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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Statale per la Forcola-Lago del Monte
2 h
650
E
Lago del Monte-Monte Breva
1 h e 30 min
500
E
SINTESI. Da Livigno dobbiamo imboccare la strada per il passo della Forcola ed il confine svizzero. Lasciate alle spalle le ultime baite di Livigno, prestiamo attenzione ai cartelli: quando vediamo quello che dà il passo a 6 km, proseguiamo per breve tratto fino a trovare, sulla nostra sinistra, l’ampio parcheggio del park siglato P7 (area di sosta attrezzata per picnic). Lasciamo qui l’automobile e percorriamo un breve tratto sulla statale per il passo della Forcola, in direzione del passo, finché vediamo, alla nostra destra, un cartello escursionistico. Attraversata la strada, siamo al punto di partenza di una pista sterrata chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. Dopo un breve tratto, siamo, infatti, alla baita della parte bassa dell’alpe Campaccio (m. 1950). Cominciamo, ora, a salire, inanellando una lunga serie di tornanti sx-dx, fino a trovare, dopo un tornante, sx, un bivio, al quale andiamo a sinistra. Superato un torrente secondario, a quota 2160 la pista supera su un ponte quello principale. Sul lato opposto della valle lascia il posto ad una larga mulattiera, che sale con andamento ben più deciso, inanellando una lunga serie di tornanti, su un ampio costolone di magri pascoli, e scavalcando due volte un torrentello, prima di superare la piccola edicola che ospita un crocifisso, sul ciglio di un roccione all’ingresso della piana che ospita il lago del Monte. Dopo un ultimo tratto siamo di fronte al il Lago del Monte; sul lato opposto, alla base del costone di roccette e sfasciumi, il Baitèl dal Mont (m. 2615). Al cartello escursionistico di fronte al lago imbocchiamo la traccia di sentiero che risale un cordone morenico che si trova a sinistra (per chi si affaccia ad esso salendo dal fondovalle) del lago, cioè a sud. La salita, segnalata da ometti e da segnavia rosso-bianco-rossi, si sviluppa con qualche tornante sul versante non ripido della morena, fino alle soglie di una bocchetta presidiata da un piccolo nevaio. Oltre il nevaio, troviamo alcuni grandi ometti, molto utili quando si tratta di scendere. La bocchetta si affaccia ad un piccolo ripiano, a quota 2690 metri circa. I l sentiero prosegue prendendo verso destra e riprendendo a salire, a ridosso di un versante che scende abbastanza ripido ad un’ampia conca di pascoli. Qualche passaggio un po’ esposto richiede attenzione. Dopo una breve traversata, eccoci ad un ripiano erboso, la selletta quotata 2714 metri, dove troviamo due cartelli escursionistici. Non seguiamo nessuna delle due indicazioni, ma imbocchiamo un sentiero che si stacca, sulla destra, da quello che abbiamo fin qui seguito (un segnavia rosso-bianco-rosso ci incoraggia a farlo). Il sentiero sembra puntare ad un terrazzo erboso posto più in alto, proprio davanti a noi, dove spicca un grande ometto. Invece no. Aggirata al piede una fascia di rocce, piega a sinistra e comincia a farsi strada un po’ faticosamente fra massi piccoli e medi. In breve siamo introdotti ad un ampio versante, non ripido, di roccette e sfasciumi bianchi. Seguendo segnavia ed ometti, oltrepassata una piccola terrazza erbosa, saliamo, senza percorso obbligato, più o meno al centro di un largo corridoio. Al suo termine, eccoci ad una sella che si affaccia ad un desolato canalone, il quale precipita sull’ampio ripiano del Lago del Monte. Alla nostra sinistra, un ampio nevaio. Torniamo, infatti, un po’ indietro, sotto la sella, e notiamo che la traccia si sentiero piega a sinistra, passando sotto alcune facili roccette, poi, quasi subito, volge a destra ed inizia a risalire un dosso di sassi e magri pascoli, raggiungendo una pianetta, con qualche ometto (prezioso per il ritorno). Dopo la salita della facile rampa (traccia su terriccio) verso nord-ovest, siamo alla cima del piz Breva (m. 3104).


