Apri qui una panoramica dal rifugio Gino e Massimo a Grioni

BRIOTTI-LE PIANE-BRATTA-GRIONI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Briotti-Le Piane-Grioni
6 h
890
E
SINTESI. Lasciamo la ss 38 dello Stelvio circa 5 km dopo Sondrio (per chi procede in direzione di Bormio). Dobbiamo prestare attenzione al cartello marrone che annuncia Ponte in Valtellina: poco più avanti, sempre sulla destra, vediamo il cartello marrone che segnala lo svincolo per Carolo, Sazzo, Arigna e Briotti, al quale svoltiamo a destra e scendiamo al ponte il fiume Adda. Sul versante opposto andiamo a destra e ad un bivio a sinistra, iniziando a salire sul versante orobico. Raggiunta Fontaniva, non dobbiamo procedere diritti, ma piegare a destra, e ad un bivio successivo ancora a destra, seguendo le indicazioni per Briotti e Paiosa. Superate le deviazioni per Berniga e Famlonga, ad un bivio andiamo a sinistra e ci portiamo al parcheggio all’ingresso dell’abitato (m. 1060), poco sotto la chiesetta dedicata a San Lorenzo. Lasciata l’automobile al parcheggio, ci incamminiamo verso ovest, passando a lato di un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, sulla strada principale, seguendo le indicazioni per le Piane. La carozzabile sale ai prati a monte di Briotti, e dopo un tratto nella selva ed un tornante sx esce in vista alle baite delle Piane (I Piani, m. 1268). Procediamo ancora con pochi tornanti, verso la parte alta dei prati, denominata Le Bratte (Li Brati, m. 1329). Qui la carrozzabile piega a destra e si approssima al limite del bosco. Appena prima del bosco troviamo due cartelli escursionistici, entrambi relativi al sentiero 264. Sul cartello che indica a sinistra è stata aggiunta l’indicazione “Campei-Tripolo-Grioni”. Lasciamo la pista alla nostra destra e prendiamo a sinistra, imboccando un accenno di pista che diventa però subito un largo sentiero che sale nell’abetaia. Per un buon tratto troviamo su tronchi d’abete, a distanze abbastanza regolari, delle targhette rosse-metallo-rosse, con l’indicazione “Campei-Tripolo-Grioni”. Passiamo a monte dei prati di “Mason Sura”. Procediamo verso sud, salendo fra betulle, abeti e brevi radure, ed attraversando un prato più ampio. Salendo ancora, raggiungiamo il limite di un’ampia radura in piano. Attraversiamo sul latod estro e rientriamo nel bosco sul lato destro, proseguendo verso destra. Da ora in poi al posto delle targhe troveremo sui tronchi incisioni colorate in rosso. Procediamo diritti e dopo un buon tratto il sentiero, meno marcato, procede fra macereti e larici. Cominciamo a vedere sui massi anche segnavia bianco-rossi. I larici lasciano poi il posto ad un avvallamento all’aperto, che tagliamo seguendo i segnavia bianco-rossi ed i segni rossi sui tronchi. Poco più avanti ci raggiunge da sinistra un sentiero che, come indica una targa, proviene da (o conduce a) Tripolo (Trìpul). Lo ignoriamo e procediamo diritti, incontrando altre targhe con la scritta “Grioni”, raggiungendo finalmente il limite basso della pianetta di Grioni (Griùn, m. 1867), dove si trova il rifugio Gino e Massimo.


Apri qui una fotomappa dei sentieri a monte di Piateda

Grioni (Griùn, m. 1867) è un alpeggio di eccezionale pregio panoramico che si trova sul versante alto delle Orobie Valtellinesi a monte di Briotti, fra la Val Granda e la Val de Mèz, nel comune di Ponte in Valtellina. Si tratta di una fascia di prati non molto ampia, circondata da splendide peccete, con una baita ora ristrutturata dal comune di Piateda ed adibita, dal 2013, a rifugio con annesso piccolo bivacco, il rifugio Gino e Massimo, in ricordo di Gino Berniga, di Piateda, e Massimo Donati, di Castello dell’Acqua.
Può essere meta di un’interessante escursione e a sua volta punto di partenza per escursioni di impegno maggiore. Le vie di accesso principali sono due, ed entrambe partono da Briotti. Si può salire seguendo un sentiero che si snoda quasi interamente nel bosco, oppure seguire una stradella un po’ più bassa.


Briotti

Per raggiungere Briotti dobbiamo staccarci dalla ss 38 dello Stelvio circa 5 km dopo Sondrio (per chi procede in direzione di Bormio). Dobbiamo prestare attenzione al cartello marrone che annuncia Ponte in Valtellina: poco più avanti, sempre sulla destra, vediamo il cartello marrone che segnala lo svincolo per Carolo, Sazzo, Arigna e Briotti. Procediamo con velocità moderata, perché dobbiamo svoltare a destra proprio al cartello. Lasciata la strada statale, prendiamo a sinistra e scendiamo piegando a destra e superando su un ponte il fiume Adda. Sul versante opposto andiamo a destra e ad un bivio a sinistra, iniziando a salire sul versante orobico. La strada passa per Sazzo, dove si trova un famoso santuario dedicato a san Luigi, e prosegue passando vicino alle frazioni di Albareda e Tripolo. Raggiunta Fontaniva, non dobbiamo procedere diritti, ma piegare a destra, e ad un bivio successivo ancora a destra, seguendo le indicazioni per Briotti e Paiosa. Superate le deviazioni per Berniga e Famlonga, passiamo per la frazione Prestinè, raggiungendo Briotti. Qui ad un bivio andiamo a sinistra se optiamo per la salita su sentiero, a destra se scegliamo quella più breve su stradella. Nel primo caso ci portiamo al parcheggio all’ingresso dell’abitato, poco sotto la chiesetta dedicata a San Lorenzo.


Apri qui una panoramica sulla pista per le Piane

Briotti (Briòt, m. 1060) è il più elevato nucleo abitato permanentemente sul versante orobico, oltre che località di soggiorno estivo molto frequentata ed animata da interessanti iniziative culturali. Lasciata l’automobile al parcheggio, ci incamminiamo verso ovest, passando a lato di un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi ed ignorando alcuni cartelli escursionistici (sentiero 268, per i laghi di Santo Stefano ed il rifugio Donati e 267, per l’alpe Tripolo e Grioni). Restiamo sulla strada principale, passando accanto ad una statua in legno della B. V. Maria. Procedendo in leggera salita ci portiamo alla periferia occidentale di Briotti. Dobbiamo stare sempre sulla carozzabile principale, con fondo sterrato e in cemento, che sale con alcuni tornanti, ed ignorare alcune deviazioni (seguiamo le indicazioni per le Piane).
La carozzabile sale ai prati a monte di Briotti, e dopo un tratto nella selva ed un tornante sx esce in vista alle baite delle Piane (I Piani, m. 1268).  Riconosciamo il maggengo per un masso che sembra uno stipite di pietra, sul lato destro della pista, e reca scritto “Alle Piane Api Orobie”. Procediamo ancora con pochi tornanti, verso la parte alta dei prati, denominata Le Bratte (Li Brati, m. 1329). Qui la carrozzabile piega a destra e si approssima al limite del bosco. Al fondo in cemento si sostituisce quello sterrato.


