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Livigno è una delle più note località sciistiche e turistiche delle Alpi centrali ed è anche, per estensione (210,8 kmq), il terzo comune non solo della Provincia di Sondrio, ma dell’intera Lombardia. La valle di Livigno si colloca nel punto più settentrionale della Valtellina (o della Magnifica Terra di Bormio), a nord dell’elvetica Valle di Poschiavo e delle telline Valdidentro e Valle di Fraele. La sua peculiarità è l’elevata altitudine media, che gli ha meritato la denominazione di “Piccolo Tibet”, coniato per la prima volta nel 1967 dallo scrittore di leggende Alfredo Martinelli (il suo territorio si sviluppa dai 1680 m. s.l.m. del fondovalle ai piedi della diga del lago di Livigno ai 3302 m. s.l.m. della Cima di Campo). La frazione di Trepalle è nota per essere il significativo nucleo permanentemente abitato più alto dell’arco alpino (i suoi nuclei più alti sono posti a 2208 m. s.l.m.). Ancora: è uno dei pochi territori alpini italiani che non appartiene al bacino padano: il suo torrente principale, comunemente detto Spöl (ma nel tratto livignasco sarebbe più corretto parlare di “acqua granda”), infatti, è tributario dell’Inn, a sua volta affluente del Danubio.


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La sua posizione ne ha fatto nei secoli passati un comune in condizione di marcato isolamento, con tutte le difficoltà economiche connesse. Per ovviare a questo nell’Ottocento è stato riconosciuto come zona extradoganale, cosa che ha determinato una decisa svolta nel suo sviluppo economico (tale esenzione risale al governo asburgico del Regno Lombardo-Veneto, e venne sancita ufficialmente nella legislazione del Regno d’Italia nel 1910; quanto alla Repubblica Italiana, dopo l’istituzione dell’IVA nel 1972 venne riconosciuta a Livigno l’esenzione da questa imposta). Il comune è costituito da una valle principale, la Valle di Livigno, e da alcune valli tributarie. La valle di Livigno ha uno sviluppo rettilineo da sud-sud-ovest a nord-nord-est, e scende dai 2000 metri dell’alpe Vago ai 1800 metri della diga del Lago di Livigno. Scavata con tipica forma da "U" dai ghiacciai del quaternario, ha una lunghezza di 22 km., una larghezza di 5-8 km, un'altitudine superiore ai 180 m. s.l.m. Qui si trova il nucleo principale di Livigno, al quale si scende dopo aver valicato i due passi del Foscagno (che introduce al territorio di Livigno e dove si trova la dogana) e d’Eira (al termine della Valle di Foscagno, dopo la conca che accoglie Trepalle). Livigno confina a sud con il comune di Valdidentro ma anche con l’elvetico comune di Poschiavo. Confina poi con i comuni elvetici di Pontresina (ad ovest), Zernez a nord, Monastero ad est.


La valle di Livigno

Nando Varischetti, in una nota di commento alla sua traduzione della relazione redatta dal vescovo di Como Feliciano Ninguarda della sua visita pastorale del 1589, scrive:
Singolare regione è questa di Livigno…, solitaria, perduta fra i monti, prettamente italiana, sebbene sia al di là della maggior catena delle Alpi, lontana sei ore di cammino da ogni altra borgata, giacchè richiedesi presso a poco codesto tempo per scendere a Semogo, a Poschiavo, Pontresina e a Cernezzo, che sono i luoghi abitati più vicini. Le case, tutte pulite e per la maggior parte in legno con fondamenta di muratura, anzichè essere addossate le une alle altre, sono disseminate lungo la strada della valle, che, tutta a prati d'un bel verde alpino, corre piana ed ampia per parecchi chilometri. I prati si alzano anche qualche poco sulle ridenti pendici dei monti, e poi dan luogo a giovani e robuste foreste di pini che attorno attorno coronano l'incantevole bacino. Le acque dello Spol scendono lente, limpide sempre, fra le verdi sponde, e sono popolate da piccole trote d'insuperabile bontà, cui quegli industri terrieri sogliono raccogliere in appositi vivai.”


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A sua volta Dario Benetti, nell’articolo “Abitare la montagna. Tipologie abitative ed esempi di industria rurale”, (in AA.VV., “Sondrio e il suo territorio”, Silvana Editoriale, Milano, 1995), così tratteggia Livigno:
"La valle di Livigno è posta al di là dello spartiacque ed è stata sempre condizionata, fino ad un recentissimo passato, da un particolare isolamento e dalla quota elevata (tutto il territorio è posto al di sopra dei 1800 m s.l.m.). L'economia era basata sostanzialmente sull'allevamento, rigoglioso grazie agli ampi pascoli. L'agricoltura era limitata ad un brevissimo periodo ed a pochi resistenti prodotti (come le rape). Ancora oggi, nonostante il «boom» edilizio e turistico di questi ultimi anni, è riconoscibile l'antico assetto insediativo, caratterizzato da una lunga teoria di abitazioni in legno, poste ad una certa distanza l'una dall'altra.


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È probabile che l'insediamento di Livigno sia da collegarsi a migrazioni di popolazioni walser: la cosa sarebbe confermata anche da alcune caratteristiche della casa, come la presenza delle piccole aperture dalle quali si pensava dovesse uscire l'anima delle persone morenti. ...la valle di Luvino (Luvinium, Levinium) ... è una amena solitudine, perché senza Terre, né Ville; ma con le Case precisamente qua e là per la medesima seminate, dove più di duecento Famiglie assai bene si mantengono con le saporosissime Carni e coi Latticini, onde abbondano, che con l'altre cose loro mancanti tramutano. Hanno Acque altresì di delicatissime Trotte copiose; e i Boschi vi sono per giocondissime Caccie assai dilettosi.
La tipologia delle dimore rurali si ripete con poche varianti, dovute soprattutto alla diversa epoca di costruzione. Le case più antiche sono completamente in legno, con struttura a travi incastrate, qui detta cardàna (a parte le zone interrate adibite a cantina, detta ceseta), mentre più ci si avvicina temporalmente ai nostri giorni acquista rilevanza la muratura in pietrame. A causa del clima molto rigido acquista una certa importanza l'atrio interno coperto (cort) che divide l'edificio residenziale (‘l bait) da quello rurale (toilà) e che è utilizzato anche come svincolo dei locali e come luogo riparato per svolgere attività lavorative. La corte interna si ripete anche ai piani superiori e a volte dà accesso ad un balcone (lòbia) con parapetto in assicelle lavorate e alla latrina esterna (omìn).


