Alla malga di Torena, in Val Belviso
Apri qui una panoramica sul Lago Nero di Torena
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Parcheggio Ponte Frera-Malga Torena |
2 h e 10 min. |
660 |
E |
SINTESI. Stacchiamoci dalla ss 38 dello Stelvio a Tresenda prendendo a destra (per chi proviene da Milano) ed imboccando la statale che sale verso Aprica. Prima di raggiungere Aprica, la lasciamo sulla destra e scendiamo al ponte di
Ganda (m. 915), all’imbocco della Val Belviso. Passati sul versante
opposto (destro per chi sale), superiamo le Baite Valle Aperta (m. 1064),
la località S. Paolo (m. 1216) ed il rifugio Cristina (m. 1255),
raggiungendo, infine, la località Ponte Frera (m. 1381, a 4 km dal ponte
di Ganda). Riportiamoci al di qua del ponte, raggiungendo, dopo
pochi passi, un grande edificio, appena oltre il quale (verso valle),
alla nostra sinistra, parte una pista forestale, sulla quale ci incamminiamo. All’ultimo tornante dx prima che la pista si interrompa (AGGIORNAMENTO: la pista ora prosegue fino alla Casa di Caccia a quota 1900),
raggiungiamo la malga Fraitina (m. 1698): un tratturo che si stacca sulla
sinistra dalla pista porta alle due baite dell’alpeggio. Dobbiamo,
ora, trovare il sentiero che prosegue nella salita: lo vediamo, sulla
nostra destra, poco dopo aver lasciato la pista, prima, dunque, delle
baite. Il sentiero, segnalato anche da alcuni segnavia bianco-rossi, sale
per un tratto nel prato verso sinistra, poi piega a destra ed entra nel
bosco, diventando più marcato. La prima parte della salita porta ad una bella radura, dove si trova anche
una fontana; rientrati nel bosco, ne usciamo poco dopo in corrispondenza
dei prati del baitone di quota 1900 (Casa di Caccia), nei cui pressi si trova una seconda
fontana. Il
sentiero piega, poi, a sinistra, e ci porta ad un bivio, segnalato, al quale stiamo a destra. Dopo aver superato una sorta di porta nei pressi del
torrente ed alcuni ultimi tornanti, usciamo alla malga Torena.
Vediamo subito, davanti a noi, il baitone, ed alla nostra destra il lago Nero (m. 2054). Tornati al baitone, lo superiamo, seguendo il sentiero che
attraversa una fascia di formazioni rocciose scistose,
in direzione sud, e ci porta alla grande conca ai piedi del monte Torena,
dove si trova il secondo lago, il lago Verde, un po’ più
alto (m. 2073). |
La Val Belviso, una delle perle del territorio di Teglio, chiude, ad oriente, la sequenza delle valli del versante
orobico valtellinese. Il nome non le fu assegnato a caso: significa, infatti,
“di bell’aspetto”, e tale è, appunto, per la
sua luminosità ed apertura. Ma il suo angolo più bello lo
serba, nascosto, quasi al suo ingresso, sul versante occidentale.
Si tratta di un’ampia conca glaciale, che si stende ai piedi del
versante nord-orientale del monte Torena (m. 2911) e racchiude due splendidi
laghi, il lago Nero ed il lago Verde. Un luogo di grande suggestione paesaggistica,
raggiungibile con una escursione di impegno medio, senza particolari problemi,
quindi raccomandabile a tutti.
Punto di partenza dell’escursione è Ponte Frera (m. 1381),
raggiungibile, con l’automobile, per due vie. Si può percorrere
la strada che da Tresenda sale verso Aprica, staccandosene, prima di raggiungere
la nota località turistica, sulla destra e scendendo al ponte di
Ganda (m. 915), all’imbocco della Val Belviso. Passati sul versante
opposto (destro per chi sale), si superano le Baite Valle Aperta (m. 1064),
la località S. Paolo (m. 1216) ed il rifugio Cristina (m. 1255),
raggiungendo, infine, la località Ponte Frera, a 4 km dal ponte
di Ganda.
