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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Monti di Rusico-Rif. Scoggione-Biv. Baita del Lago
3 h
960
E
SINTESI. Raggiunta Colico, saliamo a Villatico, passando a sinistra della chiesa, e di qui proseguiamo, per un buon tratto, diritti nella salita, verso sud-est, seguendo le indicazioni per Fontanedo e S. Rocco. Raggiungiamo, così, la località Robustello (Acqua la Fevra, m. 456), dove troviamo, subito dopo un’area pic-nic, una piazzola ed un trivio, al quale procediamo diritti. Siamo, ora, su una stretta pista in cemento, che prosegue nella salita, raggiunge un grande spiazzo e prosegue, a destra. Ignoriamo la deviazione a sinistra per le Torri di Fontanedo e raggiungiamo la località Fontanedo (m. 598). Appena prima delle baite, troviamo un bivio, al quale prendiamo a sinistra (indicazioni per l’agriturismo la Rossa e l’alpe Scoggione). Oltrepassato l’agriturismo, continuiamo a salire per un buon tratto, verso nord-est, fino alla località monti di Rùsico (m. 740), dove parcheggiamo. Raggiunta la parte alta di Rusico, dove la pista con fondo in cemento termina, prendiamo a sinistra, seguendo le indicazioni per l’alpe Scoggione (si tratta di cartelli del CAI di Colico, che segnalano il sentiero B1). La mulattiera sale alla parte bassa dell’alpe Prato (m. 958). Passiamo a destra di un evidente poggio roccioso, sormontato da rade betulle. Dal lato sinistro dell'alpe saliamo ancora, sempre nel bosco, verso sud, raggiungendo il pian di Formica (m. 1218). La salita riprende verso sinistra; più in alto il bosco prende a diradarsi un po’ ed un cartello annuncia la località Bancol, a 1507 metri. Procediamo verso sinistra, trovando ben presto un nuovo bivio: non dobbiamo proseguire in piano, ma salire, verso destra (la direzione è indicata dal solito cartello bianco, che riporta l’alpe Scoggione, il passo Colombano ed il monte Legnone). Poco sopra, un grande masso con un ben visibile ometto, sulla destra, annuncia l’uscita dal bosco (che ora è una bella pineta): approdiamo ad una dimensione diversa, lo splendido terrazzo dell’alpe Scoggione. Ci accolgono, sulla sinistra, una baita e due ruderi, mentre poco più in alto vediamo a sinistra il rifugio Scoggione (m. 1575). Ignorato, alla nostra destra, il Sentiero del Pivion, proseguiamo verso nord (cartello del Parco delle Orobie Valtellinesi, che segnala il sentiero 138, per l’alpe Legnone, data a 40 minuti di cammino). S eguendo la comoda pista che parte proprio alle spalle del rifugio, oppure il più rapido (e ripido) sentiero che sale diretto, tagliandola in diversi punti. Sulla pista incontriamo anche il “Ponte del saggio”. Usciamo dal bosco sul lato orientale (di sinistra) del piano delle Zocche. La mulattiera prosegue verso sinistra, per piegare, infine, a destra (in realtà prosegue a sinistra per l’alpe Legnone, e se ne stacca, sulla destra, un ramo che porta, in breve, alla Baita del Lago). Siamo così al ripiano del bivacco Baita del Lago (m. 1698).

E' disponibile, grazie all'iniziativa ed all''impegno di molti volontari e di alcune associazioni come Comune di Colico, Comune di Piantedo, ANLC, grazie, ancora, alle numerevoli donazioni da parte di privati e grazie, infine, al duro lavoro di molti volontari, appassionati della montagna, escursionisti, trialisti e cacciatori, una nuova struttura legata alla civiltà degli escursionisti ed alla buona educazione di quanti frequentano la montagna: si tratta del bivacco "Baita del Lago" al laghetto Scoggione della piana delle Zocche (sopra l’alpe Scoggione), sempre aperto e quindi a disposizione di chi volesse utilizzarlo come punto d’appoggio per traversate di un certo respiro. Il bivacco è stato inaugurato domenica 10 settembre 2006.
