All'ombra del pizzo Paradisino, sul confine italo-svizzero, nella montagne di Livigno
LAGHI DELLA VALLETTA E PASSO DI VAL MERA
Apri qui una fotomappa della salita ai laghetti della Valletta Il pizzo Paradisino (piz Paradisìn) con i suoi 3302 metri è la più alta cima fra le montagne di Livigno e presidia l'angolo di sud-est della Val di Campo (omonima della ben più ampia Val di Campo elvetica, con la quale comunica attraverso il passo di Val Mera). La Val di Campo è presidiata da altre due cime che meritano di essere menzionate, il Pizzo Orsera (piz Ursera, m. 3032) a sud-ovest ed il monte Vago (al Vaach) ad ovest.
A nord del monte Vago questa valle confluisce, insieme alla Val Nera, nella Valle Vago, almeno stando alle carte. In realtà nella toponomastica locale una Valle Vago non esiste: la valle è chiamata Val Neira, Val Nera, appunto, di cui dunque la Val di Campo è tributaria. Ma anche per la Val di Campo la denominazione introdotta nell'uso dalla cartografia non corrisponde al quella locale, che chiama l'intera Val di Campo “Valècia”, cioè “Valletta”. Le sue acque sono il primo affluente del torrente Spöl e quindi ricadono, come tutto il Livignasco, nel bacino dell'Inn.
Tornando alla Val di Campo, non si tratta di una valle fra le più frequentate, per cui la probabilità di salire a visitarla senza incontrarvi nessuno è piuttosto elevata, con tutti i pro e i contro del caso (la gioia degli amanti della solitudine, la mancanza di aiuto in caso di difficoltà). La parte terminale della Val di Campo, sul lato orientale, è rappresentata da una breve valle, chiamata, appunto, Valletta, una sorta di corridoio che si apre ad ovest del pizzo Paradisino e che termina nel Colle o Varco di Campo (chiamato sul versante elvetico Passo di Val Mera), che si affaccia sulla Val Mera, tributaria della Val di Campo elvetica. La Valletta custodisce gelosamente due piccoli tesori, cioè due laghi di rara bellezza. I motivi per salirvi sono, dunque, più d'uno, con l'indicazione di farlo a stagione avanzata, per evitare il rischio di slavine (ed in condizioni buone di visibilità). Da Livigno dobbiamo imboccare la strada per il passo della Forcola ed il confine svizzero. Lasciate alle spalle le ultime baite di Livigno, prestiamo attenzione ai cartelli: quando vediamo quello che dà il passo a 6 km, proseguiamo per breve tratto fino a trovare, sulla nostra sinistra, l’ampio parcheggio del park siglato P7 (area di sosta attrezzata per picnic). Proseguiamo sulla strada fino al successivo parcheggio, al quale lasciamo l'automobile, per imboccare la strada sterrata sulla nostra sinistra (est) che porta all'alpe Vago.
A monte dell'alpe è collocata una famosa croce, chiamata localmente Crosc' da Val Neira, legata ad una curiosa leggenda raccontata da Alfredo Martinelli ("La cerva, la volpe e Bepin de la Pipa", nella raccolta "L'erba della memoria - Leggende e racconti valtellinesi", Sondrio, 1964). Erano tempi duri, le due ondate di peste del 1629-30 e 1635-36 avevano arrecato gravi lutti anche in Alta Valtellina. Ma quella mattina la peste non c'entrava. Quella mattina, una fredda mattina d'inverno del 1642, diverse donne cacciarono un urlo tanto acuto e potente da richiamare l'attenzione di mezzo paese. La Maddalena, per prima, e subito, a ruota, Lucrezia del Canton, e, via via, molte altre.
