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Val di Fraina e Valsassina

PRIMO GIORNO: SAN GIOVANNI-RIFUGIO ALPE STAVELLO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
San Giovanni-Val di Pai-Rifugio Alpe Stavello
2 h
500
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la provinciale della Val Gerola, saliamo a Gerola Alta e all'uscita dal paese lasciamo la strada per Pescegallo per prendere a destra, imboccando la strada che termina a Laveggiolo. All'ultimo tornante sx prima di Laveggiolo la lasciamo per imboccare una pista che sale a destra. Al cartello di divieto di transito parcheggiamo (m. 1460). Ci mettiamo in cammino passando a monte della chiesetta di San Giovanni. Dopo un breve tratto in leggera discesa, proseguiamo in moderata salita, fino ad incontrare, ad una piazzola, una sbarra, oltre la quale proseguiamo in una pecceta. Poi la pista piega a sinistra e noi la lasciamo, imboccando sulla destra, a quota 1490 metri, un sentiero (nel primo tratto è assai largo) che effettua un lungo traverso sul selvaggio e scosceso del fianco meridionale della Valle di Pai. Poi usciamo ad una radura e vediamo, alla nostra destra, una deviazione: un sentierino, segnalato da segnavia bianco-rossi, lascia quello che procede in piano e scende sul fondovalle. La breve discesa, su traccia piuttosto stretta ed insidiata dalla bassa vegetazione, porta ad un ponte in legno che ci permette di attraversare il torrente. Prima del ponte ci raggiunge da destra un sentiero che sale da Ravizze. Dopo il ponte il sentierino riguadagna rapidamente quota sul ripido fianco settentrionale della valle. Dopo qualche tornantino, ci raggiunge, da sinistra, un sentierino pianeggiante. Qui prendiamo a destra e ci allontaniamo dal torrente della valle, avvicinandoci ad una vallecola minore; abbiamo l’impressione di doverla attraversare, ma di nuovo il sentiero piega a sinistra e se ne allontana. Ogni tanto, su qualche sasso, troviamo segnavia bianco-rossi e la sigla GVO. Pieghiamo di nuovo a destra e, con qualche serpentina, raggiungiamo un primo gruppo di ruderi di baita, mentre sulla destra vediamo di nuovo la vallecola minore; un po’ più avanti, a quota 1590, troviamo il rudere di una baita più grande. Saliamo ancora con tornantini in una rada macchia di larici, poi approdiamo ad una nuova radura e di nuovo troviamo, a quota 1690 metri, un rudere di baita, passando alla sua sinistra. Superata un’altra macchia, raggiungiamo, a quota 1790 metri, il limite di una più ampia radura, che il sentiero attraversa stando per un tratto sul lato sinistro, poi tenendo il centro. Il sentiero riprende a salire verso destra, superando anche cinque grandi larici, poi volge a sinistra ed effettua un secondo traverso, proponendo poi una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx, prima di congiungersi, a quota 1870, con un sentiero pianeggiante che proviene, sulla sinistra, dall’alpe Svanollino. Andiamo a destra, su sentiero largo ma esposto (corde fisse) perché taglia il ripido fianco della valle ed è esposto su un salto roccioso. In breve siamo alla parte bassa dei prati dominati dal baitone e dalla casera di Stavello (m. 1944), ristrutturata come Azienza Agrituristica e rifugio Alpe Stavello.


