La chiesa dell'Addolorata a Spinedi


La chiesa della Visitazione o di Santa Elisabetta a Voga

Sul versante occidentale, quello delle alpi Lepontine, della Valchiavenna, fra Mese, a nord, e Gordona, a sud, si trova il piccolo (per numero di abitanti) comune di Menarola, nato nel 1756 per scissione da Gordona, tornato nel 2015 a fondersi con Gordona. Il suo nome deriva molto probabilmente dal verbo dialettale “menà”, nel senso di trascinare a valle il legname. Negli oltre due secoli e mezzo di vita di questo comune il suo territorio, esteso 14,76 kmq, fu delimitato a nord-est e nord dalla linea che dalla piana di Chiavenna sale sul versante delle Lepontine seguendo il corso del torrente Rossedo, fino al monte Mater (m. 2415), su confine elvetico. Segue poi il crinale del confine toccando il Pizasc’ (m. 2589) e raggiungendo il pizzo della Forcola (m. 2674), sua massima elevazione. Fra le due cime si disegna la comoda sella del passo della Forcola (m. 2227), al culmine della Valle della Forcola, valico che in passato ebbe una rilevante importanza commerciale e che, soprattutto, permise uno stretto legame culturale fra le comunità al di qua ed al di là del crinale alpino, in territorio italiano ed elvetico. Il territorio di Menarola toccava, poi, parte della Val Pesciadello e ridiscendeva alla piana di Chiavenna seguendo in parte il crinale occidentale della Valle della Forcola. Menarola non aveva un vero e proprio nucleo centrale, ma era costituita da una costellazione di nuclei disseminati fra le selve del versante delle Lepontine: Castanedi (m. 684), Foppo (m. 983), Voga (m. 1057), Solerolo (m. 1190), Dardano (m. 1334) e gli alpeggi di Buglio (m. 1544), Forcola (m. 1838) e Cima (m. 1875). Una carrozzabile sale dal fondovalle fino a Dardano ed ha favorito la ristrutturazione di molte baite che vengono utilizzate per la villeggiatura estiva. Vi si possono trovare ancora case costruite con la tecnica del carden, cioè con tronchi ad incastro negli angoli e muratura.


Apri qui una panoramica dall'alpe Buglio

La storia della comunità di Menarola è quindi strettamente legata a quella di Gordona, dove la presenza umana risale a tempi assai remoti. Sul modesto colle di Santa Caterina, presso il limite nord-orientale del comune di Gordona, sono stati, infatti, rinvenuti reperti che testimoniano la presenza umana nell’era Calcolitica e del Neolitico Avanzato (3500-2400 a. C.). Si tratta quindi del più antico insediamento in Provincia di Sondrio, favorito dalla posizione strategica: probabilmente a quell’epoca, infatti, l’alto Lago di Como giungeva fin qui, e da qui si controllavano i passaggi e gli scambi tra pianura e montagna.
In epoca pre-romana il territorio di Gordona venne successivamente abitato, secondo l’ipotesi dello storico settecentesco Quadrio, ripresa nel Novecento dal Festorazzi e dal De Simoni, dall’etnia dei Mesiati o Mesuaci, popolazione di ceppo celto-ligure che si era stanziata, forse già nel XIII sec. a. C., su entrambi i versanti della catena di confine, quindi nei territori italiani di Mese e Gordona e sulla rive della Moesa nella Val Mesolcina o di Mesocco, in Canton Ticino.


Panorama da Castanedi

Poi, fra il 16 ed il 15 a. C. giunse la conquista romana, che riorganizzò le strutture amministrative delle genti di montagna. Gordona era prossima alla "Clavenna" romana, stazione di una certa importanza sulle strade che salivano ai valichi per raggiungere il confine dell'impero nella Rezia e nel Norico. Ciò soprattutto quando Milano fu una delle capitali dell'impero. Su questo periodo le testimonianze sono scarse: oltre ai due riferimenti di itinerari, resta un coacervo di reperti trovati occasionalmente negli scavi fatti per gettare le fondamenta di edifici, per realizzare la rete dell'acquedotto, della fognatura, per posare cavi telefonici ed elettrici. Queste scoperte sono state fatte tra il corso della Mera e Pratogiano. Quando i barbari furono sempre più temibili ai confini, i passi alpini del settore centrale assunsero un ruolo importante: forse percorse due volte le nostre valli Stilicone per allontanare i barbari.


