CARTA DEL PERCORSO - ALTRE ESCURSIONI A PIATEDA


Apri qui una fotomappa dei sentieri a monte di Piateda

Il Sasso della Nona (cràp 'lla nóona, o cràp de la nùuna) è una singolarissima ed intrigante formazione rocciosa quasi piantata a mezzo del versante boscoso che, a monte di Piateda, sale al Dos Bilìi ed alla punta della Piada. È posto in una posizione quasi baricentrica, fra la bassa Val Venina, ad ovest, e la Vall del Serio, ad est, e si eleva, anche se di poco, con elegante figura al di sopra della linea degli alberi, come una sorta di vedetta che enigmaticamente guarda al fondovalle ed all’intero versante retico a nord di Piateda. Può essere meta di una breve passeggiata che parta dal Gaggio sopra Piateda Alta, dove termina la strada aperta al traffico dei veicoli non autorizzati. Da Piateda imbocchiamo la strada che sale a Piateda alta, passando per diversi nuclei, fra cui Pam e Previsdomini (prevesdòmen). Da Piateda Alta (piatéda volta, m. 709), l’antico nucleo centrale di Piateda, la carozzabile procede passando per Bessega (bésega, m. 804) e Gaggio (gasc’), dove si trova l’invaso della Sondel. Qui, ad una quota approssimativa di 1020 metri, dobbiamo lasciare l’automobile perché nel tratto successivo il traffico è limitato ai veicoli autorizzati.
Ci mettiamo in cammino e, dopo una prima svolta a sinistra, superiamo una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx, e giungiamo ai prati del maggengo che si è meritata la fascinosa denominazione di Dosso del Sole (dos dal sùul, m. 1309). Traversando verso est, troviamo, ad un bivio, un cartello, che indica a sinistra (cioè procedendo sulla pista principale) la destinazione delle Piane, ed a destra i maggenghi delle Corne e di Campiolo. Dobbiamo ora cercare un sentierino-corridoio che dal Dosso del Sole scende verso nord-est, passando a sinistra di una coppia di baite (quella di sinistra ha su un ingresso un tettuccio con tegole ondulate, mentre a destra di quella di destra si notano tre betulle). Il problema è che dal Dosso del Sole la nostra meta, che pure è assai vicina, non si vede, in quanto è nascosta dal bosco nel quale il sentierino si addentra. Ben presto vediamo alla nostra sinistra alcuni monoliti circondati da betull. Poco oltre, il sentiero si fa più marcato e procede in una sorta di corridoio fra alcuni abeti. Interrompiamo qui la discesa e prendiamo a sinistra, nella boscaglia, procedendo un po’ a naso, fino a trovarci faccia a faccia con l’elegante piramide del versante meridionale del Sasso della Nona. Per salirvi in cima dobbiamo effettuare una facile arrampicata appoggiandoci al fianco di destra (orientale) e facendo attenzione ai salti a sud ed a nord (lasciamo, invece, perdere se la roccia non è asciutta).
Dalla cima (quotata 1287 metri sulla carta IGM), possiamo godere di un interessante panorama. Sul versante retico, alla nostra sinistra (nord-ovest) distinguiamo, nel gruppo del Masino, la cima del Desenigo ed il pizzo Ligoncio con il corredo di cime della testata della Valle dell’Oro. Più a destra occhieggiano i Corni Bruciati ed il monte Disgrazia. A nord si impongono le vette che sovrastano il versante di alpeggi sopra Montagna e Tresivio, cioè la Corna Mara, la Corna Rossa, la Corna Nera, la Corna Brutana e la vetta di Ron. Più a destra si scorge l’imbocco della Val Fontana, con il pizzo Combolo che ne presidia il lato sud-orientale. Proseguendo in senso orario vediamo il versante orientale della Valle di Poschiavo. Alle sue spalle occhieggiano alcune delle cime della Val Grosina. Ad est, dopo un breve scorcio sul gruppo dell’Adamello, si impone in primo piano il pizzo di Rodes. Molto bello anche il colpo d’occhio sul fondovalle, da Sondrio a Piateda. Raggiungere questa sorta di ombelico orobico comporta circa un’ora di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 300 metri), ed ha, fra l’altro, il fascino di una sorta di caccia al tesoro, che con un po’ di pazienza non può non essere coronata da successo.
Ad un'antica cava poco a nord del Sasso della Nona è legata anche un'interessante leggenda. Un tempo, sul versante orobico che si affaccia al terrazzo Piateda Alta, era attiva una cava di “piodi”, cioè di ardesia, dalla cui lavorazione si ricavavano piode usate nella costruzione delle case. Stava a monte del Gaggio, probabilmente poco sotto il Sasso della Nona (si vede ancora, dalla sua cima, guardando, con cautela, in basso, un largo gandone nascosto dal bosco). Gente dura, i cavatori, temprati da una vita ingrata ed avara di soddisfazioni. Ciò sia detto come preventiva attenuante del loro irrispettoso ed incauto comportamento. Nel cuore di un lungo e rigido inverno, quando le fatiche già improbe del lavoro si assommano ai disagi procurati da gelo ed umidità, venne, dopo i giorni della merla (si sa che sono gli ultimi tre giorni di gennaio, i più freddi dell’anno), un febbraio che sembrava non voler voltare pagina. Freddo, sempre freddo. Freddo il primo di febbraio, freddo il due di febbraio, fredda l’alba del tre febbraio. Quell’alba uno dei cavatori, lasciando la casa, si sentì rivolgere dalla moglie queste parole di commiato “Ricordati che oggi è san Biagio, il protettore della gola. Anche se non potrai venire alla funzione nella quale si tocca la gola dei fedeli con le candele benedette disposte a croce, per preservarla dai mali, sii presente almeno con lo spirito, rivolgi una preghiera al santo, perché della buona salute abbiamo bisogno tutti, ma per primo tu, che devi tirare avanti la famiglia”. Il nostro anonimo cavatore non rispose, ma uscì, quasi inghiottito dal buio che ancora incombeva sulle case dei poveri cristiani. Doveva incamminarsi anzitempo per raggiungere le baracche dei suoi compagni (non tutti avevano la fortuna di poter tornare alla propria casa tutti i giorni) ed iniziare una nuova giornata, una come tante, come sempre. Almeno così avrebbe potuto pensare, se il gelo glielo avesse consentito.
Invece così non fu. Ai compagni che lo attendevano con gli occhi ancora impastati di sonno, tanto per dir qualcosa e rompere almeno con qualche parola quel freddo che non la smetteva di mordere, accennò al discorso della moglie. Così, tanto per dire. Le sue parole ebbero un effetto tanto dirompente quanto inatteso. Un ghigno contagioso si dipinse sui volti stentati di tutti. San Biagio! Proprio a San Biagio dobbiamo pensare oggi! E alla gola! Ci spacchiamo schiena e braccia tutti i giorni, e dovremmo aver paura di un po’ di mal di gola! Più o meno di questo tenore erano i pensieri nascosti dietro quel ghigno. Ma, si sa, i cavatori sono persone di poche parole. Non dissero nulla. Qualcuno, però, tirò fuori dalle sacche dove tenevano il vitto sufficiente per la settimana, alcune salsicce annodate, e se le misero al collo. Una risata sonora percorse il campo: ecco un bel modo di onorare san Biagio, niente candele sul collo, ma una bella collana di salsicce.

