Traversata di due giorni nel cuore delle Orobie centrali
CARTA DEL PERCORSO 1, 2- GALLERIA DI IMMAGINI - APPENDICE: IL LAGO DI VENINA - APPENDICE 2: IL LAGO DI PUBLINO
La Valle del Livrio
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Primo giorno: San Salvatore-Rifugio Caprari |
3 h e 30 min. |
800 |
E |
Secondo giorno: Rifugio Caprari-Passo Scoltador-Val Venina-Ambria-Capanno la Foppa-Alpe Campelli-Alpe Meriggio-Laghi delle Zocche-Lago della Casera-San Salvatore |
9-10 h |
1200 |
E |
Giornata unica: San Salvatore-Rifugio Caprari-Passo Scoltador-Val Venina-Ambria |
7 h |
800 |
E |
SINTESI. Il primo giorno ci stacchiamo dalla tangenziale
di Sondrio all'altezza dello svincolo per la via Vanoni (l'unico sulla destra per chi proviene da Milano) e, raggiunta
la via, dirigiamoci verso la località Porto di Albosaggia (alla rotonda, a destra per chi proviene da Milano), attraversando
su un largo ponte il fiume Adda. Invece di proseguire sulla Pedemontana
Orobica, deviamo a sinistra, per il centro di Albosaggia, e ad un bivio prendiamo a destra, ignorando le indicazioni per la Moia. Oltrepassato il poderoso muraglione che sorregge la chiesa parrocchiale di S. Caterina, ci portiamo al centro, dove non saliamo alla piazzetta del municipio,
ma proseguiamo, passando a sinistra della famosa torre Paribelli, con
un brevissimo tratto in discesa. Ignorata la strada che scende a destra, prendiamo a sinistra, lasciando però subito la
strada per prendere a destra, (cartello: San salvatore), immettendoci su una stradina asfaltata che inizia una lunga salita, passando da S. Antonio e Cantone e termina, dopo un tratto molto ripido, a S. Salvatore (m. 1311). Parchaggiamo qui e dalla piazzetta di fronta alla chiesa torniamo indietro sulla stradina sterrata, lasciandola per imboccare a destra la ripida carrozzabile con fondo in cemento che prosegue, con qualche tornante, risalendo l'ampia fascia di prati,
fino al parcheggio terminale in località alla Ca',
m. 1516. Qui lasciamo la pista sterrata che prosegue a sinistra: un cartello indica la partenza di un sentiero, ben segnalato,
che sale in un bosco di larici, fino
a sbucare in un'ampia radura nel cuore della Valle della Casera. Qui oltrepassiamo una pista sterrata e proseguiamo ancora diritti per un breve tratto in salita, fino ad un secondo cartello, in corrispondenza
di un bivio, ad una quota approssimativa di 1840 metri. Qui prendimo a destra ed imbocchiamo un sentiero che procede in piano verso sud, passando appena sotto il rifugio Baita della Calchera. Superate cinque gallerie, raggiungiamo un’ampia radura, alla quale scende
la valle della Biorca, con una baita. Prima di accedere ai prati, troviamo, sul terreno, la ben visibile indicazione
“Publin”, con segnavia rosso-bianco-rosso, che segnala un
sentierino che si stacca sulla sinistra dal sentiero fin qui percorso,
e comincia a risalire, con rapidi tornantini, un ripido versante di
bassa vegetazione. Poi il sentiero piega a destra e comincia la lunga
traversata con qualche saliscendi e ci porta al lago di Publino (m. 2134), ad ovest (destra) del quale si trova il rifugio Amerino
Caprari (m. 2118), dove possiamo pernottare al bivacco. Il secondo giorno ci rimettiamo in cammino dal rifugio Caprari (m. 2118), alla volta del passo dello Scoltador, che si può raggiungere con due differenti percorsi. Quello un po’ più lungo ma forse meno faticoso prevede di percorrere per un tratto il sentiero 220, che traversa in direzione nord. Dopo qualche saliscendi il sentiero porta alla baita dello Scoltador (m. 2048), dal tetto in lamiera. Qui lasciamo il sentiero 220 e prendiamo a destra, seguendo il cartello della G.V.O. che dà il passo dello Scoltador ad un’ora e 20 minuti. Dobbiamo ora prestare attenzione ai segnavia perché la salita al passo sfrutta una traccia debole ed intermittente, su un versante peraltro che non offre particolari problemi. Saliamo più o meno al centro di un largo dosso, fra strisce di pascolo e roccette, zigzagando in direzione sud-est. Attraversiamo poi da destra a sinistra il vallone che scende dal passo. Giungiamo così in vista della parte alta del vallone. Guadagniamo un po’ quota sul lato di sinistra (per noi), poi puntiamo diritti, in direzione sud-sud-est, alla sella del passo. Tagliato un crinale erboso, attraversiamo un corpo franoso e di nuovo su strisce di pascoli ci portiamo salendo gradualmente ai 2454 metri del passo dello Scoltador. Il primo tratto della discesa in Val Venina, abbastanza ripido, procede diritto verso est, con pochi tornanti. Poi la pendenza si smorza e ad un tornante dx lasciamo alla nostra sinistra un sentiero che scende al fondovalle poco a monte del bacino di Venina. Attraversata una fascia di massi in diagonale verso sinistra, pieghiamo leggermente a destra e scendiamo in direzione est fra modesti dossetti erbosi, fino a raggiungere il ciglio di un ripido versante solcato da salti rocciosi. Ad una serie di tornanti dx-sx-dx-sx, segue un lungo traverso verso sinistra che, superato un avvallamento, ci porta al centro di un largo dosso. Riprendiamo a scendere in direzione est, con una sequenza di cinque coppie di tornanti sx-dx. Dopo l’ultimo tornante dx, scendiamo ad attraversare di nuovo il medesimo vallone attraversato più a monte. La cose si ripete cinque volte nell’ultima parte della discesa, che ci porta poco sopra il pianoro dell’alta valle, che però non raggiungiamo, perché il sentiero, a quota 2150 m. circa, prende a destra ed inizia a descrivere un ampio arco dapprima in piano, poi in leggera discesa, portandoci sul lato orientale dell’alta Val Venina, ai piedi del suo crinale terminale. Raggiungiamo così un ampio ripiano, alla palina di tre cartelli escursionistici (m. 2120 circa). Seguiamo le indicazioni della GVO per il passo Brandà (dato a 50 minuti), le baite Cigola (date ad un’ora e 50 minuti ed il passo del Forcellino (dato a 3 ore e 10 minuti). Prendiamo dunque a destra e riprendiamo a salire, in direzione nord-est. Raggiungiamo in breve un ben visibile manufatto di forma cilindrica, con un’apertura circolare nel mezzo, il Forno del Ferro in località “La Vena” (m. 2165). Poco più in basso lasciamo le indicazioni della G.V.O. che sale al passo di Brandà e scendiamo lungo la Val Venina fino ad un bivio al quale prendiamo a destra scendendo e passando a sinistra del torrente Venina (seguiamo i segnavia che ci guidano su un sentiero non sempre evidente). Ci portiamo così all'Alpe Venina (m. 2017). Superiamo, poi, le baite Dossello (m. 1946) e dei Maghi (m. 1900), raggiungendo la casera Vecchia (m. 1839), dove la traccia piega a destra e supera di nuovo, su un ponticello, il torrente, per poi scendere a percorrere il lato orientale (destro) del grande invaso di Venina (m. 1823). Scendiamo sempre sul lato destro della Valle sulle Scale di Venina, fino al maggengo di Precarè (m. 1464) e ad Ambria (m. 1325). Da