Il versante montuoso della Valle della Forcola e di Menarola

Del periodo successivo alla caduta dell'impero romano si sa ben poco. Si diffuse il cristianesimo e le terre convertite vennero organizzate in pievi. Gordona apparteneva alla pieve di San Fedele di Samolaco e fu integrata nei territorio dei Longobardi, che fecero di Chiavenna una delle principali dogane del regno e sede di un rinomato mercato. Alla dominazione longobarda si deve la diffusione delle “corti”; da una di queste, la “Curs magna” (corte grande) deriverebbe “Cortona”, da cui poi “Gordona”. Ai Longobardi succedettero i Franchi, che proprio dal passo dello Spluga passarono in una delle loro campagne militari. In epoca carolingia le corti già longobarde comprendevano anche terre allodiali, cioè comunità agricole sottratte a vincoli feudali, chiamate “loci et fundi”, da cui poi derivarono le “vicinie”, antenate dei successivi “comuni”, fra i quali quello di Gordona.


Castanedi

Gordona entrò nella storia all’epoca dell’imperatore franco Carlo il Grosso (839-887), quando, secondo quanto riporta il cronista gravedonese G. Stampa (1865), il territorio delle Tre Pievi (Dongo, Gravedona e Sorico), giungeva “fino a Gordola, oggi Gordona”. Nel 931 è documentata una donazione alla chiesa di Gravedona operata dal conte Eriprando di Basilica, duce di un “massericium in Curte magna, in loco et fundo Pontis super Collovis”. Ora, Curs magna, come visto sopra, sarebbe all’origine del toponimo “Gordona”, mentre “Pons” sarebbe la contrada Ponte e “Collovis” sarebbe la contrada Colloredo. A quel tempo Gordona rientrava nella pieve di Samolaco, che però venne due secoli dopo divisa in due. Agli inizi del secolo XII, infatti, Gordona dipendeva direttamente dal Vescovo di Como, anzi, dal Vescovo imposto ai comaschi dai fieri rivali milanesi, che uscirono vincitori dalla guerra decennale (1118-1127), distruggendo la ribelle Como.


Foppo

Pochi anni dopo la Val Chiavenna si trovò al centro della contesa fra Sacro Romano Impero Germanico e comuni lombardi. La vicina Chiavenna sostenne l'imperatore Federico nella lotta contro i comuni lombardi e sul finire dell'inverno nel 1176, a Chiavenna, Federico Barbarossa si incontrò con il cugino Enrico il Leone, duca di Baviera e di Sassonia, per averne aiuti per la spedizione militare in Italia. Ne ebbe un rifiuto umiliante. Si era alla vigilia della battaglia di Legnano e Gordona era già posta sulla importante via Francisca (cioè “franca”, sicura), la via di comunicazione riadattata nel 1265, che da Chiavenna scendeva seguendo il versante occidentale della Valchiavenna, passando per Samolaco, salendo al passo della Francisca, a monte del lago di Mezzola, e scendendo ad innestarsi nella Via Regina a Sorico. Lungo la via Regina si poteva infine scendere fino a Como. I legami con la città lariana ebbero un peso rilevante nella storia di Gordona, di nuovo citata in un documento del 1197 con il quale il vescovo di Como Ardizzone investiva i de Piro di due parti della decima, di metà dei beni e dei diritti sulle acque nel tratto compreso tra Mezzola e Gordona, e di mezza masseria in Coloredo. Gordona era infatti feudo vescovile, e nel 1205 il vescovo di Como riscuoteva la decima sui mosti e vini di Coloredo. La dipendenza da Como sottraeva Gordona dalla dipendenza dalla vicina Chiavenna e garantiva ai Gordonesi il privilegio di nominare autonomamente il proprio parroco.
Il territorio di Menarola fu molto probabilmente interessato, a partire dal secolo XIII, dall’opera di costruzione di terrazzamenti sul declivi montani e dissodamento del fondovalle e dei conoidi di deiezione dei torrenti curata dai Benedettini del Monastero di Dona, nella vicina Prata.


Foppo

A questo periodo risale la prima attestazione di una delle icone di Gordona, la torre del Signame, di origine assai antica: se non risale addirittura al secolo VI, quando, come scrive Cassiodoro, al tempo delle guerre gotiche le valli alpine si riempirono di torri di avvistamento, è da collocarsi nel cuore più oscuro del Medio Evo, al tempo delle terribili incursioni degli Ungari (secolo IX). Viene menzionata però per la prima volta, come Torre di Gordona, in un documento del 1213, che parla di una controversia fra il vescovo di Como ed il comune di Chiavenna per i diritti su di essa. Il nome ne rivela la funzione: si trattava di una torre di avvistamento, che doveva segnalare eventuali passaggi di truppe in pianura e che si inseriva in un più ampio sistema di strutture analoghe. Scrive, al riguardo, Giovanni Guler von Weineck, governatore di Valtellina e Valchiavenna nel 1587-88 per le Tre Leghe Grigie, nella sua opera Rhaetia (Zurigo, 1616): "Più avanti, al di sopra del torrente Bogia, sorge in cima ad un alto poggio una torre, che da tempi immemorabili porta il nome di Torre del pan perduto. Tutta la Valle, dal Castello di Chiavenna all'insù, sino al lago di Como ed a Milano, è munita di simili torri che si guardano di lontano, perché accadendo pericolosi eventi, venivano segnalati rapidamente dall'una all'altra: di giorno mediante fumate, e di notte con fuochi. Si dice che quando in passato i Tedeschi, o gli Svizzeri, od anche i Grigioni irrompevano dai monti con poderose forze, dal castello di Chiavenna se ne poteva dar notizia alla città di Milano in meno di un'ora".
Nel 1262 è attestato anche il castello che sorgeva sulla modesta collina di Santa Caterina, che domina la piana di Chiavenna, che, dopo alterne vicende, venne smantellato dagli Spagnoli dopo il 1620. Rimase, invece, la chiesetta di Santa Caterina, restaurata nel 1889 e nel 1974.

