il rifugio Chiavenna

Il rifugio Chiavenna (m. 2044; cfr. www.rifugiochiavenna.it; info rifugio.chiavenna@libero.it; tel.: 339 6246881 - Mario Barelli), di proprietà del CAI di Chiavenna, è uno dei rifugi storici della Valle Spluga. Fu inaugurato il 6 luglio 1924, alla presenza del poeta Giovanni Bertacchi, appassionato cantore di questi scenari alpini. Non fu però il primo rifugio all'alpe Angeloga: prima del 1928, infatti, esisteva un un Rifugio privato gestito da Battista Trussoni, prima, Paolin Trussoni, poi, punto di appoggio per la salita al pizzo Stella, una delle più ambite e celebrate negli anni pioneristici dell'alpinismo in questo angolo occidentale delle Alpi Retiche. La sua struttura è ancora visibile accanto a quella del rifugio. Durante la seconda guerra mondiale il rifugio Chiavenna fu danneggiato dagli scontri fra forze partigiane e nazi-fasciste, che culminarono nella battaglia di Angeloga, il 26 aprile 1945, quando già Milano era stata liberata. Per questo dal 1949 il CAI di Chiavenna mise in atto lavori di ristrutturazione che ne ripristinarono l'agibilità. Fu interessato da ampi lavori di rustrutturazione fra il 1995 ed il 2004 e dispone attualmente (2017) di 68 posti letto, 70 posti pranzo e 50 posti tavola esterni. E' dotato di un annesso locale invernale con 5 posti.

Il rifugio Chiavenna

Per salire a Fraciscio bisogna staccarsi dalla ss. 36 dello Spluga all’altezza di Campodolcino (m. 1062): la deviazione si trova, sulla destra, immediatamente dopo la chiesa parrocchiale. Percorsi tre chilometri, con numerosi tornanti, su una strada larga ed agevole, ed ignorata la deviazione, a destra, per Gualdera, raggiungiamo così il paese (m. 1341), la cui fama è legata al fatto di aver dato i natali al beato Luigi Guanella. Le case di Fraciscio sono disposte sul lato settentrionale della valle Rabbiosa, il cui nome rimanda al corso tormentato e selvaggio dell’omonimo torrente.
Salendo lungo la strada che attraversa il paese, raggiungiamo la contrada più alta di Soste (m. 1442) e, poco sopra, una piazzola dove è possibile parcheggiare l’automobile, presso un bar-ristoro. Qui parte una pista, carrozzabile, nel primo tratto, fino ad una seconda piazzola, che rimane sul lato settentrionale della valle (cioè sul lato sinistro, per chi sale). Poi la pista diventa sentiero, che comincia ad inerpicarsi sul fianco montuoso. Incontriamo, così, sul nostro cammino un curioso ed imponente monolito, alla cui ombra è collocato un crocifisso, in una cornice resa meno severa dalla presenza di qualche rado larice.
Poco oltre, a quota 1624, ecco un bivio: mentre una traccia più debole prosegue inoltrandosi nella valle, il sentiero principale piega a sinistra (dalla direzione est alla direzione nord-est) ed inizia una faticosa risalita, con numerosi tornanti, sul versante montuoso che, fra due valloni, ci separa dalla bella conca dell’alpe Angeloga (termine che deriva da “angolo”, con riferimento alla forma o alla piega che la valle assume). Nulla, per ora, fa presagire che oltre gli aspri contrafforti della valle si celi un alpeggio ameno: per ora dobbiamo faticosamente guadagnare metro dopo metro, inizialmente all’ombra di un rado bosco, poi in un terreno scoperto, gettando qualche occhiata al pizzo Stella, che si intravede alla nostra destra (sud-est). Si tratta della cima più famosa della Valchiavenna, conquistata nel 1865 da John Ball, scalatore inglese che fu fra i primi ad esplorare queste montagne.


Val Rabbiosa

Per attenuare la fatica, pensiamo ad una curiosa leggenda ispirata a questa cima e riportata dall'alunno Buzzetti Lino in un ciclostilato prodotto dalla scuola media Bertacchi di Chiavenna, nel 1959. Sfondo storico della leggenda, la disastrosa alluvione del torrente Rabbiosa nel 1927. Pare che il parroco avesse relegato sulla cima del pizzo Stella, nella festività dell'Assunta, tre anime di persone che erano morte nella condizione di scomunicati. Queste anime, però, si trasformarono in un masso, in un grosso tronco ed in un fascio di fieno: questa fu l'origine della rovinosa alluvione che portò le acque del torrente Rabbiosa a devastare la Val S. Giacomo. Solo quando masso, tronco e fieno furono rimossi, le acque del torrente tornarono, miracolosamente, dentro l'antico alveo.
La salita si sviluppa per circa trecento metri, finché, dopo una serie più serrata di tornantini, pieghiamo a destra (in direzione sud-est), per superare le ultime gole che ci separano dall’alpe. Oltrepassato un torrentello, ci infiliamo, infatti, nella gola dalla quale scende uno dei torrentelli che confluisce nel torrente principale, e che corre alla nostra destra. Su uno spuntone di roccia, che cade a precipizio sulla forra del torrente, un crocifisso, come accade spesso nei luoghi montani più aspri, sorveglia i nostri passi.
Nell’ultimo tratto passiamo proprio a lato del torrente, prima che questo precipiti in una cascata, e, dopo l’ultimo tratto, eccoci consegnati ad uno scenario più ampio e gentile, quello dei verdeggianti pascoli dell’alpe Angeloga, riposta dolcemente in un’ampia conca. Nel cuore dell’alpe, poi, è riposto l’omonimo laghetto (m. 2036), che guarda alle baite disposte a ridosso del limite settentrionale dei pascoli. Accanto alle baite, a 2044 metri, il rifugio Chiavenna, presso il cui muricciolo di cinta sostano spesso, in estate, alcuni cavalli. Da Soste al rifugio sono necessarie sono necessarie un’ora e mezza o due di cammino, per superare i circa 600 metri di dislivello. Durante la necessaria sosta, possiamo osservare, a destra del pizzo Stella, la lunga e sassosa cresta del Calcagnolo: non è difficile indovinare che la via che sale alla vetta del pizzo (ascensione non difficile) attraversa la vasta ganda ai piedi del suo versante occidentale, per guadagnare una boccettina sul crinale di di ovest-sud-ovest, e seguirlo fino alla cima. Lontano, infine, oltre l’apertura della valle Rabbiosa, possiamo intravedere alcune importanti cime del versante occidentale della Valle di Spluga, i pizzi Forato, Sevino e Quadro.

 

 

DALLA MOTTA DI MADESIMO AL RIFUGIO CHIAVENNA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Motta di Madesimo-Rifugio Angeloga
2 h
580
E
SINTESI. Saliti in automobile a Madesimo, seguiamo le indicazioni per la Motta (svolta a destra all'ingresso del paese) e portiamoci al punto di partenza della pista di sci denominata “Motta-Serenissima”, proseguendo fino al piazzale dell’Albergo Bucaneve (m. 1750). Alla sua destra, appena a sinistra di un campo di bocce, parte un sentierino che risale i prati, poco a destra degli impianti di risalita. Superato un recinto in legno, ci immettiamo in una pista sterrata che diventa quasi subito stradina asfaltata e porta al nucleo del Mot di Castegna di Motta Alta (m. 1850). La stradina passa a destra, leggermente rialzata rispetto ai nuclei di baite di Motta Alta. Giunti a due cartelli prendiamo a destra e ci incamminiamo su una pista minore, che lasciamo prendendo ancora destra, su debole traccia di sentiero, in corrispondenza di un paletto con segnavia rosso-bianco-rosso. La traccia porta alla stazione d’arrivo-partenza degli impianti di risalita nel tratto Serenissima-Colmenetta, ma noi prima di raggiungerla imbocchiamo una pista che procede verso destra, restando a metà strada circa fra la Madonna d’Europa, alla nostra destra, e la struttura degli impianti di risalita, alla nostra sinistra. Procedendo verso est, giungiamo in vista della stazione di arrivo dell’impianto di risalita, e ci portiamo a questa struttura dopo una breve salita (m. 1955). Proseguiamo sulla pista scendendo leggermente ed imbocchiamo un sentierino che piega a sinistra, poi a destra e, traversando verso sud-est, intercetta il sentiero siglato C10 (m. 1960). Lo seguiamo proseguendo diritti e salendo con una serrata serie di tornantini, a tratti scalinati, in direzione est-sud-est. Raggiunta una pianetta a valle della cima quotata 2158, cominciamo a traversare il versante a valle della Costa di Fortezza, verso sud-est, superando diversi valloni, con tratti esposti serviti da corda fissa, fino a raggiungere l'alpe Angeloga, a breve distanza dal rifugio Chiavenna (m. 2044).

Meno frequentato e più insidioso è il sentiero che dalla Motta di Madesimo porta al rifugio Chiavenna tagliando il dirupato versante sud-occidentale del monte Groppera. Sono dunque necessarie esperienza escursionistica e buone condizioni di terreno.