Apri qui una panoramica dalle Piane

Appena prima del bosco troviamo due cartelli escursionistici, entrambi relativi al sentiero 264 ed entrambi con l’indicazione di Armisola data a 2 ore. Sul cartello che indica a sinistra, però, è stata aggiunta l’indicazione “Campei-Tripolo-Grioni”. Lasciamo dunque la pista alla nostra destra e prendiamo a sinistra, imboccando un accenno di pista che diventa però subito un largo sentiero che sale nell’abetaia e che ci condurrà dopo una lunga traversata di un paio d’ore o poco meno a Grioni. Per un buon tratto troviamo su tronchi d’abete, a distanze abbastanza regolari, delle targhette rosse-metallo-rosse, con l’indicazione “Campei-Tripolo-Grioni”.
Dopo pochi tornanti vediamo una targa con l’indicazione “Mason Sura-Grioni”. Poco più avanti, infatti, il sentiero esce ai prati del maggengo di Masòn Sura (o Masù de Zura, m. 1411), splendido terrazzo panoramico dove riposta una baita solitaria. Poco prima, però, che il sentiero lo raggiunga una targa con l’indicazione “Grioni” su un abete ci indica di prendere a sinistra e salire, passando a monte dei prati. Procediamo verso sud, salendo fra betulle, abeti e brevi radure, ed attraversando un prato più ampio. Salendo ancora, raggiungiamo il limite di un’ampia radura in piano. Sul suo ingresso una targa indica, nella direzione dalla quale proveniamo, Bratta. Siamo sul limite di destra della piana, e restiamo su questo lato, rientrando nel bosco sul lato destro e proseguendo verso destra. Da ora in poi al posto delle targhe troveremo sui tronchi incisioni colorate in rosso.


Sentiero per Grioni

Procediamo diritti e dopo un tratto nel bosco, una radura ed un nuovo tratto nel bosco, notiamo che la vegetazione sta cambiando: il sentiero, meno marcato, procede fra macereti e larici. Cominciamo a vedere sui massi anche segnavia bianco-rossi. I larici lasciano poi il posto ad un avvallamento all’aperto, che tagliamo seguendo i segnavia bianco-rossi ed i segni rossi sui tronchi. Ci ritroviamo fra i larici e poco più avanti ci raggiunge da sinistra un sentiero che, come indica una targa, proviene da (o conduce a) Tripolo (Trìpul). Lo ignoriamo e procediamo diritti, incontrando altre targhe con la scritta “Grioni”, utili perché qui la traccia non si perde, ma non è molto marcata. Passiamo fra radi larici e brevi radure, raggiungendo finalmente il limite basso della pianetta di Grioni (Griùn, m. 1867). Qui intercettiamo, alla nostra destra, una stradella con fondo in erba, cioè il secondo itinerario che da Briotti sale a Grioni.


Masun de Sura

Al centro dei prati troviamo il rifugio Gino e Massimo, aperto di sabato e domenica su prenotazione (se possibile entro venerdì), da effettuare telefonando al 3492515925, oppure inviando una mail all’indirizzo anto-mauto@hotmail.it Il rifugio ha una pagina dedicata su Facebook (Berniga Mauro – Rifugio Gino e Massimo) e dispone di 20 posti letto, corrente elettrica ed acqua. A lato si trova anche un piccolo locale adibito a bivacco e quindi sempre aperto, con due reti, qualche coperta ed una stufa.


Rifugio Gino e Massimo

Per apprezzare lo straordinario panorama di Grioni possiamo accomodarci sulla panchina sul limite basso dei prati, dove eccellente è il colpo d’occhio sul versante retico di Tresivio, Ponte in Valtellina e Chiuro. Ma per vedere di più dobbiamo salire di una ventina di metri a monte del rifugio oltre la recinzione che ne circonda l’area. Guardando a nord-ovest (sinistra) rivediamo un profilo che più volte si è proposto durante l’escursione, il torreggiante monte Disgrazia (m. 3678), che da questo versante mostra la forma di un pizzo imponente, diversa da  quella più spesso fotografata. Alla sua destra il più modesto pizzo Cassandra è seguito dalla rossa e sulfurea Val Sassersa, con il passo di Ventina, in alta Valmalenco. Procedendo sempre verso destra sono le cime dell’alta Valmalenco a mostrarsi, la massiccia punta di Fora (m. 3358) e la famosa triade del pizzo Tremoggia (m. 3441), del pizzo Malenco (m. 3438) e della Sassa d’Entova (m. 3329). Il resto della testata della Valmalenco è quasi interamente nascosto dalla testata del versante retico sopra Tresivio, ma riescono ad affacciarsi il piz Glüschaint (m. 3594), La Sella (m. 3564 e 3554), il piz Roseg (m. 3936) ed il pizzo Bernina (m. 4051), il “quattromila” più orientale delle Alpi. Poi si propongono in primo piano le cime del versante retico sopra Tresivio e Ponte, dominate dall’appuntito profilo della vetta di Ron (m. 3137). Più a destra si domina un’ampia sezione della profonda Val Fontana, sorvegliata sul lato orientale dal pizzo Combolo (m. 2900). Ancora più a destra si intravvede uno spicchio della bassa Valle di Poschiavo.


Monte Disgrazia da Grioni

Grioni, oltre che ottimo poggio panoramico, è anche un crocevia di sentieri che offre interessanti opportunità escursionistiche. Il ritorno a Briotti può avvenire sfruttando la stradella che abbiamo intercettato uscendo dal bosco: procedendo sempre diritti ci ritroviamo al Dosso del Grillo.