Ambria scendiamo a recuperare l’automobile, se abbiamo effettuato la traversata in una sola giornata utilizzando due automobili. Se invece abbiamo articolato la traversata in due giorni, scendiamo per circa un km. lungo una pista sterrata, fino a trovare, sul lato sinistro, la partenza di un sentiero che effettua una lunga traversata a mezzacosta sul fianco occidentale della Valle d’Ambria e della Val Caronno. Dopo un lungo traverso il sentiero supera due valloncelli e sale ripido alle baite di Corna Bianca (m. 1388), per poi raggiungere in breve le baite della Foppa (m. 1408). Proseguiamo verso sud superando due altri valloncelli, in leggera salita, fino ai prati dell’alpeggio di Ronco (m. 1460). Superata una valletta ed un costone, lasciamo il sentiero principale (segnalazione) prendendo a sinistra e raggiungendo il Capanno della Foppa (m. 1470). Imbocchiamo poi un sentierino alle spalle del capanno che sale al limite superiore del prato, inoltrandosi, poi, nella pecceta, verso sinistra. Questo sentiero, segnalato da alcuni segnavia bianco-rossi, sale per un buon tratto verso sinistra, fino a raggiungere il limite inferiore di una radura (quota approssimativa: m. 1570), caratterizzata da un grande masso erratico. La parte bassa della radura è attraversata da un altro sentiero, che proviene da destra e prosegue verso sinistra, ed è segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi. Noi, però, lo ignoriamo, e, passando accanto al grande masso, saliamo alla parte alta della radura, superando anche una sorta di corridoio in una roccia. Prendendo a destra, troviamo una debole traccia di sentiero, che sale in diagonale verso destra, in un luminoso bosco di abeti e larici. Per un buon tratto la traccia è visibile, poi sembra perdersi, ma, se proseguiamo nella medesima direzione, la ritroviamo. Alla peggio, possiamo procede a vista, dal momento che il bosco è aperto e poco impegnativo. La traccia porta ad un’ultima radura, dove si congiunge con un sentiero ben visibile che procede pianeggiante. Seguiamo, ora, questo sentiero (segnalato da segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi) verso sinistra, fino al limite di un ampio alpeggio dei Campelli. Portiamoci, quindi, alla prima baita che vediamo (la più bassa, sul limite sinistro), sulle cui mura troviamo una duplice indicazione: proseguendo verso sinistra si imbocca il sentiero per Bolveggio, mentre prendendo a destra continuiamo nell’itinerario segnalato dai segnavia rosso-bianco-rossi. Guardando dalla baite verso sud-ovest possiamo scorgere un’ampia sezione della testata della Valle di Scais, con i pizzi di Scais e Redorta, sulla sinistra, ed il pizzo Brunone, al centro. Prendiamo, ora, a destra, risalendo i prati dell’alpeggio in diagonale, fra radi larici, fino a giungere in vista di una vasca di raccolta dell’acqua e della coppia di baite più alte. Appena oltre le baite una pista ci porta, in breve, ad intercettare, ad una quota di poco inferiore ai 1800 metri, la pista sterrata che dalla località Campelli, sopra Albosaggia. Seguendo in salita la pista giungiamo ad una porta intorno a quota 2000, un punto, riconoscibile per un cartello di divieto di caccia, nel quale la strada passa fra il versante montuoso a sud ed un piccolo dosso a nord, cominciando a scendere leggermente in direzione sud-ovest. Proseguiamo scendendo ed entrando nell'ampio bacino dell'alpe Meriggio, fino a vedere una pista che si stacca sulla sinistra dalla principale. La seguiamo e ci porta alla baita dell'alpe La Tromba. Saliamo ancora, giungendo in vista della sella erbosa a sud-est del pizzo Meriggio. Qui intercettiamo un tratturo che sale alla sella, e lo percorriamo verso destra (in senso contrario, verso sud-ovest), scendendo alla casera del Meriggio (m. 2008). Non raggiungiamo la casera ma lasciamo sulla sinistra la pista e passiamo per un casello dell'acqua, afferrando un sentierino che sale con poche svolte verso ovest-sud-ovest al passo di Portorella (m. 2123). Scendiamo al bacino delle Zocche, portandoci ai tre laghetti. Dal laghetto maggiore e più a nord (m. 2061), sulla sua sinistra, imbocchiamo un sentierino che scende su un dosso verso nord-ovest e raggiunge la ben visibile baita del bivacco Baita di Sciüch (m. 2016). Ignorata la pista che scende, ci portiamo al lato opposto ed afferriamo un sentiero che sale leggermente verso sud-est, aggira un dosso e raggiunge in piano la baita Nova (m. 2040). Ci immettiamo su una pista che dopo breve salita confluisce in una pista maggiore. La seguiamo verso destra, scendendo dopo un ampio giro alle baite dell'alpe di Camp Scervér o della Casera. Scesi dalla pista al sottostante e vicino lago della Casera (m. 1920), risaliamo alla carozzabile e prendiamo a sinistra, fino a raggiungere l'ultima baita, il rifugio al Lago della Casera (m. 1966, bandiera italiana).Il ritorno a San Salvatore avviene ridiscendendo al lago della Casera ed imboccando il marcato sentiero, che troviamo sul suo lato sinistro, che scende seguendo la valle della Chiesa, fino al bivio per il quale siamo passati salendo da San Salvatore in Valle del Livrio, all'andata. Qui ripercorriamo il sentiero già percorso all'andata, scendendo diretti nel bosco di larici, fino al parcheggio della località Alla Ca', a monte di Albosaggia. Seguendo la pista ci riportiamo infine al parcheggio di San Salvatore, dove recuperiamo l'automobile. |
Val Venina
Le valli del Livrio e di Venina, nel cuore delle Orobie centrali, a monte di Albosaggia, possono essere combinate ad anello da una splendida escursione, articolata in due giornate (ma anche in una sola, se si utilizzano due automobili) che, fra l’altro, tocca una successione di splendidi laghi alpini, dai maggiori lago di Publino e Venina, ai minori ma suggestivi laghetti delle Zocche e lago della Casera. L’anello prevede la salita da San Salvatore al rifugio Caprati al Publino, la traversata dalla Valle del Livrio a quella di Venina per il passo di Scoltador, la discesa al lago di Venina e ad Ambria e la poco nota traversata a mezza costa da Ambria al bivacco Capanno della Foppa. Il ritorno a San Salvatore tocca lo splendido sistema di alpeggi del Meriggio, passando per l’alpe Campelli, l’alpe Meriggio, la piana delle Zocche e quella della Casera. Se disponiamo di due giorni possiamo appoggiarci al bivacco (locale invernale) del rifugio Caprari (non gestito). Se invece vogliamo percorrere l’anello in una sola giornata lasciamo un’automobile ad Ambria (la raggiungiamo salendo da Piateda alle frazioni alte, prendendo a destra a Monno, percorrendo la stradina che si addentra in Val Venina, prendendo a destra ad un bivio e lasciando l’automobile al cartello di divieto di transito ai mezzi non autorizzati) ed una seconda a San Salvatore. Vediamo come procedere.
Ci portiamo a San Salvatore in automobile
salendo da Albosaggia (cui si sale lasciando la ss.
