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La salita alla cima del Monte delle Scale, (per la precisione ad una delle due cime di cui è costituito il monte, quella sud-orientale, m. 2495, leggermente più bassa della gemella, m. 2520, ma sormontata da una grande croce ben visibile anche da Bormio, e chiamata per questo “piz de la crósc”) non comporta difficoltà né particolare impegno e regala un eccezionale panorama sul grandioso anfiteatro di monti che corona la Magnifica Terra dell’antica Contea di Bormio. Punto di partenza il parcheggio nei pressi del ristoro Monte Scale, al quale si sale comodamente in automobile, procedendo così.
Oltrepassata Bormio, ci si stacca sulla sinistra dalla ss. 38 dello Stelvio per immettersi sulla strada che sale al passo del Foscagno per poi scendere a Livigno. Dopo aver superato il ponte allo sbocco della Valle del Braulio, si giunge alla località di Fior d'Alpe Turripiano, dove, appena dopo la chiesa ed una semicurva a destra, si trova, segnalato, sulla destra, lo svincolo per Pedenosso e Cancano. Si sale, quindi, lungo questa strada e ad un bivio si prende a destra (indicazioni per Cancano). Di qui in poi la strada, sempre abbastanza larga ed interamente asfaltata, taglia il bosco di Arsiccio, sopra Pedenosso, portandosi fino ai piedi della muraglia rocciosa sul cui ciglio si affacciano le torri di Fraele; con un'ultima serrata serie di tornanti affronta, quindi, il traverso finale, con tratto in galleria, che termina proprio alle celebri torri. Si tratta solo del primo segno di una valle densa di storia, per la sua posizione strategica nell'antica Contea di Bormio. Di qui passava, infatti, la storica via Imperiale, che congiungeva la Valtellina alla Valle di Monastero e quindi ai possessi imperiali degli Asburgo in Tirolo. Queste torri sorvegliavano gran parte della Magnifica Terra e permettevano di segnalare tempestivamente eventuali eserciti invasori, sia che calassero dalla Valle di Fraele, sia che provenissero dalla Val Viola o dal passo di Foscagno.
Interessante è anche lo scosceso dirupo che si apre ai piedi delle torri, un tempo praticabile grazie ad una serie di scale di legno che permettevano di accedere alle torri (di qui il toponimo Scale, riferito al monte su cui saliremo, chiamato un tempo anche Cima Scalotta, ed al lago che si stende ai suoi piedi). Questo burrone veniva chiamato anche Burrone dei Morti perché, come narra una leggenda, fu teatro di una strage di fanti che dalle valli della futura Confederazione Elvetica scendevano alla conca di Bormio per depredarla. Avvertiti del pericolo, i Bormini escogitarono però un ingegnoso stratagemma, costruendo una passerella in legno che, dal ciglio del burrone, si protendeva nel vuoto e qui terminava. I fanti che si affacciarono a notte fatta sulla soglia del precipizio la scambiarono per la vera passerella costruita al fine di condurre a valle, e si misero in marcia sicuri di camminare su terreno sicuro. Gran parte di loro, però, andò in contro alla morte, precipitando in fondo al dirupo. La leggenda vuole che fu tanto alto il numero dei fanti uccisi dal salto che il torrentello sottostante si tinse di rosso.
Ma vediamo come riporta la leggenda la bella raccolta curata da Maria Pietrogiovanna (“Le leggende in Alta Valtellina – Raccolta di leggende e credenze dell’Alta Valtellina”, dattiloscritto, Valfurva, 27 giugno 1998): “Il Contado di Bormio venne invaso dalle Tre Leghe Grigie(Grigioni-Bernesi-Zurighesi). Queste, dopo aver saccheggiatoBormio ed il contado, scesero a valle. Si tentò la resistenza alleScale di Fraele, che vennero ricoperte astutamente con frasche ecuoio, cosicché nell'assalto notturno precipitarono cavalli e cavalieri nel sottostante burrone ed urla e gemiti si ripercossero dalla montagna in echi paurosi. Quel canalone che precipita avalle su Pedenosso ed Isolaccia si chiama tuttora Burrone deiMorti, perché ricco di tradizioni di stragi e di sangue.”
Questa leggenda ha anche una variante: “Correvano i primi decenni del 1600. In una di quelle tristi stagioni, verso sera, si riunì una turba di uomini di arme che veniva dal nord e che era stata istruita alla scuola dei Lanzi. I predatori dovevano scendere nella Valdidentro e seminare, fino a Bormio, morte e distruzione. La notte era alle ore piccole, quando quei briganti furono pronti a marciare. Le bande avanzarono, urtandosi alla cieca e, giunte tra le due torri, videro in basso la grande vallata punteggiata di lumini ardenti alle finestre delle baite e processioni di torce resinose. I soldati passarono tra le due torri e proseguirono nel buio su di una comoda strada fatta di tavolame e terra, lanciata a sbalzo sopra il precipizio. Sotto quel ponte ingannevole suonavano trombe incitanti alla marcia baldanzosa, così che tutti, spingendosi in quel buio, dove in fondo valle chiamavano le torce, precipitarono ad arrossare con il loro sangue le acque fin giù nel Vallone dei Morti. Quando fu l'alba, il ponte fu tagliato ed il resto degli indemoniati tornò scornato ai luoghi da cui proveniva.”
Non possiamo, ovviamente, mancare di visitare le torri, ed un pannello illustrativo ci informa che esse, insieme ad analoghe strutture poste ai bagni vecchi, a Serravalle ed a San Pietro in Castello, “costituivano il sistema difensivo della terra di Bormio nella direzione dei quattro punti cardinali. Costruite a guardia del valico, presso le famose “Scale” (un tratto di percorso realizzato a sbalzo nella roccia) assicuravano il passo dagli attacchi provenienti dalla Valle di Fraele e segnalavano con fumate di giorno e fuochi di notte eventuali incursioni nemiche dalla Val Viola e dal Livignasco. Nei documenti d’archivio le Torri ricorrono più volte dal XIV secolo”.


