CARTE DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI - APPROFONDIMENTO: STARLEGGIA E SAN SISTO


Apri qui una fotomappa dei percorsi di salita al bivacco Ca' Bianca ed al pizzo della Sancia

SAN SISTO - BIVACCO CA' BIANCA E PIZZO DELLA SANCIA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Starleggia-San Sisto-Cusone-Val Fioretta-Bivacco Ca' Bianca-Pizzo della Sancia
4 h e 30 min.
1150
E
SINTESI. Saliamo sulla ss 36 verso il passo dello Spluga. In uscita da Campodolcino, la lasciamo per prendere a sinistra la stradina che sale a Starleggia (m. 1560), dove parcheggiamo, incamminandoci sulla mulattiera (cartello per San Sisto) che alle spalle delle baite sale ripida fra i prati e poi entra in una pecceta, uscendone sul bordo della piana di San Sisto (m. 1769). Ci portiamo alle baite e, ignorando le dindicazioni dei carteli, proseguiamo diritti (sud-ovest) fino ad un ponticello in sasso su un piccolo torrente, oltre il quale imbocchiamo un sentierino che per un tratto corre a sinistra del filo che delimita uno spazio di pascolo, fino ad un secondo ponticello in sasso su un torrentello. Più avanti confluiamo in una pista cn fondo in erba che porta ad un rimo nucleo di baite. Poco oltre siamo a Cusone (m. 1850) ed alla nostra destra vediamo il rifugio Maria Curti, riconoscibile per la bandiera italiana. Lo raggiungiamo e pieghiamo a sinistra, lasciando alle spalle le ultime baite e cominciando a salire le balze di un ampio dosso con pendenza media su sentiero incerto con radi segnavia. Procediamo a mezza costa (verso ovest) addentrandoci in Val Fioretta: Superata una porta, siamo ad un'ampia conca. Più avanti troviamo su un sasso a terra l’indicazione di piegare a sinistra. Se non la troviamo, teniamo comunque presente che dobbiamo scendere a guadare il torrente e lasciarlo così alla nostra destra, per poi procedere verso la conca terminale dell’alpe, laddove i pascoli si infrangono contro il severo gradino glaciale dal quale scendono quattro rami principali del torrente. Tagliamo verso sinistra gli ultimi lembi di pascolo, portandoci quasi a ridosso del ramo del torrente più a sinistra (ramo che rimane alla nostra destra): troveremo un segnavia in corrispondenza della partenza del sentiero marcato che con diversi tornanti vince la soglia glaciale (attenzione all'ultimo tratto un po' esposto), portandoci ad un ripiano. Prendiamo a sinistra (direzione sud) e portiamoci ad una dolce insellatura a quota 2275, dove troviamo, accanto ad alcune pozze, due microlaghetti. Qui volgiamo a destra (direzione ovest) e, lasciato alle spalle il primo microlaghetto, saliamo le balze erbose che ci portano ad un modesto pianoro, con un grande ometto. Proseguiamo nella salita tagliando leggermente in diagonale verso sinistra, fino ad affacciarci al largo canalone terminale, interamente occupato da sfasciumi. Pieghiamo poi a destra, puntando verso il centro del canalone. Nella parte più alta del canalone, una traccia di sentiero si porta sul suo lato di destra e risale il dorso di una formazione rocciosa che per un po’ nasconde il bivacco alla nostra vista (attenzione con rocce bagnate!). Superato questo punto, prendiamo a sinistra e siamo al bivacco Ca’ Bianca (m. 2565). Saliamo ora, alle spalle del bivacco, verso ovest, sul facile versante di pietrame che ci separa dalla cresta che parrebbe essere quella di confine, e la raggiungiamo tenendoci al centro di un poco marcato avvallamento. Qui troviamo qualche segnavia svizzero, anche se il confine italo-svizzero proprio qui abbandona la cresta e corre più ad ovest. Prendiamo a sinistra (sud) e procediamo su un largo crestone, fra pietrame e lastroni, fino alla vicina ripida cresta, che cominciamo a salire, fra grandi blocchi, sempre verso ovest. La breve salita ci porta senza particolari difficoltà ad un ripiano erboso che non ha l’aria di essere il culmine di un pizzo, ma di fatto è la cima del pizzo della Sancia (m. 2714).


Il pizzo della Sancia visto dalla valle della Sancia

Il pizzo della Sancia (m. 2718, o 2714 sulla CNS) si eleva fra la Valle del il passo della Sancia a sud e sud-est e la Val Fioretta ed il passo di Barna a nord e nord-est. Assume la forma di un bel picco roccioso di difficile accesso soprattutto se visto dalla Valle della Sancia, mentre in realtà la salita alla vetta per il crinale settentrionale non richiede un impegno più che escursionistico. Viene localmente chiamato Pizòt, mentre sulla Carta Nazionale Svizzera si trova affiancato al Piz de Montagnìa, che corrisponde al picco di quota 2653 immediatamente ad est del Pizzo della Sancia. La propaggine della sua cresta orientale divide la Valle della Sancia, a sud, dalla Val Fioretta, a nord, valli che poi confluiscono più ad est nella Valle di Starleggia. Il versante occidentale guarda al versante elvetico della Mesolcina, ed in particolare all’Alp de Barna.