Tea in Val Federia

Per quanto riguarda le destinazioni d'uso, al piano terra sono poste le stalle e il pollaio (tipica è la scaletta esterna per l'accesso delle galline), al primo piano da una parte troviamo il fienile, dall'altra la cucina (cogina), la stüa e le camere da letto vere e proprie (arcobi). È frequente la presenza di un altro piano nella parte residenziale dove è collocata la stüa alta; mentre la stüa, quando è costituita solo dalla struttura a travi incastrate senza rivestimento interno, è detta stüa mata. Il sottotetto della parte residenziale è detto i sot i teit, mentre nella parte rustica è denominato crapéna (nella crapéna venivano legati a fasci i salami di rape, detti lughégna da pàssola). Altra caratteristica della casa di Livigno è la larga scala in legno esterna che conduce al fienile (la pont da toilà). La casa in genere è attigua alla stalla e al fienile; in certi casi però il fienile è isolato, senza stalla ed è chiamato nassa. Nonostante la quota elevata, anche nella valle di Livigno si assiste ad uno spostamento estivo della residenza, seguendo, in agosto e settembre, il bestiame. A mezza costa si trovano infatti delle baite di alpeggio dette li tea."


Tea in Val Federia

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La storia di Livigno è sempre stata strettamente legata a quella di Bormio, il centro principale di quella Contea o Magnifica Terra che ha costantemente e fieramente rivendicato la propria autonomia rispetto a tutte le signorie confinanti, comprese quelle che si sono succedute in Valtellina (segnatamente, dal tardo Medio-Evo, le Magnifiche Tre Leghe Grigie - Lega Grigia, Lega Caddea e Lega delle Dieci Giurisdizioni - in territorio elvetico, i Signori di Matsch ed i Venosta in alto Adige, vassalli di Como, la Serenissima Repubblica di Venezia in Valcamonica, Como, Milano e di nuovo, dal 1512 al 1797, le Magnifiche Tre Leghe Grigie in Valtellina). L’autonomia della Magnifica Terra, rivendicata a partire dal XIV secolo, è storicamente legata alla sua posizione nodale in un reticolo di vie di comunicazione che univano i territori ladini della Rezia e quelli germanici al bacino padano, passando per la Valtellina, tanto che la presenza ligure nel bormiese è probabile, quella romana certa. Dalla conca di Bormio a Livigno l’accesso nei secoli passati era differente rispetto all’attuale: in origine la via di transito passava per le Scale di Fraele, la Val Fraele e la Valle dell’Alpisella, che sfocia nella Valle di Livigno presso il recente lago. Poi pare venisse percorsa la via che dalla Val Vezzola passava per l’alpe Trela ed il passo di Val Trela, scendendo a Trepalle e di qui a Livigno. Solo dopo il 1600 prevalse la via dei dossi, che sale al passo di Foscagno e scende a Trepalle. Il valore economico di Livigno era in passato legato ai suoi ampi alpeggi, in buona parte di proprietà bormina, come quelli di Livignolo, Forcola, Auro, Campaccio, Blesazza, Fedaria, Vallaccia, Foscagno e Gallo. Il toponimo “Livigno” si trova per la prima volta nel 1187, in un atto di infeudazione del vescovo Ardizzone di Como ai Venosta, nella forma “alpes vinee et vineole”, e deriva probabilmente da “lavina”, cioè slavina. Livigno era formalmente “vicinanza” di Bormio, ed era divisa in contrade, che si radunavano in consiglio, nominando come propri rappresentanti degli anziani. I livignaschi partecipavano al consiglio del popolo del comune di Bormio con tre rappresentanti, il luogotenente e due anziani, o due consoli e mistrale.


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L’amministrazione degli affari e la gestione dei problemi locali erano esercitate dall’assemblea di vicinanza. Leggiamo nelle “Istituzioni storiche del territorio lombardo” (edito nel 1999 dalla Regione Lombardia, a cura di Roberto Grassi): “All’assemblea di vicinanza di Livigno prendevano parte tutti i nativi originari maschi di età superiore ai 25 anni. L’assemblea deliberava su qualsiasi aspetto relativo sia alla vita interna della vicinanza sia al governo dei suoi beni, dei suoi diritti e dei doveri, nel rispetto degli statuti di Bormio e successivamente delle leggi delle tre leghe; in particolare eleggeva gli anziani ed il mi-strale, ma non i giusdicenti, che erano coadiuvati dal mistrale e dagli anziani; eleggevano i deputati dell’economato, estimo, erbatico, acque, sanità, nonché il consiglio ristretto, dopo la riforma del 1778, ad ausilio della ragione; eleggeva inoltre i capi della milizia di valle; nominava agenti, messi e procuratori in sua legale rappresentanza; eleggeva il parroco, il coadiutore di San Rocco e i beneficiali delle cappellanie di iuspatronato vicinale, gli anziani del triduo dei defunti, a partire dall’epoca della sua fondazione; eleggeva il custode delle chiese, con il placet del curato e del coadiutore; notava i regolamenti di gestione dei diritti comuni; adottava gride concernenti il commercio interno di talune derrate, ad esempio il fieno; approvava le rese dei conti della ragione uscente e degli amministratori delle chiese; delegava funzioni alla ragione, tra cui il governo dei boschi e la concessione di licenze di legnatico; determinava se e come concedere in affitto gli alpeggi vicinali; notava la contrazione di prestiti e altre misure fiscali; eleggeva, dal 1723, gli anziani amministratori del lascito scolastico; disponeva rogazioni e processioni religiose.


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Le sedute della vicinanza, o sindacatus, erano valide quando vi prendevano parte almeno due terzi dei vicini convocabili e presenti in quel momento nel paese: mancando la convocazione anche di uno solo degli aventi diritto, la riunione perdeva validità.
Gli anziani, chiamati anche consoli, in numero di due, eletti annualmente tra i vicini di età maggiore di 25 anni, erano tratti dal rango dei “maiores”: essi svolgevano funzioni giudiziarie ed esecutive, quest’ultime su delega della vicinanza, spesso insieme al mistrale in qualità di componenti della ragione. Gli anziani dovevano dare esecuzione agli ordini del consiglio (del comune di Bormio) e riferire allo stesso sui reati; raccoglievano le richieste della vicinanza da inoltrare al consiglio, in caso di assenza dovevano nominare dei sostituti. ...
Il mistrale o ministrale o luogotenente, eletto con voto palese come i consoli, era colui che a nome del podestà presiedeva il tribunale ed emanava le sentenze. La carica del mistrale era annuale e non era prorogabile; una consuetudine introdotta verso il 1648 prevedeva che il mistrale fosse scelto ad anni alterni fra i vicini del capo di sopra della vicinanza, cioè dal Rin da Rin in su, ed i vicini del capo di sotto, dal Rin da Rin in giù. Il mistrale aveva inoltre il possesso delle chiavi dell’archivio, promulgava le gride vicinali, aveva, in generale, l’esercizio subordinato di azioni di tutela dell’ordine pubblico e del rispetto delle norme amministrative; dal 1723 ebbe anche la facoltà di rogare i testamenti nel periodo in cui il paese era privo di notai.