Si può anche lasciare la ss. 38 dello Stelvio, in direzione del
versante orobico, a S. Giacomo di Teglio, salendo, poi, sulla strada che
conduce a Carona (strada in più punti piuttosto stretta). Prima
di raggiungere Carona, si trova, sulla sinistra, la deviazione, segnalata,
per la Val Belviso. Imboccandola, si prosegue verso est, raggiungendo
la soglia del fianco occidentale della Val Belviso e scendendo ad intercettare
l’itinerario sopra descritto, poco oltre il ponte di Ganda. A Ponte
Frera lasciamo l’automobile al parcheggio che si trova appena oltre
il ponte, dal quale si ammira l’imponente sbarramento artificiale
del lago Belviso (m. 1485).
Mettiamoci,
quindi, in cammino e riportiamoci al di qua del ponte, raggiungendo, dopo
pochi passi, un grande edificio, appena oltre il quale (verso valle),
alla nostra sinistra, parte una pista forestale. Il cartello segnala che
l’itinerario è numerato con il 317, e porta in un’ora
alla malga Fraitina, in 2 ore e 20 minuti alla malga Torena (dove si trovano
i laghi nero e Verde) ed in 5 ore e 30 minuti alla cima del monte Torena.
Dopo un lungo ed abbastanza ripido tratto verso sud-ovest, la pista comincia
ad inanellare una serie di tornanti. In alcuni tratti possiamo riconoscere
l’antico sentiero, che la intercetta, ripartendo sul lato opposto,
e possiamo utilizzarlo per guadagnare un po’ si tempo ed immergerci
nel bel bosco di abeti. In alcuni punti, guardando a sinistra, in basso,
possiamo scorgere uno scorcio del lago Belviso, e, sull’angolo sud-orientale
della valle, il monte Tre Confini (o Venerocolo, m. 2590).
All’ultimo tornante destrorso prima che la pista si interrompa (AGGIORNAMENTO: la pista ora prosegue fino alla Casa di Caccia a quota 1900),
raggiungiamo la malga Fraitina (m. 1698): un tratturo che si stacca sulla
sinistra dalla pista porta alle due baite dell’alpeggio. Dobbiamo,
ora, trovare il sentiero che prosegue nella salita: lo vediamo, sulla
nostra destra, poco dopo aver lasciato la pista, prima, dunque, delle
baite. Il sentiero, segnalato anche da alcuni segnavia bianco-rossi, sale
per un tratto nel prato verso sinistra, poi piega a destra ed entra nel
bosco, diventando più marcato.
La prima parte della salita porta ad una bella radura, dove si trova anche
una fontana; rientrati nel bosco, ne usciamo poco dopo in corrispondenza
dei prati del baitone di quota 1900, nei cui pressi si trova una seconda
fontana. Gli alpeggi della zona vengono ancora caricati d’estate,
per cui, in questa stagione sentiremo probabilmente lo scampanio delle
mucche. Se invece passiamo di qui in autunno, solo silenzio, ma anche
colori stupendi. Guardando verso sinistra, scorgiamo anche uno scorcio
del signore di questo angolo di valle, il monte Torena, l’ultimo
“gigante” della catena orobica verso oriente, che mostra il
suo caratteristico cupolone arrotondato.
Lago Nero
Il
sentiero piega, poi, a sinistra, e ci porta ad un bivio, segnalato: si
stacca, sulla sinistra, infatti, il sentiero per la malga Pila (data ad
un’ora e 30 minuti), la malga Demignone (a 3 ore e 40 minuti) ed
il passo di Venerocolo (a 5 ore e 30 minuti). Il nostro sentiero, invece,
prosegue per la malga Torena (data a 20 minuti), dalla quale si può
proseguire per la malga Lavazza (data ad un’ora e 20 minuti) e la
malga Dosso (data ad un’ora e 50 minuti). Avanti ancora, dunque
fino ad un punto dal quale possiamo ammirare, davanti a noi, la bella
cascata che il torrente forma ad un salto roccioso, uscendo dalla conca
della malga Torena (malga turéna). Dopo aver superato una sorta di porta nei pressi del
torrente ed alcuni ultimi tornanti, eccoci, infine, alla malga, raggiunta
con due ore o poco più di cammino (il dislivello in altezza è,
approssimativamente, di 660 metri).
Vediamo subito, davanti a noi, il baitone, ma poi, guardando a destra,
è lo stupendo lago Nero (lach négru de turéna, secondo la dizione retica, lach négher de turéna, secondo quella orobica; viene chiamato anche "lach grant de turéna"; m. 2054) ad attrarre la nostra attenzione.