Il pizzo della Sancia (a sinistra) dalla valle della Sancia

La prima ascensione alpinistica di cui si abbia notizia fu quella di Luigi Brasca che, insieme ad alcuni compagni, vi salì il 29 agosto 1904, nel contesto dell’esplorazione delle cime della Valle Spluga che furono oggetto delle sue attente ricerche topografiche. Ne scrisse ne “Le montagne di Val San Giacomo” (CAI Torino, 1907), in questi termini: “Del Pizzo della Sancia, imponente visto da San Bernardino, di positivo non si sapeva ancora niente… Io vi salii il 29 agosto del 1904, compiendo la traversata fino al Monte Baldiscio. Partenza da Campodolcino alle 5,15. Dopo il punto 2291 nel vallone Fioretta e qualche incertezza per certi passi presunti pericolosi che possiamo evitare, tenendoci di costa verso nord, risaliamo l’erta e faticosa china fino al pianoro sotto la bocchetta 2615 a nord della vetta, punto caratteristico dove affiorano le superfici degli strati quasi orizzontali dello schisto, in grandi lastroni arrotondati. Dalla bocchetta, mentre gli altri salgono per la cresta Nord, io proseguo verso SE e, scalando le ultime rocce, sbuco finalmente sul ciglione della parete sud, in vista della svelta affascinante piramide del Quadro; poi in breve, per la cresta Est sono sulla tondeggiante vetta, dove non trovo traccia alcuna… Quando ci decidiamo ad andarcene sono le 11,30. Ridiscendiamo verso nord e, dopo la bocchetta 2615, sempre per la cresta, qua e là affilata, saliamo alla punta 2643, che è una vera Punta Nord del Pizzo della Sancia…” La cima è meta abbastanza frequentata dagli scialpinisti, ma si presta anche ad un’interessante escursione che passa per il vicino bivacco Ca’ Bianca (m. 2572), per la via più diretta della Val Fioretta o un po’ più lunga della Valle della Sancia.


La cima del pizzo della Sancia

La salita al bivacco ed al pizzo non è, infine, priva di elementi di interesse storico: percorreremo un itinerario di grande importanza in passato, essendo il più diretto (anche se meno agevole rispetto al passo di Baldiscio, più a nord) fra Campodolcino e Mesocco, centro della Mesolcina.
Punto di partenza è la frazione Starleggia, che si raggiunge da Campodolcino seguendo il seguente itinerario: all’uscita dal paese in direzione del passo dello Spluga prendiamo a sinistra alla prima deviazione (lasciando quindi a destra la strada che sale a Medesimo), percorrendo un breve tratto della strada che porta ad Isola, per poi lasciarla quasi subito, deviando nuovamente a sinistra ed imboccando la stradina che sale a Splughetta ed a Starleggia (m. 1560, citata anche come Stambilone nel Settecento). Si tratta di una strada in diversi punti piuttosto stretta e protetta solo da colonnine di cemento, per cui procediamo con tutta la dovuta cautela. Superata Splughetta, pochi ultimi tornanti ci portano al centro della frazione, appena sopra la chiesa.
Prima di metterci in cammino, sostiamo per qualche attimo sul sagrato della settecentesca chiesetta (fu consacrata nel 1768), dedicata a San Filippo Neri ed alla Beata Vergine del Buon Consiglio: possiamo dominare da qui la conca di Campodolcino, Pianazzo con la sua celebre cascata, Medesimo (uno scorcio), la Motta di Medesimo e gli Andossi. Su una parete una lapide ricorda i caduti di “Sterleggia” nella prima guerra mondiale, Scaramella Antonio, Mainetti Pietro, Mainetti Lorenzo, Barilani Alessandro, Lombardini Giacomo, Scaramella Giorgio, Scaramella Felice, Scaramella Guglielmo e Barilani … Sterleggia, nome antico del paese, rende evidente il suo etimo da “sterl”, voce dialettale che significa “sterile”: qui venivano, infatti, portati al pascolo le bestie sterili.
Giovanni De Simoni nel suo bel volumetto “Toponimia dell’alta valle Spluga” (CCIAA, Sondrio, 1966), propone però un’ipotesi diversa: “Sterla = sterile (a. lomb.) sterilis lat. È voce alpina the indica l'animale sterile o giovane (e, in particolare, dicesi di bovini), nota con poche varianti in tutta la Valtellina (stérla in Arigna, sterle a Lanzada, stèrla a Grosotto, Ponte, Cataeggio: v. Pontiggia op. cit., pag. 68) e in Valchiavenna. In Engadina lo sterler o starler è il guardiano dei vitelli. Come toponimo non sta affatto ad indicare (per quanto mi risulta nei luoghi dove ho potuto fare un riscontro personale) localita sterili…, ma località pascolative di malagevole accesso o in notevole pendenza, perciò riservate ai giovenchi. Ricordo: Pra di sterli sulle pendici meridionali del M. Rolla (Castione Andevenno). Certi pascoli di Stampa (Bregaglia) son detti starlogia e un analogo Starleggia e frazione di Campodocino su versante assai ripido alla destra del Liro; ambedue questi nomi sono derivabili da una forma starlögia che, per vero, l'Olivieri (521) attribuisce genericamente a sterilità del terreno.”
Nei secoli passati questo borgo ebbe notevole importanza per la sua collocazione allo sbocco di una valle percorsa, come già ricordato, da significativi traffici con il versante della Mesolcina, attraverso il passo di Barna, poco a nord del bivacco. Una coppia di cartelli della Comunità Montana della Valchiavenna, nei pressi del parcheggio, segnalano che da qui partono due itinerari, il C21, che passa da San Sisto (30 minuti) e porta al passo del Servizio (che si affaccia sulla Valle del Truzzo) ed il C20, che porta al Pian dei Cavalli ed al Lago Bianco (C21), posto sulla sua soglia più alta e raggiungibile in 2 ore e 45 minuti di cammino. Torniamo indietro per breve tratto dal parcheggio e prendiamo, a sinistra, una scalinata in cemento: dopo una breve svolta a destra e di nuovo a sinistra, lasciamo alle spalle le baite più alte del paese ed imbocchiamo il sentiero che risale i ripidi prati che le sovrastano. Dopo pochi tornanti, passiamo a sinistra di un crocifisso in legno ed entriamo in una fresca pecceta, dove il sentiero diventa una larga mulattiera ben scalinata.
Pochi tornanti ancora, e siamo di nuovo all’aperto, alle soglie della splendida conca di San Sisto (m. 1769). Ci accoglie una cappelletta fatta erigere da Battista Mainetti, “riconoscente a Maria per amorosa assistenza in gravissimi pericoli”, “perché da questa rupe benedica lui, la sua famiglia e Starleggia tutta”. Alle sue spalle, poco più in alto, il singolarissimo campanile di San Sisto, posto a diverse centinaia di metri dalla chiesetta, che si trova più avanti, nel nucleo di baite. La ragione di questa collocazione è che il suono della sua campana poteva così essere udito anche a Starleggia. Il sentiero, superata una fontanella, prosegue fino alle baite del piccolo nucleo, incorniciate dal profilo appuntito del pizzo Quadro. Da sinistra, durante l’estate, potremo udire il vociare di ragazzi che partecipano ai campi estivi organizzati dalla parrocchia di Chiavenna, che utilizza a tal fine un edificio adattato. Sul sentiero troviamo alcuni cartelli della Comunità Montana della Valchiavenna, che segnalano a destra la partenza del sentiero per il Pian dei Cavalli e del Lago Bianco (C20) ed a sinistra la direttrice, su pista sterrata, per l’alpe Morone, il bivacco ed il passo del Servizio (2 ore e 20) ed il lago del Truzzo (3 ore e 40 minuti, B21).