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Foppo

Nel 1335 i Visconti, signori di Milano, posero sotto la propria potestà la Valchiavenna, che poi infeudarono per denaro ai Balbiani di Varenna. Nel 1335 gli Statuti di Como menzionano il “comune loci de Cordona et Colloredo”. Al 1339 risale il documento in cui il vescovo di Como investiva del suo feudo il comune di Gordona, ottenendone in cambio vassallaggio e ventiquattro uomini armati in caso di bisogno. Vi si nomina per la prima volta la chiesa di San Martino.
Gordona era suddivisa in quattro quadre, ciascuna composta da due quartieri: la prima con Coloredo e Monti di Menarola, la seconda con Cimavilla e Gasparoni, la terza con Ponte e Pendoglia e la quarta con Piazzoli e Scogli.


Foppo

Ai Visconti subentrarono, nel 1450, gli Sforza. Nel 1486 i Grigioni calarono in Valchiavenna e saccheggiarono Chiavenna, ritirandosi solo dopo che i ducali ebbero pagato un oneroso riscatto. Milano comprese che i confini settentrionali erano a rischio e si corse ai ripari con un progetto di fortificazione dei centri più importanti. Chiavenna fu cinta di mura, erette tra il 1488 e il 1497.
Anche per Gordona l’ultimo quarto del Quattrocento fu un periodo assai inquieto. Il Consiglio generale di Gordona, nel 1488, chiamò fra Lorenzo de Solario, perché svolgesse la funzione di inquisitore contro le eresie, e soprattutto contro le streghe. Non risulta ufficialmente alcun processo, ma la tradizione popolare conserva memoria del rogo nel quale arsero, in una stalla della contrada Piazzoli, tre disgraziate condannate come streghe, forse tre sorelle.


Voga

A Ludovico il Moro successero, nel 1500, i Francesi, che lasciarono un ricordo tanto cattivo che quando i Grigioni nel 1512 si proclamarono signori di Valtellina e Valchiavenna non furono accolti con ostilità. La dominazione della repubblica delle Tre Leghe Grigie (che corrisponde all'attuale cantone elvetico dei Grigioni) durò fino al 1797, salvo una breve pausa dal 1620 al 1639.
I nuovi signori proclamavano di voler esercitare un dominio non rapace e prepotente, ma saggio e rispettoso delle autonomie dei valligiani, chiamati "cari e fedeli confederati" nel misterioso patto sottoscritto ad Ilanz (o Jante) il 13 aprile 1513 (di cui si conserva solo una copia secentesca, sulla cui validità gli storici nutrono dubbi); Valtellina e Valchiavenna figuravano come paesi confederati, con diritto perciò di essere rappresentati da deputati alle diete; le Tre Leghe promisero, inoltre,di conservare i nostri privilegi e le consuetudini locali, e di non pretendere se non ciò che fosse lecito e giusto. Ma, per mettere bene in chiaro che non avrebbero tollerato insubordinazioni, nel 1526 abbatterono tutti i castelli di Valtellina e Valchiavenna, anche perché non li potevano presidiare ed avevano dovuto subire, l'anno precedente, il tentativo, fallito, di riconquista della Valtellina messo in atto mediante un famoso avventuriero, Gian Giacomo Medici detto il Medeghino.


Voga

Le Tre Leghe concessero, comunque, a Valtellina e Valchiavenna, pur nella subordinazione, un alto grado di autonomia. La Valle, sempre divisa in tre Terzieri, era amministrata da un consiglio detto di valle, con deputati nominati da ciascuna delle giurisdizioni, gli agenti di valle. Ogni deputato era nominato dal consiglio di una singola giurisdizione (a Sondrio ne erano riservati 3). I due contadi di Bormio e Chiavenna si amministravano autonomamente, ma, per le questioni di comune interesse, mandavano il loro voto per iscritto, o deputati delegati a rappresentarne gli interessi.
Durante la dominazione grigione, Gordona, con Prata, Mese, Novate, Samolaco, appartenne come comune esteriore alla giurisdizione di Chiavenna. Gordona si reggeva allora su propri ordinamenti comunali, imperniati su congilio di giunta, consiglio ordinario, assemblea del popolo e console.