Un lago davvero pittoresco, anche per il caratteristico piccolo isolotto
interamente ricoperto di vegetazione (inizialmente, forse, non lo notiamo,
confondendolo con la riva opposta). Non possiamo non dare ragione a Bruno
Galli Valerio, profondo conoscitore ed amante dei monti di Valtellina,
e pioniere della loro esplorazione alpinistica, quando scrive: “(Il
lago Nero) con il suo isolotto nel mezzo, lo sfondo chiuso dalle cime
del Redasco e dell’Ortler, è tra i laghi alpini il più
artistico che abbia mai visto” (da Punte e passi, a cura di L. Angelici
ed A. Boscacci, edito, per il C.A.I., dalla Tipografia Bettini di Sondrio
nel 1998, pg. 98).
Lago Verde
Portiamoci presso la sua riva ed osserviamo con attenzione: ci potrà
capitare di vedere un gran numero di pesciolini, le sanguinerole, di cui
si cibano le trote. Se, poi, ci portiamo sulla riva occidentale, rivolta
al versante montuoso, dove parte il sentiero per le malghe Gavazza e Dosso,
potremo individuare, il pianoro paludoso sul cui bordo si trovano le rocce che recano incisi graffiti preistorici.
Per qual motivo i nostri antichissimi progenitori salirono fin quassù?
Per cacciare, forse, ma molto più probabilmente per effettuare
pratiche di culto in un luogo che, per la posizione panoramica, doveva
rivestire ai loro occhi un particolare valore magico.
Torniamo, ora, verso il baitone e superiamolo, seguendo il sentiero che
attraversa una fascia di formazioni rocciose scistose (una, davvero curiosa
e buffa, sembra ricoperta da un vero e proprio cappello di vegetazione),
in direzione sud, e ci porta alla grande conca ai piedi del monte Torena,
dove si trova il secondo lago, il lago Verde, un po’ più
alto (lach vért de turéna, m. 2073). Il niome è legato alla colorazione, che dipende dall'erba vìsega che cresce sulle sue rive e dalla ghiaia sul fondo. Il sentiero prosegue sulla sua riva destra, e poi comincia
ad inerpicarsi sul ghiaione ai piedi del versante sud-orientale del monte
Torena (la salita alla sua cima richiede ancora circa 3 ore di cammino).
Possiamo
seguirlo, guadagnando un po’ di quota ed effettuando, poi, una traversata
verso sinistra, fino a raggiungere una posizione dalla quale possiamo
dominare, con lo sguardo, entrambi i laghi. Se lo scenario sarà
impreziosito dai colori dell’autunno, difficilmente lo dimenticheremo.
Due laghi così belli e vicini non possono non essere legati ad una leggenda. Una leggenda d’amore. Una leggenda che rimanda ad un tempo nel quale l’idea, per noi ovvia, che l’amore sia il fondamento dell’unione matrimoniale non era affatto ovvia né scontata. L’interesse e la scelta dei genitori, infatti, determinavano buona parte dei matrimoni. Ed ecco allora, secondo un cliché ben collaudato nelle leggende di questo genere, due giovani che si amano appassionatamente. Lei, per la sua bellezza, è chiamata Belviso; lui è un umile pastore, di cui non è riportato il nome, ma dalle fattezze delicate e gentili. L’amore è però fortemente contrastato dallo zio della ragazza, cui questa è stata affidata dopo la perdita di entrambi i genitori; a questo gretto individuo, infatti, sta a cuore molto più la fortuna personale della felicità della nipote. Decide, quindi, di prometterla in sposa ad un attempato e distinto signore. Ma la cosa puzza di bruciato, anzi, di zolfo, perché il pretendente, che possiede una ricchezza spropositata e promette di ricoprire d’oro l’avido zio, ha una pessima fama. Si vocifera che abbia accumulato il suo patrimonio con loschi traffici, ma le voci più sinistre si spingono oltre, e lo dipingono come un demonio, anzi, il demonio in persona. Dietro i tratti gentili ed affettati si celerebbe, infatti, la sua potenza malefica, sola spiegazione plausibile per una ricchezza di cui non s’era mai visto l’eguale fra i pastori e di contadini della valle che chiude, a levante, la catena orobica, tutta gente umile, abituata a sudare ogni singolo spicciolo.