Testata della Val Fioretta e pizzo della Sancia (a sinistra)

Nessun riferimento al bivacco Ca’ Bianca. Infatti noi proseguiamo diritti, fino ad un ponticello in sasso su un piccolo torrente, oltre il quale imbocchiamo un sentierino che per un tratto corre a sinistra del filo che delimita uno spazio di pascolo, fino ad un secondo ponticello in sasso su un torrentello. La traccia si fa più larga, passa accanto ad un muricciolo ed a sinistra di un masso solitario salendo gradualmente sulle dolci balze erbose e lasciando alle spalle S. Sisto. La traccia confluisce in una più larga pista inerbata che prosegue nella salita, verso sud-est, guadagnando il filo di un largo dosso erboso, fino ad un nucleo di baite che precede il più grande nucleo di Cusone. Fra queste ce n’è una, interessante, interamente costruita in legno. Oltre le baite la traccia circondata dal pascolo prosegue, verso una coppia di baite (quella di sinistra è anch’essa interamente costruita in legno). Procediamo ed in breve siamo al nucleo di Cusone (m. 1850). Alla nostra destra vediamo il rifugio Maria Curti, riconoscibile per la bandiera italiana.
Lo raggiungiamo e pieghiamo a sinistra, lasciando alle spalle le ultime baite e cominciando a salire le balze di un ampio dosso con pendenza media. Il sentiero c’è e non c’è, i segnavia compaiono di tanto in tanto, mestamente sbiaditi. Comunque non abbiamo grossi problemi di orientamento: siamo a destra del vivace torrente che scende dalla val Fioretta (che confluisce da nord, insieme alla val della Sancia, a sud, nella valle di Starleggia). Restando a mezza costa, lo seguiamo, puntando alla soglia che ci immette ad un’ampia spianata dove la pendenza si addolcisce. Passiamo così accanto ad un masso solitario sul quale ci sorride un segnavia bianco-rosso. Fermiamoci qui un attimo a studiare la testata della valle: sulla sinistra la vediamo chiusa dal poderoso fianco del pizzo della Sancia (o pizzo Montagna, sulle carte svizzere, m. 2718). Il suo crinale settentrionale (verso destra) scende fino ad una marcata sella. Il bivacco è posto appena sotto questa sella. Il crinale riprende poi a salire, per poi scendere fino al marcato intaglio del passo già citato passo di Barna (m. 2547). A destra del passo (ma da qui non si vede ancora) è collocato il pizzo Dalè (m. 2611).
Proseguendo, prestiamo attenzione: su un sasso a terra troveremo l’indicazione di piegare a sinistra. Se non la troviamo, teniamo comunque presente che dobbiamo scendere a guadare il torrente e lasciarlo così alla nostra destra, per poi procedere verso la conca terminale dell’alpe, laddove i pascoli si infrangono contro il severo gradino glaciale dal quale scendono quattro rami principali del torrente (i due più a destra si uniscono però prima di toccare l’alpe). Cerchiamo di nuovo i segnavia ed in ogni caso teniamo presente che il sentiero per superare il gradino passa appena a sinistra del ramo più a sinistra dei quattro (con una vista un po’ allenata lo si intravede fra i macereti). Tagliamo gli ultimi lembi di pascolo, portandoci quasi a ridosso del ramo del torrente più a sinistra (ramo che rimane alla nostra destra): troveremo un segnavia in corrispondenza della partenza del sentiero che, una volta trovato, non perdiamo più. Sale, infatti, con diversi tornanti, fra i rododendri che colonizzano la striscia a fianco (sempre a sinistra) del ramo citato di torrente. L’ultimo tratto, appena prima della soglia superiore del gradino, richiede un po’ di attenzione, proponendo un passaggio (anzi, sdoppiandosi, una coppia di passaggi) su roccette che, se bagnate, sono un po’ insidiose (quelle di destra sono anche un po’ esposte, anche se meno impegnative).