Cosa c'era da strillare? Queste buone donne, alzandosi dal letto di buon'ora, perché le cose da fare in una casa sono sempre tante, e troppe, si accorsero, con raccapriccio, che i loro piedi non entravano nei grossi scarponi che calzavano per difendersi dai rigori del freddo. Non c'era proprio verso: per quanti sforzi facessero, i piedi non ne volevano sapere di entrare. Piedi gonfi? Scarponi ristretti? Macché! I piedi erano diventati più grandi, di almeno due dita. Lo si vedeva ad occhio nudo. E le dita, quelle erano tanto deformate, da ritorcersi l'una sull'altra. All'inizio ebbero tanta vergogna che si chiusero in casa e pregarono, tutto il giorno e tutta la notte successiva. Senza esito. Si fecero, quindi, coraggio ed uscirono in paese, dove constatarono che la stregoneria non aveva risparmiato nessuno.
Come, da chi e perché fosse venuta non ci fu modo di saperlo con sicurezza, anche se girarono voci diverse sul maligno visto su a li Steblina, su un gatto nero e su una lontra che avevano emesso versi diabolici, su una civetta a tre code che si era vista sul Ponte del Gallo. Si diede la colpa anche ai quei folletti dispettosi che di notte si intrufolano nelle baite attraverso gli “usciol” per il ricambio dell'aria, annidandosi nel petto di chi dorme e provocando gli incubi. Come annullare la stregoneria, però, questo era il problema più importante. Si decise di salire in pellegrinaggio all'alpe Vago e di piantarvi una croce come segno di penitenza e come supplica della misericordia divina. La quale non mancò di venire in soccorso dei Livignaschi, i cui piedi tornarono delle misure consuete.
Data, ad ogni buon conto, un'occhiata ai piedi, possiamo iniziare l'escursione. Appena a monte delle baite dell'alpe Vago siamo ad un bivio, segnalato da cartelli: ignoriamo il sentiero di sinistra, che risale la Val Nera, e prendiamo a destra, per la Val di Campo, appunto. Attraversato il torrente di Val Nera, procediamo salendo alla sua destra, in quella che è segnata sulle carte come Valle Vago. Dopo qualche saliscendi incontriamo il cartello che annuncia la cascata del torrente di Val di Campo che si getta in quello di Val Nera. Vediamo la cascata raggiungendo la biforcazione della Valle Vago.
Il sentiero piega a destra ed entra in Val di Campo, dove ci salutano due larici secolari. Saliamo verso sud-sud-ovest, restando sul lato destro (per noi) del torrente della valle, su sentiero ben visibile che sale fra i pascoli, fino a giungere in vista del ripiano ai piedi del circo terminale, costituito da grandi colate di sfasciumi scaricate dai rossastri versante del monte Vago e del pizzo Orsera. Alla nostra sinistra scende il torrente che esce dai laghi della Valletta.
Noi stiamo alla sua destra e, giunti a ridosso del versante di sfasciumi, prestiamo attenzione ai segnavia: la traccia piega a sinistra e taglia un versante di sfasciumi e nevaietti, fino a portarsi alla sommità del dosso che culmina nella quota 2647. Ci affacciamo così, in posizione rialzata, al corrodoio della Valletta. Sotto di noi, alla nostra sinistra, il lago settentrionale della Valletta (m. 2592), il più grande. La traccia non scende al lago, ma prosegue diritta, verso sud, quasi in piano, portandosi a ridosso del lago meridionale della Valletta (m. 2646). Tagliando gli sfasciumi appena a monte del lago, alla sua destra, in breve siamo al Passo di Val Mera o Colle di Campo (m. 2671), dove ci attende il cippo di confine n. 2. Ci affacciamo, infatti, all'elvetica Val Mera, tributaria della Val di Campo (Valle di Poschiavo).
L'itinerario descritto non è l'unico possibile, perché si può salire alla Valletta per via più diretta (ma anche più faticosa), salendo quasi a ridosso del torrente che scende dalla Valletta. In tal caso giunti in vista del circo terminale della valle, andiamo a sinistra, attraversiamo il torrente che scende da Pizzo Orsera e Monte Vago e ci avviciniamo al torrente che scende dalla Valletta. Iniziamo ora a salire, zigzagando con attenzione fra le roccette er magri pascoli, che ospitano la "primula latifolia" dai bei petali rosso-viola.