Valle del Monte

Se la permanenza a Livigno nel periodo di punta dell’estate genera forte tipiche di allergia per la ressa e l’affollamento, la terapia è semplice: scegliere una meta escursionistica che garantisca un sicuro effetto di diradamento della folla e nel contempo l’incontro con un ambiente suggestivo e panoramicamente inconsueto. Una meta che risponda a questi requisiti è il lago del Monte (nel linguaggio locale, semplicemente, “al làch”), posto, a 2601 metri di altezza, su un ripiano alto sul lato meridionale della Valle del Monte (val dal mónt), che confluisce nella principale valle di Livigno appena a nord rispetto alla Valle della Forcola.
La Valle del Monte è denominata dai bormini “val de campàcc”, perché vi posseggono l’ampio alpeggio di Campaccio (àlp de campàcc, per i livignaschi alp dal mónt), già attestato da documenti cinquecenteschi, che si estende, per oltre 712 ettari, da una quota di 1950 metri alla quota ragguardevole di 2800 metri. Una valle, dunque, storicamente legata alle due comunità, che veiniva chiamata in passato (come ricaviamo da alcune carte topografiche) valle Ambie o valle Abrie.
La salita al lago è un’escursione di medio impegno, che comporta un dislivello di 650 metri, superabile in u paio d’ore; sulle sue rive si trova anche il simpatico Baitèl dal Mónt, costruito fra il 1974 ed il 1977 con il contributo di volontari del Moto Club Trela Pass di Livigno. La piccola struttura (16 metri quadrati in tutto) è sempre aperta, e l’ultima domenica di luglio diventa il ritrovo di una festa popolare che riscuote parecchio successo. Raggiungere le amene rive del lago è già di per sé una soddisfazione che ripaga ampiamente per gli sforzi della salita; chi volesse di più, può portarsi con un piccolo sforzo aggiuntivo alla sella ad ovest del lago e di qui alla vicina e facile cima del monte Ganda. Ma se davvero si vuole ammirare un panorama di prim’ordine, vale la pena di spendere un supplemento di energia (diciamo un’ora ed un quarto dal lago) per portarsi alla cime del monte Breva, o pizzo la Stretta, che sovrasta ad occidente il lago e che regala un colpo d’occhio superbo sul versante settentrionale del Gruppo del Bernina, per molti escursionisti sicuramente inedito. Dopo quest’ampia presentazione, vediamo come muoverci.
Da Livigno dobbiamo imboccare la strada per il passo della Forcola ed il confine svizzero. Lasciate alle spalle le ultime baite di Livigno, prestiamo attenzione ai cartelli: quando vediamo quello che dà il passo a 6 km, proseguiamo per breve tratto fino a trovare, sulla nostra sinistra, l’ampio parcheggio del park siglato P7 (area di sosta attrezzata per picnic).
Lasciamo qui l’automobile e percorriamo un breve tratto sulla statale per il passo della Forcola, in direzione del passo, finché vediamo, alla nostra destra, un cartello escursionistico. Attraversata la strada, siamo al punto di partenza di una pista sterrata chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati. Il cartello, con numerazione 191, dà il Tröi da li Tea a 20 minuti ed il Lach dal Mont a 2 ore e 20 minuti. Troviamo anche un cartello che segnala l’alpe Campaccio. Dopo un breve tratto, siamo, infatti, alla baita della parte bassa dell’alpe (m. 1950), ed un secondo cartello ci informa che essa appartiene al comune di Bormio. Poco più avanti, superato su un ponticello il torrente della Valle del Monte (rin del