BRIOTTI-PAIOSA-GRIONI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Briotti-Paiosa-Grioni
2 h e 30 min.
880
E
Briotti-Paiosa-Grioni-Armisola-Briotti
5 n
890
E
SINTESI. Lasciamo la ss 38 dello Stelvio circa 5 km dopo Sondrio (per chi procede in direzione di Bormio). Dobbiamo prestare attenzione al cartello marrone che annuncia Ponte in Valtellina: poco più avanti, sempre sulla destra, vediamo il cartello marrone che segnala lo svincolo per Carolo, Sazzo, Arigna e Briotti, al quale svoltiamo a destra e scendiamo al ponte il fiume Adda. Sul versante opposto andiamo a destra e ad un bivio a sinistra, iniziando a salire sul versante orobico. Raggiunta Fontaniva, non dobbiamo procedere diritti, ma piegare a destra, e ad un bivio successivo ancora a destra, seguendo le indicazioni per Briotti e Paiosa. Superate le deviazioni per Berniga e Famlonga, ad un bivio andiamo a destra passando per il ristorante il Dosso del Grillo, superando un primo parcheggio e parcheggiando al secondo (m. 1050). Ci incamminiamo sulla pista principale, ignorando alcune deviazioni, e passando per le località Paiosa e Pigolze. la pista rientra nel bosco e passa a valle di un’area di sosta attrezzata, proponendo poi alcuni tornanti ed accentuando in alcuni tratti la pendenza. A quota 1420 metri circa ad un tornante sx ignoriamo una pista secondaria che prosegue diritta. Al successivo tornante dx, però lasciamo la pista principale, che prosegue per Armisola, ed imbocchiamo, seguendo i cartelli che segnalano il percorso 264 (Grioni ed il rifugio Gino e Massimo sono dati a 40 minuti), una pista secondaria che se ne stacca sulla sinistra, poco sotto quota 1500 m. La pista secondaria sale decisa ed esce infine dall'abetaia alla parte bassa dei prati di Grioni, poco sotto il rifugio Gino e Massimo. Per il ritorno possiamo seguire il sentiero segnalato che parte appena sotto il rifugio a destra (per chi guarda a monte). Si tratta del sentiero 260 ed è segnalato da un cartello che dà Armisola a 30 minuti e Le Piane ad un’ora (ma non si tratta del maggengo sopra Briotti, bensì dell’alpe omonima che si trova a monte del Gaggio di Piateda). All’imbocco del sentiero c’è anche un secondo cartello affisso ad un moncone di tronco di larice. Il sentiero, segnalato, taglia il versante boscoso verso nord-ovest. Dopo un lungo tratto verso nord-ovest, il sentiero piega gradualmente a sinistra (ovest e sud-ovest) ed esce dal bosco nei pressi del baitone dell’alpe Armisola (m. 1629). Poco più in basso, a destra, arriva la pista sterrata che scende, nella cornice di una splendida abetaia, fino al bivio sopra citato di quota 1500, dove, ad un tornante sx la raggiunge da destra la pista secondaria che abbiamo utilizzato per salire a Grioni. Restando sulla pista principale torniamo infine al parcheggio ad ovest del Dosso dei Galli, a Briotti.


Briotti

Ma vediamo come salire per la pista che passa per il Dosso del Grillo.
Torniamo all’ingresso di Briotti: questa volta, però, al bivio andiamo a destra, passando per il ristorante del Dosso del Grillo (ristorante-bar-area giochi). Poco più avanti troviamo un parcheggio con un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi (m. 1040), e possiamo scegliere se lasciare qui la macchina o proseguire per un buon tratto. Seguiamo, a piedi o in automobile, la carrozzabile che entra in un bosco a passa a sinistra di un’area di sosta attrezzata, raggiungendo un secondo parcheggio al quale conviene lasciare l’automobile, perché la successiva pista è stretta e propone tratti ripidi. Qui dobbiamo prestare attenzione a non seguire le indicazioni del cartello giallo con la scritta “Comune di Ponte in Valtellina. Briotti. Pista ciclabile ex decauville”, che segnala la decauville che traversa verso ovest in piano fino al Gaggio di Piateda. Dobbiamo invece salire verso sinistra.


Paiosa

Ci incamminiamo quindi da una quota approssimativa di 1050 metri. Dopo alcuni tornanti usciamo dal bosco e raggiungiamo la località Paiosa (Paiusa, m. 1134), maggengo ad est della Val Paiusa. Qui dobbiamo stare attenti a non seguire una strada sterrata che prosegue diritta, ma seguire la pista che volge a sinistra passando fra due abitazioni. Dopo un breve tratto asfaltato, la pista prosegue con fondo in cemento, salendo fra prati ed abitazioni e rientrando nel bosco. Ad un tornante dx ignoriamo la pista che prosegue diritta e torna verso Briotti. Stiamo dunque sulla pista che va a destra e superiamo in torrentello. Subito dopo, un torrente attraversa la strada passandole sotto. Che riattraversiamo due volte dopo una sequenza di tornanti sx e dx. Passiamo a valle di una radura e di un rudere di baita e raggiungiamo un terzo parcheggio (m. 1250), oltre il quale il transito è vietato ai mezzi non autorizzati.
Superiamo su un ponte il torrente della Val Paiusa e dopo pochi tornanti passiamo per il maggengo di Pigolze (Pigolsi o Pigolse, m. 1271), dal nome curioso che rievoca ricordi infantili (“pigolza” è la voce dialettale che significa “altalena”). Oltrepassato un cartello che indica Armisola, la pista rientra nel bosco e passa a valle di un’area di sosta attrezzata, proponendo poi alcuni tornanti ed accentuando in alcuni tratti la pendenza. A quota 1420 metri circa ad un tornante sx ignoriamo una pista secondaria che prosegue diritta. Al successivo tornante dx, però lasciamo la pista principale, che prosegue per Armisola, ed imbocchiamo, seguendo i cartelli che segnalano il percorso 264 (Grioni ed il rifugio Gino e Massimo sono dati a 40 minuti), una pista secondaria che se ne stacca sulla sinistra, poco sotto quota 1500 m. La pista secondaria sale decisa, alternando strappi severi a tratti con pendenza meno accentuata. Una passerella in legno supera un torrentello e passiamo per un tratto protetto a valle da un tronco.


Pista per Grioni

La pista alterna tratti nel bosco a brevi radure ed esce infine alla parte bassa dei prati di Grioni, appena sotto il rifugio Gino e Massimo (m. 1860), che raggiungiamo dopo circa 2 ore e mezza di cammino (il dislivello in altezza è di 830 metri). Se vogliamo tornare per una via diversa, possiamo seguire il sentiero sopra descritto per la salita, avendo l’accortezza di seguire scrupolosamente non solo i segnavia su sassi e tronchi, ma anche le targhette con l’indicazione “Bratta” (quindi, dopo il primo tratto di discesa, stando a sinistra ad un bivio e non andando verso Tripolo).
Se preferiamo un itinerario un po’ più lungo, possiamo scendere ad Armisola, seguendo il sentiero segnalato che parte appena sotto il rifugio a destra (per chi guarda a monte). Si tratta del sentiero 260 ed è segnalato da un cartello che dà Armisola a 30 minuti e Le Piane ad un’ora (ma non si tratta del maggengo sopra Briotti, bensì dell’alpe omonima che si trova a monte del Gaggio di Piateda). All’imbocco del sentiero c’è anche un secondo cartello affisso ad un moncone di tronco di larice.