Monte delle Scale

Presso le torri si trova anche un cartello che segnala la partenza di una mulattiera militare che sale al Monte delle Scale: si tratta del percorso, però, più difficile, che richiede esperienza e prudenza, perché in alcuni punti, delicati, il tracciato della Prima Guerra Mondiale è franato. Procediamo, dunque: la pista, ora con fondo sterrato, passa a destra del ristoro Villa Valania e raggiunge il lago delle Scale, l’unico naturale della Valle di Fraele, assai conosciuto dai pescatori. Costeggiata la sua riva occidentale, raggiungiamo il parcheggio al quale possiamo lasciare l’automobile (m. 1933). Il mite laghetto ha un aspetto decisamente bucolico, ma è legato a più di una leggenda, che parla di un essere demoniaco che appariva come mostro ed angelo nero insieme.
Ecco come viene raccontata una di queste leggende nella raccolta di Maria Pietrogiovanna (cit.): ”Un uomo di nome Talp venne dalla Val Bruna con un "gerlo" di minerali ferrosi da portare fin dove iniziava il Lago delleScale. Lungo il tragitto l’uomo perse una buona parte dei frantumi pietrosi scavati con tanta fatica.Giunto stanco e sfinito alla riva del lago, rovesciò iminerali rimasti nella barca: quelle pietre scheggiate dilaminature di oro puro furono, però, sufficienti per comperarsi un asinello. Allo Talp, con l’asino, prese il trasporto di carichi da soma da Pian del Vino fino per comperarsi un asinello. Allora, Talp con l’asino prese il trasporto di carichi da soma da Pian del Vino fino alla riva del Lago delle Scale. Durante le faticosissime salite, Talp si attaccava alla coda del somaro ed ogni tanto dava delle botte sulla schiena della bestia, quando essa era restia lungo il difficile cammino. L'asino salì e scese quel calvario per una stagione, sfiaccandosi e piagandosi, senza biada e con poco fieno. Un giorno l'asino giunse sfinito sulla rivadel lago. Aveva la bocca arsa e Talp liberò la bestia dal carico e, per farla bere, la spinse nell'acqua, bastonandola e bestemmiando. Le acque del lago rabbrividirono e, per la prima volta, si intorbidarono. Si sollevò all'improvviso un vortice d'acqua e l'animale scomparve. Talp, precipitatosi giù per il Vallar, fece in tempo a vedere il somaro uscir fuori dal Fontanon di Boscopiano. Ma la bestia rimpicciolita fuggì verso una baita dei Corni di Pedenollo. Il somaro, mostrando la dura mascella al suo padrone e ripetendo le parolacce imparate da lui, raggiunse la baita calda, odorosa di fieno e siero. Si nascose, dunque, ben bene e nessuno più riuscì a tirarlo fuori, perché fieno, siero e caldo proteggono gli animali. Talp umiliato chiese alla gente del posto lavori di pastorizia, ma nessuno lo volle a servizio. Riprese allora il suo gerlo, andando su e giù per le Scale di Fraele, finché un giorno sfinito, perfame e sete, cadde presso la riva del lago. Annaspò per toccar l'acqua, ma quella improvvisamente si abbassò. C'era all'intorno una mandria al pascolo ed alcune capre, che avevano le corna incise di piccole croci, si avvicinarono a Talp. Costui tentò di afferrare un capezzolo per succhiarlo, ma le capre saltellando e ridendo, gli diedero addosso e lo scornarono, lasciandolo esangue. Le spoglie di Talp vennero gettate in una vicina fornace, dove colava il ferro, affinché di Talp non rimanesse neanche la polvere. Alcuni dicevano che l'uomo avesse stretto un patto con l'Angelo Nero, mentre altri sostenevano che era stato allevato dal mostro di Ravan, al quale si era ribellato.”