campacc’), eccoci ed un bivio: prendendo a destra siamo in 5 minuti alla località denominata Tea (la caratteristica baita in legno di Livigno) da li S’ctéblìna (Stebline sulla carta IGM, gruppo di baite poste poco a nord del punto in cui il torrente della Valle del Monte si immette nella parte superiore del corso dello Spöl (àcqua grànda), il torrente principale che percorre la Valle di Livigno. A noi interessa, però, la pista di sinistra (sentiero 151), che in 2 ore e 10 minuti porta al Lach dal Mont. Il cartello segnala anche, a 50 minuti, la Chèseira dal Mont, cioè la casera dell’alpe del Monte o Campaccio; noi, però, seguendo il percorso più breve, non passeremo da essa.
Cominciamo, ora, a salire, inanellando una lunga serie di tornanti sx-dx, fino a trovare, dopo un tornante, sx, un bivio: la pista di destra continua a salire decisa, mentre quella di sinistra procede in leggera salita. I segnavia rosso-bianco-rossi ci mandano a sinistra (la pista di destra porta alla casera dell’alpe Campaccio, di cui abbiamo appena detto, e di qui, poi, si deve ridiscendere sul fondovalle per intercettare la pista che ora andiamo ad imboccare, il che, appunto, allunga il percorso). Stiamo, dunque, sulla sinistra, circondati da alcuni grandi pini mughi e cembri, che conferiscono al paesaggio un aspetto non consueto per le valli di Valtellina. Descrivendo un ampio arco verso destra, ci portiamo al guado di un ramo secondario del torrente della valle. Più avanti la pista si avvicina al corso del torrente principale e, oltrepassato un casello dell’acqua, lo scavalca su un ponte in legno, a 2160 metri. È qui che da destra una mulattiera che scende dalla casera dell’alpe si congiunge con il nostro percorso.
Dal bivio fin qui la pista ci ha proposto un andamento decisamente rilassante: sul lato opposto della valle lascia il posto ad una larga mulattiera, che sale con andamento ben più deciso, inanellando una lunga serie di tornanti, su un ampio costolone di magri pascoli. Alle nostre spalle possiamo, ora, vedere il baitone della casera dell’alpe Campaccio (o Cascina del Monte, secondo quella duplice denominazione di cui abbiamo detto, m. 2213). Diritto davanti a noi, invece, il solco principale della valle, dal quale ci allontaniamo gradualmente, chiuso, sul fondo, dalla cupola rosseggiante del monte Garone (curioso esempio di errore di trascrizione sulla carta IGM, dall’originale “gerone”, giustificato dalla grande distesa di sfasciumi di cui è costituita la cima). La mulattiera si porta nei pressi di una piccola gola di rocce candide, nella quale scorre il torrente emissario del Lago del Monte, quindi scarta a sinistra e comincia la sequenza di tornanti. Dopo il primo tornante dx vediamo, alla nostra sinistra, a protezione della mulattiera una bella palizzata in legno che sostiene il versante a rischio di smottamento. Dopo alcuni tornanti, la mulattiera si porta al torrente emissario e lo supera da sinistra a destra; poco sopra, lo riattraversa in direzione opposta, iniziando una nuova serie di serrati tornanti, che guadagnano quota sul filo di un costolone erboso. L’andamento è sempre abbastanza deciso, ma la pendenza non è eccessiva e, soprattutto, è costante. Quando la fatica comincia a farsi sentire, ecco, alta, davanti a noi, la piccola edicola che ospita un crocifisso, sul ciglio di un roccione all’ingresso della piana che ospita il lago ed il ricovero.