Armisola

Armisola (Armisöla) è un’alpe posta a 1629 metri, presso il confine che separa il territorio di Ponte in Valtellina da quello di Piateda, in alta valle del Serio (Séri). Il sentiero, segnalato, la raggiunge tagliando il versante boscoso verso nord-ovest, dopo aver attraversato il solco della Val Paiusa. Dopo un lungo tratto verso nord-ovest, il sentiero piega gradualmente a sinistra (ovest e sud-ovest) ed esce dal bosco nei pressi del baitone dell’alpe. Poco più in basso, a destra, arriva la pista sterrata che scende, nella cornice di una splendida abetaia, fino al bivio sopra citato di quota 1500, dove, ad un tornante sx la raggiunge da destra la pista secondaria che abbiamo utilizzato per salire a Grioni. Restando sulla pista principale torniamo infine al parcheggio ad ovest del Dosso dei Galli, a Briotti. L’intero anello richiede circa 5 ore di cammino, per un dislivello approssimativo di 890 metri.


Cime del Druet

ANELLO BRIOTTI-GRIONI-SANTO STEFANO-BRIOTTI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Briotti-Le Piane-Grioni-Santo Stefano-Briotti
6 h
940
EE
SINTESI. Lasciamo la ss 38 dello Stelvio circa 5 km dopo Sondrio (per chi procede in direzione di Bormio). Dobbiamo prestare attenzione al cartello marrone che annuncia Ponte in Valtellina: poco più avanti, sempre sulla destra, vediamo il cartello marrone che segnala lo svincolo per Carolo, Sazzo, Arigna e Briotti, al quale svoltiamo a destra e scendiamo al ponte il fiume Adda. Sul versante opposto andiamo a destra e ad un bivio a sinistra, iniziando a salire sul versante orobico. Raggiunta Fontaniva, non dobbiamo procedere diritti, ma piegare a destra, e ad un bivio successivo ancora a destra, seguendo le indicazioni per Briotti e Paiosa. Superate le deviazioni per Berniga e Famlonga, ad un bivio andiamo a sinistra e ci portiamo al parcheggio all’ingresso dell’abitato (m. 1060), poco sotto la chiesetta dedicata a San Lorenzo. Lasciata l’automobile al parcheggio, ci incamminiamo verso ovest, passando a lato di un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi, sulla strada principale, seguendo le indicazioni per le Piane. La carozzabile sale ai prati a monte di Briotti, e dopo un tratto nella selva ed un tornante sx esce in vista alle baite delle Piane (I Piani, m. 1268). Procediamo ancora con pochi tornanti, verso la parte alta dei prati, denominata Le Bratte (Li Brati, m. 1329). Qui la carrozzabile piega a destra e si approssima al limite del bosco. Appena prima del bosco troviamo due cartelli escursionistici, entrambi relativi al sentiero 264. Sul cartello che indica a sinistra è stata aggiunta l’indicazione “Campei-Tripolo-Grioni”. Lasciamo la pista alla nostra destra e prendiamo a sinistra, imboccando un accenno di pista che diventa però subito un largo sentiero che sale nell’abetaia. Per un buon tratto troviamo su tronchi d’abete, a distanze abbastanza regolari, delle targhette rosse-metallo-rosse, con l’indicazione “Campei-Tripolo-Grioni”. Passiamo a monte dei prati di “Mason Sura”. Procediamo verso sud, salendo fra betulle, abeti e brevi radure, ed attraversando un prato più ampio. Salendo ancora, raggiungiamo il limite di un’ampia radura in piano. Attraversiamo sul latod estro e rientriamo nel bosco sul lato destro, proseguendo verso destra. Da ora in poi al posto delle targhe troveremo sui tronchi incisioni colorate in rosso. Procediamo diritti e dopo un buon tratto il sentiero, meno marcato, procede fra macereti e larici. Cominciamo a vedere sui massi anche segnavia bianco-rossi. I larici lasciano poi il posto ad un avvallamento all’aperto, che tagliamo seguendo i segnavia bianco-rossi ed i segni rossi sui tronchi. Poco più avanti ci raggiunge da sinistra un sentiero che, come indica una targa, proviene da (o conduce a) Tripolo (Trìpul). Lo ignoriamo e procediamo diritti, incontrando altre targhe con la scritta “Grioni”, raggiungendo finalmente il limite basso della pianetta di Grioni (Griùn, m. 1867), dove si trova il rifugio Gino e Massimo. Saliamo a monte del rifugio e, ad una indicazione su un masso (“Stef”) prendiamo a sinistra, procedendo verso est su un sentiero stretto ma abbastanza marcato. Segnavia bianco-rossi guidano la traversata, che va effettuata con terreno asciutto, esperienza, attenzione e calkzature adeguate. Per un buon tratto procediamo quasi in piano fra macereti e radi larici. Dopo qualche saliscendi, il sentiero, che volge gradualmente a nord-est, giunge ad un bivio, segnalato da una coppia di cartelli sul tronco di un larice al quale proseguiamo diritti per Santo Stefano. Dopo un tratto quasi in piano, ci affacciamo all’ampio avvallamento occupato da materiale franoso che costituisce la parte alta della Val Granda. La traccia si fa più stretta e comincia a salire, per poi piegare a destra (est) e diventare assai ripida. Stiamo risalendo una ripida china erbosa, esposta alle spalle (attenzione!), fino ad un corridoio fra roccette, che ci introduce ad una piana di radi larici. Il sentiero volge ancora a destra e procede verso sud-est, fino ad uscire ad un’ampia piana erbosa. La attraversiamo, seguendo la direzione dettata da una targa sul tronco di un larice, stando quindi un po’ a sinistra. Ignorata la deviazione a sinistra che scende a Tripolo procediamo diritti. Ad un certo punto il sentiero scende per un tratto, poi volge a destra (est) e torna a salire gradualmente fra radi larici, raggiungendo un corridoio erboso (targa su uno scheletro di tronco di larice). Ne seguiamo l’andamento verso destra sempre salendo gradualmente e raggiungendo il ciglio della costiera che delimita ad ovest il bacino di Santo Stefano. Il sentiero volge a destra e va a sud-sud-est, tagliando un ripido versante esposto (attenzione!). La traccia si fa più esigua, anche se sempre visibile, ed a tratti erbosa. Ci abbassiamo gradualmente e confluendo nel tratturo che dal lago inferiore di Santo Stefano sale a quello superiore (Lago di Sopra). Scendiamo verso sinistra ed in una manciata di minuti siamo alla casera dell’alpe di Santo Stefano ed alla riva occidentale del Lago di Santo Stefano (m. 1848). Senza attraversare il ponticello che porta alla casera, il sentiero segue la riva e si porta sul limite del camminamento della diga (chiuso), per poi scendere ai suoi piedi e traversare alla vicina chiesetta di S. Stefano. A valle della chiesetta parte il largo sentiero che scende diritto verso sinistra nell'abetaia passando per la radura della Baita Spanùn (o Spanón, m. 1559) e confluendo in una pista con fondo erboso, in corrispondenza di un cartello che indica, nella direzione dalla quale proveniamo, il rifugio Donati e Santo Stefano. Procediamo verso sinistra, scendendo in direzione nord-ovest. Superato il torrente Tripolo ed usciti dal bosco, scendiamo alle baite dei Prati di Torre (m. 1145). Proseguiamo verso sinistra e ci portiamo appena sopra Briotti. lasciata la pista, per un sentierino scendiamo a destra e ci portiamo alle case di Briotti ed in breve al parcheggio.