I misteri del lago non sono solo legati alla leggenda: esso non ha, infatti, alcun immissario né emissario visibile, per cui è alimentato da falde acquifere nascoste dal lago stesso. Ad aggiungere un ulteriore tocco noir a luoghi peraltro così luminosi e ridenti si può ricordare che l’intera Valle di Fraele era, nell’immaginario popolare, ritrovo privilegiato di streghe e demoni. Ecco di nuovo la raccolta di leggende ad illuminarci: “Le streghe ed i demoni vagavano sulle rupi del Doscopa, del Pettini, della Parete Alta di Paolaccia e di Plator dissetando le fauci, come vampiri, nel sangue dei morti, trai brividi acuti del vento ed i fischi tonanti degli uragani.”


Lago di San Giacomo

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Lago delle Scale-Croce di Monte Scale
1 h e 45 min.
570
E
SINTESI. Oltrepassata Bormio, ci si stacca sulla sinistra dalla ss. 38 dello Stelvio per immettersi sulla strada che sale al passo del Foscagno per poi scendere a Livigno. Dopo aver superato il ponte allo sbocco della Valle del Braulio, si giunge alla località di Fior d'Alpe Turripiano, dove, appena dopo la chiesa ed una semicurva a destra, si trova, segnalato, sulla destra, lo svincolo per Pedenosso e Cancano. Si sale, quindi, lungo questa strada e ad un bivio si prende a destra (indicazioni per Cancano). Di qui in poi la strada, sempre abbastanza larga ed interamente asfaltata, taglia il bosco di Arsiccio, sopra Pedenosso, portandosi fino ai piedi della muraglia rocciosa sul cui ciglio si affacciano le torri di Fraele; con un'ultima serrata serie di tornanti affronta, quindi, il traverso finale, con tratto in galleria, che termina proprio alle celebri torri. Parcheggiamo poco più avanti, presso il lago delle Scale. Ci incamminiamo seguendo le indicazioni di un cartello che dà il Forte delle Scale ad un’ora e mezza, la Croce delle Scale ad un’ora e 45 minuti e Premadio a 2 ore. Dopo un breve tratto pianeggiante, prendiamo a sinistra, seguendo le indicazioni di un secondo cartello. Dopo una breve salita, siamo ad un bivio ed andiamo a destra. Iniziamo a salire, in un bel bosco di pini mughi, su un sentiero sempre ben marcato, che procede con pendenza abbastanza severa. Pochi i segnavia, rosso-bianco-rossi, con numerazione 174. Dopo diversi tornanti il bosco si dirada ed usciamo ad un bel pianoro panoramico, nel quale sono state poste due panchine di legno. Ora il sentiero, infatti, sale, con pochi tornanti, portandosi a ridosso di una fascia di rocce che ci separa dall’ampia sella che separa le due cime del monte. Qui piega a destra, passando sotto una grotta naturale nel quale è posta una statua della Madonna. In breve siamo, quindi, al passaggio che richiede attenzione: dopo un tratto di facile scalinatura su roccia, attraversiamo un canalino di minuti sfasciumi e ci portiamo, sulla sua destra, ad uno speroncino che il sentiero risale, con passaggio esposto, ma non difficile. Il sentiero, quindi, piega a sinistra, passa sopra il limite alto del canalino di terriccio e sassi malfermi e ci porta in vista dell’ampia sella erbosa che divide le due cime del Monte delle Scale. Ad un bivio andiamo a sinistra, lasciando alla nostra destra l'ingresso al Forte del Monte Scale e seguendo il sentiero che, salendo gradualmente, in pochi minuti ci porta alla grande croce bianca della vetta del Monte delle Scale (m. 2497).