38 dello Stelvio, al primo svincolo a destra – per chi viene da
Milano – o all’ultimo svincolo a sinistra della tangenziale
di Sondrio, svoltando poi a destra – o sinistra -, attraversando
il ponte sull’Adda, piegando subito a sinistra e cominciando a
salire fino al centro,
che si raggiunge dopo aver ignorato la deviazione a sinistra per la
Moia). Raggiunto il centro, non saliamo alla piazzetta del municipio,
ma proseguiamo, passando a sinistra della famosa torre Paribelli, con
un brevissimo tratto in discesa. La prima curva a destra, lasciamo la
strada sulla sinistra e, seguendo le indicazioni, cominciamo a percorrere
la stradina asfaltata che, dopo 8,3 km, giunge a S. Salvatore, passando
per S. Antonio (a 5,2 km dal centro: qui troviamo una
chiesetta recentemente restaurata), e Cantone (a 7 km dal centro). L’ultimo
tratto prima di S. Salvatore è molto ripido:
se siamo in molti su un’automobile poco potente, può essere
che questa non ce la faccia.
Lasciata l’automobile a S. Salvatore, sostiamo per un po’
presso l’antichissima chiesetta, una delle prime in terra di Valtellina,
risalente, forse, al VI secolo, quando ancora in Valle del Livrio era
presente il paganesimo e quando i cristiani del versante bergamasco
venivano fin qui per seppellire i loro morti, data la
prevalenza del paganesimo nelle loro zone. Di fronte alla chiesa si
trova anche il rifugio Saffratti. Dobbiamo ora percorrere tutta la Valle
del Livrio (val del lìri), fino al passo di Publino,
al centro della sua testata. Il nome della valle è probabilmente
da una radice assai antica, forse ligure, con riferimento all'acqua
ed ai corsi d'acqua. Possiamo risalire la valle per due vie (che,
ovviamente, possono essere combinate ad anello di andata e ritorno).
La prima, via alta, passa per il rifugio Caprari al lago di Publino,
la seconda, invece, la via dei mercanti o Via Cavallara, si tiene sul
fondovalle, fino al gradino principale, che risale fino ai piedi del
passo. Scegliamo la prima per salire, la seconda per scendere.
Portiamoci, seguendo la carrozzabile che prosegue (oltre lo svincolo
a destra per la chiesetta di S. Salvatore) risalendo l’alpeggio,
fino al parcheggio terminale in località alla Ca',
m. 1516 (fin qui possiamo portarci anche con l’automobile; in
tal caso, però, ci conviene poi tornare per la medesima via di
salita). Qui un cartello indica la partenza di un sentiero, ben segnalato,
che sale nella magica atmosfera di un bellissimo bosco di larici, fino
a sbucare in un'ampia radura nel cuore della Valle della Casera, alla
sommità della quale si trova un secondo cartello, in corrispondenza
di un bivio, ad una quota approssimativa di 1830 metri. Qui giunge anche,
da sinistra, e termina una pista sterrata, che si stacca dalla pista
principale che dalla Ca’ sale fino agli alpeggi sotto il pizzo
Meriggio. I cartelli indicano che proseguendo
diritti nella salita si raggiunge il bellissimo lago della Casera (dato
a 30 minuti di cammino) e, poco sopra, il rifugio Baita Lago della Casera.
Piegando a destra, invece, si imbocca il
sentiero pianeggiante che segue il canale di gronda della Sondel, alla
volta del rifugio Caprari (dato a 2 ore e 20 di cammino).
Prima di proseguire, guardiamo in direzione nord: splendido è
il colpo d’occhio sui Corni Bruciati e sul Monte Disgrazia e,
alla loro destra, sull’intera testata della Valmalenco.
Prendiamo, dunque, a destra e, dopo una decina di minuti, raggiungiamo
il bivacco
Baita Calchera (m. 1830), sempre aperto, un ottimo punto
di appoggio per una pausa bucolica o forzata in una escursione. Il sentiero
prosegue per un lungo tratto con andamento pianeggiante, mentre, alla
nostra destra, si mostra la costiera occidentale della Valle del Livrio,
che propone, da destra, pizzo Pidocchio (m. 2329), il monte Vespolo
(m. 2385), la cima Pizzinversa (m. 2419), la cima Sasso Chiaro (m. 2395),
il pizzo Cerech (m. 2412) e la cima Tonale (m. 2544), oltre la quale
è facilmente riconoscibile la larga sella del passo omonimo,
che congiunge Valle del Livrio e Val Cervia. Sull’angolo
di sud-ovest della valle, si distingue l’elegante cono del Corno
Stella (m. 2621), una delle più classiche mete escursionistiche
nelle Orobie centrali. Il Corno è riconoscibile anche per il
vasto fronte di rocce biancastre che si stende ai piedi del suo versante
settentrionale. Proseguiamo, con lo sguardo, verso sinistra: seguono
due cime minori e poco pronunciate, ed un intaglio, che parrebbe essere
la nostra meta, il passo di Publino; così non è, per,
perché il passo è ancora più a sinistra (est).
Dopo aver attraversato una prima galleria, raggiungiamo il ripido solco
della valle di Camp Cervè, che il sentiero, con tratti protetti,
supera anche grazie ad alcune gallerie scavate nella roccia. Le prime
due non offrono problemi, ma la terza, un po’ più lunga,
ci permette di apprezzare l’utilità di una torcia, che
non dovrebbe mai mancare nello zaino di un escursionista. Dopo una quarta
ed ultima galleria, raggiungiamo un’ampia radura, alla quale scende
la valle della Biorca (o Biolca, dal mantovano “biolca”,
bue, oppure dal dialettale “biork”, forca), con una baita:
in basso distinguiamo la decauville che collega lo sbarramento del lago
di Publino con quello di Venina, nella valle omonima ad est della Valle
del Livrio.
Prima di accedere ai prati, troviamo, sul terreno, la ben visibile indicazione
“Publin”, con segnavia rosso-bianco-rosso, che segnala un
sentierino che si stacca sulla sinistra dal sentiero fin qui percorso,
e comincia a risalire, con rapidi tornantini, un ripido versante di
bassa vegetazione. Poi il sentiero piega a destra e comincia la lunga
traversata che ci condurrà al lago di Publino. La testata della
valle di allarga, ed ora vediamo il passo di Publino, posto sul suo
più basso intaglio; alla sua sinistra si distingue un lungo crinale
che culmina con la cima del pizzo di Zerna (m. 2512). Alle nostre spalle,
invece, ricompaiono i Corni Bruciati, il monte Disgrazia e la testata
della Valmalenco.
Testata della Valle del Livrio
Proseguendo nel cammino, con qualche saliscendi, incontriamo un masso
con il doppio segnavia rosso-bianco-rosso e rosso-giallo-rosso (quello
più antico) e con le frecce per il rifugio Caprari e S. Salvatore,
poi due baite che precedono la segnalata baita Scoltador (m. 2048),
alle spalle della quale parte, sulla sinistra, il sentiero che sale
all’omonimo passo (m. 2454), dal quale si scende in Val Venina,
seguendo la Gran Via delle
Orobie. Se abbiamo guardato in alto a sinistra, percorrendo l’ultimo
tratto del sentiero, abbiamo potuto distinguere la sella del passo,
scorgendo il cartello che la presidia. Pochi sforzi ancora, e siamo
alle modeste balze che precedono il lago di Publino (m. 2134), ad ovest (destra) del quale si trova il rifugio Amerino
Caprari (m. 2118), nel territorio del comune di Caiolo. Ora
vediamo anche la parte orientale della testata della valle, che ha la
sua massima elevazione nel monte Masoni (m. 2663), che si specchia nelle
acque del lago, poco a sinistra del pizzo di Zerna.