Voga

Il consiglio di giunta (gionta) era formato da otto consiglieri, passati a sei dopo il distacco di Menarola nel 1756, eletti in rappresentanza dei singoli quartieri. Affiancava il consiglio ordinario per discutere le questioni più importanti, come l’incanto del dazio del pane e delle proprietà comunali, la predisposizione degli estimi, l’esecuzione di opere pubbliche, i provvedimenti di spesa e di ordine pubblico interessanti la comunità di Gordona, la giurisdizione e il contado di Chiavenna. La nomina del consiglio di giunta doveva essere approvata dal consiglio generale del popolo e degli uomini di Gordona, formato dai capifamiglia del comune, i quali si riunivano, oltre che per approvare l’elezione del console e le nomine dei consigli ordinario e di giunta, per ratificare le fondamentali decisioni nella vita della comunità, quali l’approvazione degli ordini comunali, degli estimi e delle rese dei conti consolari, l’incanto del dazio del pane, l’affitto dei beni comunali, la stipulazione dei contratti, la nomina del curato (poi prevosto, poi arciprete). L’assemblea del popolo di Gordona, che era convocata dal console dinanzi alla chiesa di San Martino, era valida quando era garantita la presenza di almeno due terzi degli aventi diritto.


Voga

Organo di governo comunale era il consiglio ordinario, formato in origine da otto consiglieri (due per squadra, cioè uno per quartiere), passati a sei nel 1756, dopo il distacco di Menarola. Ogni volta che si rendesse necessario discutere argomenti di particolare rilevanza per la vita della comunità, il consigli ordinario era affiancato dal consiglio di giunta, formato anch’esso da otto rappresentanti, eletti ciascuno all’interno del proprio quartiere. Ogni deliberazione del consiglio ordinario, così come quelle del consiglio generale di Gordona, era demandata alla convocazione e alla determinazione dei consigli di quartiere. Il consiglio ordinario era convocato e presieduto dal console, con una frequenza di una o più volte al mese; si riuniva a volte nella “stuva del console” ma più frequentemente nella “casa della comunità”, sita nel quartiere di Scogli accanto al cimitero della chiesa di San Martino. Nella sua prima riunione, il consiglio ordinario provvedeva all’elezione degli ufficiali di comunità, di chiesa (con l’intervento e l’approvazione del curato) e dei luoghi pii. I consiglieri, come il console e gli ufficiali di comunità, giuravano ogni anno davanti al commissario di Chiavenna.


Alpe Buglio

Il console del comune di Gordona, che durava in carica un anno, convocava e presiedeva il consiglio ordinario, riscuoteva ed amministrava le entrate, delle quali rendeva pubblicamente conto al termine del mandato, rappresentava il comune nei consigli di giurisdizione e di contado, dava giuramento, all’inizio di ogni anno, davanti al commissario di Chiavenna. La carica di console di Gordona spettava, a turno, per estrazione a sorte, ad una delle quattro squadre della comunità. L’esito della votazione veniva comunicato a viva voce al console prescelto “sulla porta maggiore della chiesa di San Martino”. Il neoeletto impegnava quindi ogni quartiere per l’elezione dei propri consiglieri e consiglieri di giunta.
I singoli quartieri corrispondevano ad altrettante piccole comunità, ciascuna con i propri consiglieri eletti ai consiglio ordinario e di giunta del comune, i propri sindicati, il proprio estimo. Ogni deliberazione dei consigli della comunità, inoltre, era demandata alla convocazione ed alla determinazione dei consigli dei quartieri di Coloredo, Monti di Menarola, Cimavilla, Gasperoni, Ponte, Pendoglia, Piazzoli, Scogli.

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Voga

L’importanza di Menarola nell’età moderna era anche legata al fatto di esser posta anche allo sbocco della Valle della Forcola, per la quale saliva una via di comunicazione che varcava il passo della Forcola ed ebbe una discreta importanza in questo periodo. Si tratta della strada della Forcola, che venne chiamata dal 1680 al 1683 anche Strada Imperiale, un’antica via di comunicazione fra Valle di San Giacomo (o Valle Spluga) e Mesolcina, la più agevole e frequentata. Don Lucchinetti, nel Seicento, scriveva di qui passarono per ridiscendere ai loro paesi una quarantina di soldati della Mesolcina reduci dalla battaglia di Calven in Val Monastero, che si combatté il 24 maggio del 1499. Ad inizio del Cinquecento l’importanza di questa via venne esaltata dalla conquista di Valtellina e Valchiavenna da parte delle Tre Leghe Grigie, i cui domini si portarono al crinale orobico e quindi al confine con la Bergamasca, territorio della Serenissima Repubblica di Venezia. Venezia e le Tre Leghe Grigie avevano tutto l’interesse ad incrementare i commerci, ed in tale ottica venne tracciata nella seconda metà del Cinquecento la famosa Via Priula in Val Gerola (1592).