L'alta Val di Pai

Con due giorni a disposizione e buone previsioni meteorologiche possiamo dalla Val Gerola, partendo da San Giovanni (sopra Gerola Alta) descrive un interessante quanto poco noto anello escursionistico che culmina nella cima di Fraina, passando per la val di Pai, la bocchetta di Stavello, la Val Fraina e la bocchetta di Colombana. Dalla cima di Fraina si scende infine in val Vedrano e di qui si torna a San Giovanni. Un anello che richiede allenamento ma non propone particolari difficoltà. Punto di appoggio per il pernottamento il rifugio Alpe Stavello, in Val di Pai.
L'anello riveste un particolare valore non solo per la bellezza dei luoghi toccati, ma anche per gli elementi di interesse storico, legati al sistema di fortificazioni che dalla bocchetta di Stavello punteggia il crinale sud-orientale del monte Rotondo, fino alla cima, e che rientrava nella strategia di difesa del generale Cadorna, durante la Prima Guerra Mondiale, costituisce un elemento di interesse storico di grande suggestione. Teniamo presente, poi, che la salita alla cima dalla Val Gerola permette di attraversare una delle sue più belle e selvagge valli laterali, la val di Pai storico.
I punti di partenza possono essere due, Ravizze e San Giovanni, frazioni alte di Gerola. Prendiamo in considerazione, innanzitutto, la prima possibilità (che poi converge, nella media Val di Pai, con la seconda).
Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendamo a destra ed alla successiva ancora a destra; dopo un ponte imbocchiamo la strada provinciale 7 della Val Gerola. Salendo nella valle oltrepassiamo i paesi di Sacco, Rasura e Pedesina. Poco prima di Gerola prestiamo attenzione, per individuare, sulla destra, la deviazione per Ravizze (“raüsc”, nucleo assai antico, già menzionato in un documento del 1321): si tratta di una stradina all’inizio asfaltata, poi sterrata. Percorrendola, si giunge ad un piccolo parcheggio (m. 1214), dal quale parte un sentiero che sale nel bosco. Il sentiero, individuato dai segnavia di colore rosso-bianco-rosso, percorre il fianco destro (meridionale) della val di Pai, passando poi sul versante opposto in corrispondenza di un ponte in legno, a quota 1487 metri.
La seconda possibilità, che ci fa guadagnare quasi duecento metri di dislivello (dettaglio non trascurabile, dal momento che si abbassa da 1000 a 800 metri circa il dislivello complessivo dell’escursione), prevede che si raggiunga Gerola Alta (m. 1053) per poi imboccare, all’uscita dal paese, appena oltre il piccolo cimitero, la strada che si stacca, sulla destra, dalla provinciale e sale alle frazioni alte. Tocchiamo, così, la Foppa (“la fòpa”),  e Castello (“castèl”, nucleo già citato in un documento del 1323); non ci portiamo, però, alle case di Castello, ma, al tornante destrorso che precede la località, proseguiamo nella salita, ignorando la successiva deviazione sulla destra per la località Case di Sopra (“li cà zzuri”, già citata nel 1333 e distrutta da una valanga nel 1836); dopo il successivo tornante sinistrorso, passiamo, a monte del bell’oratorio di S. Rocco (“san ròch”, m. 1395), edificato nel 1632 e restaurato nel 1959); dopo il tornante destrorso, proseguiamo fino al successivo ed ultimo tornante sinistrorso, in corrispondenza del quale si stacca, sulla destra, una pista secondaria che porta alla località di S. Giovanni.


Apri qui una fotomappa del versante occidentale della bassa Val Gerola

La strada asfaltata termina alla frazione di Laveggiòlo (“lavegiöl”, m. 1470); noi, però, la lasciamo prima, all’ultimo tornante sx, prendendo a destra e parcheggiando l’automobile nell’ampio spiazzo dal quale parte una pista sterrata (un cartello di divieto di transito ci induce a lasciare qui l’automobile). Incamminiamoci, dunque, seguendo la pista sterrata che passa a monte della chiesetta di San Giovanni (“san giuàn”, m. 1420, dove sono sepolte le vittime della valanga del 1836). Dopo un breve tratto in leggera discesa, proseguiamo in moderata salita, fino ad incontrare, ad una piazzola, una sbarra che impedisce l’accesso a qualsivoglia veicolo. Oltrepassata la sbarra, continuiamo il cammino nella splendida cornice di un bosco di larici di rara bellezza. Poi la pista piega a sinistra e noi la lasciamo, imboccando, a quota 1490 metri, un sentiero (che nel primo tratto è assai largo) che effettua un lungo traverso sul selvaggio e scosceso del fianco meridionale della Valle di Pai (“val dè pài”, che scende dalla bocchetta di Stavello e segna il confine fra il comune di Gerola, a sud, e quello di Pedesina, a nord; la denominazione deriva, probabilmente, da un cognome, come Fai, Nai e simili).
Il sentiero procede con qualche saliscendi, all’ombra di un bosco, su un versante quasi sempre umido (attenzione, soprattutto di prima mattina, ai sassi scivolosi). Ad un certo punto un pannello ci informa che questa zona rientra in un Sito di Interesse Comunitario per la presenza di habitat e specie animali e vegetali pregevoli e, come tale, è stata oggetto, nel triennio 1999-2002, di interventi selvicolturali per la conservazione degli ambienti, di interventi di rinaturalizzazione di sentieri secondari e tracce, di sfalci e decespugliamenti, di opere di recupero di situazioni di degrado. Poi usciamo ad una radura e vediamo, alla nostra destra, una deviazione: un sentierino, segnalato da segnavia bianco-rossi, lascia quello che procede in piano e scende sul fondovalle, dove sentiamo scrosciare il torrente. La breve discesa, su traccia piuttosto stretta ed insidiata dalla bassa vegetazione, porta ad un ponte in legno che ci permette di attraversare il torrente (“ul bit de la val de pài”; “bit” è termine generico che significa “torrente”), a quota 1497. Prima del ponte ci raggiunge da destra il sentiero sopra descritto, che sale da Ravizze (ma, in questo punto, è piuttosto sporco).