Alla fine, eccoci ad un’ampia conca. Diritta sopra la nostra testa la sella con il bivacco (da qui appare divisa in due: il bivacco sta sulla destra, ma non è facilmente individuabile, essendo bianco, ad eccezione degli infissi, di color rosso). Prendiamo a sinistra e portiamoci ad una dolce insellatura a quota 2275, dove troviamo, accanto ad alcune pozze, due microlaghetti (il primo ancora vitale, il secondo moribondo per un avanzato processo di interramento). Alle spalle dei laghetti, il pizzo Quadro (m. 3013) si staglia con la possente base e l’affilatissima punta. A questa sella giunge anche, dalla nostra sinistra, un sentiero che sale dalla gemella e più ampia valle della Sancia (potrebbe anch’esso utilizzato per salire al bivacco, oppure per scendere per diversa via: ma di ciò diremo).
La meta sembra quasi a portata di mano, ma in realtà ci attende una salita paziente e faticosa. Lasciato alle spalle il primo microlaghetto, saliamo le balze erbose che ci portano ad un modesto pianoro, con un grande ometto. Proseguiamo nella salita tagliando leggermente in diagonale verso sinistra, fino ad affacciarci al largo canalone terminale, interamente occupato da sfasciumi scaricati dal selvaggio fianco del pizzo della Sancia. Pieghiamo, ora, a destra, puntando verso il centro del canalone. A tratti si vede una traccia di sentiero che serpeggia fra i massi, di dimensioni medio-piccole. Alzando il capo, possiamo, ora, distinguere l’edificio del bivacco. Alla sua destra vediamo anche una coppia di pali, quel che resta della teleferica con la quale le piode ricavate dalla cava venivano calate alla piana di San Sisto.
Nella parte più alta del canalone, il sentiero si porta sul suo lato di destra e risale il dorso di una formazione rocciosa che per un po’ nasconde il bivacco alla nostra vista attenzione con rocce bagnate!). Superato questo punto, siamo finalmente alla meta: alla nostra sinistra vediamo il bivacco Ca’ Bianca (m. 2565), posto sulla soglia di un saltino. Alla sua soglia accediamo, dopo circa 3 ore e mezza di cammino (1000 i metri di dislivello), da una scaletta in sasso. All’interno, leggiamo, su una targa: “Eretto nel 1931 da Mainetti Scaramella Pietro Feliciano Lorenzo Natale Battista P. Antonio a ricordo”.
La storia del bivacco ha come antecedente il 1931, anno in cui venne edificata la struttura che serviva da ricovero ai lavoratori alle cave di beola poste appena sotto il crinale crinale che si stende dal pizzo della Sancia, a sud, al passo di Barna ed al pizzo Dalè, a nord, sulla testata della Val Fioretta (Valle di Starleggia). La cava funzionò fino a qualche decennio fa, poi venne dismessa. Dal recupero della struttura nacque poi il bivacco Ca’ Bianca, poco frequentato, per la verità, anche se collocato sull’itinerario della seconda tappa del trekking della Valle Spluga. L'edificio è stato ristrutturato nel 1997 dal CAI Vallespluga per fungere da punto di appoggio nel percorso del trekking della Valle Spluga.


Salita al crinale del bivacco Ca' Bianca

Saliamo ora, alle spalle del bivacco, verso ovest, sul facile versante di pietrame che ci separa dalla cresta che parrebbe essere quella di confine, e la raggiungiamo tenendoci al centro di un poco marcato avvallamento. Qui troviamo qualche segnavia svizzero, anche se il confine italo-svizzero proprio qui abbandona la cresta e corre più ad ovest. Prendiamo a sinistra (sud) e procediamo su un largo crestone, fra pietrame e lastroni, fino alla vicina ripida cresta, che cominciamo a salire, fra grandi blocchi, sempre verso ovest. La breve salita ci porta senza particolari difficoltà ad un ripiano erboso che non ha l’aria di essere il culmine di un pizzo, ma di fatto è la cima del pizzo della Sancia (m. 2718, o 2714 sulla CNS).