Panorama della Valchiavenna dalla strada per Castanedi

Ma anche i baliaggi svizzeri del Ticino ambivano ad inserirsi in questi proficui commerci e premettero, non senza incontrare resistenze, perché l’antica mulattiera della Forcola fosse rimessa a nuovo. Il progetto si concretizzò sul finire del Seicento. Il valico della Forcola vide quindi un significativo incremento delle merci nell’una e nell’altra direzione: venivano trasportati verso la Mesolcina manufatti, il preziosissimo sale di Venezia, granaglie, vino, piombo, argento ed oro, mentre nella Contea di Chiavenna scendevano soprattutto sale e cotone. Il grande magazzino della famiglia Cargasacchi a Mese serviva a stoccare le merci in transito. L’epoca d’oro dei commerci conobbe il tramonto fra Settecento ed Ottocento.


Passo della Forcola

La Valle della Forcola è anche legata ad una curiosità. Nel secolo XV venne scoperta una vena d’oro e d’argento nel torrente Crezza, “ad Subiam”, cioè in località Subii, sul lato destro (occidentale) della valle. I Balbiani, feudatari della Valchiavenna, assegnarono la concessione per lo sfruttamento ad una ditta costituita da Donato de Peverelli detto Serost di Chiavenna, Abbondio de Scogli di Gordona, Bernardo de Vertemate di Piuro e Giovanni detto Banzio di Scandolera. Non si hanno notizie dell’esito dell’impresa: molto probabilmente di metallo prezioso se ne trovò ben poco…
Dal passo della Forcola passò, infine, nel 1793, diretto a Roveredo, durante il periodo più turbolento della Rivoluazione Francese, quel Luigi Filippo d'Orleans che nel 1830 sarebbe diventato Re di Francia (e sarà l'ultimo sovrano della storia francese).


Passo della Forcola: colpo d'occhio su Valchiavenna e bassa Val Bregaglia

Un quadro sintetico della Gordona sul finire del secolo XVI ci viene offerto nell’opera “Rhaetia” di Giovanni Guler von Weineck, publicata a Zurigo nel 1616: “Di qui, proseguendo in direzione contraria alla Mera, si arriva sempre in piano a Gordona: uno dei villaggi più grossi della contea. Sopra un colle. verso la Mera, sorgono una chiesuola ed un piccolo castello, chiamati entrambi di S. Caterina: il castello venne eretto da Bonifacio,vescovo di Como: ma la chiesa parrocchiale di questo villaggio e dei luoghi circostanti è S. Martino. In questo comune vi è una cava rinomata di belle tegole. con cui si coprono case ed altri edifici; vengono vendute a Chiavenna e ne' paesi vicini che ne sono privi. Da Gordona si può, per una via stretta e scoscesa, attraverso il passo di Forcola, recarsi in sei ore a Soazza nella Val Mesocco, non solo a piedi,ma anche a cavallo: con cavalli, beninteso, sicuri ed abituati alla montagna, perché cogli altri occorre estrema prudenza. Il passo è chiuso d'inverno per la molta neve.”


Passo della Forcola: colpo d'occhio sulla Mesolcina

Agli inizi del Seicento è attestata l’edificazione della chiesa di Santa Elisabetta o della Visitazione nei monti di Menarola, posta a metà strada fra i nuclei di Foppo e Voga. Nel 1641 Menarola ricevette dall’arciprete di Gordona l’autorizzazione di poter fruire di un vice-curato.
Di lì a pochi decenni il quadro si fece decisamente più fosco, perché nel 1620 la Valtellina e la Valchiavenna vennero coinvolte nelle più ampie vicende belliche della complessa Guerra dei Trent’Anni, diventando terreno di scontro fra le Tre Leghe Grigie ed i Francesi loro alleati, da una parte, e la nobiltà cattolica valtellinese, sostenuta da Spagnoli ed Imperiali, dall’altra.