Livigno

Livigno aveva un tribunale, la cui struttura e composizione fu specificata nel 1538: il mistrale ne aveva la presidenza, essendo coordinato dagli anziani (consoli) e da cinque giusdicenti (iuratores). La giurisdizione si limitava a contenziosi fra livignaschi o fra livignaschi e forestieri, fra cui le rimanenti comunità del contado con l’eccezione dei bormini della terra mastra.
Sulla correttezza formale dei giudizi sindacava annualmente l’“ufficio”, composto dal podestà, dai reggenti e da un cancelliere del comune di Bormio, accompagnati talvolta dal caneparo maggiore e da altri consiglieri o deputati; raccoglieva gli appelli contro i placiti emessi dal tribunale. L’ufficio poteva aprire procedimenti penali, avocare cause in corso e sentenziare su cause aperte davanti ad esso. Suo compito era anche raccogliere il giuramento di fedeltà degli eletti al tribunale.
Il tribunale di Livigno disponeva di un servitore che svolgeva anche le mansioni di poliziotto, di guardia, di saltario, di zalapotero (denunziatore).


Valle di Livigno

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Livigno condusse comunque sempre con un forte spirito di autonomia le iniziative volte a tutelare i propri interesse, come appare chiaro da un episodio collocabile nella seconda metà del secolo XIV, quando fra livignaschi e tavatini (abitanti di Davos, l'antica Tavate) erano diventati molto tesi, anche perché le due comunità stavano a guardia rispettivamente della Valle dell'Adda e del bacino del Reno, e questo determinava attriti e scontri che avevano portato la tensione al culmine. Venne, dunque, decisa da entrambe le parti un'azione che aveva lo scopo di portare alla rovina la comunità nemica, il rapimento della sua stessa radice vitale. Si trattava di due animali, nei quali si riassumeva la potenza generatrice della natura, il toro Nino, a Livigno, e l'orso Moro, a Davos. Ebbene, durante una notte oscura avvenne una duplice spedizione di manipoli che rubarono, dall'una e dall'altra parte, questi animali. Le conseguenze non si fecero attendere. A nord ed a sud del passo di Cassana, in Val Federia (il più agevole valico fra Livignasco ed Engadina), la natura cominciò a perdere, gradualmente ma inesorabilmente, la propria potenza vitale: i pascoli inaridirono, gli armenti non diedero più latte, nessuna bestia rimase più gravida. Tutto sembrava condurre alla morte, perché gli uomini non sarebbero potuti sopravvivere a lungo alla morte della natura che li ospitava. Ed allora, su entrambi i fronti, fu deciso di chiedere consiglio agli spiriti dei defunti. Così nel livignasco le anime purganti della Valle delle Mine pronunciarono un verdetto inequivocabile: restituite ai tavatini l'orso rapito. Analogo il verdetto del Genio del Bosco nella Valle dello Zug: restituite il toro ai livignaschi. Così il passo di Cassana fu teatro, questa volta alla piena luce del giorno, della restituzione delle bestie rapite e della riconciliazione. La natura subito rifiorì, tutto tornò alla vita ed il 18 maggio 1365 fra le due comunità venne firmata una pace solenne.


Trepalle

Accadeva anche che il territorio livignasco venisse coinvolto in contese che non lo riguardavano, come quando nel successivo 1499 truppe imperiali provenienti dal Tirolo passarono dal passo di Cassana per calare in Engadina ed incendiare i villaggi di Zuoz e di S’chanf, nel contesto della guerra fra gli Asburgo ed i cantoni della futura Confederazione Elvetica che rivendicavano orgogliosamente la propria indipendenza dalla casa d’Austria.
La situazione della Contea di Bormio e di Livigno sul finire del secolo XVI, quando già da diversi decenni le Tre Leghe Grigie avevano affermato il proprio protettorato, viene così tratteggiata da Giovanni Guler von Weineck (governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel biennio 1587-88), nell’opera “Rhaetia”, pubblicata a Zurigo nel 1616 (e tradotta in italiano dal tedesco da Giustino Renato Orsini):
Fin qui si discorse della Valtellina in generale; ora invece vogliamo descrivere particolarmente, l'una dopo l’altra, ogni sua parte e di queste i vari luoghi.Nell'alta Valtellina abbiamo il distretto di Bormio. Esso per ogni parte è circondato da alte vette nevose non altrimenti che una città dalle sue mura; tuttavia esiste un'apertura, attraverso la quale l'Adda trascorre in Valtellina: ivi i monti si accostano l'uno all'altro così strettamente, che nell'intervallo fra le due altissime catene l'acqua si acre uno stretto e profondo varco: la via poi corre sul lato sinistro della valle, lungo la falda del monte. Presso questa angusta chiusa, che oggi è chiamata di S. Brizio, fu edificata, in antico una difesa, che consiste in un muro fra monti e monti e in una torre che domina la strada, la quale si può sbarrare chiudendo le porte, come vediamo anche oggi. Del resto questo territorio non ha altri accessi, perchè i monti alti e scoscesi sono impraticabili per molta parte dell'anno, ossia in inverno e primavera, prima per la molta neve, poi per lo scioglimento della medesima. I passi più notevoli sono poi provveduti di antichi e robusti sbarramenti, così che non si potrebbe trovare altro paese, il quale per difese naturali ed artificiali presenti tanta sicurezza. Il distretto di Bormio confina a levante colla Val Mora. con la Val d'Adige, con la Val di Sole. e con la Val Camonica e con la Valtellina; a ponente colla valle di Poschiavo, col Bernina e con l'Engadina: a settentrione col monte Boffalora e con la parte posteriore della Valle di Monastero.


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Nel Bormiese il clima è buono e salubre, sebbene d’inverno alquanto rigido; ma d'estate è così mite che molti, dalle regioni circostanti più calde, salgono lassù per qualche tempo a cercarvi ristoro.
Gli abitanti sono sani e d'indole riflessiva, d'ingegno acuto e di complessione robusta; si distinguono nelle lettere e nelle arti liberali, come anche nella milizia; nessuna fatica, così al freddo come al caldo, riesce per loro insopportabile.
Nel territorio bormiese non allignano le viti, nè gli alberi da frutta; si produce però del grano in abbondanza, così che non solo basta al consumo, ma ne rimane pure qualche eccedenza da esportare.
Il bestiame grande e piccolo è moltissimo, perciò anche il latte e i latticini sovrabbondano. I monti possono accogliere per l'alpeggio estivo dalle seicento alle settecento mucche, non compresi gli ovini ed i vitelli. Una parte dei pascoli alpini viene affittata per un canone annuo; ma la parte maggiore viene sfuttata dai terrieri stessi. Nel Bormiese si ottiene inoltre molto miele, il quale è così squisito e salubre che non se ne trova in altri paesi di migliore. Fra i monti esistono qua e là vene d'oro, di argento, ferro, rame, allume, piombo e zolfo; però sono particolarmente sfruttate.