Vale la pena di leggere come si presentò il lago sul finire dell'ottocento
allo sguardo del dott. Paolo Pero, professore di storia naturale al
Liceo Ginnasio "G. Piazzi" di Sondrio, che così scrive,
in "I laghi alpini valtellinesi" (Padova, 1894): "Presso
l'estremità superiore della valle del Livrio, chiusa a sud dalla
scoscesa cerchia montuosa costituita dal pizzo Zerna (m. 2567) e dal
monte Masoni (m. 2631), vi sono due graziosi laghetti, chiamati Laghi
del Publino, dai quali hanno origine le acque del torrente Livrio. Essi
sono circondati intorno da roccia in posto e separati fra loro da depositi
d'origine secondaria, in parte glaciali, in parte franosi, che
derivano dallo sfacelo delle creste montuos, che s'innalzano a E., a
S. e a O. di questi laghi. Il più piccolo di essi, posto alquanto
più verso S., scarica le sue acque nel secondo, attraverso il
detrito sopra menzionato. Si scorge quindi come in orogine dovevano
formare un lago solo: la loro divisione venne operata in seguito dal
lavoro e trasporto di materiali compiuto dalle forze esogene. Il maggiore
di questi due laghi, pertanto, il solo degno di particolar studio, è
limitato a N. dalla roccia in posto, che sorge in forma di ampi cocuzzoli
arrotondati, di cui il versante minore, interno, si continua colle sponde
del lago, ed il versante maggiore, esterno, s'innalza quasi perpendicolarmente
sulla valle, per l'altezza di circa 200 metri. Questo è dunque
un lago
orografico. La roccia appartiene a quella speciale formazione di Gneis
detto di Suretta o di Spluga, dalla località della valle del
Liro, dove specialmente si sviluppa. Esso è un gneis biancheggiante,
a struttura granitica, dai grandi cristalli di feldspato mescolati con
frammenti di quarzo e con poche pagliette di mica... Il lago presenta
una bella forma ovale la cui maggior lunghezza va da S. a N. Le sponde
sono piuttosto ripide, eccettuata quella verso S. che è formata
dal detrito trasportatovi continuamente dal ripido versante montuoso
che s'innalza a S.E. Verso O. la sponda si abbassa pure notevolmente,
per piccolo tratto, ed ivi si apre l'emissario, che, dopo breve percorso,
precipita per lo scosceso dirupo del versante esterno del lago. Le sponde
sommerse, che mantengono la stessa inclinazione della parte esterna,
sono coperte di ciottoli e di poco limo, sul quale trovasi piuttosto
scarso il feltro organico. La sua altitudine è di 2104 m. e la
superficie di 84.000 m.q. Le sue acque hanno un colore verde oscuro,
non ben rappresentato da nessun numero della scala Forel; il più
rappresentativo sarebbe il numero V. La temperatura interna era di 10
gradi centigradi e l'esterna di 12,3 gradi centigradi alle ore 10 e
mezza del giorno 19 luglio 1893, essendo il cielo assai nuvoloso." Nel secondo dopoguerra venne costruito lo sbarramento artificiale del
lago, che assunse la portata di 5 milioni di metri cubi, e la condotta
forzata che alimenta la centrale di Publino, costruita fra il 1949 ed
il 1951 dalla Società AFL-Falck.
Torniamo, dopo questo doveroso omaggio di informazioni, al racconto
dell'escursione. Siamo in cammino da circa tre ore e mezza, ed una pausa,
prima dell’ultimo strappo, si impone.
Ci rimettiamo in cammino dal rifugio Caprari (m. 2118), alla volta del passo dello Scoltador, che si può raggiungere con due differenti percorsi. Quello un po’ più lungo ma forse meno faticoso prevede di percorrere per un tratto il sentiero 220, che traversa in direzione nord. Si tratta del sentiero percorso in direzione inversa da chi sale al rifugio da San Salvatore, cioè dal maggengo a monte di Albosaggia. Dopo qualche saliscendi il sentiero porta alla baita dello Scoltador (m. 2048), dal tetto in lamiera. Qui lasciamo il sentiero 220 (segnalato dal cartello che dà la Valle della Casera ad un’ora e 30 minuti) e prendiamo a destra, seguendo il cartello della G.V.O. che dà il passo dello Scoltador ad un’ora e 20 minuti. Nella raversata dalla Valle del Livrio alla Val Venina seguiamo, infatti, la Gran Via delle Orobie, o Sentiero Bruno Credaro.
Baita dello Scoltador
Dobbiamo ora prestare attenzione ai segnavia perché la salita al passo sfrutta una traccia debole ed intermittente, su un versante peraltro che non offre particolari problemi. Saliamo più o meno al centro di un largo dosso, fra strisce di pascolo e roccette, zigzagando in direzione sud-est. Attraversiamo poi da destra a sinistra il vallone che scende dal passo. Giungiamo così in vista della parte alta del vallone. Guadagniamo un po’ quota sul lato di sinistra (per noi), poi puntiamo diritti, in direzione sud-sud-est, alla sella del passo. Tagliato un crinale erboso, attraversiamo un corpo franoso e di nuovo su strisce di pascoli ci portiamo salendo gradualmente ai 2454 metri del passo dello Scoltador, (pàs dul Scürtadòor) che apre davanti ai nostri occhi lo scenario dell’alta Val Venina (Val Vinìna).
Apri qui una fotomappa della salita al passo dello Scoltador
In passato il passo era frequentato non solo da persone, ma anche da bovini e muli. Infatti ancora fino all'inizio dell'Ottocento veniva sfruttato per trasportate il ferro di prima lavorazione della Val Venina al forno fusorio in media Valle del Liri. Ma il passo era interessato anche dai commerci dei prodotti caseari e presso il passo c'era una baita dove venivano cambiati i muli che trasportavano il formaggio della Val Venina verso Branzi, in Val Brembana, per il passo di Publino.
Lasciamo alle spalle, con la valle del Livrio (Val dul Lìri), una sequenza di tipiche valli ad U (Val Madre, Val Cervia e Valle del Livrio, appunto), con soglia sospesa ed andamento lineare verso sud, per entrare nell’ampio bacino di quella che complessivamente viene chiamata Val Caronno, ma anche Val Venina. Il bacino si articola nella parte alta in quattro valli disposte a raggiera, che la Gran Via delle Orobie attraversa, partendo appunto da quella Val Venina che si distingue per l’ampio bacino artificiale che vediamo alla sinistra sinistra, in fondo all’ampio corridoio di pascoli dell’alta valle. Si tratta di una valle tranquilla, coronata da cime poco appariscenti. Ben più significative le cime che si annunciamo più ad est.
Apri qui una fotomappa del sentiero che scende dal passo dello Scoltador in Val Venina
Il primo tratto della discesa in Val Venina, abbastanza ripido, procede diritto verso est, con pochi tornanti. Poi la pendenza si smorza e ad un tornante dx lasciamo alla nostra sinistra un sentiero che scende al fondovalle poco a monte del bacino di Venina. Attraversata una fascia di massi in diagonale verso sinistra, pieghiamo leggermente a destra e scendiamo in direzione est fra modesti dossetti erbosi, fino a raggiungere il ciglio di un ripido versante solcato da salti rocciosi. Ad una serie di tornanti dx-sx-dx-sx, segue un lungo traverso verso sinistra che, superato un avvallamento, ci porta al centro di un largo dosso. Riprendiamo a scendere in direzione est, con una sequenza di cinque coppie di tornanti sx-dx. Dopo l’ultimo tornante dx, scendiamo ad attraversare di nuovo il medesimo vallone attraversato più a monte. La cose si ripete cinque volte nell’ultima parte della discesa, che ci porta poco sopra il pianoro dell’alta valle, che però non raggiungiamo, perché il sentiero, a quota 2150 m. circa, prende a destra ed inizia a descrivere un ampio arco dapprima in piano, poi in leggera discesa, portandoci sul lato orientale dell’alta Val Venina, ai piedi del suo crinale terminale. Si tratta in realtà di un vero e proprio tracciolino usato fino ad inizio Ottocento per portare il ferro ai piedi del versante occidentale della valle, per poi salire al passo dello Scoltadòr e scendere ai Forni della Valle del Liri.