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In Valtellina, nel 1620, scoppiò la rivolta tristemente passata alla storia come “Sacro Macello Valtellinese”, durante la quale furono trucidati centinaia di protestanti. La Valchiavenna venne risparmiata da tale orrore, ma non dalle vicende belliche e dal confronto fra Spagnoli e Grigioni. Le truppe spagnole avevano occupato nel 1620 la Valchiavenna salendo dal Forte di Fuentes, resistendo nel 1622 al tentativo di ritorno dei Grigioni. Il console di Gordona, Domenico Guglielmotto, fu imprigionato al forte di Fuentes perché sospettato di aver appoggiato i Grigioni, e lì morì di stenti dopo quattro mesi.


Passo della Forcola

Il periodo più nero di questi anni coincise con il passaggio dei Lanzichenecchi diretti a Mantova ma bloccati da Milano, nel 1629: essi portarono la peste, che uccise circa un terzo della popolazione, depredarono i paesi della Valchiavenna e ridussero gli abitanti alla fame. Rimasero infatti di stanza in Valtellina e Valchiavenna nell’estate del 1630, e questo ebbe conseguenze tragiche per la diffusione della “morte nera”. Fu un’epidemia che flagellò anche Valtellina e Valchiavenna, mietendo un enorme numero di vittime, dall’estate del 1629 ai primi mesi del 1631. La morte nera, così veniva chiamata con un senso di profondo orrore, si diffuse dal fondovalle ai borghi di media montagna, fino a toccare alcuni alpeggi. Alle vicende belliche pose termine il trattato di Milano del 1639, che ripristinò la situazione di partenza, ponendo però fine al progetto grigione di diffusione della religione riformata nelle valli dell’Adda e della Mera.
Un quadro sintetico di Gordona nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Dei fatti di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi si legge: ”La seconda communità si chiama Gordona, lontana duoi miglia da Chiavena. Questa è la maggior terra di questa terza valle et di tutto il contado, eccetto Chiavena. La chiesa è parochiale di S. Martino; et ha alcune contrate, cioè Coloredo, Cioso, Cimavilla, Susparano, Valle di Bodengo: sì che, oltre la chiesa parochiale, vi sono alcuni oratorij: cioè S. Catharina del Castello, perché ivi altre volte v'era un castello delli vescovi di Como; S. Elisabetta di Menarola; S. Bernardo di Bodengo. Il territorio è malsano; abbonda però di grano, fieno et castagne; il vino è picciolo, né è molto. In questo territorio si cavano bellissime pietre da coprire li tetti quasi di tutto il contado.”
Questo invece il quadro del paese a metà del settecento tratteggiato dallo storico Francesco Saverio Quadrio, che, nell’opera “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi oggi detta Valtellina” (Edizione anastatica, Bologna, Forni, 1971), scrive: “Gordona, presso alla quale è il Castello di S. Catterina, è la quarta Comunità. Le Contrade ad essa aderenti sono Colcredo, Sciojo, Cusperano, Cimavilla, Ponto, la Val di Bodegno, e il Monte di Somma Rovina. Da questa Comunità per il Monte detto la Forcola si trapassa nella Val di Mesoco.”
Nel 1674 Gordona contava 800 abitanti, compresi 64 emigranti a Napoli, 12 in Francia, 11 a Roma, 9 a Palermo ed 1 a Reggio Emilia.
Nel 1684 Gordona ricevette la visita pastorale del Vescovo di Como Carlo Ciceri, che elevò la chiesa di San Martino a Prepositurale “a confusione degli eretici”, perché a Gordona, nel momento di massima diffusione della confessione riformata, fra metà del Cinquecento ed inizi del Seicento, non era mai stato segnalato alcun protestante.
Lo stato d’anime del 1690 ci da un quadro più dettagliato della popolazione del paese. Le famiglie più numerose, in quel periodo, erano, nell’ordine (fra parentesi il numero dei Gordonesi), i Tavasci (112), i Mazzina (78), i De Agostini (75), i Capelli (66), i Biavaschi (56), i Franchini (42), i Battistessa (37), i Dell’Anna (35), i Bara (32), i Giampedraglia (31), i Vostacchi (30), gli Scartaccini (29), i Bedina (28), i Gianoli (28), i Pedretti (28), i Brocchi 26), i Colori (26), i Guglielmotti (26) e i Pedocchi (26).
A partire dal Settecento la situazione economica migliorò progressivamente. La ripresa settecentesca non fu, però, priva di arresti e momenti difficili, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709 (passato alla storia come “l’invernone”, “l’inverno del grande freddo”), quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti. Gli abitanti di Gordona erano nel 1725 980.