La chiesa di Santa Maria a Livigno

Gli abitanti di questo territorio hanno un reggimento distinto da quello della Valtellina. Essi infatti, come gente di confine e come padroni di passi importanti, ottennero in ogni epoca dai loro principi molti privilegi ed immunità, che ancora oggi sono in vigore. Possono eleggersi da sè il podestà, i giudici e il consiglio, non che tutti gli altri funzionari del territorio; ma li nominano per sorteggio, scansando così ogni competizione ed assicurando nel miglior modo la pace comune…
In questo modo ogni quattro mesi vengono eletti due consoli come capi, sedici consiglieri e tredici giudici: questi poi, dalle vallate adiacenti e dai villaggi dove abitano, si raccolgono insieme nel capoluogo di Bormio dove sorge il palazzo del Governo; giudicano in cause civili e penali, ma alla presenza e con la collaborazione del podestà, che presiede il consiglio, alla presenza del suo cancelliere e di due uscieri, incaricati di tutte le procedure giudiziarie. Il podestà viene ora inviato ai Bormiesi, ed a loro spese, dalle Eccelse dominanti Tre Leghe: ed ogni due anni all'incirca si sostituisce.


Chiesetta di Val Federia

Il Bormiese ha una costituzione locale scritta, detta statuto, e con essa si governa: per altro, in caso di controversia si può appellarsi al potere supremo, tanto in assemblea straordinaria, come in quella generale ordinaria, oppure ai commissari e funzionari a ciò deputati, ovvero anche alle onorevoli comunità del territorio. In guerra i Bormiesi si scelgono da sè il loro capitano e da sè fanno le leve di milizie, che costituiscono una bella ordinanza, ben provveduta di tutto il necessario.
Tutto il territorio di Bormio, nel quale l'anno 1608 io annoverai quattordicimila anime, è diviso in cinque comuni o vicinanze: il primo e più noto è quello di Bormio, che comprende il capoluogo con le sue adiacenze; il secondo è la Valfurva, che da Bormio risale a monte, lungo il corso del torrente Frodolfo; il terzo è la Val di dentro, che da Bormio si estende verso occidente: il quarto la Valle di sotto che giace lungo il corso dell'Adda, scendendo verso la Valtellina; il quinto ed ultimo è la Valle di Livigno, che si prolunga dalla Val di dentro sino al monte Fustani verso l'Engadina


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LIVIGNO. — La sesta ed ultima parrocchia èquella di Livigno, da cui dipende tutta la vallataomonima e che possiede oltre tre chiese. Livignosorge in territorio elevato, ma ridente; e trovandosi fra il Bormiese, la Valtellina, la Val di Poschiavo, l'Engadina e la Val Monastero, ne è tuttaviaseparato da alti monti. Però non mancano dei passiper i quali si può giungere atutti i paesi suddetti,particolarmente d'estate; in inverno invece alcunidiquesti passi sono impraticabili per la neve. La vallata di Livigno si stende daponente ad oriente per circa sei miglia italiane, ossia per un miglio tedesco; vi stanno dei casolari in numero di circa cento, ma sparpagliati; e ciascuna famiglia mena vita a sè. Gli abitanti non sono troppo laboriosi: il territorio produce qualche poco di segale; ma la principale risorsa è il bestiame, che viene allevato in gran numero, d'estate e d'inverno. Il cacio e le grasce danno un cospicuo provento; inoltre si pesca del buon pesce nel fiume che confluisce nell'Inn, presso Zernez nella Engadina inferiore; anzi in parecchi punti esso abbonda di trotelle.”


Il lago di Livigno

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Al medesimo periodo risale la visita pastorale del vescovo di Como Feliciano Ninguarda, del 1589, di cui diede un ampio resoconto nella relazione pubblicata nella traduzione di don Lino Varischetti e Nando Cecini. Ecco quel che leggiamo di Livigno: “Dalla valle di Pedenosso si va a Livigno, paese molto sparso, distante quindici miglia da Bormio, dove c'è la chiesa curata dedicata a Santa Maria Vergine; presta ufficio come vicecurato il sacerdote... di Peschiera della diocesi di Verona. Non lontano dalla predetta chiesa curata di Santa Maria vi è un'altra chiesa dedicata a S. Antonio Abate e soggetta al predetto vicecurato; finisce da quella parte la diocesi di Corno. Poco oltre il paese di Livigno incomincia la giurisdizione dell'Engadina, dominio degli Svizzeri e della diocesi di Coira.”


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Il Seicento, secolo ne quale un cronista segnala a Livigno più di un centinaio di casolari sparsi, nei quali ogni famiglia "mena vita per sé", fu senza dubbio il secolo più duro nella storia della Valtellina. Un anno, sopra tutti, merita di essere ricordato come funestamente significativo, il 1618: in Europa ebbe inizio la Guerra dei Trent’Anni, nella quale Valtellina e Valchiavenna furono coinvolti come nodi strategici fra Italia e mondo germanico; a Sondrio, al colmo delle tensioni fra cattolici e governanti grigioni, che favorivano i riformati in valle, venne rapito l’arciprete Niccolò Rusca, condotto a Thusis per il passo del Muretto e fatto morire sotto le torture.
Due anni dopo, il 19 luglio del 1620, si scatenarono la rabbia della nobiltà cattolica, guidata da Gian Giacomo Robustelli, la sollevazione anti-grigione e la caccia al protestante, nota con l’infelice denominazione di “Sacro macello valtellinese”, che fece quasi quattrocento vittime fra i riformati. Fu l’inizio di un periodo quasi ventennale di campagne militari e battaglie, che videro nei due schieramenti contrapporsi Grigioni e Francesi, da una parte, Imperiali e Spagnoli, dall’altra.