Il rifugio Alpe Stavello

Oltrepassando il ponte passiamo dal territorio di Gerola a quello di Pedesina, e troviamo tre cartelli: il primo (sentiero 130) segnala che, percorrendo il sentiero appena menzionato, si scende a Ravizze in 50 minuti; il secondo segnala che, nella direzione dalla quale proveniamo, si raggiunge Laveggiolo in 30 minuti, alla Casera di Trona in 2 ore e 50 minuti ed il lago di Trona in 3 ore; il terzo, infine, segnala che, nella direzione in cui procediamo, ci si porta all’alpe Stavello in un’ora, all’alpe Combana in un’ora e mezza ed all’alpe Culino in 2 ore e mezza. Una scritta sbiadita sugli ultimi due cartelli ci informa che la direttrice alpe Culino-lago di Trona si inserisce nella Gran Via delle Orobie (G.V.O.). Riprendiamo, dunque, il cammino sul sentierino che riguadagna rapidamente quota sul ripido fianco settentrionale della valle. Dopo qualche tornantino, ci raggiunge, da sinistra, un sentierino pianeggiante, prosecuzione del sentiero che abbiamo lasciato sul lato opposto della valle per scendere al ponte (anch’esso si porta ad un guado del torrente, meno agevole, però). Qui prendiamo a destra e ci allontaniamo dal torrente della valle, avvicinandoci ad una vallecola minore; abbiamo l’impressione di doverla attraversare, ma di nuovo il sentiero piega a sinistra e se ne allontana. Ogni tanto, su qualche sasso, troviamo segnavia bianco-rossi e la sigla GVO. Pieghiamo di nuovo a destra e, con qualche serpentina, raggiungiamo un primo gruppo di ruderi di baita (la prima e più basse dell'alpe Stavello), mentre sulla destra vediamo di nuovo la vallecola minore; un po’ più avanti, a quota 1590, troviamo il rudere di una baita più grande, con la scritta 130/GVO, a significare che il tratto che percorriamo è parte del sentiero 130 e della Gran Via delle Orobie. La salita non dà tregua: il sentiero procede con tornantini in una rada macchia di larici, poi approda ad una nuova radura e di nuovo troviamo, a quota 1690 metri, un rudere di baita, passando alla sua sinistra.


Il rifugio Alpe Stavello

Superata un’altra macchia, raggiungiamo, a quota 1790 metri, il limite di una più ampia radura, che il sentiero attraversa stando per un tratto sul lato sinistro, poi tenendo il centro; all’inizio ed alla fine della traversata su due grandi massi sono segnati altrettanti segnavia con la solita sigla GVO. Stiamo attraversando luoghi di profonda solitudine, nel cuore della Valle di Pai che non si mostra, qui, oscuro e selvaggio, ma luminoso e gentile. Il sentiero si fa, ora, decisamente più marcato (ma, stranamente, non è segnalato sulla carta IGM) e riprende a salire verso destra, , alla località Carunèla, superando anche cinque grandi larici, che ci colpiscono per il loro portamento. Poco dopo il sentiero volge a sinistra ed effettua un secondo traverso, proponendo poi una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx-dx, prima di congiungersi, a quota 1870, con un sentiero pianeggiante che proviene, sulla sinistra, dall’alpe Svanollino (“sguanulìgn”; si tratta della “stràda de sguanulìgn”).