Apri qui una panoramica dell'alpe Motta

Saliti in automobile a Madesimo, seguiamo le indicazioni per la Motta (svolta a destra all'ingresso del paese) e portiamoci al punto di partenza della pista di sci denominata “Motta-Serenissima”, proseguendo fino al piazzale dell’Albergo Bucaneve (m. 1750). Alla sua destra, appena a sinistra di un campo di bocce, parte un sentierino che risale i prati, poco a destra degli impianti di risalita. Il panorama è già stupendo: sulla sinistra, quasi alle nostre spalle, il pizzo Tambò, più a destra il gruppo del Suretta, davanti a noi il monte Mater. Superato un recinto in legno, ci immettiamo in una pista sterrata che diventa quasi subito stradina asfaltata e porta al nucleo del Mot di Castegna di Motta Alta (m. 1850). La stradina passa a destra, leggermente rialzata rispetto ai nuclei di baite di Motta Alta. Giunti a due cartelli che, sulla nostra destra, segnalano la deviazione per la capanna Chiavenna all’Angeloga (un’ora e 10 minuti) ed il pizzo Stella (4 ore e 30 minuti),
Prendiamo, dunque, a destra e ci incamminiamo su una pista minore, che lasciamo prendendo a destra, su debole traccia di sentiero, in corrispondenza di un paletto con segnavia rosso-bianco-rosso. La traccia porta alla stazione d’arrivo-partenza degli impianti di risalita nel tratto Serenissima-Colmenetta. Alle nostre spalle, splendido è il panorama sulla Motta, nell’incomparabile cornice delle più belle vette della Val San Giacomo, dai pizzi Piani, sulla sinistra, al Ferrè ed al Tambò, dal gruppo del Suretta al monte Mater. Ora ci concediamo un breve programma, per la rapida visita ad uno dei monumenti più sorprendenti della Valle Spluga. Oltrepassato l’impianto, proseguiamo nella graduale salita, sempre su debole traccia, sotto lo sguardo per nulla turbato del pizzo Groppera, che si mostra con elegante nonchalance alla nostra sinistra.
Improvvisa, appare una grande statua dorata, come una gemma di luce in un deserto verde, la statua della Nostra Signora d'Europa. Si tratta infatti di una statua metallica, con rivestimento in lamine d’oro, alta 13 metri, del peso di 4 tonnellate, che sormonta un vero e proprio santuario all’aperto, sede del Centro Ecumenico Europeo per la Pace, a circa 2000 metri di altezza. Interessante la storia della sua realizzazione, dovuta all’iniziativa del Gruppo Alpini di Casatenovo Brianza e dell'amico don Luigi Re (fondatore della struttura della Casa Alpina), che convinse lo scultore Egidio Casagrande, di Borgo Valsugana, a farsi artefice della gigantesca opera, inaugurata al 15 ottobre 1957. Dopo poco più di un anno si decise di trasportarla alla Motta di Madesimo, dove fu messo in opera anche il rivestimento aureo. Dal recinto del santuario il panorama sull’intera valle di San Giacomo è grandioso.
Torniamo ora sui nostri passi ed imbocchiamo una pista che procede verso destra, restando a metà strada circa fra la Madonna d’Europa, alla nostra destra, e la struttura degli impianti di risalita, alla nostra sinistra. Procedendo verso est, giungiamo in vista della stazione di arrivo dell’impianto di risalita, e ci portiamo a questa struttura dopo una breve salita (m. 1955). Proseguiamo sulla pista scendendo leggermente ed imbocchiamo un sentierino che piega a sinistra, poi a destra e, traversando verso sud-est, intercetta il sentiero siglato C10, che sale dalla nostra destra (m. 1960).
Lo seguiamo proseguendo diritti e salendo con una serrata serie di tornantini, a tratti scalinati, in direzione est-sud-est. Raggiunta una pianetta a valle della cima quotata 2158, cominciamo a traversare il versante a valle della Costa di Fortezza, che scende verso ovest dal pizzo Groppera (dove terminano gli impianti di risalita di Madesimo, m. 2948). Superata una valletta ed una pietraia, il sentiero piega a destra (sud) e poi di nuovo a sinistra (sud-est). Poco più avanti (m. 2220) il sentiero attraversa diversi passaggi esposti (in tre tratti la corda fissa è d’aiuto; è necessaria ovviamente la massima attenzione ed è da evitare la traversata in condizioni di terreno non buone) e volge ulteriormente a sinistra (est) approssimandosi al solco della Val Alta, laterale settentrionale della Val Rabbiosa.

Superato il vallone piega a destra ed assume l’andamento sud-sud-est, poi est-sud-est: i passaggi esposti sono terminati e tagliamo un versante in buona parte occupato da materiale franoso, procedendo con qualche saliscendi intorno a quota 2020, fino all’ampio solco della Valle del Crotto, anch’essa valle minore tributaria della Val Rabbiosa. Prima di attraversarlo pieghiamo a destra, procedendo verso sud.
Inizia ora la discesa che si concluderà al rifugio. Raggiunto un largo dosso a quota 2150, pieghiamo a sinistra (sud-est), passando sotto scuri roccioni. Superati alcuni grandi massi ed il rudere di una funivia, ci affacciamo all’ampia conca dell’alpe Angeloga, che pare perfino sorridere a confronto degli orridi versanti che abbiamo attraversato. Un’ultima agevole discesa fra i prati ci porta alle baite dell’alpe ed al rifugio Chiavenna.

DAL RIFUGIO CHIAVENNA AL PASSO DI ANGELOGA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Angeloga - Passo di Angeloga
1 h e 15 min.
350
E
Dal rifugio Chiavenna, seguendo le indicazioni del sentiero C3, procediamo in direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti su ripido versante, che ci portano proprio a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che va affrontato con concentrazione. Poi, ecco il corridoio che si apre fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua: alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio scenario, dominato dal lago Nero (m. 2352). Percorriamo il lato settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero per il passo di Angeloga. Procedendo verso est-sud-est passiamo accanto al laghetto delle Streghe e ci portiamo al corridoio del passo dell'Angeloga (m. 2391, piccola croce in legno). Ci affacciamo all'ampia Val di Lei e notiamo, qualche decina di metri sotto di noi, un altro bel lago, il lago Ballone (m. 2321).


Rifugio Chiavenna

In prossimità del rifugio partono tre sentieri, quello sfruttato per l’ascensione al pizzo Stella, quello che, in direzione opposta, effettua una bella e facile traversata di mezza costa alla Motta di Madesimo (C10) e quello che sale diritto al ripiano del lago Nero (C3). Quest’ultimo si inerpica sull’erboso e ripido versante che scende all’alpe dall’ultimo gradino roccioso, che la separa dalla piana del passo di Angeloga.


Corno Stella

Riprendiamo, quindi, il cammino in direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti che ci portano proprio a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che va affrontato con concentrazione (alcune corde fisse sono d'aiuto).


Lago di Angeloga

Poi, ecco il corridoio che si apre fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua: alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio e bellissimo scenario, dominato dal lago Nero (m. 2352).
A dispetto del nome, questo lago non ha nulla di tetro, anzi, in una bella giornata, regala riflessi di un blu intenso. Alla sua destra, è sempre il pizzo Stella a farla da padrone, anche se ora il suo primato è insidiato dal pizzo Peloso (m. 2780), dal profilo, oltre che dal nome, assai meno elegante. Percorriamo, dunque, il lato settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero per il passo di Angeloga.
Raggiunto il suo limite orientale, lasciamo per un po' il sentiero, piegando a destra e passando a valle di un piccolo specchio d'acqua: dopo una breve salita su un dosso erboso, giungiamo a scovare un secondo e più piccolo lago, il lago Caldera (m. 2369), che dal sentiero non si vede. Questa breve digressione ci costa pochi minuti di cammino supplementare, ma ci regala uno scorcio panoramico di grande suggestione, che coniuga le scure acque del lago allo svelto profilo del pizzo Stella, che occhieggia alle sue spalle.
Tornati al sentiero, lo percorriamo verso il passo, incontrando ancora un piccolo specchio d’acqua, sinistramente denominato “Lago delle Streghe”. Se ne fa menzione nell’incantevole volumetto di don Abramo Levi, “Spartiacque”, (L’Officina del Libro, Sondrio, 2004): “…il … Lago delle Streghe, …  a dispetto del nome, si presenta come un laghetto ameno, inoffensivo, di un ovale quasi perfetto. Ma non si sa mai. Non si sa mai donde possa venire lo stregamento, e in quale veste esso si presenti: folletto, turbine, incantesimo, allucinazione, sbigottimento, incubo, oppure scontro anomalo fra il fuori e il dentro, tra il mare immenso del mondo e la piccolissima vela che lo solca ancorata unicamente al principio di individuazione.”
Ma nessuno stregamento ci potrà impedire di varcare la soglia del passo di Angeloga, a 2391 metri di quota, una piccola porta fra le rocce arrotondate: probabilmente non ce ne accorgeremmo, se non vi fosse una piccola croce di legno che lo segnala. Eppure proprio qui passa lo spartiacque che separa il bacino del Po da quello del Reno. La Val di Lei, alla quale accediamo valicando il passo, appartiene infatti, idrograficamente, al territorio svizzero, anche se politicamente è ancora territorio italiano. La particolarità della valle è accresciuta dalla presenza di un enorme bacino artificiale, dalla capacità di oltre 200 milioni di metri cubi, il cui sbarramento rientra nel territorio della Svizzera, cui è riservato, quindi, lo sfruttamento idroelettrico.
La valle non appare improvvisamente, oltre il passo, ma si mostra gradualmente. Appare, innanzitutto, la sua costiera orientale, che impressiona per il senso di solitudine suscitato dalla mancanza di segni di insediamento umano, e cominciano a mostrarsi, alla nostra destra, anche le eleganti cime che costituiscono la testata est della val di Cà, prolungamento meridionale della Val di Lei: si tratta della cima di Lagh, o cima di Lago (m. 3083), la punta Rosso (m. 3053) ed il pizzo Bles (m. 3045), ai cui piedi si stendono alcune piccole vedrette. Comincia ad intravedersi, ancora più a destra, anche il ghiacciaio ai piedi del versante settentrionale del pizzo Stella, chiamato ghiacciaio Ponciagna.
Il nome della valle significa "Valle del Lago"; ma richiama anche una misteriosa presenza femminile, suggerita anche da antiche leggende.
Appena valicato il passo, ecco, qualche decina di metri sotto di noi, un altro bel lago, il lago Ballone (termine che deriva da “pallone”; m. 2321). Forse troveremo anche qualche capo di bestiame, perché i pascoli della Val di Lei sono particolarmente pregiati. Ben presto incontriamo un bivio: pendendo a destra (C5) si scende facilmente all’alpe Mottala, sul fondo della valle, non lontano dal bivacco Pian del Nido; prendendo a sinistra, invece, si effettua una lunga traversata che rimane sulla parte alta del versante occidentale della valle, superando le laterali valle Caurga e valle Rebella, varcando poi il crinale per scendere in val Sterla (dalla quale la discesa prosegue fino alla val Scalcoggia, appena sopra Madesimo).
Pochi passi su l’uno o l’altro dei sentieri, ed ecco apparire anche il fondovalle, con il grande lago originato dallo sbarramento artificiale. La valle si mostra ampia, aperta, luminosa, ma il senso di solitudine rimane: si intuisce la presenza umana, ma questa non cancella l’impressione di un luogo remoto, sconosciuto agli uomini. Tutto ciò, unito alla dolcezza del paesaggio, genera un fortissimo senso di pace e di armonia, che vale interamente le tre ore e mezza approssimativamente necessarie per giungere fin qui, superando i 950 metri circa di dislivello in salita.