Per fortuna il nostro cammino è assistito dalla piena luce del giorno e non abbiamo nulla da temere, almeno fino ai rintocchi dell’Ave Maria della sera (alle sei): possiamo quindi incamminarci, seguendo le indicazioni di un cartello che dà il Forte delle Scale ad un’ora e mezza, la Croce delle Scale ad un’ora e 45 minuti e Premadio a 2 ore. Dopo un breve tratto pianeggiante, prendiamo a sinistra, seguendo le indicazioni di un secondo cartello. Dopo una breve salita, siamo ad un bivio: il sentiero di sinistra, come indica un cartello, prosegue per Premadio; noi, quindi, stiamo a destra, ed iniziamo a salire, in un bel bosco di pini mughi, su un sentiero sempre ben marcato, che procede con pendenza abbastanza severa. Pochi i segnavia, rosso-bianco-rossi, con numerazione 174, ma non possiamo sbagliare. Via via che guadagnamo quota, si apre, alle nostre spalle, un bel colpo d’occhio sulla grande diga di Cancano; alla sua sinistra impressiona la corrugata parete del Platór, sistema costituito da tre cime che delimita a sud-ovest la Valle di Fraele. Il toponimo deriva da “platea”, “pianura”, mentre “Fraele” si riconduce, forse, a “fabrelle” (da “faber”, fabbro), con riferimento alle antiche miniere di ferro per le quali la valle era famosa.
Saliamo, dunque, inanellando diversi tornanti; davanti a noi si apre anche, gradualmente, uno spaccato della Valle della Forcola, per la quale passava uno dei due rami dell’antica Via Imperiale (l’altro percorreva per intero la Valle di Fraele fino al passo omonimo, scendendo poi per la Val Mora). Il bosco si dirada ed usciamo ad un bel pianoro panoramico, nel quale sono state poste due panchine di legno. Già da qui, infatti, il panorama è davvero suggestivo, e raggiunge, a destra della Valle della Forcola, la parte alta della Valle del Bràulio, in testa alla quale si vede anche uno scorcio del ghiacciaio dello Stelvio. Su un sasso vediamo un quadrato bianco contornato di rosso, che probabilmente segnala, nel prosieguo del sentiero, un passaggio che richiede un po’ di attenzione. Ora il sentiero, infatti, sale, con pochi tornanti, portandosi a ridosso di una fascia di rocce che ci separa dall’ampia sella che separa le due cime del monte. Qui piega a destra, passando sotto una grotta naturale nel quale è posta una statua della Madonna con la preghiera “Ave Maria nel silenzio dei monti noi t’invochiamo”.
In breve siamo, quindi, al passaggio che richiede attenzione: dopo un tratto di facile scalinatura su roccia, attraversiamo un canalino di minuti sfasciumi e ci portiamo, sulla sua destra, ad uno speroncino che il sentiero risale, con passaggio esposto, ma non difficile. Il sentiero, quindi, piega a sinistra, passa sopra il limite alto del canalino di terriccio e sassi malfermi e ci porta in vista dell’ampia sella erbosa che divide le due cime del Monte delle Scale. Eccoci, quindi, ad uno spiazzo, con alcune panchine ed un cartello che segnala, verso destra, le Torri di Fraele, date ad un’ora e 20 minuti (si tratta del sentiero già menzionato che sale fin qui dalle Torri). Per salire alla Croce delle Scale dobbiamo, invece, prendere a sinistra, ma prima imbocchiamo il tunnel scavato nella montagna che sta proprio di fronte a noi e che ci fa sbucare sul lato opposto, all’edificio del Forte del Monte Scale, che guarda la conca di Bormio.
Ovviamente si tratta di un ottimo punto panoramico, che impressiona per il ripido versante che davanti a noi precipita a valle. Qui possiamo visitare quel che resta di una fortificazione costruita nel 1911-12, nei cui pressi venne posta, nel 1915, una batteria di cannoni da 120 millimetri in cupola d’acciaio che prima erano posti nel Forte Venini di Oga, sia per sottrarli all’eventuale bombardamento dell’aviazione nemica, sia per consentire una maggiore efficacia di tiro, sfruttando la gittata di 12.800 metri. Vennero, dunque, puntati in direzione dello Stelvio, per arginare un’eventuale incursione degli Austro-Ungarici in caso di sfondamento del fronte, che correva lungo il crinale che separa la Lombardia dall’attuale Alto Adige. Troviamo, all’interno della struttura, diversi pannelli illustrativi che ci offrono notizie preziose per comprendere il clima di quegli anni, nel quale oggi si fa davvero fatica a calarsi.