La parte bassa dell'alpe Stavello con il rifugio omonimo

Dopo aver gettato uno sguardo in questa direzione, che ci permette di distinguere, sulla testata della Val di Pai,  la bocchetta di Stavello, che dovremo raggiungere, prendiamo a destra, salendo su una larga mulattiera (fatta tracciare ad inizio Novecento nella viva roccia dalla famiglia di Lorenzo Rabbiosi di Rasura, proprietaria dell'alpe Stavello) che ben presto diventa esposta sul lato destro (c’è un salto sicuramente mortale); per questo sul lato sinistro, chiuso da una parete rocciosa, è stata posta, per un buon tratto, una corda fissa di protezione, anche se la sede della mulattiera è tanto larga da consentirci di salire in sicurezza. Probabilmente il pericolo maggiore non sta alla nostra destra, ma alla nostra sinistra, visto che una scarica di sassi o una microfrana è evento assai raro, ma non impossibile. Meglio, dunque, non indugiare. La mulattiera è consolidata anche da un ponticello in legno e termina, dopo una semicurva a sinistra, alla parte bassa dei prati dominati dal baitone e dalla casera di Stavello (“baitùn” e “casera de stavél”, m. 1944, nella parte bassa dell’alpe omonima; il termine deriva dal termine dialettale “stabiéll”, stalla, e si trova anche in altri luoghi della Valtellina, cioè in Val Lesina, in Val Grosina, sopra Tirano e Lovero). Il baitone è stato ristrutturato ed ospita oggi l'azienda agrituristica e rifugio Alpe Stavello, aperto nella stagione estiva, che offre servizio di pernottamento su prenotazione (telefonare al 334 7652242; cfr. www.alpestavello.it; per contatti via mail info@alpestavello.it), oltre alla possibilità di ristorazione e di consultazione di un'interessantissima biblioteca.
L'alpe è menzionata già in un documento del 1291, l'atto di vendita dell'alpeggio dalla famiglia Gamba di Bellano ai Capifamiglia di Pedesina. A quel tempo l'alpe Stavello comprendeva anche gli attuali alpeggi di Combana e Combanina. Dopo la Prima Guerra Mondiale la proprietà dell'alpe passò dalla famiglia di Lorenzo Rabbiosi di Rasura alla famiglia Martinelli di Morbegno, che ancora la possiede. Fino a quegli anni l'alpeggio caricava circa 100 capi e vi lavoravano dalle 20 alle 25 persone, una vera e propria piccola comunità con le sue figure e gerarchie (con al vertice il capo, o vecc', ed il casaro), i riti ed i ritmi della vita d'alpeggio di cui oggi si stenta ad immaginare la durezza.
Qui pernottiamo al termine della prima giornata dell'anello.