La Val Federia

La reazione delle Tre Leghe non si fece attendere: corpi di spedizione scesero dalla Valchiavenna, dalla Valmalenco e dalla Contea di Bormio. Il primo venne però sconfitto al ponte di Ganda e costretto a ritirarsi al forte di Riva, gli altri vennero sconfitti nella battaglia di Tirano. Gli eserciti di Bernesi e Zurigani, chiamati in aiuto dalle Tre Leghe (poi sconfitti nella attaglia di Tirano), decise a riprendersi la Valtellina ed i Contadi di Chiavenna e Bormio scesero nel livignasco dal passo di Cassana.
Così scrive lo storico Enrico Besta ("Le Valli dell’Adda e della Mera nel corso dei secoli. Vol. II: Il dominio grigione", Milano, Giuffrè, 1964): "S'adunavano intanto i Grigioni e gli Svizzeri dietro le Alpi. Sette erano le compagnie dei Berrnesi, comandate dal colonnello Nicolò un massiccio gradasso che portava sul petto una grossa catena d'oro e che con volgare spacconeria prometteva di volerla ornare di tanti macabri ed osceni trofei tolti ai preti quanti ne erano gli anelli. Tre erano le compagnie dei Zurigani, comandati dal colon nello Gian Giacomo Steiner. Ai reparti grigioni, il cui supremo comando era rimasto sempre a Giovanni Guler, erano preposti oltre che Florio Sprecher e Rodolfo Salis, a noi ben noti, Giovanni Yeuch, Cristiano Florin, Florio Buoi, Antonio Violant, Nicolò Nuttin. Parrebbe che dapprima volessero sboccar nella valle della Mera, correndo tutta l'Engadina, ma poi preferirono i passi bormiesi. Il 1 settembre del 1620 erano già nella valle di Livigno e, da quei pochi abitanti che non erano ancora fuggiti sulle vette, si facevano giurare fedeltà, dietro promessa di aver libero il culto cattolico. Per Foscagno e Trepalle scesero nella Valle di Dentro. Il piccolo presidio posto dietro la chiesa di S. Martino di Pedenosso fu sopraffatto; non resistettero le trincee frettolosamente apprestate…"


La Val Federia

La battaglia di Tirano liberò provvisoriamente la Valtellina dalla loro signoria, ma un’alleanza fra Francia, Savoia e Venezia, contro la Spagna, fece nuovamente della bassa Valtellina un teatro di battaglia, e nell'ottobre del 1621 i soldati delle Tre Leghe Grigie scesero per la seconda volta dal passo di Cassana con l'intento di riprendersi la Valtellina. All'estremo opposto della valle Morbegno, dopo l’incendio del 1623, che distrusse un quarto dell’abitato, venne occupata nel 1624 dal francese marchese di Coeuvres, che vi eresse un fortino denominato “Nouvelle France”. Le vicende belliche ebbero provvisoriamente termine con il trattato di Monzon (1626), che faceva della Valtellina una repubblica quasi libera, con proprie milizie e governo, ma soggetta ad un tributo nei confronti del Grigioni.
Ma la valle godette solo per breve periodo della riguadagnata pace: il nefasto passaggio dei Lanzichenecchi portò con sé la più celebre delle epidemie di peste, descritta a Milano dal Manzoni, quella del biennio 1630-31 (con recidiva fra il 1635 ed il 1636). L’Orsini osserva che la popolazione della valle, falcidiata dal terribile morbo, scese da 150.000 a 39.971 abitanti (poco più di un quarto). La stima, fondata sulla relazione del vescovo di Como Carafino, in visita pastorale nella valle, è probabilmente eccessiva, ma, anche nella più prudente delle ipotesi, più di un terzo della popolazione, compresa quella di Delebio, morì per le conseguenze del morbo.


La Valle della Forcola di Livigno

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Neppure il tempo per riaversi dalla peste, ed ecco che la guerra di Valtellina tornò a riaccendersi, con le campagne del francese duca di Rohan, alleato dei Grigioni, contro Spagnoli ed Imperiali. Il duca, penetrato d'improvviso in Valtellina nella primavera del 1635, con in una serie di battaglie, a Livigno, Mazzo, S. Giacomo di Fraele e Morbegno, sconfisse spagnoli e imperiali venuti a contrastargli il passo. Poi, nel 1637, la svolta, determinata da un inatteso rovesciamento delle allenze: i Grigioni, che pretendevano la restituzione di Valtellina e Valchiavenna (mentre i Francesi miravano a farne una base per future operazioni contro il Ducato di Milano), si allearono segretamente con la Spagna e l'Impero e cacciarono il Duca di Rohan dal loro paese. Le premesse per la pace erano create e due anni dopo venne sottoscritto il trattato che pose fine al conflitto per la Valtellina: con il Capitolato di Milano del 1639 i Grigioni tornarono in possesso di Valtellina e Valchiavenna, dove, però l’unica religione ammessa era la cattolica. I Grigioni restaurarono l'antica struttura amministrativa, con un commissario a Chiavenna, un podestà a Morbegno, Traona, Teglio, Piuro, Tirano e Bormio, ed infine un governatore ed un vicario a Sondrio.


La chiesa di San Rocco a Livigno

Anche in questa seconda fase delle guerre per la Valtellina il territorio di Livigno venne interessato da un decisivo fatto d’armi, nel giugno del 1635. Gli Imperiali tenevano Livigno ed il duca di Rohan, protagonista di una brillante campagna militare, scese dal passo di Cassana per sconfiggerli nella piana di Livigno, costringendoli alla ritirata. La battaglia è anche legata ad una curiosa leggenda, che ci racconta Glicerio Longa, nel suo bello studio su “Usi e costumi del Bormiese” (1912; nuova edizione a cura di Alpinia Editrice nel 1998):
L'esercito imperiale condotto in Valtellina dal Fernamonte (1635), forte di quasi ottomila uomini, con cavalleria, era accampato a Livigno sotto gli ordini di Breziguel. Il duca di Rohan, che era a Scanfs in Engadina, mandò Frezeliere con alcune truppe attraverso il passo di Cassanna e la Val Fedaria a occupare le alture di Blesécia, e poi scese egli stesso con tutte le truppe, circa quattromila fanti e quattrocento cavalli, per il passo e le valli sopraddetti. Il combattimento fu accanito specialmente attorno al Camposanto. Era notte. I francesi — in numero molto minore — ricorsero a uno strattagemma. Travestitisi coi bianchi camici dei confratelli occuparono il sacrato attorno alla chiesa. Sopraggiunti i tedeschi, a quella vista, gridarono: «Noi combattiam coi fanti e non coi santi!». E, in preda al più superstizioso terrore, fuggirono, rincorsi, fin sotto li Ostarìa (bàjta de l'òlta), dai furbi francesi, che rimasero padroni del campo. Questo episodio lo raccontano spesso i vecchi di Livigno, convinti come gli imperiali che i soldati combattenti in veste bianca, attorno al cimitero, fossero proprio... i mort.”