Torri di Fraele

Eccone un ampio estratto.
Sulle montagne dell’alta Valtellina gli scontri ad alta quota avvennero in condizioni climatiche disumane, ai limiti della sopportazione, condizioni talmente assurde da destare, oggi, stupore… Sulle montagne dell’alta Valtellina non si svolsero grandi battaglie… Per lo più fu una guerra di tiri di cecchinaggio di precisione, di assalti di pattuglie o scontri di piccoli e agili reparti composti da elementi selezionati (guide, sciatori, alpinisti, cacciatori), di ricognizioni e di scaramucce, in un conflitto che ben presto diventò una “guerra di posizione”, una guerra tra alpinisti e montanari da una parte e dall’altra. I grandi nemici, per entrambe le parti, erano il gelo, le intemperie, le valanghe, i fulmini, le tormente, il vento, la nebbia, che furono causa, diretta o indiretta, di ben due terzi dei morti. La guerra alle alte quote era soprattutto un problema logistico di trasporti: bisognava assicurare accoglienti alloggi per i soldati, sotto forma perlopiù di baracche di legno, i viveri, la legna per il riscaldamento e per cucinare o scaldare il rancio, i magazzini per le munizioni.   Da subito, entrambi i contendenti iniziarono a costruire teleferiche, anche imponenti ed in alta quota, che servivano per trasportare in tempi brevi ingenti quantità di materiali… Ad esse era collegata una fitta rete di strade carreggiabili o camoniabili, di mulattiere derivate da vecchi sentieri o scavate ex novo e sostenute da muretti a secco…