La baita, a 1698 metri, è collocata ad un quarto d’ora di cammino dal rifugio Scoggione, del CAI di Colico e, come questa, si raggiunge con una bella camminata di circa due ore e mezza, che parte dai monti Rùsico (località più alta raggiungibile con l’automobile), sopra Villàtico (Colico). Vediamo, quindi, innanzitutto come procedere con l’automobile.
Raggiunta Colico, saliamo a Villatico, passando a sinistra della chiesa, e di qui proseguiamo, per un buon tratto, diritti nella salita, verso sud-est, seguendo le indicazioni per Fontanedo e S. Rocco. Raggiungiamo, così, la località Robustello (Acqua la Fevra, m. 456), dove troviamo, subito dopo un’area pic-nic, una piazzola ed un trivio: una stradina, sulla sinistra, attraversa il torrente Inganna e scende verso la frazione di Chiaro, mentre una strada asfaltata, sulla destra, procede verso S. Rocco.
Noi dobbiamo, invece, proseguire diritti, verso Fontanedo (indicazioni per l’alpe ed il rifugio Scoggione e l’Alta Via delle Orobie). Siamo, ora, su una stretta pista in cemento, che prosegue nella salita, raggiunge un grande spiazzo e prosegue, a destra. Troviamo una pista secondaria, in terra battuta, che si stacca sulla destra, e la ignoriamo, prima di superare il torrente Inganna su un ponticello; salendo ancora, troviamo un cartello che segnala, sulla sinistra, la partenza di un sentiero per le Torri di Fontanedo.
Ora, vale davvero la pena spendere mezzora di tempo e qualche briciola di energia in più per andare a visitare quel che resta dell’antico borgo fortificato della torre, dove si vede ancora una torre di avvistamento in buone condizioni. Ne vale la pena perché possiamo calarci, con un effetto di potente suggestione, nell’atmosfera di un antico borgo medievale, dove il silenzio profondo racconta ancora della vita dei secoli passati. Lasciamo, quindi, l’automobile allo slargo nei pressi del cartello e mettiamoci in cammino sul sentierino, che, in breve, intercetta un sentiero più largo che proviene da destra, cioè dalla chiesetta di S. Elena di Fontanedo (indicazioni per l’anello di Fontanedo). Proseguiamo verso sinistra, per pochi minuti, immersi nel cuore di uno splendido bosco di castagni, fino a trovare un bivio, al quale prendiamo a sinistra: dopo una brevissima discesa, siamo all’arco che ci introduce all’antico borgo. Sulla nostra destra, la torre, che si erge ancora, orgogliosa, nonostante il bosco l’abbia ormai nascosta alla visuale di chi non vada proprio a visitarla.
Il bosco che ci circonda ci impedisce di renderci pienamente conto della sua funzione: pensiamo, però, che la torre fu edificata nel 1357 da Barnabò Visconti (o forse fu rafforzata una struttura preesistente), su uno sperone del crinale che dal monte Legnone scende verso nord, per sorvegliare quella che allora era una via di comunicazione strategica, la via della Scalottola (oggi chiamata Sentiero del Viandante), da Lecco alla Valtellina. La sua struttura è quella tipica delle torri fortificate, come quelle di Teglio e di Domofole, in Valtellina: vi si accedeva, mediante una scala di legno retraibile, dal primo piano, mentre il piano più basso era privo di aperture, per evitare che i nemici potessero facilmente prenderla. Vicino alla torre, possiamo ancora riconoscere i segni del borgo fortificato. Vale la pena di ricordare anche un'antichissima leggenda legata a questo luogo: nel cuore del Medio-Evo stava arroccato nella torre un signore malvagio, che diede ordine ad un sicario di assassinare il grande imperatore Federico Barbarossa, avendo saputo che sarebbe dovuto passare per la mulattiera che congiungeva Colico alla Valtellina. Il sicario tese un agguato all'imperatore, riuscì a sopraffare la sua scorta e lo uccise; riportò, quindi, in un sacco la sua testa al signore malvagio. Questi, come supremo atto di scherno nei confronti dell'autorità imperiale, fece murare la testa in una parete della torre. Molti secoli dopo essa venne ritrovata da colui che costruì vicino al suo rudere una casa.