Il Baitel del Monte

C’è ancora da versante un po’ di sudore, prima di imboccare l’ultimo traverso che, con largo giro, porta proprio nei pressi del punto in cui dal Lago del Monte esce il piccolo emissario. Ecco, finalmente, il Lago del Monte; sul lato opposto, alla base del costone di roccette e sfasciumi, il Baitèl dal Mont. Un cartello escursionistico (numerazione 104 e 105) segnala che alla nostra sinistra parte il sentiero per il Baitel Grasso Agnelli (2 ore e 30 minuti, facile) o per il passo della Forcola (2 ore e 30, facile), mentre prendendo a destra possiamo compiere un largo giro che, passando per il Baite dal Lach, riporta, in un’ora e mezza, all’alpe Campaccio. A questo punto tocca a noi decidere come proseguire l’escursione. Ecco due proposte che non sono segnalate dal cartello, con il primo tratto in comune.
Visitato il baitello, torniamo al cartello escursionistico ed imbocchiamo la traccia di sentiero che risale un cordone morenico che si trova a sinistra (per chi si affaccia ad esso salendo dal fondovalle) del lago, cioè a sud. Prima di cominciare a salire, però, guardiamo alla cima più alta che si innalza, restando un po’, in secondo piano, sulla verticale del lago: è, quella, la cima del monte Breva, o pizzo la Stretta (m. 3102), la seconda meta che andiamo ad illustrare. È già visibile dal cartello escursionistico il suo duplice volto: il versante di destra propone un severo salto roccioso, mentre quello di destra è costituito da uno scivolo di detriti rossastri che sale da un nevaietto. La prima meta, invece, la possiamo osservare, sempre dai cartelli, guardando a sinistra: vediamo un lungo e facile crinale che culmina ad una cima poco pronunciata, il monte Ganda (dòs de la ganda, m. 2791). Osservando il versante che scende fino ai pascoli presso le rive del lago, non facciamo fatica a capire la ragione di questo nome.


Apri qui una panoramica sul lago del Monte

Cominciamo, dunque, a salire, non senza frequenti pause, per osservare, guardando a destra, la forma ed i colori del Lago del Monte, che possiamo, appunto, apprezzare solo da una posizione rialzata. Il lago si mostra, soprattutto nel secondo pomeriggio, di un colore blu molto cupo, caratteristico e molto bello, soprattutto per il contrasto con il verde vivo dei pascoli che lo coronano sul lato opposto al nostro, cioè a nord. Sembra un grande e profondo occhio, dall’espressione intensa. La salita, segnalata da ometti e da segnavia rosso-bianco-rossi, si sviluppa con qualche tornante sul versante non ripido della morena, fino alle soglie di una bocchetta presidiata da un piccolo nevaio. Oltre il nevaio, troviamo alcuni grandi ometti, molto utili quando si tratta di scendere.
La bocchetta si affaccia ad un piccolo ripiano, a quota 2690 metri circa. Alla nostra destra alcune roccette poco invitanti; a destra, invece, un invitante crinale erboso che sale gradualmente, con qualche selletta, fino alla facile cima del monte Ganda (m. 2791), superando, prima, l’arrotondata quota 2740 ed una successiva selletta. È questa la prima possibile meta dell’escursione: la raggiungiamo facilmente con mezzora o poco più di cammino dal lago, ed offre un panorama ampio ed interessante, soprattutto sulle cime della testata della Valle di Campo e della Val Nera, in primo piano, a sud, con il monte Vago (m. 3059), lo slanciato pizzo Paradisino (m. 3303) e la punta di Val Nera (m. 3180). Attrae lo sguardo però, il gruppo del Bernina, ad ovest.


Apri qui una panoramica sui sentiero per il monte Ganda e il piz o monte Breva

Molto migliore, però, è il panorama offerto dal monte Breva, per cui vediamo come salire. Torniamo al pianoro di quota 2690: il sentiero prosegue prendendo verso destra (sud-ovest) e riprendendo a salire, a ridosso di un versante che scende abbastanza ripido ad un’ampia conca di pascoli. Qualche passaggio un po’ esposto richiede attenzione, soprattutto per il terriccio che è sempre un’insidia sottovalutata. Dopo una breve traversata, eccoci ad un ripiano erboso, la selletta quotata 2714 metri, dove troviamo due cartelli escursionistici. Il sentiero 105, nella direzione dalla quale proveniamo, porta in 30 minuti al Lago del Monte ed in 2 ore all’alpe Campaccio, mentre proseguendo sul sentiero che stiamo percorrendo (sentieri 104 e 103) scendiamo in un’ora e mezza al Baitel Grasso Agnelli o, nel medesimo tempo, al passo della Forcola.