Sentiero per Grioni

Appena a monte del rifugio Gino e Massimo partono due sentieri impegnativi, in direzione sud-ovest ed est. Il primo traversa alla Val Fregia ed in località Piateda di Sotto si congiunge con quello che da Armisola sale alla bocchetta di Santo Stefano (Bóca de San Stèfen, o Fulscèla, m. 2378), per la quale si può scendere facilmente al bacino dei tre laghi di Santo Stefano oppure, restando sul versante di Piateda (cioè a destra della bocchetta), salire per un vallone all’ampia conca glaciale ai piedi del pizzo di Rodes e quindi alla sua cima.
Il secondo sentiero, quello verso est, traversa invece direttamente al lago inferiore di Santo Stefano ed è chiamato localmente Sentér dèla Scala. Il cartello escursionistico lo segnala come sentiero 260 e dà il lago di Santo Stefano ad un’ora. Quello che non segnala è la difficoltà del sentiero, che è di livello EE, cioè per escursionisti esperti (un’indicazione la si trova su un masso all’estremo opposto del sentiero, cioè sopra il lago di Santo Stefano: si tratta di un rettangolo bianco che segnala sentiero difficile). Il sentiero richiede condizioni soggettive ed oggettive ben precise. Condizioni soggettive, cioè esperienza, allenamento, cautela, attenzione, scarsa impressionabilità e calzature adeguate. Condizioni oggettive, cioè terreno asciutto. Il problema è costituito da passaggi esposti e non protetti, su fondo costituito da erba visega o paiùsa, quella festuca che quando è bagnata diventa molto infida. Il sentiero ha un fondo stretto ma sufficiente a procedere in sicurezza se sussistono tutte queste condizioni. Nondimeno sarebbe auspicabile che i passaggi esposti venissero protetti con catene. Ad ogni buon conto, il sentiero si articola così.


La Val Granda

Saliamo a monte del rifugio e, ad una indicazione su un masso (“Stef”) prendiamo a sinistra, procedendo verso est su un sentiero stretto ma abbastanza marcato. Segnavia bianco-rossi guidano la traversata. Per un buon tratto procediamo quasi in piano fra macereti e radi larici, all’ombra della cima di Grioni, alla nostra destra. Dopo qualche saliscendi, il sentiero, che volge gradualmente a nord-est, giunge ad un bivio, segnalato da una coppia di cartelli sul tronco di un larice: prendendo a destra si sale alla “vista laghi”, cioè ad una bocchettina del crinale che si affaccia sul bacino di Santo Stefano e consente quindi un ottimo colpo d’occhio sui suoi tre laghi; andando diritti si prosegue per Santo Stefano. Andiamo dunque diritti.
Dopo un tratto quasi in piano, ci affacciamo all’ampio avvallamento occupato da materiale franoso che costituisce la parte alta della Val Granda. Usciamo così all’aperto con uno splendido colpo d’occhio sulla media Valtellina e sul monte Disgrazia. La traccia si fa più stretta e comincia a salire, per poi piegare a destra (est) e diventare assai ripida. Stiamo risalendo una ripida china erbosa, con alcuni tornantini e con esposizione alle spalle. Nell’ultimo tratto il sentierino non si prende neppure più la briga di zigzagare, ma va su diritto e dobbiamo procedere con grande attenzione (il terreno asciutto è essenziale, perché scivolare qui è molto pericoloso). Finalmente la breve salita termina ad un corridoio fra roccette, che ci introduce ad uno scenario completamente diverso, un’incantevole piana di radi larici.


Sentér dèla Scala

Il sentiero volge ancora a destra e procede verso sud-est, fino ad uscire ad un’ampia piana erbosa, splendida ma malinconica: nessun segno della presenza umana, qui, eccezion fatta per pochi tronchi disposti a quadrato sul lato destro. La attraversiamo, seguendo la direzione dettata da una targa sul tronco di un larice, stando quindi un po’ a sinistra. Giunti alla targa vediamo che indica la deviazione a sinistra che scende a Tripolo (si tratta del Sentér del dòs di Làres, che qui si congiunge con il Sentér dèla Scala). Ignoriamo la deviazione e procediamo diritti. Ad un certo punto il sentiero scende per un tratto, poi volge a destra (est) e torna a salire gradualmente fra radi larici, raggiungendo un corridoio erboso (targa su uno scheletro di tronco di larice). Ne seguiamo l’andamento verso destra sempre salendo gradualmente, passando per il cartello che indica la Baita Grioni (ovviamente nella direzione dalla quale proveniamo) e raggiungendo il ciglio della costiera che delimita ad ovest il bacino di Santo Stefano.
Improvvisi ed emozionanti appaiono le cime del Druet, con il loro severo versante occidentale. Alla loro destra occhieggiano fra le cime dei larici il pizzo di Coca, massima elevazione orobica, ed il dente di Coca, alla sua destra. In basso vediamo, infine, il bacino artificiale del bacino di Santo Stefano. Non si può evitare di soffermarsi a contemplare. Cosa saggia, perché proprio quando pensiamo che il peggio sia alle spalle, ci attendono i passaggi più ostici.


Monte Disgrazia dal Sentér dèla Scala

Il sentiero volge a destra e va a sud-sud-est, tagliando un ripido versante. La traccia si fa più esigua, anche se sempre visibile, ed a tratti erbosa. Alla nostra sinistra salti molto ripidi non promettono niente di buono in caso di scivolata. Il passaggio più delicato (ma anche l’ultimo) è quello nel quale il sentierino passa sopra un roccione esposto sopra un salto. Ci abbassiamo gradualmente ed alla nostra sinistra il versante si fa meno ripido e minaccioso. Alla fine, superato il già citato masso con il rettangolo bianco, la traversata termina confluendo nel tratturo (che ha sostituito da non molti anni lo storico sentiero) che dal lago inferiore di Santo Stefano sale a quello superiore (Lago di Sopra). Qui troviamo diversi cartelli, che segnalano nella direzione dalla quale proveniamo Grioni a 40 minuti, nella direzione di salita del tratturo il Lago di Sopra a 30 minuti e nella direzione di discesa Briotti a 2 ore. Scendiamo ed in una manciata di minuti siamo alla casera dell’alpe di Santo Stefano ed alla riva occidentale del Lago inferiore di Santo Stefano (Lach de San Stèfen, m. 1848).