Dopo questo tuffo nel passato, riemergiamo al presente, tornando ad uno dei suoi simboli metallici (l’automobile) e riprendendo a salire, sulla stretta pista in cemento: in breve, dopo aver superato un secondo cartello che indica le torri di Fontanedo, raggiungiamo la località Fontanedo (m. 598), dove si trova anche la bella chiesetta quattrocentesca di Sant’Elena. Il nome della località deriva da “fontane”, in quanto la zona, così come l’intero versante che si stende a nord del monte Legnone, è ricco di sorgenti d’acqua. Appena prima delle baite, troviamo un bivio, al quale prendiamo a sinistra (indicazioni per l’agriturismo la Rossa e l’alpe Scoggione). Oltrepassato l’agriturismo, continuiamo a salire per un buon tratto, verso nord-est, fino alla località monti di Rùsico (m. 730), una bella fascia di prati a mezza costa, dove la pista in cemento termina.
Ci conviene, però, lasciare l’automobile un po’ prima, cioè quando incontriamo un ampio pianoro con alcuni castagni secolari: più avanti, infatti, non è facile trovare parcheggio.
Ci mettiamo, dunque, in cammino da una quota approssimativa di 730 metri. Raggiunta la parte alta di Rusico, dove la pista con fondo in cemento termina, prendiamo a sinistra, seguendo le indicazioni per l’alpe Scoggione (si tratta di cartelli del CAI di Colico, che segnalano il sentiero B1; ci accompagnano nella salita, insieme ai segnavia rosso-bianco-rossi e bianco rossi; seguiamoli, dunque, per evitare di imboccare, in alcuni punti, deviazioni secondarie). La mulattiera per l’alpe procede nel primo tratto verso sinistra, all’ombra di un bel bosco di castagni, superando anche un singolare muricciolo messo proprio di traverso sulla sua sede. A quota 760 metri circa troviamo un punto panoramico (con ottimo colpo d’occhio sull’alto Lario) ed un bivio: non dobbiamo seguire il sentiero che prosegue diritto, con andamento pianeggiante, ma quello che prende a salire, alla nostra destra (i cartelli ci sono sempre d’aiuto).
Più in alto, usciamo dal bosco in una radura: un corridoio, percorso verso sinistra, ci introduce alla parte bassa dell’alpe Prato (m. 958). Passiamo a destra di un evidente poggio roccioso, sormontato da rade betulle: lasciamo un attimo il sentiero e raggiungiamo, in breve, la sua sommità, per godere dell’eccellente panorama che si apre di fronte ai nostri occhi: questa volta sono l’alto Lario, il lago di Mezzola e lo sbocco della Val Codera a proporsi al nostro sguardo. L’alpe Prato è costituita ba una piccola conca di prati, con una baita ed una fontanella; il cartello del CAI di Colico annuncia che proseguendo la salita ci porteremo al pian Formica, all’alpe Scoggione e, volento (o potendo), al monte Legnone. Questi cartelli non danno, per una forma di cautela o di incoraggiamento, indicazioni sui tempi di percorrenza.
La salita riprende, sulla sinistra, in un bellissimo bosco di faggi: i segnavia rosso-bianco-rossi si alternano a quelli bianco-rossi. Da qui all’alpe Scoggione terremo la direzione sud, seguendo il lungo crinale che scende, verso nord, dal monte Legnone e sul quale passa il confine fra la provincia di Sondrio e quella di Lecco; il sentiero, proponendo una serie di tornanti, ci porta ora al di qua, ora al di là di questo confine.
Il pian di Formica (m. 1218) è raggiunto dopo un’ulteriore mezzora circa di salita: il cartello, nella direzione in cui procediamo, annuncia l’alpe Scoggione, il passo Colombano ed il monte Legnone. Riprendiamo a salire, inizialmente verso sinistra, in un fitto bosco che ci toglie in buona parte la luce del giorno, e che sembra uscito proprio da uno di quei libri di fiabe cui resta affezionata la nostra memoria di bambini. La salita non lascia un attimo di respiro, ma il timore che salti fuori qualche strega ci dissuade dal concederci pause. Altri tre quarti d’ora circa di cammino, ed il bosco prende a diradarsi un po’: un cartello annuncia che abbiamo raggiunto la località Bancol, a 1507 metri. L’alpe, ormai, è vicina. Procediamo verso sinistra, trovando ben presto un nuovo bivio: non dobbiamo proseguire in piano, ma salire, verso destra (la direzione è indicata dal solito cartello bianco, che riporta l’alpe Scoggione, il passo Colombano ed il monte Legnone).