Apri qui una panoramica sulla Val Venina
Raggiungiamo così un ampio ripiano, alla palina di tre cartelli escursionistici (m. 2120 circa). Ignorata la direzione per Casera Vecchia ed il lago di Venina (sentiero 254), seguiamo le indicazioni della GVO per il passo Brandà (dato a 50 minuti), le baite Cigola (date ad un’ora e 50 minuti ed il passo del Forcellino (dato a 3 ore e 10 minuti). Prendiamo dunque a destra e riprendiamo a salire, in direzione nord-est. Raggiungiamo in breve un ben visibile manufatto di forma cilindrica, con un’apertura circolare nel mezzo. Si tratta, come illustra un cartello, del Forno del Ferro in località “La Vena” (Furegn dal Fèr, m. 2165). Nei suoi pressi si trovava, infatti, la miniera di ferro più importante della zona, sfruttata già dal 1300, ed ancora attiva nella seconda metà dell’Ottocento, quando il materiale veniva portato all’altoforno di Premadio per essere fuso. Nei pressi del forno fusore, infatti, troviamo ancora qualche cumulo di materiale rossastro, residuo dell’attività estrattiva. C’è da ricordare che vi furono periodi in cui il minerale veniva portato, per la lavorazione, nella vicina valle del Livrio, attraverso il passo dello Scoltador, che vediamo proprio davanti a noi, insieme al sentiero che, con diverse diagonali, lo raggiunge. La prima lavorazione del ferro in questo ed in altri forni richiedeva la combustione di grandi quantità di legna, il che spiega come mai la Val Venina abbia un limite boschivo molto più basso rispetto alle altre valli orobiche.
Il Forno del Ferro
Il cartello ci offre queste notizie: “Giacimenti di minerali ferrosi, prevalentemente a minerale di ferro siderite, sono sparsi lungo tutta la fascia meridionale del versante Orobico. Questi giacimenti hanno rappresentato nei secoli passati la maggior risorsa mineraria di ferro in Lombardia. Sul versante orientale della Val Venina, oltre i 2000 metri di altitudine, esistevano miniere di ferro il cui sfruttamento ebbe inizio già dal 1300 e si protrasse, pur intercalato da periodi di inattività, fino al 1800. Il minerale estratto durante il XVII secolo subiva una prima lavorazione nel forno di maggiori dimensioni in località Vedello. Il manufatto funzionava con carbone di legna, si dice infatti che il disboscamento della valle ebbe luogo in seguito a questo tipo di utilizzazione. Un progressivo abbassamento della temperatura (piccola era glaciale medioevale) rese assai difficile la vita e il lavoro a queste quote per cui le cave e l’attività estrattiva furono progressivamente abbandonate. Costi di escavazione troppo elevati e difficili vie di comunicazione portarono alla definitiva cessazione di ogni attività dopo il 1874.”
Si legge poi nella "Guida alla Valtellina" edita dal CAI di Sondrio del 1884 (a cura di Fabio Besta): "Al di là dell'ultima casera, alle falde del monte che si alza ad oriente, si vedono alcune gallerie scavate nella roccia. Sono le gallerie di un'antica miniera (vena) di ferro carbonato. Si coltivava già sotto i Visconti, duchi di Milano e Signori per oltre un secolo (1335-1447) della Valtellina. Il Quadrio si duole perché ai tempi suoi (1755) si lasciava inerta. Più tardi il minerale per il passo della Vena veniva trasportato nella Valle del Livrio, ricca di combustibile: là subiva una prima fusione e dalla ghisa formansi proiettili ad uso di guerra. Per alcun tempo si trasportò fino a Bormio; e ora da parecchi anni la miniera è di nuovo abbandonata, come lo sono tutte le altre della Valtellina".
Val Venina
Lasciamo le indicazioni della G.V.O. che segnalano il sentiero che sale al passo di Brandà e cominciamo a scendere lungo la Val Venina, in direzione del grande bacino di Venina che già
si impone al nostro sguardo.
Passiamo a sinistra del
torrente Venina, seguendo i segnavia che ci guidano su un sentiero non
sempre evidente. Ma il terreno è tranquillo, e la discesa è
molto riposante, per i piedi e per lo spirito. Il primo tratto della
discesa, superato un facile saltino, ci porta alla baita dell’Alpe
Venina (m. 2017), che può fungere da ricovero temporaneo in caso
di necessità. Proseguiamo, scorgendo, nella finestra che si apre
sul versante retico, una cima che, di primo acchito, non riconosciamo:
poi, guardando bene riconosciamo il monte Disgrazia, che si mostra,
da questo lato insolito, come un’affilata piramide. Superiamo,
poi, le baite Dossello (m. 1946) e, tocco di esoterismo inatteso, dei
Maghi (m. 1900), raggiungendo la casera Vecchia (m. 1839), dove la traccia
piega a destra e supera di nuovo, su un ponticello, il torrente, per
poi scendere a percorrere il lato orientale (destro, per noi) del grande invaso di Venina (m. 1823).
Lo sbarramento, costituito da poderosi archi multipli, venne terminato
nel 1926 (proseguendo la discesa potremo vedere, sul lato opposto della
valle, i resti delle case del cantiere) e può contenere 11 milioni
di metri cubi d’acqua. Al termine del sentiero, eccoci alla casa
dei guardiani, che è anche punto da cui si possono effettuare
le chiamate di emergenza al soccorso alpino.
Lago di Venina
Lo sbarramento idroelettrico ha sostituito il precedente lago naturale. È interessante leggere come lo descrive, sul finire dell’Ottocento, Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista, che molto amò queste montagne:
“Una breve sosta sui bordi del lago (1853 m.) mi permette di costatare la presenza di una grande quantità di Cottus gobio, le cui grosse teste escono dall'acqua ai bordi del lago e di trovare in piena nidificazione, sui pendii della montagna, l'Anfhus pratensis. La valle sotto il lago è ancora così ingombra di valanghe che per scendere ad Ambria dobbiamo camminare per un lungo tratto su una specie di grande volta sotto la quale si sente il rumore del fiume. Poi Ambria appare con la sua chiesetta bianca, il suo piccolo cimitero dove l'erba nasconde le umili croci, colle sue povere case annerite dal fumo.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998). Ecco, invece, la descrizione offerta dalla già citata Guida alla Valtellina: "In fondo sta un ampio lago di purissime acque (1853 m.), attorno attorno su per la china dei circostanti monti appaiono ricchi pascoli, assai popolati di mandrie nella state."
Inizia
l’ultima parte della discesa, sul fianco destro della valle, che
ora, repentinamente, muta il suo volto, incassandosi e facendosi rocciosa
ed aspra. Stiamo percorrendo il sentiero delle cosiddette Scale di Venina.