Restiamo a destra del torrente, salendo il ripido versante fino a guadagnare la soglia della Valletta. Ci troviamo così faccia a faccia con la riva settentrionale del primo lago, e passiamo a ridosso della sua riva destra (per noi). Procedendo diritti verso sud, sul fondo del corridoio, raggiungiamo facilmente il secondo laghetto ed il passo, dove ci congiungiamo con l'itinerario precedente. In entrambi i casi giungiamo al passo dopo due ore e mezza circa di cammino (il dislivello approssimativo in altezza è 690 metri).
CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
Se abbiamo a disposizione due giornate possiamo proseguire disegnando uno splendido quanto inedito anello che, dalla cime principale attorno alla quale camminiamo, si potrebbe chiamare "Anello del Paradisino". Un anello che ci porta a conoscere le valli doppie: abbiamo già conosciuto la Val di Campo nel livignasco, passeremo per la Val di Campo elvetica, o meglio per le due valli nelle quali si biforca nella sua parte terminale, la Val Mera, a nord, e la Val Viola Poschiavina, ad est. Proprio per la Val Viola Poschiavina ci riaffacceremo all'omonima Val Viola Bormina, per tornare infine nella Valle di Livigno sfruttando il Colle delle Mine e la Valle delle Mine. Un anello che regala scenari poco frequentati, ma di una bellezza che appaga anche l'escursionista più esigente.
Dal passo di Val Mera o Colle di Campo (m. 2671), raggiunto come sopra descritto, scendiamo, dunque, verso sud, seguendo un sentiero che percorre un breve corridoio e si affaccia alla conca del lago di Roan (m. 2533). Scendiamo lungo un ripido canalone di sfasciumi (che richiede molta attenzione se innevato) oppure seguendo una debole traccia che corre rialzata sul lato destro, destreggiandoci fra facili roccette. Raggiungiamo così la sua riva occidentale (il lago resta alla nostra sinistra).
Pieghiamo quindi leggermente a sinistra e poi a destra, proseguendo verso sud nella discesa su traccia di sentiero zigzagante, fra sfasciumi e lembi di pascolo. Passando a destra di una bella cascata, raggiungiamo il piano di Val Mera (m. 2320), originata da una paleofrana, ora coperta dal pascolo. Scendiamo in diagonale al suo limite meridionale, dove su un ponticello passiamo da destra a sinistra del torrente.
iprendiamo la discesa verso la bassa valle, su traccia di sentiero che segue il torrente Mera restando alla sua sinistra, verso sud est, e si fa più marcato. Raggiunto il ponte a quota 2183 lo ignoriamo e restiamo sul lato sinistro della valle. A quota 2080 troviamo un secondo ponte e questa volta pieghiamo a destra e lo attraversiamo, proseguendo verso sud. Siamo ormai allo sbocco della Val Mera e raggiungiamo l'ampia radura dov'è posto il Rifugio-Ristorante Alpe Campo (m. 2064). La prima tappa potrebbe terminare qui, ma per motivi di equilibrio conviene traversare alla Val Viola Bormina ed al rifugio di Val Viola.
Al Rifugio-Ristorante Alpe Campo (m. 2064) seguiamo le indicazioni del cartello per il lago ed il passo di Val Viola, imboccando il sentiero che procede in falsopiano verso est, fino all'imbocco della Val Viola Poschiavina. Dopo un buon tratto il sentiero piega a sinistra e prosegue, sempre pianeggiante, verso nord-est. Passiamo così appena sopra il Lagh di Scispadus (m. 2071), nella splendida cornice di pini cembri, larici e rododendri. Proseguiamo in leggera salita, dapprima verso nord poi, piegando a destra, verso est. Il bosco si apre e regala lo splendido scenario del lago di Val Viola (m. 2159).