Poco sopra, un grande masso con un ben visibile ometto, sulla destra, annuncia l’uscita dal bosco (che ora è una bella pineta): approdiamo ad una dimensione diversa, lo splendido terrazzo dell’alpe Scoggione. Ci accolgono, sulla sinistra, una baita e due ruderi, mentre poco più in alto vediamo a sinistra il rifugio Scoggione (m. 1575) e, a destra, una grande baita. Il rifugio è sede sociale della sezione di Colico del C.A.I. Molto ampio è il panorama, ma ne parleremo più avanti, perché analogo è quello che si gode dal bivacco Baita del Lago, posto poco più a monte, ad una ventina di minuti di cammino. I cartelli presso il rifugio segnalano che, alla nostra destra (ovest) parte il sentiero del Pivion, che passa per Spisarota e raggiunge, dopo tre ore di cammino, al rifugio Roccoli-Lorla. Si tratta di un sentiero difficile, che, in caso di neve, rende consigliabili i ramponi. Noi dobbiamo invece puntare a nord (cartello del Parco delle Orobie Valtellinesi, che segnala il sentiero 138, per l’alpe Legnone, data a 40 minuti di cammino).


Panorama dal Pian delle Zocche

Ci rimettiamo, dunque, in marcia, seguendo la comoda pista che parte proprio alle spalle del rifugio, oppure il più rapido (e ripido) sentiero che sale diretto, tagliandola in diversi punti. Sulla pista incontriamo anche il “Ponte del saggio”, chiamato così perché venne rifatto, nel 2001, da Angiolo Tarabini (il “saggio”), con l’aiuto degli amici dello Scoggione, sotto il patrocinio del C.A.I. di Colico. Il ponte precedente risale alla guerra del ’15-’18, e rientra fra le infrastrutture previste dalla linea difensiva Cadorna sull’intero versante orobico valtellinese (il generale temeva che gli Austro-ungarici dilagassero in Valtellina, sfondando il fronte dello Stelvio o violando la neutralità svizzera e passando per la valle di Poschiavo; mulattiere, casematte e fortificazioni avrebbero dovuto impedire l’accesso ai valichi orobici ed assicurare una posizione strategica di vantaggio per il cannoneggiamento); esso serve, in particolare, la mulattiera che raggiunge il crinale posto poco sotto la vetta del monte Legnone, ad est (quella stessa che può essere, oggi, sfruttata dagli escursionisti per raggiungere la panoramicissima vetta).
Se seguiamo la pista, usciamo dal bosco sul lato orientale (di sinistra) del piano delle Zocche, ampio ripiano sul quale si dispongono, a diversa altezza, due grandi conche (zocche). La mulattiera prosegue verso sinistra, per piegare, infine, a destra (in realtà prosegue a sinistra per l’alpe Legnone, e se ne stacca, sulla destra, un ramo che porta, in breve, alla Baita del Lago). La meta, dopo due ore e mezza di cammino, è, dunque, raggiunta (il dislivello in salita è di 970 metri circa).


Panorama dal sentiero per il bivacco Baita del Lago

Il bivacco Baita del Lago è posto a 1698 metri di quota, a nord, in posizione leggermente rialzata, del laghetto Scoggione, quotato sulla carta I.G.M. 1692 metri. Questo laghetto, che sta subendo un lento processo di interramento, muta di parecchio il suo aspetto nei diversi mesi dell’anno. Raggiunge, infatti, il livello massimo all’inizio della stagione estiva, quando riceve l’apporto delle acque di fusione dei sovrastanti nevai, per poi scemare gradualmente, riducendosi di molto a fine stagione.