La chiesa di S. Anna a Trepalle

Ecco come Tullio Urangia Tazzoli, nel III volume de “La Contea di Bormio”, racconta la battaglia:
A Zuotz… il duca di Rohan… giunse in rapida marcia dal Maloja il 25 giugno 1635, congiungendosi ai distaccamenti del De Lande e Montauzier: un totale di 3000 francesi, 1500 grigioni e 400 cavalli. In valle di Livigno eranvi 8000 imperiali sotto il comando di Brisighel: quasi il doppio del piccolo esercito franco-svizzero. Nella notte dal 25 al 26 giugno Rohan tiene consiglio di guerra. Malgrado l’opposizione del De Lande decide l’azione a oltranza e dà l’ordine di avanzata immediata verso il passo di Cassana. Impresa ardita il valico di passi ancora coperti di neve, in una stagione, data l’altitudine, non la migliore, con centinaia di cavalli ed impedimenti, contro un nemico assai più numeroso, agguerrito, riposato!
Le avanguardie ai primi chiarori dell’alba pel vallone di Diveria sboccano nella valle dello Spöl. Un riparto misto, grigione e francese, occupa a sorpresa la chiesa parrocchiale di S. Maria ed il cimitero attiguo che diventa il perno della resistenza e dell’offensiva. Gli imperiali, sparpagliati largamente nelle bajte a bivaccare, senza alcuna ordinanza né protezione ai passi, vengono colti all’improvviso e quasi assonnati dai franco-svizzeri. Per maggiore sfortuna ed imprevidenza i ponti sullo Spöl erano stati tagliati e più difficile riusciva la ritirata. Al meglio le ordinanze imperiali si composero e contrattaccarono. Affermano Glicerio Longa e Giuseppina Lombardini, che si occuparono di storie bormiesi, che in un primo momento i francesi ebbero la peggio. Ma travestiti coi camici di una confraternita, spaventarono gli imperiali che fuggirono in preda al più superstizioso terrore… Ma la tradizione popolare non è questa: ha una concezione assai più larga, religiosa e patriottica insieme. Dice essa (e il ricordo in Livigno è ancora vivo) che contro gli invasori franco-svizzeri ed imperiali, comunque e sempre stranieri e predatori della valle, insorsero i morti livignaschi tanto più sdegnati dalla profanazione e dall’oltraggio recato ai luoghi sacri. Insorsero e gridarono altamente, nei primi bagliori dell’alba: “Via di qua!” E l’effetto fu immediato e disastroso! Poche ore dopo, infatti, gli imperiali si ritiravano su Bormio pei passi d’Eyra e di Foscagno ed, a sua volta, il Rohan per il passo della Forcola e Poschiavo si dirigeva su Tirano.”


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Vediamo, poi, cosa scrive il protagonista di quella giornata, cioè il Rohan, nelle sue memorie:
Il 26 le truppe francesi si incamminarono verso l’alpe di Cassana e là venne riunito tutto l’esercito, che poteva contare su non più di tremila Francesi, millecinquecento Grigioni e quattrocento cavalli. Livigno è una valle che dipende dal contado di Bormio e che si estende per circa due ore in lunghezza e mille e duecento o mille cinquecento passi in larghezza; essa ha tre uscite, la prima attraverso la valle di Fraele a Bormio, la seconda attraverso il monte di Pisciadello a Poschiavo e la terza per il monte di Cassana in Engadina alta. È un prato ininterrotto, disseminato di case distanziate fra di loro; è divisa nel mezzo da un piccolo torrente difficile da guadare in estate quando si sciolgono le nevi. Per attaccare le truppe imperiali occorreva che i Francesi varcassero la montagna di Cassana e da lì scendessero nella Val Federia, che gli Imperiali potevano difendere con gran facilità, sia perché sbarrata da una grande trincea sia per essere stretta in alcuni punti e dominata da una montagna sovrastante il passaggio difeso dagli Imperiali. La principale preoccupazione di Rohan era di occupare questa montagna per dominare dall’alto coloro che custodivano l’ingresso di Livigno…
Egli scelse per questa impresa Isaac de la Frezelière, gentiluomo pieno di coraggio e di ambizione che, con settecento uomini, partì a mezzanotte per andare a impossessarsi della montagna e… quando arrivò in Val Federia tagliò a destra e occupò la montagna… Il duca di Rohan fece avanzare le sue truppe quando ritenne che il Frezelière fosse di fronte a lui. Ma il duca, avanzando per la val Federia, era molto intralciato da un torrente, che scorre lungo detta valle, di cui i nemici avevano rotto i ponti. Gli Imperiali accennarono a disporsi in battaglia, ma poi, vedendosi attaccati dall'alto e dal basso, cedettero il passo e dopo avere ripassato il torrente che taglia la valle di Livigno, fecero resistenza sull'altra sponda, tenendo viva la scaramuccia per oltre un'ora e mezzo. Ci si battè tutto quel tempo, divisi dal torrente, í cui ponti erano stati bruciati dai Tedeschi e che era ritenuto inizialmente non guadabile. I Francesi all'inizio non avevano tentato di superarlo, ma dopo averlo fatto scandagliare si avvicinarono per passarlo e allora gli Imperiali si ritirarono attraverso una montagna prendendo la strada per Bormío; così i Francesi rimasero quel giorno padroni del campo di battaglia e della valle.” (Henri de Rohan, “Memorie sulla guerra di Valtellina”, edito dalla Editoriale Mondatori per la Fondazione Credito Valtellinese nel 1999).


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Ecco infine la descrizione del fatto d’armi nella Guida alla Valtellina edita dal CAI di Sondrio a cura di Fabio Besta (1886, II ed.): “L’elevata e solitaria postura di questa valle non bastò a sottrarla alle desolazioni della guerra. l’esercito imperiale condotto in Valtellina dal Fernamonte, forte di quasi ottomila uomini con cavalleria, era accampato a Livigno sotto gli ordini di Breziguol. Rohan, che era a Schanfs in Engadina, mandò Frezeliere con alcune truppe, attraverso il passo di Cassana e la Val Federia a occupare le alture di Blesaccia, e poi scese egli stesso con tutte le truppe circa quattromila fanti e quattrocento cavalli, per il passo e la valle sopradetti. Il combattimento fu accanito specialmente attorno al Camposanto; gli Imperiali, passato lo Spöl e rincorsi anche al di là, si ritirarono in buon ordine a Bormio.”


La Val Federia

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La situazione di Livigno negli anni trenta del Seicento viene così tratteggiata da don Giovanni Tuana, nel “De rebus Vallistellinae” (“Fatti di Valtellina”, a cura di Tarcisio Salice, traduzione dal latino di Abramo Levi, Sondrio, Società Storica Valtellinese, 1998):
Bormio, estremo lembo della regione e dell'Italia, segna il confine con Reti e Germani tramite montagne scoscese e aspre poste a settentrione a mo' di baluardo; a oriente confina con le Venezie e il Trentino, a cui si giunge attraverso la Valfurva e il passo Gavia, sempre di difficile ascesa e coperti di nevi perenni; a occidente la via si apre verso i Reti dell'Engadina e i Sammariani, attraverso una valle buia per le [sue] gole, ma con numerosi villaggi; a sud si trova la Valtellina. ...