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Senza attraversare il ponticello che porta alla casera, il sentiero segue la riva e si porta sul limite del camminamento della diga (chiuso), per poi scendere ai suoi piedi e traversare alla vicina chiesetta di S. Stefano, passando a sinistra di una preziosa fontana (preziosa perché di acqua in questa traversata non ne abbiamo trovata). Siamo allo Zocc de li Möli e, ai piedi della diga, troviamo, oltre alla nuova chiesetta di S. Stefano, la croce dedicata al santo e collocata dagli Alpini di Castello dell’Acqua il 3 agosto del 2002.
Questi luoghi sono legati alla complessa leggenda si S. Stefano che, prima di andare incontro al martirio per lapidazione, capitò in quel di Valtellina, per predicare il Vangelo. Non ebbe, però, buona accoglienza nei paesi del versante retico. Raggiunse, allora, l’opposto versante, quello orobico, passando per Castello dell’Acqua e proseguendo nella salita ai monti sopra il centro del paese, dove poté finalmente trovare rifugio. Ma i santi sono sempre in cammino, e lui li attraversò, quei monti, sostando in diversi luoghi per riposare e per rifocillarsi, usando un piccolo attrezzo, il “cazzett”, con il quale quagliava il latte che il buon cuore dei contadini gli offriva.


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Operò anche molti miracoli, nel periodo nel quale rimase, come eremita, in quei luoghi ritirati: molti salirono fino a lui, ottenendo, come premio per la loro fede, la guarigione dalle menomazioni che avevano loro imposto grucce e stampelle. Un giorno, spiccò letteralmente il volo, raggiungendo la media costa in località Briotti, dove si fermò per qualche tempo prima di salire verso il monte, raggiungendo il bacino dei laghi. La sua peregrinazione terminò sulla punta di S. Stefano. Si dice che alcuni massi che rechino l’impronta del passaggio del santo fra queste montagne, anche presso la chiesetta di S. Stefano. La nuova chiesetta sostituisce quella che giace ora sul fondo del lago artificiale. Una versione della leggenda afferma che essa venne edificata proprio nel luogo nel quale il santo si fermò a lungo, operando numerosi miracoli, risanando storpi e guarendo ammalati.


Pizzo di Coca e Dente di Coca

I miracoli sarebbero avvenuti anche dopo la sua partenza, per la cima del monte che poi prese il suo nome (punta di S. Stefano). Quando, però, per far posto alle acque dell’invaso la chiesetta venne ricostruita dove è ora, cioè leggermente più a monte, i miracoli cessarono: invano vi si recarono, infatti, storpi e malati. Le acque avevano sommerso per sempre il luogo che il santo aveva scelto per farsi tramite della grazia divina risanatrice. Non avevano sommerso, invece, il gruppo di massi collocati vicino alla croce e ad una baita diroccata, proprio ai piedi del muraglione della diga, massi che recano l’impronta del bastone e della “garota” del santo. Fermiamoci ad osservare i massi: vi troveremo diverse impronte singolari, misteriose.


Lago di Santo Stefano

Gli interrogativi sull’enigma di questi segni accompagneranno l’ultima parte dell’escursione, la più noiosa, cioè la lunga discesa a Briotti su un largo sentiero, quasi un’autostrada. Poco sotto la croce ci sono tre cartelli, uno dei quali indica il sentiero che, procedendo verso nord, scende in un’ora e mezza ai Prati di Torre e in due ore a Briotti.
Superate le fettucce del limite dell’alpe procediamo fra radi larici. Nel primo tratto il fondo è un po’ faticoso perché è costituito da grandi massi disposti irregolarmente, poi, entrato in una fresca abetaia, il sentiero propone un fondo più riposante e regolare, procedendo diritto, con andamento nord-est e nord. La monotonia della discesa è interrotta dalla radura della Baita Spanùn (o Spanón, m. 1559). Passiamo a valle della baita diroccata e rientriamo nell’abetaia, proseguendo la discesa verso nord. Più in basso ignoriamo la deviazione segnalata del sentiero che prende a sinistra e traversa a Bratta, e proseguiamo diritti, in ripida discesa. Il sentiero termina confluendo in una pista con fondo erboso, in corrispondenza di un cartello che indica, nella direzione dalla quale proveniamo, il rifugio Donati e Santo Stefano.


Chiesetta di Santo Stefano

Procediamo verso sinistra, scendendo in direzione nord-ovest. Superato il torrente Tripolo ed usciti dal bosco, scendiamo alle baite dei Prati di Torre (m. 1145). Continuiamo a scendere verso sinistra su una pista, fino al cartello del sentiero 268, che indica, nella direzione dalla quale scendiamo, i laghi di Santo Stefano a 2 ore e mezza.
Qui lasciamo la pista, che prosegue in piano verso sinistra (ovest), scendendo verso destra lungo un sentierino (segnavia bianco-rosso) che si abbassa verso nord alle case di Briotti che vediamo sotto di noi. Il sentierino volge a destra e passa per la panchina in sasso della Posa di Spunch (un tempo doveva esserci erba pungente). Alla fine ci ritroviamo alle prime case di Briotti e passiamo a lato di Ca’ Moschni, prima di raggiungere la strada principale. Scendendo verso destra torniamo al parcheggio dove abbiamo lasciato l’automobile. L’anello Briotti-Grioni-Santo Stefano-Briotti richiede circa 6 ore di cammino o poco meno. Il dislivello approssimativo in salita è di 940 metri.