Per illustrare meglio le caratteristiche di questi luoghi, riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello Rosario ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:
Nell'alto bacino del Torrente Rabbiosa, che si riversa nel Liro a Campodolcino, molto sopra l'abitato di Fraciscio, c'è un'area alpestre ricca di laghi, siti a quote diverse, ma sostanzialmente su due piani: quello dell'Alpe Angeloga (attorno ai 2000 m) e quello del Passo dell'Angeloga (attorno ai 2350 m). Il Lago di Angeloga è una
pozza rotonda di acqua verde che riflette i pascoli circostanti, un tempo assai importanti e floridi, un elemento ideale di una segantiniana «abbeverata».
Gli altri laghi stanno in tutt'altro ambiente, cioè su un alto scalino roccioso in un piccolo altipiano sopra il quale un ghiacciaietto sospeso, in epoche arcaiche, ha scavato le fosse in cui stanno i laghetti, ha accumulato le morene e i massi, ha modellato i dossoni di friabile roccia scistosa. Il Lago «Nero», certo dal colore prevalente delle acque, soggette però a quella quota e in un ambiente siffatto a mutevoli giochi di luce; il Lago Caldera forse così denominato dalla forma vagamente rotondeggiante e dall'essere affossato entro pendii più incombenti. Ma ve ne sono altri minori e, poco in là dal passo, già in Val di Lei, ancora altri molto piccoli e uno maggiore (Lago Ballone), in una continuazione del pianoro glaciale che costituisce oggi anche un punto di osservazione eccezionale sul sottostante lunghissimo lago artificiale che occupa il fondo della Val di Lei.
Si tratta, nel complesso, di un ambiente straordinario, anche per la presenza incombente del Groppera e la vista sul Pizzo Stella, per il colpo d'occhio su tutto l'anfiteatro sottostante, per la varietà dei microambienti fisici e biologici.
Certo il luogo non è di comodissimo accesso, sia che si salga da Fraciscio lungo la bella mulattiera che percorre la vallata, sia che si parta da Motta di Campodolcino, a una quota sensibilmente superiore, per poi affrontare lo scenografico sentiero che sale (e scende) lungo le pendici meridionali della Colmenetta e del Groppera, sotto gli spuntoni della suggestiva costa di Fortezza sempre con una vista meravigliosa sulle vallate sottostanti. Poi, una volta raggiunta l'Alpe Angeloga per l'una o per l'altra delle due vie, ancora non è finito il cammino, perché per raggiungere i laghi superiori si deve risalire una ripida costa-canale erbosa e percorrere una breve gola scavata nelle rocce dello spalto roccioso, subito a valle del Lago Nero. L'impressione, alla fine del viaggio, è di essere penetrati in uno spazio magico, inaccessibile, regno della luce e del vento.”

DAL RIFUGIO CHIAVENNA AL RIFUGIO BERTACCHI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in salita/discesa
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Chiavenna-passo dell'Angeloga-Alpe Gande Nere-Passo di Sterla settentrionale-Passo di Niemet-Rif. Bertacchi
6 h
1300
EE
Dal rifugio Chiavenna, seguendo le indicazioni del sentiero C3, procediamo in direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti su ripido versante, che ci portano proprio a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che va affrontato con concentrazione. Poi, ecco il corridoio che si apre fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua: alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio scenario, dominato dal lago Nero (m. 2352). Percorriamo il lato settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero per il passo di Angeloga. Procedendo verso est-sud-est passiamo accanto al laghetto delle Streghe e ci portiamo al corridoio del passo dell'Angeloga (m. 2391, piccola croce in legno). Ci affacciamo all'ampia Val di Lei. Seguendo i segnavia del sentiero C3 che, nel primo tratto, coincide con il C5 (traversata al bivacco Chiara e Walter). Non scendiamo in direzione del lago Ballone, ma restiamo alla sua sinistra, procedendo verso nord. Raggiunto il torrentello che più in basso confluisce nel lago, pieghiamo a sinistra infilandoci in un corridoio erboso, poi a destra ed a sinistra, superando un secondo torrentello. Siamo sempre alti rispetto alla conca del lago e superiamo un terzo torrentello, piegando a destra e di nuovo a sinistra, attraversando un ripiano in direzione di uno zoccolo di roccette. Qui, a quota 2310, i sentieri C3 e C5 si separano: noi dobbiamo prendere a sinistra, restando sul sentiero C3. Superate alcune roccette, il sentiero comincia a scendere tranquillo e quasi diritto (direzione costante nord), tagliando il versante erboso del medio versante occidentale della Val di Lei. Superato, a quota 2235, un valloncello, passiamo a sinistra del dosso erboso quotato 2136 metri e, procedendo ora in direzione nord-nord-est, ci portiamo in vista del ripiano dell’alpe Mulacetto. Giunto quasi sulla sua verticale, il sentiero si congiunge con il sentiero che scende da sinistra, dalla laterale Val Caurga. Pieghiamo ora a destra e scendiamo, con diversi tornanti, fino ai 1956 metri delle baite dell’alpe. Ci immettiamo così nella pista sterrata che costeggia per intero la riva occidentale del lunghissimo (oltre 8 km) Lago di Lei e procediamo versi sinistra (nord), superando il torrente della Val Caurga. Un secondo torrente ci attende un bel tratto più avanti, ed è il torrente della Val Rebella (o Valle del Mot Grand). Dopo un terzo torrente passiamo a valle dell’alpe Rebella e raggiungiamo, infine, a quota 1940 il punto nel quale troviamo, a sinistra della pista, l’indicazione del sentiero che sale all’alpe Ganda Nera ed al passo di Sterla Settentrionale. Dopo una serie serrata di tornantini verso ovest, il sentiero piega a sinistra (direzione sud-ovest) e raggiunge il ripiano dell’alpe Ganda Nera, sorvegliata da alcuni scuri roccioni che rendono ragione del suo nome. Ad un bivio stiamo sulla destra, lasciando a sinistra il sentiero che traversa all’alpe Rebella. Superati tre vallcelli, ci avviciniamo al fianco settentrionale della lunga Val Rebella (tributaria occidentale della Val di Lei) e pieghiamo leggermente a destra (direzione ovest). Raggiunto il solco centrale della valle, restiamo alla sua destra e ci avviciniamo alla fascia di pietrame e sfasciumi nella sua parte alta, procedendo in direzione di una riconoscibile sella sul crinale che vediamo proprio guardando diritto davanti a noi, fra la quota 3024, a destra, ed il pizzo di Sterla (m. 2948) a sinistra. Piegando a destra (ovest-nord-ovest) passiamo presso una pozza (più in basso, alla nostra sinistra, vediamo il grazioso laghetto glaciale quotato m. 2637). Con un po’ di fatica, su terreno instabile, siamo infine alla sella del passo di Sterla settentrionale (m. 2830) e ci affacciamo alla parte terminale della desolata Val Sterla. Ora dobbiamo tagliare a destra, scendendo gradualmente con cautela su terreno sempre instabile e descrivendo un arco di cerchio verso sinistra che ci porta ad un singolare baitello (m. 2788). Dobbiamo ora puntare ad una seconda depressione, appena accennata, sul crinale che si sta davanti: dal baitello pieghiamo a destra (direzione nord), poi effettuiamo un breve traverso a sinistra ed un nuovo a destra, su traccia appena accennata, e siamo alla sella, che si affaccia sull’ampia conca che si stende ai piedi del versante sud-occidentale del pizzo di Emet. Perdiamo quota sempre procedendo con cautela, su sassi malfermi, in direzione nord-nord-ovest. La traccia si fa ora più visibile. Superando un dosso appena accennato, proseguiamo diritti su terreno più tranquillo, fra pietrame e radi pascoli, fino al cippo di confine cippo di confine n. 1, a quota 2493 m. Siamo, infatti, al confine italo svizzero. Senza passare in territorio elvetico, pieghiamo a sinistra (ovest) e scendiamo tagliando il fianco di una modesta dorsale, fino ad intercettare il sentiero ben marcato che sale al passo di Niemet (m. 2280), poco sotto il passo. Procedendo a sinistra fra dolci balze erbose, verso ovest, giungiamo in vista della splendida conca del lago di Emet (m. 2144). Contornando la sua riva occidentale (destra) raggiungiamo, infine, il rifugio Bertacchi (m. 2168).