A sud, sulla destra, si impone il severo profilo della parete settentrionale del monte Legnone. Se guardiamo alla nostra destra, in direzione ovest, vediamo la sommità boscosa della cima di Scoggione (m. 1703), per la quale passa il confine fra le provincie di Sondrio e Lecco (il rifugio Scoggione ed il bivacco Baita del Lago ricadono ad est di tale confine, e rientrano, quindi, nel territorio valtellinese, per la precisione entro i confini del comune di Piantedo; da Piantedo, fra l’altro, sale un sentiero che intercetta la mulattiera Rùsico-Alpe Scoggione in corrispondenza di un masso che segnala il bivio). Se, con una breve digressione, ci portiamo nel bosco della cima di Scoggione troviamo i resti di una fortificazione militare.
Ma torniamo al bivacco, per parlare del panorama, davvero eccellente ed emozionante. Davanti a noi distinguiamo le apertura della bassa Valchiavenna, della Val Codera e della Valle dei Ratti. In particolare, sulla destra, si mostra buona parte della testata della Val dei Ratti, presidiata, sul lato sinistro, dalla caratteristica mole squadrata del Sasso Manduino, alla cui destra il più alto pizzo Ligoncio si mostra curiosamente come un esile spuntone leggermente inclinato a sinistra; più a destra ancora, la cima del Desenigo, che nasconde il gruppo del Masino, e l’inconfondibile profilo del monte Disgrazia. A sinistra del Sasso Manduino, invece, si distingue bene il pizzo di Prata, sul versante occidentale della bassa Val Codera, e più a sinistra ancora il monte Matra, riconoscibile per la larga base. Proseguendo verso sinistra (ovest), osserviamo le cime delle alpi Lepontine.
Un colpo d’occhio più suggestivo su questa catena è, però, quello che si apre procedendo dal rifugio verso ovest (cioè, di nuovo, in direzione della cima di Scoggione): ci affacciamo ad un versante scosceso, dal cui limite dominiamo buona parte del lago di Como.
Mentre riposiamo, possiamo riflettere su un'interessante storia che Ercole Bassi, in un articolo su "Le Vie del Bene", ci Racconta, quella del brigante dell'alpe Scoggione: ""Era di Colico, imputato di fratricidio. Si diceva che aveva ucciso per legittima difesa e poi si era rifugiato sul Legnone, ove non faceva male a nessuno e d'estate si occupava come pastore su qualche alpeggio. Persone fidate e parenti gli portavano da mangiare nelle altre stagioni in punti intesi ma sempre diversi. Era stato processato alle Assise di Como, e condannato in contumacia a gravissima pena. Ebbi a trovarlo una volta all'alpe Scuggione sopra Colico, e mi fece l'impressione di buon uomo. Dopo oltre un ventennio di questa vita, quando ormai egli sperava di non essere più ricercato, i carabinieri poterono una volta sorprenderlo nel suo rifugio. Fu rifatto il processo ed egli fu assolto." Una storia così non poteva avere un esito diverso.
Qualche parola, infine, sul bivacco e sulle possibilità di proseguire l’escursione da qui. La struttura, su due piani, è dotata, al piano terra, di acqua potabile, punto cottura con fornello a gas, generi di prima necessità ed un simpatico caminetto; al piano superiore si trovano, invece, brande che consentono il pernottamento a 10 persone. Particolarmente suggestiva è la possibilità di fruire di una veranda protetta da vetrata, e quindi di dormire, letteralmente, sotto le stelle.
Dal bivacco, imboccando la mulattiera che prende ad est, si raggiunge, in circa mezzora di cammino, l’alpe Legnone, dove si trova il rifugio omonimo, punto di appoggio sulla Gran Via delle Orobie. Teniamo presente che viene considerata variante più ampia di questa Gran Via quella che abbiamo percorso salendo da Colico (che sostituisce, quindi, quella che sale da Delebio), e che si conclude, a piacere, al bivacco Baita del Lago o al rifugio Legnone.


Bivacco Baita del Lago

La seconda possibilità escursionistica è quella che prevede la salita al monte Legnone, che può avvenire in due modi: raggiungendo l’alpe Legnone ed imboccando la mulattiera militare che ne risale, arditamente, il versante orientale, oppure, per via più breve, staccandosi dalla mulattiera Scoggione-Legnone, sulla destra (direzione sud), dopo il primo tratto, salendo alla bocchetta di Colombano (m. 1970), per poi scendere ad intercettare la già citata mulattiera che sale dall’alpe Legnone al crinale sud-est del monte Legnone.