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SECONDO GIORNO: RIFUGIO ALPE STAVELLO-BOCCHETTA DI STAVELLO-VAL FRAINA-BOCCHETTA DI COMBANA-VAL VEDRANO-S. GIOVANNI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rifugio Alpe Stavello-Bocchetta di Stavello-Bocchetta di Combana-San Giovanni
7 h
1060
E
SINTESI. Dal rifugio Alpe Stavello (m. 1944) seguiamo i cartelli che indicano il sentiero per la bocchetta di Stavello (verso nord, alle spalle del rifugio): passa a destra di una croce in legno, sale alle spalle della casera, verso sinistra (faccia alla casera), taglia una formazione rocciosa (passaggio esposto) e porta all'alta Val di Pai, traversando alla “baita del dòos trùnch” o baita del pegurér, posta, a quota 2095, alla base di un dosso abbastanza ripido. Il sentiero descrive poi un ampio arco in senso antiorario verso sud-ovest, attraversando un corso d'acqua e giungendo ai piedi del ripido versante sotto la bocchetta di Stavello, colonizzato da macereti. Ora la salita si fa più ripida, con secchi tornantini; purtroppo in un paio di punti altrettanti smottamenti hanno lasciato scoperta la nuda roccia che va scavalcata con piede fermo e calzatura adeguate (soprattutto nel primo passaggio, esposto ad un saltino). Alla fine siamo alla bocchetta di Stavello (m. 2201). Prendiamo a sinistra scendendo lungo il sentiero Cadorna. Ignorato un sentiero che se ne stacca sulla sinistra, cominciamo ad inanellare una lunga serie di tornanti (30), passando per i prati dell'alpe Salavar, fino ad uscire dal vallone in vista dell'alpe Fraina. Scendiamo ad attraversare il torrente su un ponticello, 200 metri circa prima dell'alpe, e subito siamo ad un bivio al quale, seguendo il cartello che dà la bocchetta di Colombana a due ore e mezza, ignoriamo il sentiero di destra che scende all'alpe Fraina e proseguiamo diritti per poi deviare a sinistra. In diversi punti mostra ancora il suo fondo accuratamente lastricato e si difende ancora discretamente dalla vegetazione che vorrebbe cancellarlo e che in molti punti lo invade. Dopo un traverso a sinistra ci portiamo ad una fascia di prati con alcune baite, fra cui il baitello della Cassera (m. 1742). Poi sale ancora verso destra, prima di iniziare un lungo traverso ascendente verso sinistra, cioè est-nord-est. Ignorato il sentiero che prende a destra per salire alla bocchetta di Lareggio, ci portiamo così ai piedi della bocchetta di Colombana. Dopo pochi tornanti guadagniamo i 2206 metri della bocchetta di Colombana. Da qui prediamo a sinistra (nord), seguendo il sentiero che risale il facile crinale che ci porta alla croce della cima di Fraina (m. 2288). Torniamo indietro per un tratto sul crinale, verso sud, fino ai resti di una piazzola di osservazione fortificata. Nei suoi pressi vedremo un sentiero che scende a sinistra, verso la Val Gerola, lungo il facile versante erboso che conduce ad una splendida conca posta ad est della cima. Raggiunta la conca, la traccia si perde. Volgiamo, ora, a destra, dirigendoci verso un rudere ed un evidente ometto posto sul limite meridionale della conca (ce n’è un altro, collocato sul lato opposto). Raggiunto l’ometto, ci affacciamo di nuovo all’alta val Vedrano e torniamo a vedere le baite dell’alpe. Seguendo il marcato sentiero che parte dall’ometto, scendiamo, infine, con facilità alle baite dell'alpe Vedrano (m. 1946). Seguendo il marcato sentiero che parte dall’ometto, scendiamo, infine, con facilità alle baite, e da qui proseguiamo sul sentiero segnalato che scende verso la bassa valle (nord-nord-est), attraversando il torrente Vedrano da sinistra a destra. Dopo il guado dobbiamo prestare un po' di attenzione per trovare la partenza di una marcata mulattiera nella fascia di roccette e bassa vegetazione. Una volta trovata, la mulattiera non dà problemi: scende verso destra per buon tratto, attraversando qualche ruscello, poi inanella alcuni tornanti scendendo lungo il gradino di soglia fra alta e media Val Vedrano, fino ad un ampio conoide costituito da materiale di slavina. Qui la traccia si fa meno marcata, ma con un po' di attenzione non la perdiamo. Traversiamo fra pietrame, pascoli e radi larici tornando al torrente e riportandoci sul lato sinistro (per noi), dove il sentiero prosegue fra i larici intercettando una pista sterrata che termina alle vicine baite Grasso, che vediamo un po' più in alto alla nostra sinistra. Seguendo la pista in una lunga discesa, verso nord-est, giungiamo a Laveggiolo (m. 1471). Proseguiamo su una stradina che lascia il paese e scende verso nord. Ad un bivio imbocchiamo la pista che sale diritta e ci riporta al parcheggio di San Giovanni al quale abbiamo lasciato l'automobile.


Apri qui una fotomappa del sentiero Cadorna in Val di Fraina, per la bocchetta di Stavello e per la bocchetta di Colombana