Rifugio Chiavenna

La traversata dal rifugio Chiavenna al rifugio Bertacchi congiunge i due più famosi rifugi della Valle Spluga e rappresenta un’escursione non banale (soprattutto con scarsa visibilità), ma priva di passaggi particolarmente problematici. Essa sfrutta i due passi dell’Angeloga e di Sterla settentrionale e coincide con la sesta tappa del Trekking della Valle Spluga, percorsa a rovescio.
Dal rifugio Chiavenna saliamo al passo di Angeloga, come sopra illustrato. Ci affacciamo così alla luminosa ed amplissima Val di Lei e vediamo poco più in basso il lago Ballone (m. 2321). Seguendo i segnavia del sentiero C3 che, nel primo tratto, coincide con il C5 (traversata al bivacco Chiara e Walter). Non scendiamo in direzione del lago Ballone, ma restiamo alla sua sinistra, procedendo verso nord. Raggiunto il torrentello che più in basso confluisce nel lago, pieghiamo a sinistra infilandoci in un corridoio erboso, poi a destra ed a sinistra, superando un secondo torrentello. Siamo sempre alti rispetto alla conca del lago e superiamo un terzo torrentello, piegando a destra e di nuovo a sinistra, attraversando un ripiano in direzione di uno zoccolo di roccette.

Qui, a quota 2310, i sentieri C3 e C5 si separano: noi dobbiamo prendere a sinistra, restando sul sentiero C3. Superate alcune roccette, il sentiero comincia a scendere tranquillo e quasi diritto (direzione costante nord), tagliando il versante erboso del medio versante occidentale della Val di Lei. Superato, a quota 2235, un valloncello, passiamo a sinistra del dosso erboso quotato 2136 metri e, procedendo ora in direzione nord-nord-est, ci portiamo in vista del ripiano dell’alpe Mulacetto. Giunto quasi sulla sua verticale, il sentiero si congiunge con il sentiero che scende da sinistra, dalla laterale Val Caurga. Pieghiamo ora a destra e scendiamo, con diversi tornanti, fino ai 1956 metri delle baite dell’alpe.

Ci immettiamo così nella pista sterrata che costeggia per intero la riva occidentale del lunghissimo (oltre 8 km) Lago di Lei.
Si tratta della diga di Val di Lei, una delle più grandiose mai realizzate. Un accordo italo-elvetico la colloca in territorio italiano ma concede agli svizzeri lo sfruttamento energetico delle acque. All’epoca della sua costruzione, che durò dal 1958 al 1960, si trattava della più grande diga del mondo, larga 690 metri ed alta 143, con uno spessore di 28,10 metri alla base e 15 alla sommità. Sotto la direzione della Edison di Milano, che l’aveva anche progettata, vi lavorarono fino a 3390 operai, non solo valchiavennaschi e valtellinesi, ma anche provenienti da diverse regioni italiane (in particolare Veneto, Calabria e Sicilia). Un elevato numero di questi vi perse la vita. Il bacino, lungo oltre 8 km., contiene circa 200 milioni di metri cubi d’acqua, convogliati qui da un complesso sistema di gallerie dalle valli di Madris, Avers e Niemet. A corredo della diga furono costruite 58 km di strade e gallerie, 10 teleferiche, 4 sbarramenti supplementari, 13 prese d’acqua sui torrenti, 56 km di gallerie, 3 centrali idroelettriche e 108 km di elettrodotti. Le sue acque, che raggiungono la quota di 1931 metri s.l.m., seppellirono la chiesetta di S. Anna e nove km della strada comunale Savogno-Alpigia-Val di Lei, con l’osteria del Palaz e gli alpeggi di Rebella e Guardanegra, toponimi che alludono ad antiche credenze legate a fanciulle bellissime ed a malefiche presenze dallo sguardo mortifero, oltre agli alpeggi di Palù, Salina, Crot e Motta. Curiosamente, non fu questo enorme lago a dare il nome alla valle, ben più antico, ma il lago dell’Acquafraggia, sul versante della Bregaglia italiana, perché questa valle era economicamente e storicamente legata a Piuro.
Procediamo dunque verso sinistra (nord), superando il torrente della Val Caurga. Un secondo torrente ci attende un bel tratto più avanti, ed è il torrente della Val Rebella (o Valle del Mot Grand). Dopo un terzo torrente passiamo a valle dell’alpe Rebella e raggiungiamo, infine, a quota 1940 il punto nel quale troviamo, a sinistra della pista, l’indicazione del sentiero che sale all’alpe Ganda Nera ed al passo di Sterla Settentrionale.


Apri qui una fotomappa della discesa in Val di Lei dal passo di Angeloga (sentieri C3 e C5)

Dopo una serie serrata di tornantini verso ovest, il sentiero piega a sinistra (direzione sud-ovest) e raggiunge il ripiano dell’alpe Ganda Nera, sorvegliata da alcuni scuri roccioni che rendono ragione del suo nome. Ad un bivio stiamo sulla destra, lasciando a sinistra il sentiero che traversa all’alpe Rebella. Superati tre valonlcelli, ci avviciniamo al fianco settentrionale della lunga Val Rebella (tributaria occidentale della Val di Lei) e pieghiamo leggermente a destra (direzione ovest).

Raggiunto il solco centrale della valle, restiamo alla sua destra e ci avviciniamo alla fascia di pietrame e sfasciumi nella sua parte alta, procedendo in direzione di una riconoscibile sella sul crinale che vediamo proprio guardando diritto davanti a noi, fra la quota 3024, a destra, ed il pizzo di Sterla (m. 2948) a sinistra. Piegando a destra (ovest-nord-ovest) passiamo presso una pozza (più in basso, alla nostra sinistra, vediamo il grazioso laghetto glaciale quotato m. 2637). Con un po’ di fatica, su terreno instabile, siamo infine alla sella del passo di Sterla settentrionale (m. 2830) e ci affacciamo alla parte terminale della desolata Val Sterla (“Sterla” è toponimo che ottimamente descrive la natura di questi luoghi, perché è voce dialettale che significa “sterile”, se riferito a donne o ad animali, o “arido, desolato”, se riferito a luoghi).
Ora dobbiamo tagliare a destra, scendendo gradualmente con cautela su terreno sempre instabile e descrivendo un arco di cerchio verso sinistra che ci porta al singolare baitello (m. 2788), perso in questa surreale solitudine. Dobbiamo ora puntare ad una seconda depressione, appena accennata, sul crinale che si sta davanti: dal baitello pieghiamo a destra (direzione nord), poi effettuiamo un breve traverso a sinistra ed un nuovo a destra, su traccia appena accennata, e siamo alla sella, che si affaccia sull’ampia conca che si stende ai piedi del versante sud-occidentale del pizzo di Emet (o Timun, m. 3212).

Perdiamo quota sempre procedendo con cautela, su sassi malfermi, in direzione nord-nord-ovest. La traccia si fa ora più visibile, anche perché è il percorso sfruttato da quanto, partendo dal rifugio Bertacchi, salgono al pizzo di Emet. Superando un dosso appena accennato, proseguiamo diritti su terreno più tranquillo, fra pietrame e radi pascoli, fino al cippo di confine cippo di confine n. 1, a quota 2493 m. Siamo, infatti, al confine italo svizzero. Senza passare in territorio elvetico, pieghiamo a sinistra (ovest) e scendiamo tagliando il fianco di una modesta dorsale, fino ad intercettare il sentiero ben marcato che sale al passo di Niemet (m. 2280), poco sotto il passo. Una puntata al passo è tanto breve quanto suggestiva, data la sua importanza storica in qualità di facile valico fra Valle Spluga e Rezia elvetica, non possiamo non toccare luoghi un tempo percorsi da mercanti ed armenti. Torniamo ora sui nostri passi e, procedendo tranquilli fra dolci balze erbose, verso ovest, giungiamo in vista della splendida conca del lago di Emet (m. 2144). Contornando la sua riva occidentale (destra) raggiungiamo, infine, il rifugio Bertacchi (m. 2168).