Il Monte Ganda

La prima possibilità può essere sfruttata per chiudere l’escursione con un bell’anello, anche se un po’ lungo: il Baitel Grasso Agnelli (o Baitel del Gras degli Agnelli), infatti, è posto a 2099 metri nei pressi della strada statale per il passo della Forcola, in corrispondenza del park P9. Percorrendo quest’ultima in discesa (di oltre 6 chilometri e mezzo) possiamo tornare al P7, dove abbiamo lasciato l’automobile (un tratto di questa discesa può essere effettuato su pista sterrata). Questo anello richiede circa 5 ore e mezza di cammino (il dislivello in salita è di 770 metri).


Panorama dal crinale del piz Breva

Torniamo, però, al racconto della salita al monte Breva, cioè all’ultima coppia di cartelli escursionistici. Non seguiamo nessuna delle due indicazioni, ma imbocchiamo un sentiero che si stacca, sulla destra, da quello che abbiamo fin qui seguito (un segnavia rosso-bianco-rosso ci incoraggia a farlo). Il sentiero sembra puntare ad un terrazzo erboso posto più in alto, proprio davanti a noi, dove spicca un grande ometto. Invece no. Aggirata al piede una fascia di rocce, piega a sinistra e comincia a farsi strada un po’ faticosamente fra massi piccoli e medi. In breve siamo introdotti ad un ampio versante, non ripido, di roccette e sfasciumi bianchi. È uno di quei microcosmi nascosti al mondo di cui la montagna è ricca: l’orizzonte sembra chiudersi, siamo introdotti ad un appartato mondo di solitudine e silenzio. Sembra proprio un angolo da confinati, o confinà, quelle anime che, essendosi macchiate di peccati particolari (l’eresia, ma anche la frode odiosa e la stregoneria), non possono essere accolte né da Dio né dal diavolo, e sono relegate in luoghi remoti e solitari, quel è questo, appunto, a dar di mazza senza scopo e senza frutto sulle pietre, o a ,spingerle su per versanti dai quali poi rotoleranno ancora in basso. Per dire il vero, il regno che la tradizione consacra alla pena dei confinati nel livignasco è la Valle delle Mine, che resta alle nostre spalle, ma anche le Stebline sembrano essere luogo popolato da anime in pena, e noi siamo, alti, proprio sopra questo gruppo di baite. Sia come sia, alla piena luce del giorno non corriamo rischi; solo sul far della sera, infatti, si ode il classico e ritmato colpo della mazza sui sassi.