Apri qui una panoramica del lago del Monte

Livigno è abitato da duecento famiglie, sparse in alghe: non vi è altra costruzione in muratura se nonla chiesa; la maggior parte delle case è in legno di abete o di larice, con finestrelle piccolissime, dalle quali ci si può affacciare appena. La piana è molto ampia, per una località montana; si fa un raccolto annuo di, fieno; abbondanti sono i pro dotti caseari e le carni assai sapori te; con gli scambi di questi prodotti si supplisce per il resto al vitto. Il luogo è freddissimo e vi nevica anche in pieno maggio. Vi sono specchi d'acqua pescosi, ricchi di sceltissime trote. Su questi monti, in piena estate,la caccia è molto redditizia, come pure l'uccellagione; ma soprattutto redditizio è il taglio di legname. A Livigno sorge la chiesa dedicata alla Beata Vergine, in passato proparrocchiale, ora eretta in parrocchiale da Lazzaro Carcifino, a buon diritto, per la consistente popolazione, per la distanza dalla chiesa di Bormio (dista da questa quindici miglia) e per l'impegno in difesa della religione; e frequentemente si assiste a contese con gli eretici vicini. I monti del Livignasco, che sono contigui alle montagne di Grosio, della Rezia e dell'Engadina, si uniscono anche a mezzogiorno con il passo di Poschiavo, al quale si giunge pure con un difficile cammino di sei ore. Per antico diritto i Livignesi hanno un proprio magistrato per l'amministrazione civile, se non supera una certa somma, mentre le cause criminali vengono portate a Bormio.”


Il lago del Vago

Nell’età moderna le istanze di autonomia dei Livignaschi si fecero via via più forti, a partire dal distacco della chiesa di Santa Maria in Livigno dalla matrice di Bormio (siamo nel 1477, anche se solo nel 1745 Santa Maria diventa parrocchia autonoma). Alla chiesa di Santa Maria si affiancavano quelle di San Rocco (costruita nel 1592) e Sant'Antonio (già esistente nel 1557 e ricostruita nel 1568), mentre la chiesa di Sant’Anna a Trepalle venne eretta nel 1648 e divenne parrocchiale nel 1770. Questa spinta verso l’autonomia, fonte di secolari contrasti con Bormio, giunse infine a compimento nel 1816, con la costituzione del comune autonomo di Livigno decretata dal governo asburgico del Regno Lombardo-Veneto istituito dopo il Congresso di Vienna.

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Dopo l’unità d’Italia e la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861 il prefetto di Sondrio Scelsi curò un’analisi statistica del territorio provinciale, dal quel emergono questi dati relativi a Livigno:


Livigno aveva allora 7 scuole dell'ordinamento primario, 4 maschili e 3 femminili, frequentate da 148 alunni, 73 maschi e 75 femmine. Vi insegnano 7 maestri, 4 maschi e 3 femmine. Il comune spende per la loro gestione 521 lire annue.
Livigno entra dunque nella storia del Regno d’Italia con 792 abitanti. Da allora l’incremento demografico è costante, con una progressione impressionante soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale: gli abitanti sono 834 nel 1871, 874 nel 1881, 1025 nel 1901, 1143 nel 1911, 1215 nel 1921, 1326 nel 1931, 1503 nel 1936, 1714 nel 1951, 2032 nel 1961, 2737 nel 1971, 3396 nel 1981, 4200 nel 1991, 5069 nel 2001, 5976 nel 2011 e 6721 nel 2019.


La Val Viera

Nella Guida alla Valtellina curata da Fabio Besta per il CAI di Sondrio (1886 II ed.) leggiamo quest’ampia descrizione di Livigno e del suo territorio, che pone in evidenza il suo principale problema, quello dell’isolamento (mancando ancora una carrozzabile che lo unisca al resto del Bormiese): “Poco oltre l’ultimo lago vedesi una croce che segna il passaggio dal versante dell’Adda e dell’Adriatico a quello dell’Inn e del Mar Nero. Qui è il passo di Foscagno (2290 m.), che si apre tra gli ampi fianchi del monte Foscagno a occidente e e quelli dei monti Rezzallo e Vezzola ad oriente, e mette in comunicazione Bormio con Livigno. È questo il passo per cui i Grigioni provenienti dall’Engadina scesero le tante volte in tempi diversi a devastare il Bormiese. Per esso transitarono ripetutamente del Rohan e del Fernamonte. Durante l’inverno, quando la via è coperta di neve ghiacciata, la strada è percorsa da slitte che passano sopra il Lago Lungo, ghiacciato pur esso. È stato compilato dall’ing. Agr. Inaldo Rossi il progetto di una strada carrozzabile da Semogo a Livigno per il Foscagno; e vogliamo sperare che questa strada, la quale è inscritta fra quelle comunali obbligatorie, possa ottenere uno straordinario sussidio dallo Stato e divenire così di possibile costruzione; giacché non è giusto né che un Comune industrioso com’è Livigno rimanga segregato dal resto della Nazione, né che debba colle sue piccole forze costrurre una via attraverso uno dei maggiori e più ardui valichi alpini. La discesa incomincia lungo il bacino dell’alpe Rocca, poi continua attraversando il Vallaccio. Oltrepassato il torrente, la via sale a Trepalle, villaggio a casupole sparse forse il più alto d’Europa, poi pel Sommo d’Eira (Insomp Eira), facile giogo, scende a Livigno. Da Semogo ai Dossi vi sono vi sono due ore e mezza di cammino; dai Dossi a Livigno altre due ore.