La seconda giornata si propone più lunga ed impegnativa.
Dalla casera, come segnalano alcuni cartelli, partono due sentieri: quello di destra, prosecuzione della Gran Via delle Orobie, si porta all’alpe Combana, dopo aver aggirato un dosso boscoso (l’alpe Combana è data a 30 minuti, l’alpe Culimo ad un’ora e 20 minuti e l’alpe Piazza a 3 ore e 20 minuti); quello di sinistra, invece, ritorna verso la Val di Pai, portandoci al suo grandioso anfiteatro superiore (sentiero 115: la bocchetta di Stavello è data ad un’ora e 10 minuti, il monte Rotondo a 2 ore e 20 minuti). È quest’ultima la nostra direzione.
La mulattiera, anch'essa fatta tracciare ad inizio Novecento dalla famiglia di Lorenzo Rabbiosi di Rasura, parte appena a destra dei cartelli (la segnala un primo segnavia rosso-bianco-rosso), poi sembra perdersi un po’, ma non possiamo sbagliarci. Saliamo a monte del rifugio e passiamo a destra di una croce in legno, per poi piegare a sinistra e tagliare, con ampio arco verso destra, lo sperone roccioso che divide in due l’alta Val di Pai (sezione settentrionale, a monte della casera di Stavello, e meridionale, verso la quale stiamo salendo). In un punto la mulattiera è esposta ad un salto pauroso a sinistra; dopo averlo superato, volgiamoci per ammirare l’ardito muro a secco che lo sostiene in quel punto. Nelle giornate limpide le rocce rossastre e color ruggine, sposandosi con il verde intenso dei larici ed il blu del cielo, compongono una sinfonia cromatica che è pura gioia per gli occhi. Superato lo sperone roccioso, la mulattiera torna modesto sentiero, mentre davanti a noi l’alta Val di Pai squaderna tutta la sua luminosa e solitaria bellezza. Riconosciamo facilmente la bocchetta di Stavello, la più marcata depressione del crinale sul fondo della valle; alla sua destra il crinale sale fino alla tondeggiante cima del monte Rotondo: là dobbiamo arrivare. Superato un torrentello, il sentiero sembra perdersi fra l’erba, ma poi lo ritroviamo quasi subito, e ci porta ad un secondo torrentello, che scende da una gola rocciosa davvero suggestiva. Poi un tratto elegantemente scalinato supera un roccione liscio, ed usciamo in vista della baita più alta di questa sezione dell’alpe, che raggiungiamo dopo aver superato un terzo torrentello. Si tratta della “baita del dòos trùnch”, perché è posta, a quota 2095, alla base di un dosso abbastanza ripido.
Riprendiamo il cammino, salendo gradualmente e superando un primo modesto torrentello ed un secondo più ricco d’acque, posto quasi sotto la verticale del monte Rotondo: esso segna il confine fra i comuni di Pedesina e Gerola, per cui siamo tornati nel territorio di questo secondo comune (anche se la carta IGM pone il confine più a sud, sulla verticale della bocchetta di Stavello). Il sentiero volge, poi, un po’ a sinistra ed effettua il traverso che lo porta ai piedi del ripido versante sotto la bocchetta, colonizzato da macereti. Ora la salita si fa più ripida, con secchi tornantini; purtroppo in un paio di punti altrettanti smottamenti hanno lasciato scoperta la nuda roccia che va scavalcata con piede fermo e calzatura adeguate (soprattutto nel primo passaggio, esposto ad un saltino).


Alta Val di Pai

Attenzione e sudore ci permettono, alla fine, di guadagnare i 2201 metri della bocchetta di Stavello (“buchéta de stavèl”), valico non primo d’importanza storica, in passato, tanto da essere menzionato nel resoconto su Valtellina e Valchiavenna pubblicato da Giovanni Güler von Weineck nel 1616 a Zurigo: “Proseguendo lungo il monte, sul quale sta Rasura, dentro per la valle, s’incontra il grosso villaggio di Pedesina; molti suoi abitanti esercitano vari mestieri a Venezia. Da Pedesina un sentiero valica il monte, scendendo nella Valsassina, che appartiene al ducato di Milano”.
Questa bocchetta, infatti, congiunge la Val di Pai alla Val di Fraina, laterale della Val Varrone, dalla quale sale, con ampi e regolari tornanti, una pista denominata “sentiero Cadorna”, perché voluta dal generale Cadorna nel contesto del sistema di fortificazioni orobiche durante la prima Guerra Mondiale, cui si è già fatto cenno. Cadorna, infatti, diffidava della neutralità svizzera e temeva che l’esercito austro-ungarico, passando per la Valle di Poschiavo, dilagasse sul fondovalle valtellinese e di lì nella Brianza e nel Milanese. Il sistema difensivo orobico doveva permettere azioni di contenimento e cannoneggiamento (il sentiero Cadorna venne realizzato soprattutto per portare alla bocchetta pezzi di artiglieria). Vediamo, infatti, proprio alla bocchetta opere di fortificazione.
Una serie di cartelli ci illuminano sulle possibilità escursionistiche: prendendo a destra si sale al pizzo Rotondo, mentre prendendo a sinistra possiamo scendere all’alpe Fraina in un’ora e 20 minuti, seguendo il sentiero Cadorna. E' questa seconda la possibilità che ci interessa.


Apri qui una panoramica sulla Val di Fraina

Possiamo ovviamente approfittare dell’occasione per puntare alla cima del monte Rotondo, alla quale sale un sentierino che segue il crinale sud-orientale, appoggiandosi leggermente sul lato di Val Fraina (sinistro), fino alla statua della Madonna che sormonta la cima (m. 2496). Dobbiamo però fare bene i nostri calcoli, perché la digressione comporta un incremento di circa un’ora e mezza dei tempi di percorrenza dell’anello, al cui racconto ora torniamo.