Lago di Emet


DAL RIFUGIO CHIAVENNA AL BIVACCO CHIARA E WALTER

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in salita/discesa
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Chiavenna-passo dell'Angeloga-Alpe Mottala-Val di Ca'-Bivacco Chiara e Walter
7 h
1050/430
E
Dal rifugio Chiavenna, seguendo le indicazioni del sentiero C3, procediamo in direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti su ripido versante, che ci portano proprio a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che va affrontato con concentrazione. Poi, ecco il corridoio che si apre fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua: alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio scenario, dominato dal lago Nero (m. 2352). Percorriamo il lato settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero per il passo di Angeloga. Procedendo verso est-sud-est passiamo accanto al laghetto delle Streghe e ci portiamo al corridoio del passo dell'Angeloga (m. 2391, piccola croce in legno). Ci affacciamo all'ampia Val di Lei. Seguendo i segnavia del sentiero C5 che, nel primo tratto, coincide con il C3. Non scendiamo in direzione del lago Ballone, ma restiamo alla sua sinistra, procedendo verso nord. Raggiunto il torrentello che più in basso confluisce nel lago, pieghiamo a sinistra infilandoci in un corridoio erboso, poi a destra ed a sinistra, superando un secondo torrentello. Siamo sempre alti rispetto alla conca del lago e superiamo un terzo torrentello, piegando a destra e di nuovo a sinistra, attraversando un ripiano in direzione di uno zoccolo di roccette. Qui, a quota 2310, i sentieri C3 e C5 si separano: noi andiamo a destra. La successiva discesa procede su un largo dosso, in direzione sud-est, fino a quota 2220, dove il sentiero piega a sinistra ed assume l’andamento nord-est, inanellando una lunga serie di tornantini. A quota 2120 volgiamo ancora a destra (sud-est), giungendo in vista delle baite dell’alpe Mottala. Il sentiero si avvicina al solco della valle del torrente che scende dal lago Ballone e, piegando a sinistra (andamento est), scende con una serie di tornantini diritto all’alpe, che si trova sul limite meridionale del lungo lago di Lei (oltre 8 km). Percorriamo ora verso destra la pista sterrata che costeggia l’intera sponda occidentale del lungo lago di Lei, fino al ponte che scavalca il ramo del Reno di Lei che scende dal Vallone dello Stella. Subito dopo il ponte, vediamo che la pista piega a sinistra e porta ad un suggestivo ponticello in pietra sul ramo del Reno di Lei. Non procediamo in quella direzione, ma stiamo sulla destra, imboccando il sentiero (segnavia rosso-bianco-rossi e bolli gialli) che risale la lunga Val di Ca’, passando subito vicino ad una fontana, appena a valle dell’alpe Scalotta (m. 1971). Qui la traccia non si vede, ma la troviamo facilmente poco più in alto, in corrispondenza di un masso con segnavia. Dopo il primo tratto verso est, con alcuni tratti scalinati nella roccia, il sentiero volge gradualmente a destra (sud-est e sud), inoltrandosi nella gola terminale della Val di Ca’. Cominciamo a salire vicino al ripido versante della gola, l'’andamento diventa quasi pianeggiante e procediamo fra pietre e fondo erboso, approssimandoci al torrente di fondovalle. Superato un vallone che scende alla nostra destra (m. 2140), ignoriamo una traccia che ci lascia sulla sinistra e, con qualche saliscendi, raggiungiamo una piana glaciale. riprendiamo a salire molto gradualmente, incontrando un baitello diroccato ed attraversando alcuni torrentelli che scendono dal versante alla nostra sinistra.  La pendenza si fa un po’ più accentuata e l’andamento piega molto leggermente a destra (sud-sud-ovest). Dopo il guado del torrentello a quota 2270 metri il sentiero piega ancora un po’ a destra, assumendo l’andamento sud-ovest. Il sentiero alterna tratti in salita a brevi discesa e propone il guado di altri torrentelli, fino ad un falsopiano a quota 2450 metri circa. Qui prendiamo per breve tratto a destra (ovest), poi di nuovo a sinistra (sud-ovest). Sul suo limite attraversiamo l’ennesimo torrentello e cominciamo ad affrontare un versante di sfaciumi, riprendendo la salita. Superato un valloncello, scavalchiamo un dosso morenico (m. 2480) e procediamo sempre in direzione sud-sud-ovest. Il sentiero qui si vede solo a tratti, e sono i segnavia e gli ometti a suggerire la direttrice più agevole. Superato un valloncello a quota 2550, pieghiamo decisamente a sinistra (direzione sud-est), affondando un versante di massi più consistenti. Poi, a quota 2610 circa, pieghiamo a destra e, procedendo verso sud, risaliamo il largo vallone che scende dal passo di Lei, puntando al grande ometto che lo sorveglia. Procediamo alla destra del torrentello che scende da un laghetto sul passo, mentre il vallone si restringe; ci portiamo quindi alla sua sinistra ed approdiamo alla riva settentrionale del laghetto di Lei, il più grande di un sistema di pozze disseminate fra i roccioni levigati. Procediamo diritti verso sud, seguendo la riva orientale del laghetto fino al suo bordo, poi, superate alcune pozze e con qualche saliscendi, sempre seguendo segnavia ed ometti, ci troviamo di fronte il lato posteriore del bivacco Chiara e Walter (m. 2660).

La traversata dal rifugio Chiavenna al bivacco Chiara e Walter coincide con la settima tappa del trekking della Valle Spluga, e propone la salita al passo di Angeloga, una discesa sul fondovalle della Val di Lei e la lunga e tranquilla traversata della Val di Ca', su propaggine meridionale, fino al passo di Lei, dove si trova il bivacco Chiara e Walter.
In prossimità del rifugio Chiavenna partono tre sentieri, quello sfruttato per l’ascensione al pizzo Stella, quello che, in direzione opposta, effettua una bella e facile traversata di mezza costa alla Motta di Madesimo (C10) e quello che sale diritto al ripiano del lago Nero (C3). Quest’ultimo si inerpica sull’erboso e ripido versante che scende all’alpe dall’ultimo gradino roccioso, che la separa dalla piana del passo di Angeloga.
Riprendiamo, quindi, il cammino in direzione nord-est, sfruttando diversi tornanti che ci portano proprio a ridosso delle formazioni rocciose terminali. Poco prima di raggiungerle il sentiero ci propone anche un passaggio un po’ esposto, che va affrontato con concentrazione. Poi, ecco il corridoio che si apre fra le rocce, e nel quale si infila un piccolo corso d’acqua: alcuni gradini ed alcune corde fisse ci permettono di superare quest’ultimo ostacolo, prima di uscire ad un nuovo ampio e bellissimo scenario, dominato dal lago Nero (m. 2352).
A dispetto del nome, questo lago non ha nulla di tetro, anzi, in una bella giornata, regala riflessi di un blu intenso. Alla sua destra, è sempre il pizzo Stella a farla da padrone, anche se ora il suo primato è insidiato dal pizzo Peloso (m. 2780), dal profilo, oltre che dal nome, assai meno elegante. Percorriamo, dunque, il lato settentrionale (di sinistra, per noi) del lago, seguendo il sentiero per il passo di Angeloga.
Raggiunto il suo limite orientale, lasciamo per un po' il sentiero, piegando a destra e passando a valle di un piccolo specchio d'acqua: dopo una breve salita su un dosso erboso, giungiamo a scovare un secondo e più piccolo lago, il lago Caldera (m. 2369), che dal sentiero non si vede. Questa breve digressione ci costa pochi minuti di cammino supplementare, ma ci regala uno scorcio panoramico di grande suggestione, che coniuga le scure acque del lago allo svelto profilo del pizzo Stella, che occhieggia alle sue spalle.
Tornati al sentiero, lo percorriamo verso il passo, incontrando ancora un piccolo specchio d’acqua, sinistramente denominato “Lago delle Streghe”. Se ne fa menzione nell’incantevole volumetto di don Abramo Levi, “Spartiacque”, (L’Officina del Libro, Sondrio, 2004): “…il … Lago delle Streghe, …  a dispetto del nome, si presenta come un laghetto ameno, inoffensivo, di un ovale quasi perfetto. Ma non si sa mai. Non si sa mai donde possa venire lo stregamento, e in quale veste esso si presenti: folletto, turbine, incantesimo, allucinazione, sbigottimento, incubo, oppure scontro anomalo fra il fuori e il dentro, tra il mare immenso del mondo e la piccolissima vela che lo solca ancorata unicamente al principio di individuazione.”
Ma nessuno stregamento ci potrà impedire di varcare la soglia del passo di Angeloga, a 2391 metri di quota, una piccola porta fra le rocce arrotondate: probabilmente non ce ne accorgeremmo, se non vi fosse una piccola croce di legno che lo segnala. Eppure proprio qui passa lo spartiacque che separa il bacino del Po da quello del Reno. La Val di Lei, alla quale accediamo valicando il passo, appartiene infatti, idrograficamente, al territorio svizzero, anche se politicamente è ancora territorio italiano. La particolarità della valle è accresciuta dalla presenza di un enorme bacino artificiale, dalla capacità di oltre 200 milioni di metri cubi, il cui sbarramento rientra nel territorio della Svizzera, cui è riservato, quindi, lo sfruttamento idroelettrico.

La valle non appare improvvisamente, oltre il passo, ma si mostra gradualmente. Appare, innanzitutto, la sua costiera orientale, che impressiona per il senso di solitudine suscitato dalla mancanza di segni di insediamento umano, e cominciano a mostrarsi, alla nostra destra, anche le eleganti cime che costituiscono la testata est della val di Cà, prolungamento meridionale della Val di Lei: si tratta della cima di Lagh, o cima di Lago (m. 3083), la punta Rosso (m. 3053) ed il pizzo Bles (m. 3045), ai cui piedi si stendono alcune piccole vedrette. Comincia ad intravedersi, ancora più a destra, anche il ghiacciaio ai piedi del versante settentrionale del pizzo Stella, chiamato ghiacciaio Ponciagna.


Apri qui una fotomappa della discesa in Val di Lei dal passo di Angeloga (sentieri C3 e C5)

Il nome della valle significa "Valle del Lago"; ma richiama anche una misteriosa presenza femminile, suggerita anche da antiche leggende.
Appena valicato il passo, ecco, qualche decina di metri sotto di noi, un altro bel lago, il lago Ballone (termine che deriva da “pallone”; m. 2321). Forse troveremo anche qualche capo di bestiame, perché i pascoli della Val di Lei sono particolarmente pregiati.

Per illustrare meglio le caratteristiche di questi luoghi, riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello Rosario ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:
Nell'alto bacino del Torrente Rabbiosa, che si riversa nel Liro a Campodolcino, molto sopra l'abitato di Fraciscio, c'è un'area alpestre ricca di laghi, siti a quote diverse, ma sostanzialmente su due piani: quello dell'Alpe Angeloga (attorno ai 2000 m) e quello del Passo dell'Angeloga (attorno ai 2350 m). Il Lago di Angeloga è una
pozza rotonda di acqua verde che riflette i pascoli circostanti, un tempo assai importanti e floridi, un elemento ideale di una segantiniana «abbeverata».