Panorama verso la Mesolcina

Ripiano sommitale del pizzo della Sancia

Il panorama è ampio ed appagante. Ottimo il colpo d’occhio, a sud-est e ad est, sulle cime della Bregaglia e del versante orientale della Valle Spluga. Da destra (sud-est), riconosciamo la valle ed il passo dell'Avero, alle cui spalle occhieggiano lontane le cime del gruppo Masino-Disgrazia, il monte Disgrazia, il gruppo delle Sciore ed i pizzi Cengalo e Badile. Più a sinistra ed in primo piano ammiriamo le forme regolari del pizzo Stella (m. 3163), il puntuto pizzo Groppera (m. 2968), dove sono ben visibili gli impianti di risalita di Medesimo, il monte Mater (3023), dal profilo poco pronunciato, ed lo slanciato pizzo Emet (m. 3208).


Pizzo Quadro visto dal pizzo della Sancia

Proseguendo verso sinistra, cioè verso nord-est, ci si presenta la compatta compagine che va dal pizzo Spadolazzo (m. 2722) al gruppo del Suretta (m. 3027). A nord si impone l’elegante profilo delle cime gemelle del pizzo dei Piani (m. 3148 e m. 3158). Alle sue spalle, sulla destra, è ben visibile anche il pizzo Ferrè (m. 3103). Sulla sua sinistra, invece, si riconosce la meno pronunciata vetta del monte Bardan, a monte del Pian dei Cavalli. A destra del Pizzo Stella, invece, si scorge un bello spaccato della Val Bregaglia, con i pizzi Badile e Cengalo. Sul lato opposto, si apre lo scenario delle cime della Mesolcina. A sud e a nord la visuale è chiusa rispettivamente dal pizzo Quadro e dai pizzi Piani.


Le cime del versante orientale della Valle Spluga viste dal pizzo della Sancia

Il ritorno a San Sisto può avvenire ovviamente per la medesima via di salita, ma anche, con percorso più lungo ed interessante, per la valle della Sancia, sfruttando un sentiero che può essere utilizzato anche per la salita. In tal caso ridiscendiamo dal pizzo al bivacco e da qui alla selletta con i microlaghetti. Vicino al più grande (quello non interrato) vedremo un sasso che indica un trivio: prendendo a sinistra si scende per la val Fioretta (da cui siamo saliti) a Cusone, alle nostre spalle si sale al bivacco, prendendo a destra si scende per la valle della Sancia. Prendiamo, dunque, a destra (qualche segnavia ed un ometto ci indirizzano) imboccando un invitante corridoio erboso, che ci immette su un dolce versante. Il sentiero lo taglia scendendo gradualmente. Alla nostra destra si impone il fianco possente del Motto Alto (m. 2730), con la curiosa cima quasi adunca. Ai suoi piedi, il pianeggiante fondo della Valle della Sancia, sul cui limite basso si vede lo sbarramento Enel sul torrente che lo percorre. Per un buon tratto proseguiamo senza problemi, poi sentiero e segnavia ci lasciano.


Monte Disgrazia, Sciore, pizzi Cengalo e Badile visti dal pizzo della Sancia

È tempo di piegare a destra, tagliando più decisamente il versante e puntando al piccolo sbarramento, segnalato anche da un piccolo edificio sul lato opposto della valle. Ci portiamo, così, quasi al ciglio della valle scavata dal torrente: il sentiero scende ad attraversare il torrente su un ponticello e prosegue sul lato opposto. Per accorciare la discesa, però, non lo seguiamo, ma restiamo sul ciglio della valle, seguendo un sentiero che procede in parallelo fra rododendri. Inizia poi una discesa su un dosso di macereti, diritto nel primo tratto. Piega quindi a sinistra, facendosi più marcato e correndo alto su alcuni salti rocciosi. Superato un filo d’alpeggio, proseguiamo sul sentiero che scende fino al limite alto dei pascoli a monte di Cusone.
Il sentiero marcato si interrompe: ora scendiamo in mezzo ad un piacevole scivolo erboso prodotto probabilmente da una slavina che si è mangiata i rododendri. Proseguendo diritti, raggiungiamo il muretto che delimita un alpeggio e lo seguiamo verso sinistra, fino alle prime baite di Cusone. Poco oltre, superiamo su un ponticello in sasso un ramo del torrente. Proseguendo su traccia di sentiero, scendiamo per un ulteriore tratto, fino ad un ponticello in legno, oltre il quale siamo di nuovo in vista del rifugio Curti.
Senza portarci al rifugio, prendiamo a destra sulla pista in mezzo ai pascoli che abbiamo già percorso salendo: siamo quindi alle ultime baite e, dopo lunga discesa, a San Sisto e di qui a Starleggia.