Non possiamo, infine, parlare del Legnone e degli alpeggi alle sue falde senza far menzione dei suoi antichi signori ed abitatori, quegli orsi che furono sterminati, fra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, dalla spietata caccia dell’uomo. Per farlo, diamo la parola a Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne:
Ma laggiù, là sul versante del Legnone, gli orsi erano feroci o mattacchioni. Tutti ne hanno sentito parlare! Per molto tempo, Legnone e orsi sono stati una sola cosa. Mi pare ancora di vedere l'enorme bestia dalla pelliccia quasi nera, che si era lanciata contro due cacciatori ferendo gravemente l'uno, prima di cadere sotto le palle di fucile dell'altro. Un altro orso vagava un giorno tranquillo lungo un sentiero della Val della Lesina, quando incontrò un toro. Il sentiero era talmente stretto che i due animali si fermarono e si guardarono ben bene negli occhi. Poi l'orso si leccò i baffi: da molto tempo, non gli era capitato sotto gli artigli un così buon boccone! Si drizzò grugnendo sulle zampe posteriori e si gettò sul toro, ma quest'ultimo, più agile, abbassò la testa e con un abile colpo di corna, inchiodò l'avversario contro la roccia aprendogli il ventre. E il povero Martino lasciò cadere la sua grossa testa sul petto gli occhi chiusi, ma restò dritto, perché il toro, per la paura che fosse ancora vivo, lo teneva inchiodato con le corna. Qualcuno dice che il toro è rimasto nella stessa posizione fino a morir di fame, ma altri assicurano che i pastori lo liberarono tre o quattro giorni dopo guadagnandoci la pelle dell'orso.


Panorama dall'alpe Scoggione

Ma il Legnone ha avuto l'orso più famoso: l'orso chirurgo. Un gozzuto che passeggiava nella Val della Lesina, vide due orsacchiotti che giocherellavano nel bosco. L'occasione era eccellente per impossessarsene. Si avvicinò, tranquillo tranquillo, ma l'orsa, che era nascosta, si lanciò su di lui, lo gettò a terra e con un colpo di artigli, gli aprì la gola. Ne uscì un secchio d'acqua e il povero diavolo si sentì tutto risollevato, perché respirava meglio. Quando scese al piano, tutti furono strabiliati: - Dove hai lasciato il gozzo? -. E tutti seppero allora che nella Val della Lesina c'era un celebre chirurgo, specialista nell'operazione al gozzo. Non so se altri si sono decisi a farsi operare dall'orso.La leggenda dell'orso chirurgo divertì molto tutta la compagnia che mi chiedeva altre storie di orsi, ma esse erano terminate con gli orsi che le avevano generate.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998).
E sugli orsi del Legnone, ecco di nuovo il Bassi: "L'orso era pericoloso agli armenti che pascolavano all'aperto sugli alpeggi, li avvicinava cauto di notte, assaliva una capra, un vitello da tergo, e con la preda cercava allontanarsi e percorrere lunghe miglia, spesso passando da un versante all'altro di una valle, di un monte. Gli armenti, terrorizzati, fuggivano all'impazzata, accorrevano i pastori, inseguivano l'orso con la preda, e a bastonate l'obbligavano spesso ad abbandonarla. Era più terribile nella primavera, quando si svegliava nel suo sonno letargico, era affamato e non trovava di cibarsi di erbe, allora si abbassava sino ai prati maggenghi. Saliva sui tetti delle stalle ove sentiva si trovavano pecore e capre, rimuoveva con le zampe le lastre di pietra che li ricoprivano e saltava dentro a satollarsi. In generale non era ritenuto feroce, e ben di rado assaliva l'uomo, se lo scorgeva si allontanava per altre direzioni. Ci fu chi si dilettava a raccontare d'averlo incontrato sopra uno stretto e ripido sentiero, di essere stato afferrato, e posto dietro a sè dall'orso che continuò la sua via."

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