Passo di Angeloga

Gli altri laghi stanno in tutt'altro ambiente, cioè su un alto scalino roccioso in un piccolo altipiano sopra il quale un ghiacciaietto sospeso, in epoche arcaiche, ha scavato le fosse in cui stanno i laghetti, ha accumulato le morene e i massi, ha modellato i dossoni di friabile roccia scistosa. Il Lago «Nero», certo dal colore prevalente delle acque, soggette però a quella quota e in un ambiente siffatto a mutevoli giochi di luce; il Lago Caldera forse così denominato dalla forma vagamente rotondeggiante e dall'essere affossato entro pendii più incombenti. Ma ve ne sono altri minori e, poco in là dal passo, già in Val di Lei, ancora altri molto piccoli e uno maggiore (Lago Ballone), in una continuazione del pianoro glaciale che costituisce oggi anche un punto di osservazione eccezionale sul sottostante lunghissimo lago artificiale che occupa il fondo della Val di Lei.
Si tratta, nel complesso, di un ambiente straordinario, anche per la presenza incombente del Groppera e la vista sul Pizzo Stella, per il colpo d'occhio su tutto l'anfiteatro sottostante, per la varietà dei microambienti fisici e biologici.
Certo il luogo non è di comodissimo accesso, sia che si salga da Fraciscio lungo la bella mulattiera che percorre la vallata, sia che si parta da Motta di Campodolcino, a una quota sensibilmente superiore, per poi affrontare lo scenografico sentiero che sale (e scende) lungo le pendici meridionali della Colmenetta e del Groppera, sotto gli spuntoni della suggestiva costa di Fortezza sempre con una vista meravigliosa sulle vallate sottostanti. Poi, una volta raggiunta l'Alpe Angeloga per l'una o per l'altra delle due vie, ancora non è finito il cammino, perché per raggiungere i laghi superiori si deve risalire una ripida costa-canale erbosa e percorrere una breve gola scavata nelle rocce dello spalto roccioso, subito a valle del Lago Nero. L'impressione, alla fine del viaggio, è di essere penetrati in uno spazio magico, inaccessibile, regno della luce e del vento.”

E' tempo di rimetterci in cammino dal lago Ballone. Scendendo sul sentiero che passa a sinistra del lago, dopo un paio di svolte, troviamo, a quota 2310, un bivio: pendendo a destra (sentiero C5) si scende facilmente all’alpe Mottala, sul fondo della valle, non lontano dal bivacco Pian del Nido (dismesso); prendendo a sinistra, invece, si effettua una lunga traversata che rimane sulla parte alta del versante occidentale della valle, superando le laterali valle Caurga e valle Rebella, varcando poi il crinale per scendere in val Sterla (dalla quale la discesa prosegue fino alla L'alpe Pian del Nido. Foto di Massimo Dei Cas www.paesidivaltellina.itval Scalcoggia, appena sopra Madesimo). Dobbiamo seguire il sentiero di destra (C5).
La successiva discesa procede su un largo dosso, in direzione sud-est, fino a quota 2220, dove il sentiero piega a sinistra ed assume l’andamento nord-est, inanellando una lunga serie di tornantini.
Il fondovalle è ormai vicino; a quota 2120 si volge ancora a destra (sud-est), giungendo in vista delle baite dell’alpe Mottala (la mutàla, m. 1949; mutàla è voce dialettale bregagliotta che significa grande scodella in legno con una capienza di 2 litri). Il sentiero si avvicina al solco della valle del torrente che scende dal lago Ballone e, piegando a sinistra (andamento est), scende diritto all’alpe con una serie di tornantini. L’alpe si trova sul limite meridionale del lungo lago di Lei (oltre 8 km).
La diga di Val di Lei è una delle più grandiose mai realizzate. Un accordo italo-elvetico la colloca in territorio italiano ma concede agli svizzeri lo sfruttamento energetico delle acque. All’epoca della sua costruzione, che durò dal 1958 al 1960, si trattava della più grande diga del mondo, larga 690 metri ed alta 143, con uno spessore di 28,10 metri alla base e 15 alla sommità. Sotto la direzione della Edison di Milano, che l’aveva anche progettata, vi lavorarono fino a 3390 operai, non solo valchiavennaschi e valtellinesi, ma anche provenienti da diverse regioni italiane (in particolare Veneto, Calabria e Sicilia). Un elevato numero di questi vi perse la vita. Il bacino, lungo oltre 8 km., contiene circa 200 milioni di metri cubi d’acqua, convogliati qui da un complesso sistema di gallerie dalle valli di Madris, Avers e Niemet.


Passo di Angeloga

A corredo della diga furono costruite 58 km di strade e gallerie, 10 teleferiche, 4 sbarramenti supplementari, 13 prese d’acqua sui torrenti, 56 km di gallerie, 3 centrali idroelettriche e 108 km di elettrodotti. Le sue acque, che raggiungono la quota di 1931 metri s.l.m., seppellirono la chiesetta di S. Anna e nove km della strada comunale Savogno-Alpigia-Val di Lei, con l’osteria del Palaz e gli alpeggi di Rebella e Guardanegra, toponimi che alludono ad antiche credenze legate a fanciulle bellissime ed a malefiche presenze dallo sguardo mortifero, oltre agli alpeggi di Palù, Salina, Crot e Motta. Curiosamente, non fu questo enorme lago a dare il nome alla valle, ben più antico, ma il lago dell’Acquafraggia, sul versante della Bregaglia italiana, perché questa valle era economicamente e storicamente legata a Piuro.


Apri qui una fotomappa della traversata dal rif. Chiavenna all'alpe Mottala

Un cartello dà, nella direzione che abbiamo percorso, il passo di Angeloga a 45 minuti ed il rifugio Chiavenna ad un’ora e mezza.
Percorriamo ora verso destra la pista sterrata che costeggia l’intera sponda occidentale del lungo lago di Lei, fino al ponte che scavalca il ramo del Reno di Lei che scende dal Vallone dello Stella, quindi direttamente dal ghiacciaio della Ponciagna. I torrenti che confluiscono nel lago di Lei hanno la denominazione di Reno di lei, perché le loro acque confluiscono nel bacino del Reno: fa un po’ impressione pensare che le acque rabbiose che scendono dal vallone finiranno il loro lunghissimo viaggio nel lontanissimo mare del Nord.
Subito dopo il ponte, vediamo che la pista piega a sinistra e porta ad un suggestivo ponticello in pietra sul ramo del Reno di Lei che scende dalla Val di Ca’. Sul lato opposto le baite del Pian del Nido (m. 1951), ed un bivacco dismesso. Non procediamo in quella direzione, ma stiamo sulla destra, imboccando il sentiero (segnavia rosso-bianco-rossi e bolli gialli) che risale la lunga Val di Ca’, passando subito vicino ad una fontana, appena a valle dell’alpe Scalotta (m. 1971). Qui la traccia non si vede, ma la troviamo facilmente poco più in alto, in corrispondenza di un masso con segnavia. Dopo il primo tratto verso est, con alcuni tratti scalinati nella roccia, il sentiero volge gradualmente a destra (sud-est e sud), inoltrandosi nella gola terminale della Val di Ca’.
Il nome della valle significa "valle che riporta a casa". Di qui passava infatti l'antica via di comunicazione che congiungeva Piuro ai pascoli della Val di Lei. Per capirne l'importanza, bisogna conoscerne la storia.
La strada fu sistemata nel 1259 a spese della comunità di Piuro. Di qui passarono fin dal tardo medioevo gli armenti diretti alla vicina (in linea d’aria) ma pur lontana (altimetricamente parlando) Val di Lei, di qui scendevano i pregiati latticini per la ricca Piuro, insieme alle pelli per la scrittura di documenti necessarie per gli atti notarili, alla lana ed al legname. E tutto ciò dalla seconda metà del secolo XV, quando Piuro, sborsando 101 fiorini d’oro al conte Giorgio di Werdenberg-Sargans, acquisì la proprietà della Val di Lei, che ogni anno veniva caricata da oltre 600 bovini. Questi transiti giustificano la cura della splendida mulattiera di oltre 2000 gradini che sale fin qui da Borgonuovo di Piuro, e che fu nei secoli oggetto di un’attenta e minuziosa manutenzione.
Ancora nell’Ottocento la strada era animata da vivaci transiti, così come lo era quella "gemella", più ad est, per la bocchetta del Lago. Da quest'ultimo passava la traversata, in tre giornate, dei giovani Walser di Avers, che da Walserhöfe, Städtli, Hohenhaus e Ramsen salivano lungo la Val Madris e la Val di Lago, fino alla bocchetta del Lago, sopra il lago dell’Acquafraggia (ad est del più noto passo di Lej, che introduce alla Val di Lej), scendendo poi a Savogno (dove pernottavano), Piuro e Chiavenna, per acquistare granaglie, castagne, spezie, tessuti, vino ed attrezzi. Risaliti a Savogno con la loro “carga” (45-50 kg), vi pernottavano nuovamente per tornare il terzo giorno ai villaggi di partenza. Uno di loro, Peter Stoffel di Campsut, fu ritrovato moto in Valle del Lago il 19 ottobre 1848. Allora questi transiti commerciali erano affrontati, per un compenso di 5 franchi più un pasto, anche da uomini (e talora donne) di Savogno.

Vediamo ora come procedere. Cominciamo a salire vicino al ripido versante della gola, e cominciamo a respirare un profondissimo senso di solitudine, risalendo la lunga valle glaciale (ci vogliono almeno tre ore per percorrerla) scavata nei millenni dall’insistente azione delle acque di fusione. Riappare, in fondo alla valle, il pizzo Stella ed il ghiacciaio della Ponciagna. L’andamento diventa quasi pianeggiante e procediamo fra pietre e fondo erboso, approssimandoci al torrente di fondovalle. Superato un vallone che scende alla nostra destra (m. 2140), ignoriamo una traccia che ci lascia sulla sinistra e, con qualche saliscendi, raggiungiamo un punto della valle nel quale il torrente sembra pigramente indugiare in una piana glaciale.
Dopo un tratto in piano, riprendiamo a salire molto gradualmente, incontrando un baitello diroccato ed attraversando alcuni torrentelli che scendono dal versante alla nostra sinistra.  La pendenza si fa un po’ più accentuata e l’andamento piega molto leggermente a destra (sud-sud-ovest). Dopo il guado del torrentello a quota 2270 metri il sentiero piega ancora un po’ a destra, assumendo l’andamento sud-ovest.