Ad un bivio prendiamo a destra e ci portiamo alle sue rive, presso una grande croce in legno. Ammirato il quadro suggestivo, arricchito dalla caratteristica isoletta boscosa, torniamo al bivio. Qui, seguendo le indicazioni per il passo di Val Viola, andiamo a destra (est), passando per la casetta di Pian di Giardin, fino ad un bivio al quale non andiamo a destra (ponticello), ma a sinistra, salendo verso nord-ovest e superando una picola gola, che ci fa accedere alla località Campasciöl (m. 2279). Proseguiamo passando fra la striscia di pascolo assediata da colate di sfasciumi e piegando gradualmente a destra (est). Ci portiamo così al Pian della Genzana ai piedi del Pizzo Confine (chiamato "Moton" sul versante elvetico). Superato un dosso, pieghiamo a destra (sud). Più in basso, alla nostra destra, vediamo il più alto dei laghi della Val Viola Bormina, il lago di Dugurale. Passiamo a sinistra del cocuzzolo di quota 2458 ed a sinistra della pozza di quota 2402, su terreno torboso. Ci raggiunge salendo da destra il sentierino che abbiamo lasciato al bivio del ponticello più in basso. Pieghiamo qui a sinistra e traversando verso nord-est raggiungiamo il corridoio che precede il passo di Val Viola (m. 2467), poco a destra del cippo di confine n.8, per il quale rientriamo in Italia, affacciandoci alla Val Viola Bormina. Gettiamo dal passo un ultimo sguardo alla Val Viola Poschiavina: ci colpiscono, sul fondo, un'inedita immagine del pizzo Scalino e della sua vedretta, a sinistra, del piz Varuna e del Piz Palù, a destra.
Scendiamo dal passo sfruttando una comoda pista e passando a sinistra dei laghetti di Val Viola, In pochi minuti ci portiamo nei pressi del rifugio Val Viola (m. 2314), che raggiungiamo su sentiero staccandocene sulla destra. Qui (o al vicino rifugio Federico in Dosdé) possiamo pernottare.
Su questo rifugio Giovanni Peretti, nel volume “Rifugi alpini, bivacchi e itinerari scelti in alta Valtellina” (Alpinia Editrice. Bormio, 1987), scrive: “ll Rifugio Viola è situato in un ambiente di rara bellezza sia paesaggistica che naturalistica. I numerosi laghetti alpini che si trovano nell'ampia conca di origine glaciale, di cui il maggiore e più conosciuto è quel bellissimo lago di sbarramento morenico noto come Lago Viola, ricco di trote, costituiscono senza dubbio il principale elemento geomorfologico che caratterizza l'alta Val Viola. Il Rifugio è stato ricavato ristrutturando una vecchia Caserma militare risalente ai primi del '900, di cui si sono mantenute le severe caratteristiche. Sulle cartine topografiche compare ancora, generalmente, come 'Caserma di Val Viola”. Nella seconda giornata dal rifugio Val Viola ci riportiamo sulla pista e proseguiamo scendendo verso la media Val Viola. Passiamo così vicino al lago di Val Viola (m. 2267): la pista passa alla sua sinistra, rimanendo un po’ più alta.
Qui seguiamo il cartello del Sentiero Italia, numerato 109, che dà a 30 minuti la malga Funeira, a 3 ore il Colle delle Mine ed a 6 ore e 15 minuti alla località Teola di Livigno. Lasciamo quindi la pista ed imbocchiamo il sentiero sulla destra, che guadagna quota su un versante di prati e supera una vallecola, raggiungendo la baita di quota 2280. Qui giunge anche una pista sterrata, che proviene da Funera e Stagimel. Ignorata la stradina, proseguiamo nella salita, seguendo i segnavia e sfruttando una gola, fino a raggiungere la solitaria Baita del Pastore (m. 2352), sul fondo della Valle Minestra.