Così, con quel magro buonumore, si misero in cammino e raggiunsero l’ingresso della cava. Qualcuno commentava l’accaduto, con poco rispetto per il santo e per chi si dava pensiero delle devozioni: roba da donne, da bambini, da gente che, avendo la schiena diritta, ha tempo di pensare alla gola. L’ultima battutaccia chiuse il discorso: “Che venga san Biagio a trovarci, vedrà quanto gli siamo devoti, e magari potrà cavare un po’ di pietra anche lui: gli farebbe solo bene, così magari gli verrebbe in mente di proteggere un po’ anche la schiena della gente”.


Cimitero di Piateda Alta

Poi, più nulla. Nessuna parola. Solo il battere delle mazze e dei picconi e quella curiosa collana di salsicce che ballonzolava, irriverente, al collo di due o tre cavatori. Passò un po’ di tempo, non molto, già faceva chiaro, fuori della cava, quando si udì un forte boato: scese una grande frana, che ne chiuse l’imbocco. Solo un garzone, che si era attardato a preparare il campo per la pausa di mezza giornata, fu salvo. Corse a dare l’allarme, accorse la gente dal Gaggio a da Piateda, si diedero tutti da fare per liberare l’ingresso della cava, dalla quale non proveniva segno alcuno di vita. Fu tutto inutile: l’intera volta della cava aveva ceduto, i minatori non erano rimasti solo intrappolati, ma interamente sepolti dalla frana. Il garzone raccontò tutto, la tragedia ed i discorsi che l’avevano preceduta. Così, siccome credere alle coincidenze è per la gente più duro che cavar l’ardesia, tutti fecero due più due e quanto era accaduto venne interpretato come punizione per l’irriverenza dei cavatori. Forse il lettore potrà nutrire forti dubbi sulla vendicatività dei santi (che santi sarebbero, se si comportassero così?), ma, dubbi o non dubbi, la storia fu raccontata con questa morale.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri).

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