Baita Spanun

GRIONI-PIZZO DI RODES

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Grioni-Bocchetta di Santo Stefano-Pizzo di Rodes
6 h
940
EE
SINTESI. Dal rifugio Gino e Massimo a Grioni dobbiamo imboccare il sentiero segnalato che appena a monte volge a destra, passando vicino ad un baitello diroccato e salendo verso sud-sud-ovest. A quota 1900 metri circa volge a destra, poi a sinistra e sale più ripido su un dosso, verso sud, per poi volgere di nuovo a destra ed intercettare un sentiero che sale da destra, a quota 1980 metri circa. Procediamo ora verso sud, diritti, alternando leggere salite a tratti in piano e tagliando un ripido versante, con tratti esposti che richiedono cautela, attenzione, terreno asciutto e scarsa impressionabilità. La traversata termina uscendo ai pascoli di Piateda di Sopra (m. 2048). Poco oltre, troviamo su un masso un segnavia rosso-bianco-rosso con l’indicazione del percorso 260. Passiamo nei pressi di un rudere ed a monte di un piccolo smottamento, prima di piegare a destra ed iniziare a risalire un lungo dosso. Nel primo tratto della salita siamo costretti ad immergerci in una macchia di noccioli, prima di tornare all’aperto. seguiamo i segnavia, su alcuni massi, e raggiungiamo, in cima al dosso, una bella conca erbosa. Volgiamo, ora, leggermente a sinistra, raggiungiamo un secondo dosso, saliamolo sul fianco destro e raggiungiamo il guado del torrentello (il ramo orientale del Serio) che abbiamo già superato più a valle, tornando ora alla sua sinistra, a valle di una bella cascata. Un ultimo strappo ci consente di guadagnare, alla fine, la bocchetta di S. Stefano (m. 2378). Non scendiamo sul versante opposto, ma procediamo verso sud, superando una fascia di rocce arrotondate e magri pascoli. Entriamo, così, in un vallone tenendo, più o meno, il suo centro. Superate due pianette, risaliamo un canalino di sfasciumi, piegando a destra, fino a giungere in vista del cono regolare del pizzo di Rodes. Puntiamo decisamente a sud, in direzione del pizzo, e saliamo, con pendenza moderata, fino ad un pianoro di sfasciumi che si colloca ai piedi del versante settentrionale del pizzo, dove troviamo un microlaghetto, che si genera a stagione inoltrata dalla parziale fusione di un nevaietto. Passiamo alla sua sinistra e proseguiamo fino ad intercettare, in breve, una traccia di sentiero che giunge fin qui dalla bocchetta di Reguzzo (che rimane alla nostra sinistra), passando appena sotto il crinale (alcuni ometti ci aiutano). La traccia di sentiero attacca la parete nord del pizzo sul suo lato sinistro e comincia a salire leggermente, verso destra, in diagonale, sfruttando una sorta di piccola cengia, fino all’ultima conca di sfasciumi, nei pressi di un nevaietto. Volgiamo, ora, a sinistra e ci portiamo più o meno dal centro della conca ai piedi del pizzo. Prendiamo come punto di riferimento il nevaietto, e cominciamo a salire passando alla sua sinistra. Dopo una breve diagonale a sinistra, su terreno che richiede cautela per la presenza di terriccio e sassetti mobili, volgiamo a destra, sfruttando un piccolo canalino nella roccia. Approdiamo, così, senza eccessive difficoltà, ad una più facile fascia superiore, dove la traccia serpeggia fra sassi e terriccio. La pendenza si addolcisce e finalmente siamo, dopo circa 4 ore di cammino (digressione per i laghetti glaciali esclusa) ai 2829 metri della cima del pizzo di Rodes.