La denominazione fa riferimento al fatto che in diversi punti il tracciato
è scavato nella roccia, ma probabilmente rimanda anche al significato
di “scala” che, nel lessico lombardo, si riferisce ai salti
rocciosi. Eccone la descrizione nella già citata "Guida alla Valtellina": "Sono queste scale ripidi risvolti della via scavata quasi interamente nella roccia. Superate che esse siano la strada entra in una stretta gola di selvaggia bellezza. Le nere rupi si scoscendono a picco, e giù nel profondo burrone rimoreggia il torrente." (nota: la descrizione si riferisce alla salita in Val Venina). Nel primo tratto della discesa siamo quasi sospesi
su una forra cupa, poi la valle torna ad allargarsi un po’, tanto
che approdiamo al maggengo di Precarè (m. 1464). Alla fine, ricompare,
in una suggestiva prospettiva dall’alto, Ambria (m. 1325), cui scendiamo
con un ultimo ripido tratto.
Ecco come la Guida alla Valtellina della sezione valtellinese del CAI (1884, II edizione, a cura di Enrico Besta) descrive il borgo: "Da Vedello, volgendo a destra, si sale in tre quarti d'ora, lungo un'angusta valle, ad Ambria (1360 m.), povero villaggio sepolto fra rupi, dove è una quiete che manca di fascino. Gli abitanti durante l'estate attendono ai pascoli e alla raccolta del fieno, nel lungo inverno fabbricano scale, sedie e culle, gerle e campaggi, e così traggono di che vivere. Il parroco è per essi sacerdote, maestro, medico e consigliere, ed è anche per gli alpinisti che visitano questi luoghi una vera provvidenza, perché presso di lui, che tiene osteria, possono sempre trovare modesto alloggio e di che mangiare."
Val Caronno e Val Venina
Ambria è oggi abitata solo nei mesi della buona stagione, ma in passato ebbe grande importanza: nonostante la sua posizione di nucleo montano raggiungibile solo con lunga marcia dal piano o da altri nuclei di media montagna, godette, fin dal medio-evo, di grande vitalità, soprattutto grazie ai commerci con la bergamasca per le valli di Ambria (passo Cigola) e Venina (passo Venina), costituiti in gran parte dai minerali estratti in queste valli. Non stupisce, quindi, che Ambria sia menzionata, insieme ai comuni della Valtellina, nell'Estimo generale del 1531: da esso risultano case e dimore per un valore complessivo di 19 lire, orti che hanno un valore complessivo di 1 lira, 25 pertiche di campi del valore di 11 lire, 88 pertiche di prati e pascoli per 35 lire; boschi e proprietà comuni per 25 lire, una segheria del valore di 1 lira; il valore complessivo dei beni è valutato 96 lire (per avere un termine di paragone, il valore complessivo dei beni di Piateda è valutato 8253 lire, quello dei beni di Boffetto è di 2950 lire). Non stupisce neppure che, nel 1589 Feliciano Ninguarda, vi trovasse 20 famiglie (100-120 abitanti, con dato congetturale) e che vi fosse la vice-cura (viceparrocchia) legata alla chiesetta di San Gregorio. Ecco quel che scrive:
"A due miglia abbondanti da Piateda vi è la Valle detta di Ambria in cui trovansi due chiese, una nella contrada di Ambria, dedicata a San Gregorio, che è vicecurata soggetta all'arcipretura di Tresivio da cui dista otto miglia, l'altra fuori dall'abitato, dedicata a San Bartolomeo Apostolo: in questa vallata vi sono oltre venti famiglie cattoliche".
Ambria
L'antichità del borgo (testimoniato nel 1254; il Quadrio afferma che era già abitato nel secolo XI), nato molto probabilmente dalla colonizzazione di pastori provenienti, nel medio-evo, dal versante bergamasco, è, infine, testimoniata da ulteriori elementi. L'etimo, innanzitutto, peraltro incerto: forse è da un nome etrusco, "Amre" o dalla base prelatina "ad-umbrivo", nel significato di "in ombra"; forse è dalla radice germanica "ambr", per "acqua". Nel tardo medio-evo, infine, venne costituita la singolarissima (per il luogo) entità feudale del ducato di Ambria, che ricadeva nei domini dei Visconti di Milano (signori, dopo il 1335, della Valtellina), e vi fu eretto un castello, di proprietà della potente famiglia degli Ambria; ducato e castello non sopravvissero alla dominazione delle Tre Leghe Grigie, iniziata nel 1512. Restano, oggi, i ruderi della torre (Toor de Ambria), a sud di Ambria e ad ovest del sentiero per la Val Venina, un manufatto con base quadrata di 8 metri per lato.
Ambria e l'imbocco della Val Venina
Non fu però l'inizio di una decadenza verticale. Nel 1861 Ambria contava 83 persone mentre nel 1938 risiedevano permanentemente ad Ambria 224 abitanti, soprannominati "càa" (cani), secondo l'antica consuetudine di battezzare gli abitanti delle diverse frazioni di un comune con soprannomi vagamente denigratori.
Nel secondo dopoguerra iniziò un progressivo spopolamento. L'ultimo abitante a risiedervi stabilmente fu Arrigo Filippini. Dopo la sua morte (1958), il paese è rimasto per buona parte dell'anno deserto, anche se nella bella stagione la vita torna a rifiorire per le numerose famiglia che vi salgono per la villeggiatura.
Ambria |
Portale medievale ad Ambria |
Merita assolutamente una visita la chiesetta di san Gregorio, edificata nel 1615 su quel che restava di una chiesetta preesistente. Nei secoli passati vi era custodita una pregevole e grande croce in legno, ora nella casa parrocchiale di Fusine, croce legata ad una singolare leggenda. Nel Seicento la adocchiarono e rubarono, si narra, due abitanti della bergamasca, che si diedero alla fuga risalendo in tutta fretta a Val Venina. Prima, però, che potessero varcare il passo di Venina, il cielo si fece scuro e cominciò a piovere a dirotto, ma non comune pioggia, bensì una densa pioggia di sangue. I due furono colti da terrore di fronte a quel chiaro segno dell'ira divina e lasciarono la croce sotto una grande roccia, prima di proseguire la fuga. Gli abitanti di Ambria, scoperto il furto, vennero presi dallo sconforto, ma qualcuno udì un misterioso scampanellio, come di una capra che si fosse persa sulle balze delle Scale di Venina. Decisero di vederci chiaro e si incamminarono verso la valle. Lo scampanellio li precedeva, era sempre un po' più avanti, ma nessuna animale si vedeva, e così per l'intero solco della valle.
Il lago di Zappello in una fase di "minima"
Quando giunsero in prossimità della sua testata, là dove il sentiero si impennava per salire al passo di Venina, il suono si fece più debole e scomparve. Si fermarono, quindi, smarriti, ma qualcuno notò una sagoma nota sporgere da un roccione. Era la croce, e la recuperarono levando al cielo preghiere di lode e di ringraziamento. Oggi la croce torna nella chiesetta di Ambria solo in occasione della festa della Madonna della Neve, la seconda domenica di agosto.
Dopo
una breve visita alla chiesetta di san Gregorio, edificata nel 1615
su quel che restata di una chiesetta preesistente, proseguiamo nella traversata che ci riporterà sul versante orobico che si affaccia alla media Valtellina, a monte di Albosaggia.
Il capanno della Foppa
Da Ambria scendiamo a recuperare l’automobile, se abbiamo effettuato la traversata in una sola giornata utilizzando due automobili. Se invece abbiamo articolato la traversata in due giorni, scendiamo per circa un km. lungo una pista sterrata, fino a trovare, sul lato sinistro, la partenza di un sentiero che effettua una lunga traversata a mezzacosta sul fianco occidentale della Valle d’Ambria e della Val Caronno. Dopo un lungo traverso il sentiero supera due valloncelli e sale ripido alle baite di Corna Bianca (m. 1388), per poi raggiungere in breve le baite della Foppa (m. 1408). Proseguiamo verso sud superando due altri valloncelli, in leggera salita, fino ai prati dell’alpeggio di Ronco (m. 1460).