Pizzo della Sancia visto dalla valle della Sancia

APPROFONDIMENTO: STARLEGGIA E SAN SISTO


Starleggia e, sullo sfondo, Campodolcino

Starleggia, nel comune di Campodolcino, è uno dei nuclei più caratteristici della Valle di San Giacomo, sul suo versante occidentale, cioè delle Alpi Lepontine. Lo si raggiunge grazie ad una carrozzabile che, all'uscita da Campodolcino verso il passo dello Spluga, si stacca a sinistra dalla strada per Isola (la quale, a sua volta, si stacca a sinistra dalla strada per Madesimo). La carrozzabile, in alcuni punti un po' stretta, si inerpica, con diversi tornanti, su un ripido versante coperto da dense e splendide peccete, passa per i nuclei di Coetta (m. 1100) e Splughetta (m. 1360) prima di raggiungere la case e le baite di Starleggia (m. 1565), posta su un terrazzo straordinariamente panoramico sullo Spluga, gli Andossi, il gruppo del Suretta, i pizzi Emet, Stella e Groppera. In passato questo era il nucleo di "Starleggia inferiore", mentre "Starleggia superiore" coincideva con l'attuale San Sisto (m. 1760), gruppo di baite posto poco oltre la soglia dello splendido ripiano glaciale a monte di Starleggia raggiunto da una larga mulattiera che parte dai prati alti alle spalle delle baite del paese. Baite che offrono eccellenti esempi dello stile architettonico detto "carden" o "blockbau", caratteristico di molti insediamenti alti in Valle di San Giacomo (si tratta di una tecnica costruttiva già in uso presso i Romani, caratterizzata da pareti costituite da travi che si intrecciano e si incastrano negli angoli).


San Sisto

San Sisto, a sua volta, è collocato poco sotto un ricco sistema di alpeggi che, secondo la statistica curata da Ercole Bassi nell'ultimo quarto dell'Ottocento, ha una significativa capacità di carico: l'alpe Morone, con 133 capi, l'alpe Gussone (oggi Gusone), con 74 capi, e le alpi Tojana e Zoccana, con 94 capi. A proposito di queste ultime il Bassi annota: "Le alpi Tojana, Zoccana e Frondaglio sono possedute dalla ditta Guanella Rosa e soci di Campodolcino. Esse presero parte al concorso dei pascoli alpini del 15 febbraio 1886 e furono giudicate meritevoli del primo premio, e ritenute alpi modello, specialmente l'alpe Zoccana, che è fornita di buone stalle, fabbricati, ecc., ecc. Vi si confeziona, per cura della conduttrice Società Italiana dei conduttori di fondi, con sede in Melegnano, burro squisito (3 per cento) ed ottimo grana (7,5 per cento del latte) che si esporta anche all'estero."


Starleggia ed il pizzo Stella

Ma ridiscendiamo al nucleo principale. Sterleggia, nome antico del paese, rende evidente il suo etimo da “sterl”, voce dialettale che significa “sterile”: qui venivano, infatti, portati al pascolo le bestie sterili.
Giovanni De Simoni nel suo bel volumetto “Toponimia dell’alta valle Spluga” (CCIAA, Sondrio, 1966), propone però un’ipotesi diversa: “Sterla = sterile (a. lomb.) sterilis lat. È voce alpina the indica l'animale sterile o giovane (e, in particolare, dicesi di bovini), nota con poche varianti in tutta la Valtellina (stérla in Arigna, sterle a Lanzada, stèrla a Grosotto, Ponte, Cataeggio: v. Pontiggia op. cit., pag. 68) e in Valchiavenna. In Engadina lo sterler o starler è il guardiano dei vitelli. Come toponimo non sta affatto ad indicare (per quanto mi risulta nei luoghi dove ho potuto fare un riscontro personale) localita sterili…, ma località pascolative di malagevole accesso o in notevole pendenza, perciò riservate ai giovenchi. Ricordo: Pra di sterli sulle pendici meridionali del M. Rolla (Castione Andevenno). Certi pascoli di Stampa (Bregaglia) son detti starlogia e un analogo Starleggia e frazione di Campodocino su versante assai ripido alla destra del Liro; ambedue questi nomi sono derivabili da una forma starlögia che, per vero, l'Olivieri (521) attribuisce genericamente a sterilità del terreno.


Starleggia

Antichissime le testimonianze della presenza umana su questi versanti. Un pannello illustrativo infatti reca scritto: “In un'ora di cammino da S. Sisto si raggiunge il cuore del Pian dei Cavalli, l'altopiano calcareo sul quale sono state scoperte le più antiche tracce di presenza dell'uomo nel centro delle Alpi. II visitatore percorra l'altopiano immaginando gli antichissimi cacciatori dell’Età della Pietra che vi misero piede circa 10.000 anni fa, ritiratosi il ghiacciaio. Per molti secoli essi salirono d'estate fino a oltre 2200 metri a cercare animali ed emozioni in questo mondo alpino sconosciuto. Sull’altopiano sono in corso lavori scientifici. Si prega di mantenere intatti il paesaggio e i siti della ricerca.”