Belviso non ne vuol sapere di quell’individuo, ed architetta, con l’amato, l’unico piano che può salvarla da una vita infelice: la fuga. I due si danno convegno in una notte rischiarata dal volto compassionevole della luna e fuggono, su, per i boschi, in direzione del passo più vicino che consenta loro di far perdere le tracce in Val Seriana. Ma lo zio veglia, perché il promesso sposo, chissà per quale potere di chiaroveggenza, gli ha messo la pulce nell’orecchio: ed allora i due sono subito sulle tracce dei fuggitivi, li incalzano da presso, negli scuri sentieri dei boschi sul versante occidentale della valle. Usciti alla spianata degli alpeggi, i giovani si vedono ormai raggiunti, comprendono che la fuga è impossibile, e decidono, con uno sguardo d’intesa, di sfuggire alla loro triste sorte. Ed accade allora un prodigio, un prodigio insieme triste e sublime, un prodigio che solo la forza dell’amore più sublime può operare. Svaniscono le loro sembianze umane, proprio nell’istante in cui i malvagi inseguitori sono loro addosso. Al posto degli innamorati, ecco, d’incanto, due splendidi laghi: il lago Verde, nel quale si scioglie la bellezza di Belviso, ed il lago Nero, nel quale si muta l’anima affranta del pastore. Il diavolo è beffato, lascia la valle con il suo oro malefico; lo zio resta solo, ed intristisce in una vecchiaia di stenti e di desolazione, additato da tutti come responsabile di una colpa imperdonabile contro l’amore sincero.
E i due giovani? Svanita la felicità piena, la sorte ha concesso loro uno scampolo di felicità. Quando la stagione più fredda ammanta l’altipiano dei laghi di candida neve, ancora si uniscono, ancora si parlano, ancora si dichiarano amore eterno. Questa commovente storia colpì tanto i cuori degli alpigiani della valle, che da allora questa prese il nome della ragazza. E fu Val Belviso.
Lago Verde
Dopo aver gustato la suggestione della leggenda dei due laghi, riportata nel volume "Le novelle dell'Adda" di Lina Rini-Lombardini (edito da La Scuola, Brescia, nel 1929), dobbiamo menzionare secondo leggenda, meno poetica, ma sicuramente singolare. Si dice che sulle rive del lago Verde vivesse una tale végia Fancuna, una donna di Teglio che si era acquistata una pessima fama come donna di facili costumi. Lo scandalo nel paese portò al suo esilio: venne condotta fin qui e relegata in quest'angolo remoto della Val Belviso. Ma non era sola, perché l'alpeggio veniva caricato tutte le estati, e si racconta che caricatori e pastori fossero soliti schernirla, non senza una punta di timore, con questa sorta di filastrocca: "Végia Fancuna, i t'ha scunfinàda dént ilò, sta ént, sta ént", cioè "Vecchia Fancuna, tu hanno confinato là dentro, rimani là dentro, rimani là dentro").
![]() Incisioni rupestri presso il lago Nero |
![]() Incisioni rupestri presso il lago Nero |
Si tratta ora di pensare al ritorno. Se non vogliamo tornare per la medesima via di salita, ci si offre la possibilità di una stupenda traversata in Val Caronella. Dobbiamo, però avere a disposizione due automobili per effettuarla, e lasciare la prima a Carona. Torniamo, dunque, al lago Nero. Un cartello segnala la partenza del già citato sentiero per la malga Gavazza (data a 50 minuti), la malga dosso (data ad un’ora e 20 minuti) e la malga Carbonella (data a 2 ore e 20 minuti). Il sentiero passa nei pressi di un piccolo laghetto (che vediamo sul fondo della piana a nord del lago Nero) e, prima di raggiungere la malga Lavazza, a valle del lago Lavazza (m. 2134). Dalla malga Carbonella, infine, inizia una lunga discesa che porta a Carona. Questo lungo giro richiede circa 6 ore di cammino.
Il laghetto di Lavazza
CARTA DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE-MAP (FAIR USE)
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri)
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APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, sul lago Nero (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).
Escursioni e camminate (consigli ed indicazioni; I miei canali su YouTube: paesi e campane, rifugi e vette, passi e poesie, poesie, musica) |
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Storia, tradizioni e leggende |
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