Dalla Baita del Pastore, a 2352 m., seguendo le indicazioni del Sentiero Italia, proseguiamo la salita verso ovest, su moderati pendii, a mezza costa, lasciando a destra, sul lato opposto del torrente, il sentiero che sale al Passo della Vallaccia, e proseguendo in Val Minestra, sempre a mezza costa, sotto le pendici del Pizzo Filone. Piegando poi verso ovest-sud-ovest, superiamo una breve fascia di rocce e raggiungiamo il pianoro del laghetto quotato 2569 m., ai piedi del crestone roccioso meridionale del Pizzo Filone. Ora i pascoli ci abbandonano: ci immettiamo in un solitario vallone, che percorriamo dapprima con andamento, ovest-sud-ovest, in direzione della cima di Zembrasca, poi, superata una fascia rocciosa, piegando a destra (nord-nord-ovest; attenzione ai segnavia), che, percorso verso, destra conduce al passo del Colle delle Mine (m. 2797). Guadagniamo, così, un’ultima conca, che precede lo strappo che ci porta al passo (m. 2797), intagliato fra il monte Zembrasca, alla nostra sinistra, ed il pizzo Filone, a destra.
Ci affacciamo, così, alla Valle delle Mine, che, nella sua parte alta, è selvaggia ed incute timore. Non facciamo fatica a capire perché la fantasia popolare (?) abbia immaginato questa zona popolata delle anime dei confinati del Livignasco, cioè di quelle anime che debbono scontare una lunga pena prima del perdono divino, dando di mazza senza sosta sulla gran massa di pietre. Niente paura: solo al calar delle tenebre si odono i colpi di mazza. Se, poi, ci capitasse di essere sorpresi qui a notte fatta, teniamo presente che udire i colpi sinistri non comporta un reale pericolo, ma guai a chi volesse scorgere una di queste anime infelici: sarebbe condannato a condividerne la sorte. Iniziamo, ora, a scendere a scendere, sempre prestando molta attenzione ai segnavia, in direzione ovest-nord-ovest, su terreno di sfasciumi e nevaietti, superando, nel primo tratto, anche un laghetto di fusione. Restando sulla destra del primo vallone, superiamo sulla destra, tagliando una fascia di ripidi pascoli, la gola-strettoia di quota 2600, e scendiamo con andamento ripido fin verso quota 2300, dove la traccia prosegue con andamento meno ripido, portandoci al Baitel del Grasso degli Agnelli (m. 2192), dove giunge una pista sterrata seguendo la quale siamo in breve all’alpe delle Mine (m. 2141). La pista prosegue nel bosco e, con qualche tornante, esce alla piana di Livigno in località Tresenda (m. 1892).
Può essere interessante, infine, leggere il resoconto della medesima traversata operata il 30 luglio 1906 da Bruno Galli Valerio (da “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Bettini, Sondrio, 1998): “Lungo un sentiero sulla sinistra di Val Viola, ci dirigiamo verso Funera. Una splendida vipera ci viene incontro e posso catturarla. Fanno la loro apparizione, la Cima Piazzi e il gruppo dell'Ortler. Entriamo nella Valletta, tutta verde. Alcuni pastori ci danno il benvenuto e ci conducono a un'eccellente sorgente d'acqua ferrugginosa che sgorga in riva al fiume. La Valletta è chiu sa in fondo dal Pizzo di Zembrasca e dai Corni di Capra. Ai piedi del primo, sulla sinistra della valle si vede un'insenatura: il Passo delle Mine (2900 m.). Risaliamo per pascoli e gande, passiamo in riva ad un laghetto verde, entriamo in una strettissima gola e all'una pomeridiana, siamo sul passo. Tutt'intorno a noi stanno le cime di Zembrasca, di Capra, di Pavallo, del Filone. Sulla nostra sinistra una grande vedretta; davanti a noi, Val Tresenda, chiusa all'orizzonte dal gruppo del Tödi. Una buona fermata di un'ora, poi scendiamo per nevai e gande, fiancheggiando enormi morene. Tenendo la destra della valle, sotto la costa delle Mine, scendiamo il salto lungo un canalino di roccia. In un piano paludoso, sparso d'Eriophorum, pascolano vacche e cavalli. Passata la baita, tenendo sempre la destra della valle, scendiamo in uno splendido bosco di larici e cembri. Sulla nostra sinistra spuntano le cime del Vago, del Palü e del Cambrena. Alle quattro e un quarto, entriamo nella valle di Livigno.”
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