San Sisto

Venendo a tempi decisamente più prossimi, negli atti amministrativi del comune di Chiavenna di epoca medievale "Starlezia" viene menzionata come alpe. Probabilmente i primi insediamenti, forse Walser, risalgono al tempo medievale (i Walser si erano insediati nel Rheinwald ed avevano varcato lo Spluga colonizzando diversi alpeggi della Valle di San Giacomo). Nel medesimo periodo (fine del secolo XII) il più basso nucleo di Coetta (in passato "Pratomerlano" o "Fontana Merla") era nominato come "prato", quindi come insediamento permanente, dove risiedeva il gastaldo che amministrava i beni di questi alpeggi, allora di proprietà del Monastero di S. Maria di Dona a Prata Camportaccio. Nei secoli successivi inizia l'insediamento permanente dei nuclei più alti da parte dei pastori che ne fruiscono. Alla fine del Quattrocento risultano permanentemente abitate sia Stambillone (l'attuale Starleggia) che Starleggia (San Sisto). Sono attestate anche le prime cascine di località poco più in alto, agli alpeggi di Gusone, Morone e Togliana, sempre nella caratteristica forma di abitazioni in legno con tetto in piode.


Piana di San Sisto

Nella prima metà del Seicento a Starleggia (oggi San Sisto) vivevano venti famiglie, e si sentì l'esigenza di costruire la chiesetta (m. 5x11,50) di San Sisto o della Trasfigurazione, benedetta il 6 agosto del 1613. Il suo campanile fu costruito ad una certa distanza dalla chiesa, sul ciglio del salto che si affaccia su Stambillone (Starleggia), perché qui già verso la fine del Seicento risiedeva il numero maggiore di famiglie, e con il suono della secentesca campana era possibile comunicare da Starleggia di Sopra a Starleggia di Sotto. Probabilmente in origine era una torretta integrata nel sistema di comunicazioni-avvistamento di Valchiavenna e Valle di San Giacomo. Venne riconvertito in campanile dagli spagnoli del Duca di Feria, Governatore di Milano, che, durante la fase valtellinese della Guerra dei Trent'Anni, occuparono Valchiavenna e Valle di San Giacomo, rendendosi responsabili anche di soprusi e violenze (a Starleggia distrusero distrussero “case 6, cassina 1, stalle 4. Valore scudi 1000”). Rimase comunque l'uso della segnalazione: gli anziani di Starleggia, infatti, attestano che c'era sempre qualcuno pronto a segnalare con il suono della campana eventuali situazioni di pericolo.
Il suono di questa campana secentesca (che la tradizione vuole forgiata dalla rifusione di armi spagnole) era uno degli elementi più significativi nella vita delle due comunità, tanto da diventare oggetto di leggende. In particolare, veniva chiamata affettuosamente “cagneta dal Sist”, perché, come una cagnolina, faceva la guardia e faceva sentire la sua voce argentina quando qualche pericolo minacciava la gente, comprese le trame ordite dalle perfide streghe di cui un tempo la fantasia dei valligiani popolava la piana di San Sisto.


San Sisto

Il Seicento è anche il secolo nel quale il movimento migratorio diventa fenomeno significativo. In particolare si intensifica la migrazione periodica estiva verso la Mesolcina, legata alle attività di agricoltura ed allevamento, mentre dalla Mesolcina affluiscono nel Chiavennasco muratori, fabbri e falegnami. C'è da ricordare che a monte di Starleggia lo spartiacque alpino propone i passi della Sancia (m. 2581), a monte dell'alpe Morone (m. 1860) e di Barna (o Bardan, m. 2547), a monte dell'alpe Gusone (m. 1855), utilizzati per gli spostamenti ed in parte anche i commerci con Mesocco, l'importante centro della Mesolcina a cui si scende da questi valichi.
Nella seconda metà del Settecento a Stambillone vivevano settanta famiglie, per cui si decise nel 1768 di costruire anche qui una chiesa, che fu dedicata a San Filippo Neri ed alla Madonna del Buon Consiglio. La nuova Starleggia soppiantò quindi la vecchia come centro di insediamento permanente, e si divise in squadre, che assumevano il nome della famiglia che vi risiedeva (Scaramella, Pavioni, Sterlocchi, Zaboglio, Bossi, Barilani ed altre). Dopo l'Unità d'Italia Starleggia superiore risultava disabitata, con 18 case vuote, mentre a Starleggia inferiore vivevano 145 persone (27 famiglie), in 31 case, di cui 9 vuote. A Splughetta, infine, vivevano 39 persone, 25 uomini e 14 donne, in 6 famiglie ed 11 case, di cui 5 vuote. Nei decenni successivi, fino alla Prima Guerra Mondiale, gli abitanti di Starleggia aumentarono costantemente passando dai 225 del 1871 ai 232 del 1881, ai 267 nel 1901 ed ai 297 nel 1911. Su una parete della chiesa di Starleggia una lapide ricorda i caduti di “Sterleggia” nella prima guerra mondiale, Scaramella Antonio, Mainetti Pietro, Mainetti Lorenzo, Barilani Alessandro, Lombardini Giacomo, Scaramella Giorgio, Scaramella Felice, Scaramella Guglielmo e Barilani... (illeggibile il nome).