Apri qui una panoramica sulla Val Fraina e la Val Varrone dalla bocchetta di Colombana

Dalla bocchetta di Stavello inizia ora una lunga discesa (si tratta di perdere circa 800 metri di quota, con 30 tornanti) lungo il sentiero Cadorna, per l’ampio vallone che confluisce nella media Val Fraina, dove si trova l’alpe omonima. Il sentiero si inserisce nel sistema di fortificazioni voluto dal generale Cadorna lungo tutto il crinale orobico durante la prima guerra mondiale, quando si temeva che la Svizzera, nonostante la dichiarata neutralità, potesse concede il passaggio sul suo territorio delle truppe austro-ungariche, consentendo loro di calare in media Valtellina dalla valle di Poschiavo e dilagare poi in pianura padana. Si tratta dunque di una mulattiera abbastanza larga da permettere il transito di pezzi di artiglieria, anche se fortunatamente non fu mai usato a tal fine.


Alta Val Fraina

Alta Val Fraina

Alta Val Fraina

Alta Val Fraina

Nel primo tratto proseguiamo verso sinistra in leggera discesa, fino a trovare sulla sinistra la partenza di un sentiero che sale ripido sul versante del pizzo della Cassera. Si tratta di un sentiero che traversa direttamente alla bocchetta di Colombana, proponendo però passaggi molto esposti e quindi insidiosi, perché taglia un versante assai ripido. Restiamo quindi sulla più rassicurante sede del sentiero Cadorna, che piega a destra e comincia ad inanellare una lunga serie di tornanti, scendendo verso sud ovest con pendenza regolare e moderata, fra macereti, ontani e cespugli di lampone. L’ambiente un po’ angusto e solitario incute un certo timore, ma procediamo nella certezza di non poter perdere il sentiero. Alla nostra destra si presenta incombente lo scosceso versante meridionale ai piedi del monte Rotondo. Dopo circa un’ora di discesa passiamo per i ruderi della baita Salavaar (m. 1687).


Alpe Fraina

Poco più in basso pieghiamo decisamente a sinistra (est) ed usciamo dal vallone e ci affacciamo alla più ampia sezione mediana della Val Fraina, in vista dell’alpe Fraina, che ci sorprende per l’aspetto ordinato e gentile in uno scenario che sembra così povero di segni della presenza umana (eccezion fatta, ovviamente, per il sentiero Cadorna). Pieghiamo poi a destra (sud) e proseguiamo in direzione dell’alpeggio, traversando a mezza costa e scendendo ad attraversare il torrente su un ponticello. Sul lato opposto troviamo un bivio, segnalato, circa 200 metri prima delle baite dell'alpe: mentre il sentiero che procede a destra traversa alle baite dell’alpe Fraina (m. 1394), il sentiero che prosegue diritto, verso sud, rappresenta il ramo del sentiero Cadorna che sale alla bocchetta di Colombana, quello appunto che ci interessa. Al bivio ci sono diversi cartelli escursionistici. Quello che ci interessa dà la bocchetta di Colombana a 2 ore e mezza.


Salita dalla bocchetta di Colombana alla cima di Fraina

Proseguiamo dunque verso sud-ovest, riprendendo a salire sul versante della media valle. La salita non si annuncia breve: ci sono quasi 800 metri di dislivello da superare. Ben presto il sentiero scarta a sinistra (est) e si affaccia al ripido vallone che sale alla bocchetta, iniziando ad inanellare numerosi tornanti, con andamento regolare, verso sud. In diversi punti mostra ancora il suo fondo accuratamente lastricato e si difende ancora discretamente dalla vegetazione che vorrebbe cancellarlo e che in molti punti lo invade. Dopo un traverso a sinistra ci portiamo ad una fascia di prati con alcune baite, fra cui il baitello della Cassera (m. 1742). Poi sale ancora verso destra, prima di iniziare un lungo traverso ascendente verso sinistra, cioè est-nord-est. Ignorato il sentiero che prende a destra per salire alla bocchetta di Lareggio, ci portiamo così ai piedi della bocchetta di Colombana.
Il sentiero Cadorna sale ora con ampi tornanti verso est, portandosi appena sotto la sella erbosa della bocchetta di Colombana (m. 2206). Nell’ultimo tratto prima della bocchetta il sentiero è meno evidente, ma non abbiamo difficoltà a portarci alla sella che si affaccia sul un ripido canalino erboso che scende in Val Vedrano (Val Gerola). Teniamo presente che la carta IGM la colloca, erroneamente, più a nord, quotandola 2227 metri.
È sconsigliabile scendere per questa via. Più semplice e panoramico prendere a sinistra e, seguendo il sentiero, salire il facile crinale erboso che sale alla vicina cima di Fraina (m. 2288), che raggiungiamo in una decina di minuti o poco più. Sul crinale troviamo alcune fortificazioni militari e si apre a nord lo splendido scenario del gruppo del Masino. Infine siamo alla croce della cima di Fraina ("piz de fòpa", m. 2288).