Apri qui una panoamica sulla valle di Scais dal sentiero a monte del Capanno della Foppa
Superata una valletta ed un costone, lasciamo il sentiero principale (segnalazione) prendendo a sinistra e raggiungendo il Capanno della Foppa (m. 1470). Il capanno, sempre aperto, è di proprietà del comune di Faedo (per informazioni, telefonare allo 0342 566066), ed è dotata di un caminetto, di sei panche e di acqua (che però non è sempre disponibile). Al prato della Foppa transitavano, nel mese di giugno ed una quindicina di giorni fra agosto e settembre, le mucche, prima e dopo il soggiorno agli alpeggi. Il panorama settentrionale dal Capanno propone, sulla sinistra, uno scorcio della testata della Valmalenco, dai pizzi della Sella al pizzo Roseg; al centro sono ben visibili la Corna Mara, la Corna Rossa, la Corna Nera, la Corna Brutana e la vetta di Ron; a destra, infine, si distingue il pizzo Combolo, sul versante orientale della bassa Val Fontana.
Imbocchiamo ora un sentierino al principio poco evidente, che parte alle spalle del capanno e sale al limite superiore del prato, inoltrandosi, poi, nella pecceta, verso sinistra. Questo sentiero, segnalato da alcuni segnavia bianco-rossi, sale per un buon tratto verso sinistra, fino a raggiungere il limite inferiore di una radura (quota approssimativa: m. 1570), caratterizzata da un grande masso erratico. La parte bassa della radura è attraversata da un altro sentiero, che proviene da destra e prosegue verso sinistra, ed è segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi.
Noi, però, lo ignoriamo, e, passando accanto al grande masso, saliamo alla parte alta della radura, superando anche una sorta di corridoio in una roccia. Prendendo a destra, troviamo una debole traccia di sentiero, che sale in diagonale verso destra, in un luminoso bosco di abeti e larici. Per un buon tratto la traccia è visibile, poi sembra perdersi, ma, se proseguiamo nella medesima direzione, la ritroviamo. Alla peggio, possiamo procede a vista, dal momento che il bosco è aperto e poco impegnativo. La traccia porta ad un’ultima radura, dove si congiunge con un sentiero ben visibile che procede pianeggiante. Seguiamo, ora, questo sentiero (segnalato da segnavia bianco-rossi e rosso-bianco-rossi) verso sinistra, fino al limite di un ampio alpeggio (alpe Campello, m. 1800).
Portiamoci, quindi, alla prima baita che vediamo (la più bassa, sul limite sinistro), sulle cui mura troviamo una duplice indicazione: proseguendo verso sinistra si imbocca il sentiero per Bolveggio, mentre prendendo a destra continuiamo nell’itinerario segnalato dai segnavia rosso-bianco-rossi. Guardando dalla baite verso sud-ovest possiamo scorgere un’ampia sezione della testata della Valle di Scais, con i pizzi di Scais e Redorta, sulla sinistra, ed il pizzo Brunone, al centro. Prendiamo, ora, a destra, risalendo i prati dell’alpeggio in diagonale, fra radi larici, fino a giungere in vista di una vasca di raccolta dell’acqua e della coppia di baite più alte.
Appena oltre le baite una pista ci porta, in breve, ad intercettare, ad una quota di poco inferiore ai 1800 metri, la pista sterrata che dalla località Campelli, sopra Albosaggia, sale agli alpeggi che si stendono ai piedi del pizzo Meriggio. Siamo sul crinale che dalla punta della Piada scende verso nord-est.
Saliamo seguendo la pista sterrata, fino ad un cartello che segnala un sentiero che si stacca dalla pista sul lato sinistro (sentiero 216) e dà il pizzo Meriggio in un'ora e 45 minuti. Torniamo così nel bosco di larici, ma a brevi intervalli tagliamo di nuovo la pista.
Panorama dall'alpe Tromba (clicca qui per aprire)
Giungiamo così, intorno a quota 2000, ad una porta, riconoscibile per un cartello di divieto di caccia, nel quale la strada passa fra il versante montuoso a sud ed un piccolo dosso a nord. Seguendo le indicazioni del sentiero 217 (cartello che dà l'alpe Meriggio a 30 minuti) proseguiamo sulla pista scendendo per un buon tratto. Poi una leggera salita ci porta ad un bivio: mentre la pista principale prosegue per l'alpe Meriggio, una pista secondaria se ne stacca sulla sinistra e porta alla baita dell'alpe La Tromba (che probabilmente troveremo sempre aperta in caso di necessità). Saliamo oltre la baita, in direzione dell'evidente sella erbosa che si affaccia sulla Val Venina. Raggiungendo la sella e proseguendo verso destra sul crinale possiamo salire facilmente al pizzo Meriggio (m. 2356).
L'alpe Meriggio
Noi prendiamo però a destra e ci portiamo ad un tratturo che sale alla sella, seguendolo in direzione contraria, cioè verso destra (sud-ovest). La pista traversa, in leggera discesa, sotto il crinale orientale del pizzo Meriggio e si porta alla parte alta dell'ampia spianata dell'alpe Meriggio. Giungiamo così in vista della casera del Meriggio (m. 2008), verso la quale scendiamo gradualmente. Prima di raggiungerla, però, la lasciamo sul lato sinistro, puntando ad un casello dell'acqua. Nostra meta è il passo di Portorella, il piccolo ma ben visibile intaglio sulla costiera che scende a nord dal pizzo Meriggio e separa le due grandi sezioni degli alpeggi del sistema Campelli-Meriggio e Camp Scervér. Un sentierino, all'inizio poco visibile, poi su un dosso erboso più marcato, la raggiunge con poche svolte.
Il passo di Portorella
Siamo al passo di Portorella (m. 2123). Sul lato opposto si apre la splendida spianata delle Zocche, ripiano di pascoli dolcemente ondulato che ospita tre graziosi laghetti (i laghetti delle Zocche). Il sentiero porta ad un bivio, al quale proseguiamo diritti, scendendo presso i due laghetti più piccoli: alla nostra destra un pozza, a sinistra il laghetto intermedio. Per raggiungere quello più grande dobbiamo puntare a nord: dietro un modesto dosso erboso e poco oltre un calecc' (abbozzo in pietra di quattro mura sopra le quali un tempo i pastori stendevano un telo per allestire una dimora temporanea nel giro che seguiva gli spostamenti delle mandrie) ecco la riva meridionale del laghetto delle Zocche (làach de li Zochi, m. 2061, menzionato nel documento di affitto del 1779 in cui ser Bernardo Petrucci affitta gli alpeggi circostanti a ser Giuseppe Speziali di Campo Tartano).
Il laghetto non gode di buone condizioni di salute: i segni dell'invasione della vegetazione che ne decreterà la morte per interramento sono ben evidenti. Lo sguardo del monte Disgrazia si posa sulle sue acque tranquille, superando qualche larice sparuto. Sul lato opposto, a sud, distinguiamo il pizzo Meriggio (piz Meric', m. 2346: lo riconosciamo per la croce di vetta).