Gruppo del Suretta e pizzo Spadolazzo da Starleggia

L'Ottocento è caratterizzato anche dall'intensificarsi dei traffici di contrabbando, attivi fino alla seconda metà del Novecento. Traffici che costituivano un'essenziale integrazione della magra economia basata sull'agricoltura, essenzialmente la raccolta di patate e castagne. Traffici praticati nei mesi invernali, per i passi di Barna e della Sancia, sfidando i pericoli mortali delle slavine e delle tormente, che portarono anche a tragiche morti, quali quelle dei sette "spalòn" Mainetti Andrea fu Lorenzo, Mainetti Andrea fu Pietro, Mainetti Giuseppe fu Guglielmo, Mainetti Giuseppe fu Pietro, Mainetti Pietro fu Pietro, Mainetti Sisto fu Giorgio e Scaramella Giuseppe fu Guglielmo, travolti da una slavina il 10 maggio 1901. Altri due spalloni morirono per le conseguenze di una slavina al passo della Sancia nell'ottobre del 1912, Pavioni Agostino fu Lorenzo e Scaramella Luigi. Una terza tragedia si consumò il 5 maggio 1944, quando Mainetti Siro e Pavioni Agostino, insieme ad altri quattro spalloni, furono sorpesi da guardie svizzere in prossimità del confine, ma ancora in territorio italiano. Terrorizzati dall'idea che si trattasse di SS, tentarono la fuga, ma furono colpiti da una guardia. Il primo morì sul colpo, il secondo mentre veniva trasportato a forza alla più vicina caserma elvetica, a tre ore di cammino. Grandi l'eco e la sensazione di questo evento, anche a Mesocco, dove non poche erano le famiglie imparentate con gente di Starleggia e dove vi fu un moto popolare che portò all'occupazione del posto di polizia ed alla fuga del responsabile.


Starleggia

Nel periodo fra le due guerre vi fu una leggera flessione della popolazione, con 285 nel 1921 e 272 nel 1931. Nel 1961 si registra una cifra ancora maggiore, quella di 340 abitanti. La vicina cava di beola fu sicuramente un elemento che consolidò l'economia locale. Nell’estrazione della beola verde dello Spluga a San Sisto erano attive già dal 1928 due ditte di Samòlaco e Campodolcino. Per agevolare quest'attività fu costruita dopo la seconda guerra mondiale una teleferica che saliva a San Sisto.
Nel 1968 a Starleggia giunse la carrozzabile, che favorì lo spostamento di molte famiglie a Campodolcino: Starleggia da allora si ripopola da maggio a novembre. Nel 1946 il vescovo di Como Alessandro Macchi costituì la parrocchia autonoma di Cristo Re a Starleggia. Vi esercitarono la loro missione pastorale i parroci don Domenico Songini e don Arialdo Porro. Nel 1986, però, a causa del progressivo spopolamento, la parrocchia venne di nuovo integrata in quella di Campodolcino.


Il campanile di San Sisto

Oggi sono molti gli escursionisti che salgono a Starleggia e proseguono per il Pian dei Cavalli o la Valle della Sancia, attratti dagli splendidi itinerari che vi si possono disegnare e dalla bellezza della Piana di San Sisto, di cui un pannello dice: “Questa bella conca prativa è una "valle pensile" di modellamento glaciale, il cui più antico norme documentato e il medioevale Sterlezia, da cui l'attuale Starleggia, mentre la denominazione di San Sisto è venuta con la fondazione della locale chiesa nel 1613. La conca è sospesa di 700 m sul fondovalle di Campodolcino, sul quale si affaccia con una netta scarpata, la cui soglia è accentuata dal dosso isolato del monte Orfano (Mot Orfan, m 1801). Da qui si accede alle località preistoriche di quota elevata che esistono nei dintorni. In un'ora di percorso da San Sisto si raggiunge verso nord il Pian dei Cavalli, suggestivo altopiano di calcari e marmi, sul quale sono state poste in luce alcune delle più antiche tracce dell'uomo nelle Alpi interne (circa 8000 a.C.). Uomini circolarono su questi rilievi tra Valle Spluga e Val Mesolcina nei successivi millenni, alla fine dell'Età della Pietra e in quella dei metalli., isolati ritrovamenti del 4°-3° millennio a.C. sono stati fatti all'Alpe Böcc’, il piastrone calcareo che domina la conca sul fianco meridionale, e più oltre all'Alpe Servizio. Il Pian dei Cavalli offre un paesaggio carsico punteggiato di doline e inghiottitoi e dotato di grotte, una delle quali si apre poco sopra San Sisto presso l'Alpe Toiana (grotta della Ciairina).”
Per saperne di più, possiamo consultare l'articolo di Tarcisio Salice, Starleggia in Val San Giacomo, pubblicato sulla rivista del Centro di Studi Storici Valchiavennaschi, Clavenna, del 1977, oppure visitare il sito www.starleggia.it .


Starleggia

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

GALLERIA DI IMMAGINI (CLICCA SULL'ANTEPRIMA PER APRIRE LA FOTO)

Escursioni e camminate (consigli ed indicazioni; I miei canali su YouTube: paesi e campane, rifugi e vette, passi e poesie, poesie, musica)
Storia, tradizioni e leggende
Immagini, suoni e parole

La riproduzione della pagina o di sue parti è consentita previa indicazione della fonte e dell'autore
(Massimo Dei Cas, www.paesidivaltellina.it)

Designed by David KohoutCopyright © 2003 - 2024 Massimo Dei Cas