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Il panorama è eccezionale. A nord, in primo piano, seminascosta dalla cima quotata m. 2325, vediamo il monte Colombana ("ul pizzöl", m. 2385), anch’esso facilmente raggiungibile da Laveggiolo, e, alle sue spalle, il monte Rotondo ("ul redùnt", m. 2496), immediatamente a nord della bocchetta di Stavello (“buchéta de Stavèl”). A sinistra del monte Rotondo, l’affilata cima del pizzo Alto (m. 2512), sulla testata della val Lesina. Ancora più a sinistra, di nuovo, le Orobie bergamasche occidentali, le cime lariane e, sullo sfondo, le Alpi occidentali. Proseguendo in questa panoramica in senso antiorario, torniamo sulla testata della val Vedrano, ed ecco di nuovo il poderoso pizzo Mellasc ("ul melàsc"). Più a sinistra ancora, intravediamo uno spaccato della testata della Val Gerola, con i pizzi di Mezzaluna (“li mezzalüni”, vale a dire il pizzo di Mezzaluna, m. 2333, la Cima di Mezzo ed il caratteristico ed inconfondibile uncino del torrione di Mezzaluna, m. 2247), il monte Valletto (“ul valèt” o “ul pizzàl”, m. 2371) e le cime o pizzi di Ponteranica (“piz de li férèri” o “piz ponterànica”, orientale, m. 2378, meridionale, m. 2372, occidentale, m. 2372). Verso est, la suggestiva fuga di quinte delle Orobie centrali, che propongono un dedalo di cime nel quale non è facile districarsi. A nord-est, infine, ecco di nuovo la punta Painale, il pizzo Scalino, i pizzi Palù, Zupò ed Argient, i pizzi Bernina e Scerscen ed il monte Disgrazia.
Per scendere in Val Vedrano torniamo indietro per un tratto sul crinale, verso sud, fino ai resti di una piazzola di osservazione fortificata. Nei suoi pressi vedremo un sentiero che scende verso sinistra, in Val Gerola, lungo il facile versante erboso che conduce ad una splendida conca posta ad est della cima. Raggiunta la conca, la traccia si perde.
Volgiamo, ora, a destra (sud), dirigendoci verso un rudere ed un evidente ometto posto sul limite meridionale della conca (ce n’è un altro, collocato sul lato opposto). Raggiunto l’ometto, ci affacciamo all’alta val Vedrano e vediamo più in basso le baite dell'alpe Vedrano (o alpe Colombana, m. 1946). Seguendo il marcato sentiero che parte dall’ometto, scendiamo, infine, con facilità alle baite, e da qui proseguiamo sul sentiero segnalato che scende verso la bassa valle (nord-nord-est), attraversando il torrente Vedrano da sinistra a destra. Dopo il guado dobbiamo prestare un po' di attenzione per trovare la partenza di una marcata mulattiera
nella fascia di roccette e bassa vegetazione.


Alpe Vedrano

Una volta trovata, la mulattiera non dà problemi: scende verso destra per buon tratto, attraversando qualche ruscello, poi inanella alcuni tornanti scendendo lungo il gradino di soglia fra alta e media Val Vedrano, fino ad un ampio conoide costituito da materiale di slavina.
Qui la traccia si fa meno marcata, ma con un po' di attenzione non la perdiamo, Traversiamo fra pietrame, pascoli e radi larici tornando al torrente e riportandoci sul lato sinistro (per noi), dove il sentiero prosegue fra i larici intercettando una pista sterrata che termina alle vicine baite Grasso, che vediamo un po' più in alto alla nostra sinistra. Seguendo la pista in una lunga discesa, verso nord-est, giungiamo a Laveggiolo (m. 1471). Proseguiamo su una stradina che lascia il paese e scende verso nord. Ad un bivio imbocchiamo la pista che sale diritta e ci riporta al parcheggio di San Giovanni al quale abbiamo lasciato l'automobile.


Scendendo lungo la Val Vedrano

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