Apri qui una fotomappa del sentiero che sale al Monte Breva

Procediamo tranquilli, dunque, prestando attenzione ai segnavia ed agli ometti, non radi. Oltrepassata una piccola terrazza erbosa, saliamo, senza percorso obbligato, più o meno al centro di un largo corridoio. Al suo termine, eccoci ad una sella che si affaccia ad un desolato canalone, il quale precipita sull’ampio ripiano del Lago del Monte. Alla nostra sinistra, un ampio nevaio. Per fortuna non dobbiamo arrischiare scivolate salendolo: torniamo, infatti, un po’ indietro, sotto la sella, e notiamo che la traccia si sentiero piega a sinistra, passando sotto alcune facili roccette, poi, quasi subito, volge a destra ed inizia a risalire un dosso di sassi e magri pascoli. Abbiamo, per qualche attimo, la sensazione che alla fine della salita di questo versante, abbastanza ripido, la cima si presenti vicina, a portata di mano. Invece usciamo ad una pianetta, con qualche ometto (anche questo molto utile nella discesa) che introduce ad un lungo crinale (dòs de la brö, o de la bröa, o del abrö, cioè della breva) che sale gradualmente alla cima: questa non è propriamente a portata di mano, ma, ad occhio e croce, a 30-40 minuti di cammino.
Il disappunto dura, però, poco: se guardiamo a sinistra, vediamo, infatti, uno splendido colpo d’occhio sul versante nord-orientale del gruppo del Bernina, con le sue cime monumentali ed i ghiacciai imponenti, che sembrano determinati a far fronte anche ai più sconvolgenti cambiamenti climatici. Proseguiamo, ora, sul facile e largo crinale, regno di terriccio e sfasciumi rossastri. Qui passail confine italo-svizzero, ma è davvero difficile determinare esattamente dove. Dopo una prima salita, che conduce a quota 3000 metri circa, ci aspetta una breve discesa, che ci porta ad una sella. Il disappunto per la discesa anche in questo caso si spegne, però, subito, quando notiamo, alla nostra destra, un incantevole microlaghetto, alimentato da un piccolo nevaio residuo, che lo corona e quasi lo abbraccia. Si tratta del medesimo nevaio che abbiamo potuto osservare già dai cartelli escursionistici al Lago del Monte. Davvero un angolo di rara suggestione, anche perché, alle sue spalle, le cime del bormiese e della Valfurva fanno capolino, lontane, ad est.
Ci attende, dunque, l’ultima rampa, di circa 120 metri (diciamo una ventina di minuti), non molto ripida. Stando un po’ sulla destra possiamo anche seguire una traccia abbastanza visibile, che sale a zig-zag. Sulla calotta terminale troviamo anche un libro di vetta, sul quale si possono leggere le seguenti parole vergate dal celeberrimo alpinista Walter Bonatti:
"Da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso. E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso!"