Apri qui una fotomappa della salita al passo di Lei

Lo scenario accentua il senso di solitudine: alla nostra sinistra vediamo il piccolo ghiacciaio che si annida sul fianco occidentale poco sotto la Cima di Lago, mentre a destra è il versante orientale del pizzo Stella a mostrare tutta la sua imponenza. In mezzo, diritto davanti a noi, vediamo l’intaglio del Passo di Lei, che ospita il bivacco Chiara e Walter, meta di questa settima tappa: lo riconosciamo dal grande ometto che lo sorveglia sul lato sinistro.


Laghetto sotto il passo di Lei

Bivacco Chiara e Walter

Bivacco Chiara e Walter

Il sentiero alterna tratti in salita a brevi discesa e propone il guado di altri torrentelli, fino ad un falsopiano a quota 2450 metri circa. Qui prendiamo per breve tratto a destra (ovest), poi di nuovo a sinistra (sud-ovest). Sul suo limite attraversiamo l’ennesimo torrentello e cominciamo ad affrontare un versante di sfaciumi, riprendendo la salita. Superato un valloncello, scavalchiamo un dosso morenico (m. 2480) e procediamo sempre in direzione sud-sud-ovest. Il sentiero qui si vede solo a tratti, e sono i segnavia e gli ometti a suggerire la direttrice più agevole. Superato un valloncello a quota 2550, pieghiamo decisamente a sinistra (direzione sud-est), affondando un versante di massi più consistenti. Poi, a quota 2610 circa, pieghiamo a destra e, procedendo verso sud, risaliamo il largo vallone che scende dal passo, puntando al grande ometto che lo sorveglia.


Bivacco Chiara e Walter

Bivacco Chiara e Walter

Discesa al lago di Acquafraggia

Procediamo alla destra del torrentello che scende da un laghetto sul passo, mentre il vallone si restringe; ci portiamo quindi alla sua sinistra ed approdiamo alla riva settentrionale del laghetto di Lei, il più grande di un sistema di pozze disseminate fra i roccioni levigati. Stupisce l'elegante scalinatura del sentiero, che non ci aspetteremmo in un luogo così remoto dall'umano consorzio. Stupisce assai meno se consideriamo che oggi questi luoghi hanno solo un interesse escursionistico, ma in passato il passo viveva di una vita legata al frequente transito degli armenti che dalla bassa Val Bregaglia salivano fin qui e si portavano ai ricchi pascoli della Val di Lei (di proprietà del comune di Piuro ed assai più ampi prima della costruzione dell'enorme invaso che ne occupa dalla metà del secolo scorso il fondo).


Il bivacco Chiara e Walter sullo sfondo del gruppo del Masino

Procediamo diritti verso sud, seguendo la riva orientale del laghetto fino al suo bordo, poi, superate alcune pozze e con qualche saliscendi, sempre seguendo segnavia ed ometti, ci troviamo di fronte il lato posteriore del bivacco Chiara e Walter (m. 2660), ben visibile nel suo colore giallo brillante.  Siamo al passo di Lei, un tempo presidiato da una croce. Sul versante opposto si apre un mondo diverso. Non è più la Valle Spluga, ma la bassa Val Bregaglia.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo (CNS), che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Anche le carte sopra riportate sono estratti della CNS. Apri qui la carta on-line

Approfondimento I: la Val di Lei

Dall’incantevole volumetto di don Abramo Levi, “Spartiacque”, (L’Officina del Libro, Sondrio, 2004), raccogliamo queste preziose annotazioni sulla Val di Lei:
Per la verità il manoscritto parlava molto di Valpiana, ma quella Valpiana ormai non esisteva più. Era diventata. proprio quel che recitava il suo toponimo Valle di Lej ( e in romancio Lej significa lago). L'acqua sommergeva il fondo della valle e risaliva lungo le due pendici a ricoprire il territorio che aveva costituito il pascolo più sostanzioso per le vaccine.
Tutto quello che il manoscritto raccontava si riferiva alla valle prima dell'invaso, prima che il fiume Reno fosse stato fermato, imbrigliato dalla diga e costretto a tornare su se stesso. Quelli che avevano assistito al primo invaso avevano potuto osservare questa parodia di trasgressione geologica, per cui l'acqua rioccupava flaccida e sordida i rivi e i valloncelli dai quali era scesa limpida e garrula. Li rioccupava con movimento lentissimo, recessivo e trasgressivo a un tempo. Così dovevano essere le acque del diluvio quando salivano e salivano a sommergere ogni forma di vita, trasgressive verso chi era stato trasgressivo, uomini e animali. Chi si trovava là in valle quando l'acqua era penetrata nelle stalle, nei cascinali, negli stazzi, aveva visto ermellini, puzzole, e topi, soprattutto topi, uscire a frotte dalle loro sedi e cercar riparo sulle travi: avanti e indietro in cerca di un passaggio inesistente, e infine giù con un tonfo nell'acqua putrida, ad imputridirla ancora di più...
Uno degli alpeggi – e per la verità neanche il più grosso e attrezzato – si chiamava 'Palazzo', toponimo che non ha la pur minima corrispondenza con le abitazioni, ma ne ha invece con la storia, se si è bravi ad interrogarla. La Val di Lej infatti era in gran parte proprietà dei nobili Vertemate, i quali avevano a Piuro in val Bregaglia il loro palazzo favoloso e realissimo, come favolosa e realissima era stata la frana che nel 1618 aveva sepolto il lussuoso borgo. C'è dunque un aggancio fra questo toponimo della Val di Lej e la storia di Piuro.


Val di Lei

Ma come era iniziata questa storia? Piuro fu ab antiquo un borgo illustre, voglioso di competere con Chiavenna. Si sa di una fiera lite tra i due borghi, quando Piuro avanzò la pretesa al titolo di arcipretura, cioè di chiesa plebana, con proprio Capitolo. Cosa significasse un 'Capitolo' lo si può dedurre dal fatto che il Capitolo, cioè il gruppo dei canonici di Chiavenna, aveva il diritto di 'decima' sui prodotti dell'alpe Angeloga. E questo sin dal '300. Il nuovissimo Capitolo di Piuro ebbe fra le sue fonti di sostentamento alcuni alpeggi della Val di Lej, di fresco riscattati dalla dominazione dei conti di Sargans. Non si deve pensare,  per questo, che i preti e gli arcipreti fossero delle sanguisughe. Alle loro spalle ribollivano le irrequietezze, l'orgoglio, i campanilismi di popolazioni che lottavano, quali per la parità, quali per l'egemonia.
Fu dunque un segno di intraprendenza da parte della gente di Piuro l'aver esplorato la Valle che dal valico scende verso la Svizzera, l'averla disboscata e resa pascoliva. Infine gli svizzeri si accorsero di quanto la valle era mutata, e avanzarono pretese di possesso sotto forma di enfiteusi, appartenendo il territorio al bacino orografico svizzero.
Fu dall'enfiteusi che il Capitolo di Piuro si liberò, con atto notarile che porta la data del 16 luglio 1461. Se si guarda una cartina geografica un po' dettagliata, si può constatare come la proprietà del Capitolo di Piuro in valle di Lej confina, su al valico, con la proprietà del Capitolo di Chiavenna in Angeloga.


Cima da Lagh in Val di Lei

Approfondimento II: la leggenda della Val di Lei

Esiste, in Valchiavenna, una valle dal nome singolare, la valle di Lei, la cui denominazione allude ad una figura femminile (o parrebbe alludere: in realtà il toponimo significa "lago"). Sull’identità di questa figura, però, le spiegazioni divergono.
Una prima storia rimanda ad uno sfondo storico assai lontano nel tempo, cioè all’epoca della dominazione romana della Rezia. Ne è infelice protagonista la moglie di un soldato romano, un centurione di stanza in val Ferrera, attualmente in territorio svizzero. Costei tradì il marito, che non la prese affatto bene e le inflisse una punizione terribile: la rinchiuse in una caverna e la lasciò morire lì.
Passarono circa mille anni, prima che alcuni pastori di Piuro (i pascoli della valle di Lei, assai pregiati, sono, infatti, nel territorio di tale comune) rinvenissero quel che restava della sventurata, sopra l’alpe del Scengio. Come abbiano fatto a ricostruire la vicenda che aveva portato alla tragica fine, non ci è dato sapere: la scoperta, però, suscitò tale impressione e mosse gli animi a tali sentimenti di pietà, che la valle, da allora, assunse il nome che doveva ricordare lei, la donna che trovò nel cuore dei suoi monti la propria tomba.