Alpe e bivacco Forcola

A metà del secolo, nel 1756, giunse a compimento il processo di maturazione della consapevolezza degli interessi comuni del quartiere di Monti di Menarola, che ottenne, dopo un lungo periodo di controversie circa le contribuzioni per gli argini dei torrenti Boggia e Crezza, la piena autonomia. Le radici di questa separazione possono essere ricondotte almeno al 1615, quando sono documentate le prime lamentele della comunità dei monti di Menarola, che giudicava eccessivi gli oneri di contribuzione di cui era gravata per gli argini del fiume Mera e la manutanezione della mulattiera della Val Bodengo. Nel 1663 i capifamiglia dei monti di Menarola si riunirono sul sagrato della chiesa di Santa Elisabetta nominando sei rappresentanti per negoziare con Gordona in merito ai propri interessi. La separazione del 1756 fu regolata da una commissione composta da tredici rappresentanti delle due comunità, con fissazione sommaria dei confini, modo e tempi di utilizzo dei boschi e pascoli nella zona del Fraciscio e modalità della vendemmia. Il comune di Menarola si dotò nel 1785 di propri ordini comunali, ma non risulta che, pur avendo un proprio console, avesse un voto nel consiglio di contado di Chiavenna.
Due anni dopo la separazione, quindi nel 1758, venne costruita la seconda chiesa del comune, quella dell’Addolorata a Castanedi.


Apri qui una panoramica da Castanedi

Nel Settecento maturò anche il malcontento contro il dominio delle Tre Leghe Grigie in Valtellina e Valchiavenna, soprattutto per la loro pratica delle di mettere in vendita le cariche pubbliche. Tale vendita spettava a turno all'una o all'altra delle Leghe e chi desiderava una nomina doveva pagare una cospicua somma di denaro, di cui si sarebbe rifatto con gli interessi una volta insediato nella propria funzione, esercitandola spesso più per amore di lucro che di giustizia. Gli abusi di tanti funzionari retici, l'egemonia economica di alcune famiglie, come quelle dei Salis e dei Planta, che detenevano veri e propri monopoli, diventarono insopportabili ai sudditi. Il malcontento culminò, nell'aprile del 1787, con i Quindici articoli di gravami in cui i Valtellinesi (cui si unirono i Valchiavennaschi, ad eccezione del comune di S. Giacomo) lamentavano la situazione di sopruso e denunciavano la violazioni del Capitolato di Milano da parte dei Grigioni, alla Dieta delle Tre Leghe, ai governatori di Milano e, per quattro volte, fra il 1789 ed il 1796, alla corte di Vienna, senza, peraltro, esito alcuno. Fu la bufera napoleonica a porre termine, nel 1797, la signoria dei Magnifici Signori Retici su Valtellina e Valchiavenna, che vennero inserite nella Repubblica Cisalpina.
Nel prospetto dei comuni del dipartimento dell’Adda del 22 dicembre 1807, figurava il comune di Menarola, con 275 abitanti totali, composto dalle frazioni di Voga (74), Foppa (68), Castanedi (64), Gradesella (69), e compreso nel VI cantone di Chiavenna.
Dopo l’assoggettamento del dipartimento dell’Adda al dominio della casa d’Austria nel Regno Lombardo-veneto, il primo maggio 1815, Gordona figurava (con 1.351 abitanti totali e 771 da solo) come comune principale del cantone VI di Chiavenna, unitamente ai comuni aggregati di Menarola e Mese. Nella successiva compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto del 1816 il comune di Menarola acquisì di nuovo la sua autonomia e fu inserito nel distretto VII di Chiavenna.

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Alta Valle della Forcola

Il Congresso di Vienna stabilì dunque che la Valtellina e la Valchiavenna fossero annesse al regno del lombardo-veneto, rigettando le rivendicazioni su di esse avanzate dai Grigioni. La valle della Mera era ormai definitivamente legata alle sorti lombarde. Il dominio asburgico fu severo ma attento alle esigenze della buona amministrazione e di un’ordinata vita economica, garantita da un importante piano di interventi infrastrutturali. Venne tracciata la carrozzabile da Colico a Chiavenna, e, fra il 1818 ed il 1822, la strada dello Spluga, la prima grande strada che attraverso le Alpi centrali mettesse in comunicazione la pianura lombarda con la valle del Reno.
Il periodo asburgico fu, però, anche segnato anche da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855).
La prima metà Ottocento è segnato, nella vita di Menarola, da due cose fondamentali: da una parte il passo della Forcola, stabilmente presidiato da guardie di finanza austriache, perse gradualmente importanza e la stessa mulattiera cadde in disuso e subì un lento processo di degrado; dall’altra il territorio comunale fu sempre più intensamente sfruttato per l’agricoltura, basata sulla coltura delle patate, del granoturco, della canapa, dei fagioli e della vite alle quote più basse. Anche l’allevamento di bovini e capre era una risorsa importante, e preziose erano perfino le bacche destinate all’alimentazione di uomini e maiali, quelle fornite da sorbi, nespoli e noccioli selvatici.