Panorama sul gruppo del Bernina

Pochi passi e siamo ai 3102 metri dell’ampio cupolone del monte Breva. Estremamente panoramica, come si è detto. Ovviamente ad ovest si mostra ancora più superbo il gruppo del Bernina, che mostra, da sinistra, le tre poco pronunciate cime del piz Palù, i massici e quasi abbracciati piz Argient e Zupò, la Cresta Güzza, inconfondibilmente fedele al suo nome, con a destra alcune imponenti cime che dal versante della Valmalenco non si vedono, perché si staccano dal crinale principale verso nord, vale a dire i pizzi Morteratsch, Tschierva e Boval. Si vede appena, alle loro spalle, il Bernina. Così come si vede solo in parte l’ampia val dal Fain (valle del Fieno), il cui solco, in territorio svizzero, si apre a sud del monte Breva.
Proseguendo nella rassegna delle cime che chiudono l’orizzonte, in senso orario, vediamo un’ampia teoria di cime engadinesi; spicca, diritta, a nord, la massiccia cima della Margna, il monte simbolo di St. Moritz. Davanti al pizzo la valle di S’chanf, storico corridoio di transito fra Engadina e Livignasco, perché da essa si sale facilmente al passo di Cassana, con successiva discesa alla Val Federia. Di qui passarono gli eserciti di Bernesi e Zurigani, chiamati in aiuto dalle Tre Leghe, decise a riprendersi la Valtellina ed i Contadi di Chiavenna e Bormio dopo l’insurrezione dei nobili cattolici del 1620.
Così scrive lo storico Enrico Besta ("Le Valli dell’Adda e della Mera nel corso dei secoli. Vol. II: Il dominio grigione", Milano, Giuffrè, 1964): "S'adunavano intanto i Grigioni e gli Svizzeri dietro le Alpi. Sette erano le compagnie dei Berrnesi, comandate dal colonnello Nicolò un massiccio gradasso che portava sul petto una grossa catena d'oro e che con volgare spacconeria prometteva di volerla ornare di tanti macabri ed osceni trofei tolti ai preti quanti ne erano gli anelli. Tre erano le compagnie dei Zurigani, comandati dal colon nello Gian Giacomo Steiner. Ai reparti prigioni, il cui supremo comando era rimasto sempre a Giovanni Giiler, erano preposti oltre che Florio Sprecher e Rodolfo Salis, a noi ben noti, Giovanni Yeuch, Cristiano Florin, Florio Buoi, Antonio Violant, Nicolò Nuttin. Parrebbe che dapprima volessero sboccar nella valle della Mera, correndo tutta l'Engadina, ma poi preferirono i passi bormiesi. Il 1 settembre del 1620 erano già nella valle di Livigno e, da quei pochi abitanti che non erano ancora fuggiti sulle vette, si facevano giurare fedeltà, dietro promessa di aver libero il culto cattolico. Per Foscagno e Trepalle scesero nella Valle di Dentro. Il piccolo presidio posto dietro la chiesa di S. Martino di Pedenosso fu sopraffatto; non resistettero le trincee frettolosamente apprestate..."
Di qui passò anche l'esercito dei franco-grigioni del Duca di Rohan e di Giorgio Jenatsch, che, nel 1635, scesero a dar vittoriosamente battaglia alle truppe imperiali di stanza a Livigno. Ed infatti, spostando di poco lo sguardo a destra, riconosciamo, appena dietro il già citato monte Garone (da qui capiamo bene che dovrebbe tornare a chiamarsi Gerone), l’ampia sella del passo di Cassana. Possiamo notare molto bene la varietà cromatica dei versanti e delle cime, indice della complessità geologica di questo comprensorio di monti: si alternano i toni rosseggianti delle rocce metamorfiche, del monte Breva, per esempio, e del vicino pizzo Garone, ai colori pallidi delle rocce calcaree e dolomitiche, che dominano nella zona del passo di Cassana.


Apri qui una panoramica sul gruppo del Bernina visto dal Piz Breva

Ad est inizia la lunga teoria di cime del bormiese e della Valfurva: l’occhio esperto riconosce la cima Schumbraida, la Reit, il ghiacciaio dello Stelvio, l’Ortles, il Gran Zebrù, il Cevedale, la cima Confinale, il pizzo Tresero ed il monte Gavia. A sud, dietro il crinale delle livignasche valle delle Mine e val Vago (che si biforca nella valNera e nella val di Campo), si intravedono le cime della Val Grosina, fra le quali spicca la massiccia cima Piazzi, con il ghiacciaio del versante settentrionale. Proseguendo verso destra, vediamo bene il passo della Forcola, prima di tornare allo splendido gruppo del Bernina.
Ora che abbiamo saziato l’occhio con questa straordinaria carrellata di forme e di colori, dobbiamo sciogliere il nodo rimasto fin qui sospeso: monte Breva o pizzo la Stretta? La prima denominazione è riportata sulla IGM, e si riferisce a quel particolare vento, la breva, appunto, che scende da nord a sud percorrendo la valle di Poschiavo e diramandosi nelle valli laterali; la prima ad essere investita è, appunto, la valle del Fieno, che si apre a sud della cima. Sulla carta nazionale svizzera la cima è denominata pizzo la Stretta, con riferimento all’ampia sella (a dispetto del nome) che costituisce il passo per il quale dalla Valle della Forcola di Livigno si accede alla Valle del Fieno. Localmente la cima è però conosciuta come Somp i Crap Nèir, cioè "In cima alle rocce nere".
Due conti, per finire: dal Lago del Monte alla cima del monte Breva possiamo calcolare un’ora e 30 minuti circa di salita, per superare un dislivello approssimativo di 500 metri.


La cima del monte Breva

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

GALLERIA DI IMMAGINI

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