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Il rifugio Gino e Massimo può essere il punto di appoggio per la salita al pizzo di Rodes articolata in due giornate. In questo caso dal rifugio dobbiamo imboccare il sentiero segnalato che appena a monte volge a destra, passando vicino ad un baitello diroccato e salendo verso sud-sud-ovest. A quota 1900 metri circa volge a destra, poi a sinistra e sale più ripido su un dosso, verso sud, per poi volgere di nuovo a destra ed intercettare un sentiero che sale da destra, a quota 1980 metri circa. Procediamo ora verso sud, diritti, alternando leggere salite a tratti in piano e tagliando un ripido versante, con tratti esposti che richiedono cautela, attenzione, terreno asciutto e scarsa impressionabilità. La traversata termina uscendo ai pascoli di Piateda di Sopra (m. 2048). Poco oltre, troviamo su un masso un segnavia rosso-bianco-rosso con l’indicazione del percorso 260.
Seguiamo una debole traccia che gioca a nascondino. Passiamo nei pressi di un rudere ed a monte di un piccolo smottamento, prima di piegare a destra ed iniziare a risalire un lungo dosso. Nel primo tratto della salita siamo costretti ad immergerci in una macchia di noccioli, prima di tornare all’aperto. Guardando in alto, un po’ a sinistra, vediamo chiaramente la sella della bocchetta di S. Stefano, per la quale dovremo passare (a riconosciamo anche per il cartello piantato proprio nel mezzo).
La traccia torna a latitare in diversi punti, ma non è un problema: seguiamo i segnavia, su alcuni massi, e raggiungiamo, in cima al dosso, una bella conca erbosa. Volgiamo, ora, leggermente a sinistra, raggiungiamo un secondo dosso, saliamolo sul fianco destro e raggiungiamo il guado del torrentello (il ramo orientale del Serio) che abbiamo già superato più a valle, tornando ora alla sua sinistra, a valle di una bella cascata. Un ultimo strappo ci consente di guadagnare, alla fine, la bocchetta di S. Stefano (m. 2378), dopo circa due ore ed un quatro di cammino. Qui troviamo alcuni cartelli: quello che ci interessa segnala la bocchetta di Reguzzo a 45 minuti, il rifugio Donati ad un’ora ed il pizzo di Rodes ad un’ora e 30 minuti. Prima, però, di proseguire soffermiamoci ad ammirare lo splendido panorama che si apre, verso est, dalla bocchetta. Sotto di noi vediamo il sistema dei tre laghetti di S. Stefano (superiore, m. 2124, di mezzo, m. 1936 e di S. Stefano, m. 1848). Dominiamo, poi, con lo sguardo la media Valtellina da Teglio a Tirano, e, a destra, il passo dell’Aprica. La bocchetta è sorvegliata, a sud-est, dalla punta di S. Stefano (m. 2693), a destra della quale si apre un ampio vallone, al quale dovremo puntare.
Dirigiamoci, dunque, senza preoccuparci troppo della traccia di sentiero (ce n’è una, ma non detta una direzione obbligata), a sud, superando una fascia di rocce arrotondate e magri pascoli. Entriamo, così, nel vallone tenendo, più o meno, il suo centro. Ci assale, improvvisa, la sensazione che qualcosa sia cambiato. Sì, in effetti stiamo entrando in un tipico ambiente di alta montagna, i pascoli recedono, massi e sfasciumi affermano perentoriamente la loro signoria. Ma non è solo questo. Sì, ci prende una sensazione di solitudine ed enigma. Ma non è solo questo. Se ci fermiamo e prestiamo attenzione, allora forse, ci accorgeremo di quel che è accaduto: d’improvviso il fresco scrosciare dell’acqua è scomparso. Il torrentello non c’è più. Solo il silenzio dei massi ci accompagna, ora. A sinistra ed a destra, altrettanto muti, la punta di S. Stefano ed le cime secondarie del massiccio del Rodes. Lui non si vede. Non ancora.
Nel primo tratto proseguiamo con andamento quasi pianeggiante, superando anche due pianette singolari, messe lì quasi per invitare ad una sosta. Poi iniziamo a risalire un canalino di sfasciumi: seguendo la traccia, fatichiamo meno del previsto, perché i massi sono abbastanza assestati. La salita ci porta alla parte superiore del vallone, dove questo piega a destra, passando dalla direttrice sud a quella sud-ovest. Eccolo, finalmente, il pizzo, sulla destra, scuro, arcigno, tondeggiante. Invece proprio di fronte a noi si colloca la ben visibile bocchetta del Reguzzo (m. 2621), che guarda sull’ampio altipiano a monte del vallone di Quai, che ospita il rifugio Donati ed il laghetto di Reguzzo. Dalla bocchetta un sentierino scende un ripidissimo canalone erboso e conduce al rifugio. Potremmo affacciarci ad osservarlo, ma, considerato che lo potremo osservare da posizione ancora migliore una volta giunti in vetta, possiamo anche soprassedere.
Meglio una seconda digressione, prima della puntata finale alla vetta. Dobbiamo ora prendere decisamente a destra, guadagnando, in breve, un ampio pianoro che si colloca a nord del pizzo di Rodes. Qui troviamo un masso con la scritta “Segn. Glac.”, con un quadrato rosso ed una freccia. Procedendo in direzione della freccia, troveremo, ad una quota approssimativa di 2650 metri, due splendidi laghetti, circondati da diverse pozze d’acqua. Si tratta dei resti del ghiacciaio che si poteva osservare qui ancora negli anni trenta del secolo scorso, e che ora è interamente scomparso.
Iniziamo, ora, la parte terminale dell’escursione, puntando decisamente a sud, in direzione del pizzo, e salendo, con pendenza moderata, fino ad un pianoro di sfasciumi che si colloca ai piedi del versante settentrionale del pizzo, dove troviamo un terzo microlaghetto, che si genera a stagione inoltrata dalla parziale fusione di un nevaietto. Passiamo alla sua sinistra e proseguiamo fino ad intercettare, in breve, una traccia di sentiero che giunge fin qui dalla bocchetta di Reguzzo (che rimane alla nostra sinistra), passando appena sotto il crinale (alcuni ometti ci aiutano).
La traccia di sentiero attacca la parete nord del pizzo sul suo lato sinistro e comincia a salire leggermente, verso destra, in diagonale, sfruttando una sorta di piccola cengia, fino all’ultima conca di sfasciumi, nei pressi di un nevaietto. Volgiamo, ora, a sinistra: dobbiamo affrontare il pendio che si impenna, e la nostra perplessità cresce in pari misura. Come si fa a sormontare l’ultimo strappo prima della cima? Un centinaio di metri circa, che richiedono impegno ed attenzione. Le tracce generate dal passaggio di escursionisti ci aiutano.
Per la verità si possono individuare, su queste basi, due percorsi. Ce n’è uno in prossimità del crinale alla nostra destra, che però, in due punti, richiede qualche passo non difficile di arrampicata per sormontare dei massi che sbarrano il cammino.
Più facile il percorso che sale più a sinistra, e che parte più o meno dal centro della conca ai piedi del pizzo. Prendiamo come punto di riferimento il nevaietto, e cominciamo a salire passando alla sua sinistra. Dopo una breve diagonale a sinistra, su terreno che richiede cautela per la presenza di terriccio e sassetti mobili, volgiamo a destra, sfruttando un piccolo canalino nella roccia. Approdiamo, così, senza eccessive difficoltà, ad una più facile fascia superiore, dove la traccia serpeggia fra sassi e terriccio.
La pendenza si addolcisce e finalmente siamo, dopo circa 4 ore di cammino (digressione per i laghetti glaciali esclusa) ai 2829 metri della cima del pizzo di Rodes, dove troviamo un ometto, una piccola croce ed un libro di vetta. Straordinario il panorama. Cominciamo un giro orario a 360 gradi da nord-ovest: nel gruppo del Masino l’occhio esperto distingue il pizzo Ligoncio, la cima del Barbacan (sciöma dò barbacàn), i pizzi Badile, Cengalo e del Ferro. Poi, proseguendo verso destra, i Corni Bruciati ed il monte Disgrazia. A nord si vede l’intera testata della Valmalenco, con i pizzi Gemelli e di Sella, i pizzi Roseg, Scerscen e Bernina, i pizzi Argient, Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere) e Palù. Più a destra ancora, la testata della Val Fontana e le cime della Val Grosina e dell’alta Valtellina. Ma il panorama più suggestivo è quello delle Orobie centrali, verso sud-est, sud e sud-ovest, e propone, in primo piano, le cime del Cagamei (m. 2913), il pizzo di Coca (m. 3050), la punta di Scais (m. 3038), il pizzo Redorta (m. 3038), il pizzo Brunone (m. 2724) ed il pizzo del Diavolo di Tenda (m. 2916). Estremamente suggestiva è, infine, la fuga di quinte delle valli orobiche della sezione centro-occidentale.
L’ultima sorpresa che il pizzo ci riserva è quella del suo versante sud-occidentale: niente rocce, qui, ma un ripido versante erboso, che scende al laghetto di Rodes e prosegue fino al fondovalle della Val Caronno. Si può salire alla cima anche di qui, partendo dal rifugio Mambretti e seguendo il sentiero segnalato che, puntando a nord-ovest, scende gradualmente alla baita delle Moie di Rodes, dalla quale, poi, senza percorso obbligato, si comincia a risalire il versante in direzione del pizzo, senza percorso obbligato. Non si tratta, però, di una salita facile: la pendenza è sempre severa e bisogna avere l’occhio abbastanza esperto per individuare il percorso meno difficile.
È interessante leggere, infine, la relazione dell’escursione al pizzo di Rodes effettuata, salendo dalla Val Caronno, il 30 dicembre 1894, da Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne: “Risalendo mano a mano lungo il Caronno, un paesaggio magnifico si spiegava davanti a noi: in un gran piano sparso di neve e di verdi abeti, il fiume gelato risplendeva di mille riflessi azzurri. Tutto all'intorno, come giganti, rizzavansi le candide vette del Medasch, del Redorta, della Punta di Scais, del Porola, dello Scotes, del Biolco e del Rodes: Nel loro gran mantello bianco, sembravano più alte e più severe. I fianchi del Rodes erano ghiacciati e coperti di neve fresca: La fatica dell'ascensione su quel suolo sdrucciolevole si faceva sempre più grande. Nei campi di neve si affondava fin sopra al ginocchio. Il sole, spuntando tra le cime del Redorta, indorava tutte le cime intorno e qua e là l'erica ancora in fiore faceva capolino fra la neve. Toccammo infine la cresta che conduce alla vetta. Una cresta di neve dura nella quale intagliammo qualche gradino e che ci permise di raggiungere la cima, cinque ore e mezzo dopo aver lasciato Agneda. L'ometto era sepolto dalla neve. Il vento ci sferzava. Verso nord-ovest, le nuvole nascondevano il Disgrazia e il gruppo del Bernina. Tutto il resto dell'orizzonte era scoperto. Dal legnone al Corno Stella, ai giganti delle Alpi Orobie, alla Cima Piazzi, al Tresero e all'Ortler; in basso, le valli bergamasche e fino all'Appennino, tutto era inondato di sole. E tutti quei giganti biancheggianti, nei pochi minuti di sosta lassù, ci apparvero come una stupenda visione, come l'ultimo saluto dell'anno alpinistico che stava morendo. Li guardammo ancora una volta e lungo la ripida cresta di neve, cominciammo a discendere... Il cielo era diventato grigio, la neve cadeva, una sottile colonna di fumo s'innalzava dal fuoco che avevamo acceso per il pasto, si perdeva nell'aria come un ultimo addio. Lungo la triste via ghiacciata operai il ritorno portando nel cuore il ricordo di quelle belle cime, che per tanti mesi non vedrò più.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998).


Laghetto di Reguzzo

APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, sui laghetti di S. Stefano (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).






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