Lago Ballone

Da allora quando il vento sibila e pare produrre gemiti lamentosi, i pastori dicono che è l'anima di "lei", un'anima in pena, che piange per il suo tradimento e la sua terribile sorte (cfr. Martino Fattarelli, "Intese e discordie lungo i millenari confini del chiavennasco", in "Clavenna", n. 14, del 1975, e E. Simonetti-Giovanoni, "Almanacco dei Grigioni Italiani", Poschiavo, 1975, pp. 97-98).
Esistono, però, almeno un paio di altre leggende, che ci portano a scenari decisamente più fantastici, anche se non meno tragici (cfr. “C'era un volta, Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, ed. a cura del Comune di Prata Camportaccio, Sondrio, Bonazzi Grafica, dicembre 1994).
La prima ci presenta un tempo in cui la valle godeva di un clima particolarmente favorevole e caldo, ed era quindi particolarmente prospera. Vi dimorava allora una principessa, che possedeva consistenti ricchezze. Purtroppo le situazioni felici, anche nel mondo fantastico delle leggende, non sono mai durature, ed ecco, quindi, entrare in scena un perfido mago, che le intimò di consegnarle tutto l'oro. Inizialmente la principessa resistette alla sua prepotenza, ma quando questi minacciò di congelare la sua bella valle, fu presa dalla paura e cedette.
Aver donato tutto il suo oro, però, non le valse a nulla, perché il mago si fece avanti ancora, con pretese maggiori: questa volta voleva l'intera valle. Questa volta la principessa rispose che non avrebbe mai acconsentito a cedere la sua bella valle. Questo rifiuto segnò il suo destino, perché il mago la uccise. Era tanto malvagio, che neppure volle godersi la valle conquistata con il sopruso, preferendo godersi il gusto di un atto di malvagità gratuita: usò, infatti, le sue arti magiche per stendervi sopra una coltre di ghiaccio. Da allora, in memoria della sua ultima sventurata principessa, la valle assunse l'attuale denominazione.
Una seconda leggenda spiega il nome con una vicenda per certi versi analoga. Questa volta la protagonista è una ragazza di grande bellezza, che abitava sul versante montuoso che scende ad oriente del pizzo Groppera, la vetta che segna il confine sud-occidentale della valle. La sua bellezza non sfuggì ad un malvagio stregone, che passò un giorno nella valle, e che le chiese di sposarlo. La ragazza oppose un netto rifiuto, anche perché, come tutti gli esseri malvagi nell'universo delle leggende, costui era davvero brutto. Brutto e vendicativo: non ci pensò su due volte, e trasformò la ragazza in una grande massa di ghiaccio, in un vero e proprio ghiacciaio. Anche in questo caso alla sventurata venne tributato l'omaggio del ricordo nel nome della valle.
Una terza ed ultima leggenda è riportata nella bella raccolta “C'era un volta, Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, ed. a cura del Comune di Prata Camportaccio, Sondrio, Bonazzi Grafica, dicembre 1994, con contributi di diverse scuole della Provincia di Sondrio (quello riportato è della Scuola Media Bertacchi di Chiavenna):
"Un tempo si diceva che i "malspirit", cioè gli spiriti maligni, erano stati confinati nel posto più tetro della Val di Lej. Qui essi si divertivano a tendere scherzi e tranelli alle persone di passaggio. Il mio bisnonno quasi quasi cascò in uno di questi tranelli. Un giorno infatti giunse alla bocchetta che porta alla Val di Lej quando, improvvisamente, su un burrone, vide una scure conficcata nella roccia. Lui però non la prese, anche se all'inizio gli era venuta la tentazione di farlo per portarla a suo figlio. Si ricordò per fortuna che gli avevano detto che i "malspirit" lasciavano delle scuri in posti pericolosi come quello, per far sì che chiunque tentasse di prenderle, cadesse nel burrone."


Valle e lago di Lei

Le prime due leggende prendono spunto dalla presenza, nella valle, di ghiacciai, in particolare di quello della Ponciagna, che occupa il vallone dello Stella, il quale, a sua volta, scende dal versante settentrionale del pizzo Stella (m. 3163), ed il ghiacciaio della cima di Lago (m. 3083), che presidia l'angolo di sud-est della valle. Le diverse leggende fiorite sull'origine del suo nome testimoniano della singolarità della valle, che, idrograficamente appartiene al territorio elvetico, essendo tributaria del bacino del Reno, mentre politicamente appartiene all'Italia. Un accordo italo-svizzero, però, ha riservato alla Svizzera il diritto di sfruttamento idroelettrico delle acque della valle. Lo sbarramento dell'enorme invaso (dalla capacità di 197 milioni di metri cubi d'acqua) che occupa il fondovalle, infatti, è in territorio svizzero, ed è stato realizzato fra il 1958 ed il 1961. La valle, orientata a nord, è chiusa, ad oriente, dalla costiera che dallo Schahorn (m. 2836) scende alla cima di Lago (m. 3083) e ad occidente da quella che dal pizzo Motta (m. 2835) scende ai pizzi Groppera (m. 2948) e Stella (m. 3136).

Approfondimento III: la battaglia dell'Angeloga

La profonda quiete bucolica della piana di Angeloga suggerisce stati d’animo improntati alla serena meditazione, ispira un senso di pace che sembra tanto spesso legato alla natura ed ai suoi spettacoli. Senso di pace che, però, in una lontana mattinata di oltre sessant’anni fa, e precisamente nell’aprile del 1945, venne turbata da un fatto d’armi, passato alla storia come battaglia di Angeloga, che si inscrive fra gli ultimi atti della tragica lotta fra partigiani e repubblichini durante la seconda guerra mondiale.
Per capirne gli antefatti bisogna considerare il contesto di quell’aprile che si sarebbe concluso con la liberazione dell’Italia settentrionale dal regime nazifascista espresso dalla Repubblica di Salò. Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, aveva elaborato un piano di resistenza estrema contro l’avanzata degli Alleati. Tale piano prevedeva la costituzione di un Ridotto Alpino Repubblicano proprio in Valtellina e Valchiavenna, dove avrebbero dovuto asserragliarsi le residue forze fasciste e naziste in attesa di una ormai improbabile svolta clamorosa della guerra legata alle misteriose armi in allestimento in Germania. Di fatto tale progetto, che prevedeva opere di fortificazione, non venne attuato, nonostante i preparativi dello stesso Pavolini, che venne a Sondrio il 5 aprile, ma determinò un movimento di truppe che fu all’origine di diversi scontri con i partigiani, fra i quali, appunto, la battaglia citata.
Affluirono, infatti, in Valtellina e Valchiavenna numerose truppe delle Brigate Nere, cui si affiancavano truppe tedesche, e vennero pianificate azioni di rastrellamento finalizzate a ripulire della presenza partigiana la Valchiavenna e la Bassa Valtellina. Il fine non era solo quello resistenza ad oltranza: il controllo di queste zone avrebbe, infatti, anche consentito, attraverso il passo dello Spluga o la Val Bregaglia, una fuga in Svizzera dei maggiori esponenti del regime repubblichino, per sfuggire alla cattura in caso di disfatta. I partigiani controllavano l’intera Valle di S. Giacomo: loro obiettivo era, in particolare, quello di tener liberi dalla presenza nazifascista la Val di Lei ed il Pian dei Cavalli, luoghi idonei per un lancio paracadutato di armi, promesso dagli Alleati, nell’ottica dell’offensiva finale contro la Repubblica di Salò. La Val di Lei assunse, dunque, in quelle settimane una rilevanza strategica, e siccome il più agevole accesso alla valle era (ed è) il passo dell’Angeloga, per impedirne l’occupazione venne stanziato, nel rifugio C.A.I. Chiavenna all’alpe Angeloga, un presidio composto da una ventina di partigiani.
Il temuto rastrellamento partì, con ingenti forze (500 fascisti e 200 tedeschi circa), all’alba del 19 aprile, lungo tre direttrici, Savogno, la Val d’Avero ed il fondovalle. Dal 21 al 23 aprile Campodolcino, Medesimo e Montespluga vennero occupati dalle forze nazifasciste, che si erano così aperte il passaggio per la Svizzera (anche se il passo dello Spluga, ancora innevato, non era transitabile con mezzi meccanici). Era invece fallito il tentativo di passare in Val di Lei dal passo di Lei, a monte del lago dell’Acquafraggia.
Ecco, allora, il tentativo di passare per l’Angeloga, operato da una compagnia speciale della Milizia di Dongo, composta da oltre 100 uomini, che da Medesimo risalì le pendici del pizzo Groppera, sorprendendo, nella nebbiosa mattina del 26 aprile, il presidio partigiano dell’Angeloga. Un intenso fuoco di mitragliatrici, sostenuto anche da una mitragliera e da un mortaio da 81, costrinse i 20 partigiani a ripiegare 
Il racconto di questo tragico ripiegamento può essere affidato alle parole di un partigiano superstite, Guido Carnazza (Mosquito): Nicolin alla mia destra sparava e rideva, S’ciopp alla mia sinistra sparava e imprecava perché non si dava pace per aver lasciato in capanna uno zaino contenente una mezza forma di formaggio, che rappresentava la scorta di viveri segreta e di estrema emergenza. “Vado a prenderlo”, disse rabbiosamente. Gli urlai che era una follia, ma Sciopp schizzò ugualmente in basso verso la capanna. Sparavo, sparavo, ed il tempo non passava mai. Ad una decina di metri, sulla mia sinistra, in basso, ricomparve S’ciopp, che arrancava per il grosso peso sulle spalle. “Non ne posso più” gridò stremato dalla fatica. “Getta quello zaino” gli urlai. Pochi secondi dopo cadeva colpito da una raffica nemica. (Da un articolo di Guido Carnazza citato in “Antifascismo e resistenza in Valchiavenna, 1922-1945”, di Renato Cipriani, pubblicato dall’Officina del Libro di Sondrio nel 1999). Il ripiegamento partigiano, complice la nebbia, riuscì, a prezzo, però, di due morti (i sopra citati S’ciopp e Nicolin) e di numerosi feriti; i partigiani superstiti varcarono il passo dell’Angeloga e si attestarono in Val di Lei. I miliziani, invece, incendiarono il rifugio e le baite dell’alpe Angeloga, tornando alla sera a Medesimo. Milano era già stata liberata il giorno prima. Chiavenna venne liberata il giorno dopo.

MONUMENTO AI CADUTI DELL'ANGELOGA

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

Levi, Abramo, "Spartiacque", Sondrio, L'Officina del Libro, 1994; www.fraciscio.it

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