Apri qui una panoramica sui laghetti delle Zocche
Dobbiamo ora portarci sulla sinistra (ovest) e cercare il sentierino che scende verso nord, su un largo dosso con qualche larice, giungendo in vista di una baita solitaria. Piegando leggermente a sinistra superiamo un modesto corso d'acqua e ci portiamo al bivacco Baita di Sciüch (m. 2016), alle cui spalle occhieggia la testata dela Valmalenco. La struttura è davvero ben dotata: dispone di corrente elettrica e di acqua corrente; vi si trovano una postazione di soccorso, un'ampia cucina con stufa e tavoli, servizi igienici e sei posti letto. Dal bivacco una pista scende ad intercettare la pista principale che traversa tutti gli alpeggi (quella stessa che parte dai Campelli). Noi però andiamo a sinistra, cioè a sud-ovest, dove vediamo la partenza di un sentiero marcato che sale leggermente in una macchia di larici, portandosi ad un dosso che aggira, traversando poi in piano ed uscendo dal bosco ad una nuova baita isolata. Si tratta della baita Nova (m. 2044), ristrutturata e dedicata dalla Polisportiva Albosaggia “a memoria dell'amico Eros Fagiolini e della sua passione per lo sport e la montagna”.
Il bivacco baita di Sciüch
Ci siamo affacciati all'ampio bacino della Casera, nel sistema di Camp Scervér (l'antico monte dei cervi, o “Campus Cervij”, venduto nel 1590 dagli uomini di Albosaggia al famoso nobile e diplomatico Giovanni Giacomo Paribelli). Sul lato opposto della baita troviamo una pista sterrata che dopo una breve salita scende ad intercettare un'altra pista (che a sua volta sale e traversa al bacino delle Zocche: potremmo sfruttarla salendo a sinistra se vogliamo effettuare un anello breve e cominciare quindi da qui il ritorno ai Campelli). Scendiamo verso sinistra e, dopo un ampio giro in senso orario, ci portiamo in vista delle cinque baite del Camp Scervér (o della Casera). Poco a valle della pista vediamo l'incantevole lago della Casera (m. 1920), in una conca morenica posta sul gradino di soglia dell'alpe. Le acque sono di un intenso color verde e dietro la linea dei larici che fanno corona a nord si intravvede il monte Disgrazia, che sembra voler sbirciare fra le fronde. Sul lato opposto, cioè a sud, domina invece un altro torrione, il pizzo Campaggio.
Lago della Casera
Nulla turba l'idilliaca composizione di questi luoghi, e non si può dar torto a Bruno Galli Valerio che scrive “...il simpatico lago della Casera… va annoverato tra i più artistici delle nostre Alpi” (op. citata). Possiamo scendere in pochi minuti dalla pista al laghetto, per ritrovarvi il gioco del turrito monte Disgrazia che fa capolino fra i larici.
Nulla turba l'idilliaca composizione di questi luoghi, e non si può dar torto a Bruno Galli Valerio che scrive “...il simpatico lago della Casera… va annoverato tra i più artistici delle nostre Alpi” (op. citata).
Passando dal versante artistico a quello naturalistico può essere interessante leggere, a distanza di oltre un secolo, le note che sul su di esso stese il dott. Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, nell’operetta “I laghi alpini valtellinesi”, edita a Padova nel 1894: “Sulla sponda destra della valle del Livrio, ad ovest del pizzo Meriggio (2317 m.), a metà circa della costa, si apre un'ampia ed assai amena conca, limitata da due creste montuose, che si distaccano dal pizzo suddetto verso S.O. e N.O. e che, degradando successivamente, si congiungono di nuovo per mezzo di alcuni cocuzzoli, i quali si continuano poi col versante proprio della valle. In questa concava superficie, variamente accidentata da piccole emergenze della roccia in posto, si trovano due piccoli laghi, il minore dei quali posto verso N. e alquanto poi in alto (2040 m.) è detto Lago di Zocca, il maggiore, più a S. e più in basso (1969 m.), è chiamato Lago della Casera, intorno al quale ho rivolto le mie solite ricerche. Esso occupa la parte più inferiore della conca sopra descritta, le cui minori balze lo chiudono a guisa d'ampio anfiteatro.
Il lago della Casera
Ha forma alquanto oblunga diretta da N. a S. Le sponde sono poco inclinate, specialmente verso E. per l’abbondante detrito che viè trasportato dai poggi circostanti, soprattutto per opera del suo affluente, che vi ha costruito in quella parte un esteso delta. Un tappeto erboso riveste idintorni del lago fin presso Io acque, dove laspiaggia si trasforma talora in palude od in giacimenti di torba. Più lungi del lago si scorge in ogni parte la roccia in posto che emergo dal detrito. Essa è costituita dalla solita formazione del gneis micaceo bruno compatto, che si alterna con strati di micaschisto e di talcoschisto. Verso ovest la cerchia rocciosa s’interrompe, per una piccola dilacerazione perpendicolare agli strati, nella quale si apre l' emissario, che si scarica nel torrente Livrio presso S. Salvatore. Il lago è, dunque, d'origine, orografico.
La parte sommersa delle sponde è pure assai poco inclinata, sicché por un largo tratto all'ingiro si scorge il fondo, il quale ora é ricoperto di ciottoli angolosi, ora di melma finissima con abbondante feltro organico.
Ha l'altitudine di 1962 m. e la superficie di 13200 m. q. Le sue acque presentano un color verde sbiadito, quale è segnato dal num. VIII della scala Forel. La temperatura interna era di 11° C., e l'esterna di 20°, alle ore 11 ant. del 26 Luglio 1893.
Sulle balze che coronano il lago crescono pochi abeti e larici, per lo più sfrondati dalle valanghe che precipitano dal versante del pizzo Meriggio. Sulla sponda ovest abbondano cespugli diRododendro ferrugineum L., diluniperus communis L. e fittissimi intrecci di Vaccinium mirtillus L.”“
Boschi alle Zocche
Chiudendo con l'aspetto economico, annotiamo che le acque del laghetto non sono sfuggite allo sfruttamento ideorelettrico: vengono convogliate attraverso un canale di gronda al lago di Venona della Edison. A valle del laghetto scende la valle della Casera (localmente però chiamata Val Nigra).
Dal lago risaliamo alla carozzabile sterrata che sale da San Salvatore. A monte della strada si trovano alcune baite, fra cui l'agriturismo Stella Orobica e, ultima sulla sinistra, il rifugio al Lago della Casera (m. 1966), del Gruppo degli Alpini di Albosaggia, ricavato nell'antica Baita del Tòor, a lato della Casera. Sul retro del rifugio si trova un localino sempre aperto, senza strutture per il pernottamento, ma comunque con un caminetto, una stufa ed un tavolo con sedie, utile in caso di necessità.
Una targa ci dice che si tratta del bivacco “V Alpini”, aperto dall'Associazione Nazionale Alpini Sezione Valtellinese Gruppo di Albosaggia il 21 agosto 2011 “in memoria degli Alpini di queste valli ed Alpi orobiche che hanno immolato le loro giovani vite sotto la bandiera del V Reggimento Alpini, nel nome della nostra terra italiana.” A lato del rifugio un recinto, con una bandiera italiana ed una targa su un masso.
Rifugio al Lago della Casera
Il ritorno a San Salvatore avviene ridiscendendo al lago delle Zocche ed imboccando il marcato sentiero, che troviamo sul suo lato sinistro, che scende seguendo la valle della Chiesa, fino al bivio per il quale siamo passati salendo da San Salvatore in Valle del Livrio, all'andata. Qui ripercorriamo il sentiero già percorso all'andata, scendendo diretti nel bosco di larici, fino al parcheggio della località Alla Ca', a monte di Albosaggia. Seguendo la pista ci riportiamo infine al parcheggio di San Salvatore, dove recuperiamo l'automobile.
CARTA DEL PERCORSO SULLA BASE DI GOOGLE MAP
APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, sul lago di Venina (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894)
APPROFONDIMENTO: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo
“G. Piazzi” di Sondrio, sul lago del Palù (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).
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