Castanedi

Alla proclamazione del Regno d'Italia, nel 1861, Menarola aveva 342 abitanti, saliti a 424 nel 1871. Seguì poi un’ininterrotta decrescita demografica che è giunta fino ai giorni nostri. Gli abitanti passarono dai 416 nel 1881 ai 354 nel 1901 e 330 nel 1911.
La statistica curata dal prefetto di Sondrio Scelsi nel 1866 ci offre il seguente quadro del comune di Menarola. A Voga vivevano 60 persone, 28 maschi e 32 femmine, distribuiti in 7 famiglie ed in altrettante case (3 case risultavano vuote). A Foppo vivevano 105 persone, 45 maschi e 60 femmine, in 23 famiglie ed in 21 case (4 case risultavano vuote). A Castanedi vivevano 78 persone, 32 maschi e 46 femmine, in 13 famiglie ed altrettante case (2 case rimanevano vuote). In case sparse, infine, vivevano 94 persone, 47 maschi e 47 femmine, in 17 famiglie ed altrettante case (2 case risultavano vuote). A Menarola funzionavano 3 classi dell’ordinamento primario, 2 maschili ed una femminile, frequentate da 87 alunni, 57 maschi e 30 femmine. Vi insegnavano 2 maestri ed una maestra. Per il funzionamento della scuola il comune spendeva 390 Lire annue.
Sul finire dell’Ottocento gli alpeggi di Menarola venivano così censiti, nella loro capacità di carico di capi bovini: alpe Buglio 30 capi, alpe Cima 20 capi, alpe Forcola 15 capi, alpe Pregazone 18 capi, alpe Vesena 21 capi, alpe Pesciadello 10 capi. Il reddito medio per capo era calcolato in 30 Lire.
Presso il cimitero di Menarola un monumento ricorda i caduti di Menarola nella prima guerra mondiale, Pedeferri Agostino, Pedeferri G. Battista, Pedeferi Antonio, De Giambattista Natale, Balatti Giovanni, Balatti Albino e Balatti Andrea. Sono riportati anche i caduti nella seconda guerra mondiale, Balatti Egidio, Pedeferri G. Enrico e Pedeferri Costante. Nel periodo fra le due guerre la popolazione continuò a scendere: gli abitanti erano 317 nel 1921, 313 nel 1931 e 277 nel 1936.


Voga

Ecco lo spaccato che di Menarola ci offre, nel 1928, Ercole Bassi, in “La Valtellina – Guida illustrata”: “Da Mese in circa due ore si sale per una mulattiera all’alpestre villaggio di Menarola (m. 671, abitanti 375, distanza da Chiavenna km. 11, società di Mutuo Soccorso). Risalendo la Valle della Forcola si giunge al passo omonimo (m. 2215) che si apre fra il pizzo Pavion (m. 2665) e il Pizzaccio (m. 2589) e che mette nella Mesolcina. La chiesa di Menarola possiede un calice di pregio, una ricca pianeta, un bel velo umerale, dei reliquiari in legno molto bene intagliati e dorati. Gli emigrati a Napoli donarono una tela con la Vergine e il Bambino del pittore Sarnelli, ed altri arredi.
Nel secondo dopoguerra Menarola contava 271 abitanti nel 1951, 189 nel 1961, 154 nel 1971, 88 nel 1981, 49 nel 1991, 43 nel 2001 e 46 nel 2011. In particolare, gli 88 abitanti del 1981 risultavano così distribuiti: 35 a Bortolotto, 5 a Castanedi, 28 a Gradesella, 9 al Motto e 11 in case sparse. Lo spopolamento fu legato non solo all’emigrazione transoceanica, ma anche alla discesa ai comuni del fondovalle, che offrivano migliori possibilità di lavoro. La legge regionale 6 novembre 2015 n. 35 della Regione Lombardia unificò di nuovo il territorio di Menarola a quello di Gordona.


Voga

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Bibliografia

Buzzetti, Pietro, "Le origini del villaggio di S. Antonio e Menarola di Chiavenna ", in L'Ordine, Como, nn. 111, 113 e 114 del 1919

Crollalanza, G. B., “Storia del contado di Chiavenna”, Serafino Muggiani e comp., Milano, 1867

Salice, Tarcisio, "Le chiese di Menarola" in Clavenna, a. VI (1967)

Sterlocchi, Giordano, "Il quartiere di Menarola si separa da Gordona", in "Clavenna", 1998

Gogna A., Recalcati A., "Mesolcina - Spluga - Monti dell'alto Lario" Milano, 1999, nella collana “Guida dei monti d’Italia” del CAI-TCI

Scaramellini Guido, Terra di Gordona, ed, Comune di Gordona, 2008

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