Trepalle

È singolare regione questa di Livigno (1870 m. - 874 ab.), solitaria, perduta fra i monti, prettamente italiana sebbene sia al di là della maggiore catena delle Alpi, lontana cinque ore di cammino da ogni altra borgata, giacché richiedesi presso a poco questo tempo per scendere a Semogo, a Poschiavo, a Pontresina e a Cernezzo, che sono i luoghi abitati più vicini. Le case, tutte pulite e per la maggior parte in legno con fondamenta in muratura, anziché essere addossate le une alle altre, sono disseminate lungo la strada della valle raccogliendosi in gruppi attorno alla Chiesa parrocchiale e al Campo santo, alla Chiesa di S. Antonio, a quella di San Rocco, e alla cappella di San Florino. E la valle, tutta prati d’un bel verde alpino, corre piana e ampia per parecchi chilometri. I prati si alzano anche qualche poco sulle ridenti pendici dei monti, e poi dan luogo a giovani e robuste foreste di pini che attorno attorno coronano l’incantevole bacino. Le rupi nere e frastagliate appaiono qua e là in alto ad aggiungere severità al quadro stupendo e lasciano intravvedere più lontane cime nevose. Le acque dello Spöl scendono lente, limpide sempre, fra le verdi sponde, e sono popolate da piccole trote d’insuperabile bontà, cui quegli industri terrieri sogliono raccogliere in appositi vivai. Il piano e le pendici offrono larga messe di piante rare e preziose al botanico, i monti largo campo, in gran parte inesplorato, agli studi del geologo; qui è la regione principale dei scisti micacei di Cassanna resi famosi dal Theobald; qui sono le arenarie rosse del Monte Parete, di Federia, qui la dolomia silicifero-calcarea di Campacciolo: le Vette di Blesaccia hanno banchi di gesso, marmi il Monte Parete, ardesie la Val Neira, acque ferruginose e solfuree la Val Viera. Livigno è inoltre regione privilegiata per la caccia, per quella dei camosci soprattutto. ...Il piano di Livigno benché sia settanta metri più alto di quello dell’Engadina e cento più di quello di Santa Caterina, pure, difeso com’è dai venti dl nord e dalle brezze dei ghiacciai, ha clima assai più mite e costante che non quelle località. Gli abitanti di Livigno, intelligentissimi ed industriosi, d’aspetto sano e robusto, sono dediti all’allevamento del bestiame ed al commercio. Essendo il comune posto fuori della cerchia daziaria italiana, essi hanno rapporti commerciali con Poschiavo e coll’Engadina più frequenti forse che con Bormio. Parlano idioma ladino e, ospitalissimi, conservano tutta la semplicità dei costumi antichi.“


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o

Gli alpeggi restano anche nella seconda metà dell'Ottocento il baricentro dell'economia locale. Fra gli alpeggi affittati o condotti da comunisti sono censiti quelli delle Mine (20 mucche, 400 pecore e 20 capre), di Federia (50 mucche, 400 pecore e 600 capre), dell'Alpisella (18 mucche e 30 pecore), del Gallo (8 mucche e 300 pecore), del Motto, di Polipert, di Polesaccia, di Santa Maria, di Sant'Anna (300 mucche e 600 pecore), di Leur, di Pila, della Presa, della Motta. Gli alpeggi di proprietà del comune di Bormio sono invece quelli di Campaccio (30 mucche e 450 pecore), del Vago (60 mucche, 1500 pecore e 23 capre), della Vallaccia (100 mucche e 300 pecore) e di Rocca (12 mucche, 550 pecore e 20 capre).
L’isolamento denunciato dalla Guida viene interrotto solo nel 1914, anno nel quale, per esigenze militari, viene completata la prima carrozzabile da Bormio a Livigno, percorribile però solo d’estate. Bisognerà attendere il 1952 perché venisse garantita anche la sua percorribilità invernale. Ciò ha dato un grande impulso al turismo, favorito anche dal vantaggioso acquisto di merci in territorio extradoganale. Su questi fattori Livigno ha costruito il proprio benessere economico dagli anni sessanta del XX secolo fino ai giorni nostri.

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Il monumento ai caduti riporta i seguenti nomi di livignaschi caduti nel primo conflitto mondiale: Bormolini Bernardo, Bormolini Francesco, Bormolini Giacomo, Bormolini Giuseppe, Cantoni Battista, Cantoni Giuseppe, Cantoni Giovanni, Cantoni Natale, Castellani Battista, Confortola Rocco, Cusini Massimo, Holscanecht Pierino, Longa Domenico, Longa Giuseppe, Motta Nepomuceno, Mottini Bernardo, Mottini Serafino, Pedrana Battista, Peri Battista, Raisoni Emilio, Raisoni Francesco, Rodigari Emilio, Rodigari Luigi, Rodigari Martino, Rodigari Michele, Rodigari Nicola, Silvestri Beniamino, Silvestri Bernardo, Silvestri Giacomo, Silvestri Giacomo, Zini Battista.

Un quadro del comune di Livigno nel periodo fra le due guerre mondiali viene tracciato dalla quinta edizione (1928) de “La Valtellina – Guida illustrata” curata da Ercole Bassi:
A Foscagno trovasi una pulita cantoniera e un bel laghetto. In altre due ore si scende dolcemente, attraversando l’alpe Rocca, ad un verde altipiano in cui giace il villaggio di Trepalle. Invi nacquero da un modesto tagliapietre i fratelli Tramagnino che si resero illustri nel 700. La chiesetta fu fatta sino dal 1648. Si torna poi a salire dolcemente per circa un’ora sino al dosso di Dheira (m. 2200), da dove si offre alla vista l’incantevole valle di Livigno (hotel Bernina, albergo Livigno, pensione Alpina – Poste e Telegrafi – auto est. per Bormio, km. 34 – noleggio vetture e auto – società Pro Livigno – latteria sociale – mutua assistenza bestiame – società elettrica – m. 1800). Livigno è disposto in lunga fila di case, quasi tutte di legno, nell’ubertosa conca dello Spöll, circondata da resinose, ove, dal passo di Dheira, vi si cala in mezz’ora. Nella parrocchiale si ammira una bella ancona intagliata del Rinascimento. La chiesa di San Rocco fu costrutta sino dal 1501, quella di S. Antonio fu rifabbricata nel 1655. il bacino di Livigno manda le sue acque nell’Inn; quindi geograficamente Svizzero. Il Livignasco è molto intelligente ed attivo; parla un dialetto romancio. Dovendo importare i suoi viveri, ed esportare il suo bestiame, sua principale ricchezza, in Italia, preferisce essere unito a questo Stato. La zona è esente dal monopolio del sale e del tabacco pagando un canone fisso allo Stato. Le valli di Livigno sono ricche di camosci, di marmotte e di altra selvaggina. Vi si trova dell’ottimo marmo nero, Nel fiume Spöll si pescano trote squisite.”
Nella seconda guerra mondiale caddero i livignaschi Bormolini Francesco, Bormolini Luigi, Bormolini Rocco Francesco, Cantoni Pietro, Cantoni Silvio, Claoti Vito, Confortola Francesco, Confortola Edoardo Giuseppe, Cusini Domenico, Longa Domenico, Sertorio Guido, Rodigari Severo e Silvestri Battista. Furono dichiarati dispersi nel medesimo conflitto, infine, Bormolini Battista, Bormolini Bernardo, Bormolini Giuseppe, Cantoni Giusto, Cantoni Natale, Cantoni Santino, Cusini Giuseppe, Galli Bernardo, Galli Giacinto Giuseppe, Raisoni Giacinto, Rodigari Attilio, Rodigari Donato, Rodigari Primo, Silvestri Geremia, Silvestri Silvio e Zini Evaristo.


Trepalle

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CARTE DEL TERRITORIO COMUNALE sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Apri qui la carta on-line

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BIBLIOGRAFIA

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Val Federia

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