Valle di Fraele

Solo nei cimiteri di guerra del bormiese furono sepolti 264 soldati, senza contare il numero imprecisato di dispersi sui ghiacciai e quello delle numerose vittime tra i civili impiegati nei duri lavori in zona di guerra… Il comando militare di tutta la zona di guerra dell’alta Valtellina era situato al Grand Hotel dei Bagni di Bormio, in Valdidentro. Di qui partivano gli ordini per le zone di prima linea dello Stelvio o per quelle della Valfurva… La prima linea si dipartiva dal passo dello Stelvio, a ridosso del confine svizzero, e proseguiva alle quote intorno ai tremila metri per oltre cinquanta chilometri sino al passo del Gavia. Attraversava le più belle e difficili montagne del gruppo Ortles-Cevedale, dalla Trafoier alla Thurwieser, dal Gran Zebrù al Cevedale sino al San Matteo. Oltre ad essa, i comandi italiani avevano fatto approntare una seconda linea, pronta da utilizzare in caso di sfondamento della prima. Essa percorreva la Val Verva e l’alta Val Grosina, passava per l’area ove ora giace la frana della Val Pola e attraversava la valle principale in corrispondenza dell’abitato di Le Prese, ove vi è la storica stretta di Serravalle, per risalire sui monti opposti. Nell’area Grosina era pure stata approntata una terza Linea, che raggiungeva l’area immediatamente sovrastante al passo del Mortirolo. Una particolarità tattica non solo di offesa ma anche di difesa, unica nel suo genere, fu data dallo scavo di lunghissime gallerie nei ghiacciai dell'Ortles-Cevedale, cunicoli dai riflessi fantastici e dalla sonorità scarsa, apparentemente immobili ma vivi. A fine conflitto si misurarono circa 12 chilometri di gallerie net ghiaccio. con lunghezze variabili da qualche centinaio di metri a 2 chilometri e tutte sopra i 3000 metri di quota. Furono scavate a mano, con picconi a manico corto. Normalmente c'era un picconiere d'attacco, a cui veniva dato, per turno, il cambio da altri tre uomini addetti allo sgombro del materiale, che veniva trasportato sino all'imbocco della galleria o gettato nei crepacci che s'incontravano. Lo spostamento dei ghiacciai richiedeva costante manutenzione. La più alta della quindicina di gallerie realizzate fu quella a 3.900 metri sulla vetta dell'Ortles. La temperatura media all’interno di questi cunicoli di ghiaccio era di 6 gradi sotto lo zero”.


Valle di Fraele

Torniamo, ora, sui nostri passi, carichi del fardello delle meditazioni che i pannelli non possono non aver suscitato, e, riemersi sul versante settentrionale del monte, prendiamo a destra, seguendo il sentiero che, salendo gradualmente, in pochi minuti ci porta alla grande croce bianca della vetta del Monte delle Scale, dedicata al ricordo di tutti i caduti in guerra e nel lavoro di costruzione dei grandiosi impianti idroelettrici di cancano e S. Giacomo. La croce è stata rimessa a nuovo nel 1986 e si illumina, al crepuscolo, grazie ad un sistema di cellule fotovoltaiche telecomandato. Una targa in bronzo ricorda il Concilio Vaticano II, aperto da papa Giovanni XXIII, ed una seconda ricorda la benedizione alla croce impartita da Papa Giovanni Paolo II, in occasione del centenario della prima benedizione, impartita da Papa Lenone XIII nella Pentecoste dell’anno santo 1900. Nei pressi della croce una statua in bronzo, a grandezza naturale, di un milite ricorda il sacrificio dei soldati italiani in tutte le guerre. La statua era posta originariamente al Monumento dei Caduti di Bormio, ed è stata poi sostituita da un'altra.
Straordinario e giustamente celebrato il panorama: a sinistra della croce la severa cima della Reit, il cui versante meridionale sembra incombere sulla conca di Bormio; poi, proseguendo in senso orario, un ampio spaccato della Valfurva, con il ghiacciaio dei Forni, il pizzo Tresero e quello dei Tre Signori, il monte Sobretta, il crinale che separa la Valdisotto dall’alta Valcamonica, il corno di San Colombano che fa da valletto all’imponente cima Piazzi, con il ghiacciaio del versante settentrionale, il pizzo ed il corno di Dosdè, fra Val Grosina e Val Viola Bormina, i pizzi Filone e Paradisino, nel Livignasco, la corona di monti che cinge la Val Fraele, fra i quali spicca, a nord est, la cima Schumbraida, ed infine, in primo piano, le valli della Forcola e del Braulio. Per raggiungere i 2495 metri della cima abbiamo impiegato circa un’ora e tre quarti (il dislivello in salita approssimativo è di 570 metri). Il ritorno può avvenire tranquillamente per la medesima via di salita; chi volesse sfruttare il tracciato militare che scende alle Torri di Fraele, proceda con attenzione e cautela.

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