Lo splendido terrazzo panoramico sopra Verceia
La
Foppaccia è uno splendido maggengo costituito da un’ampia
e panoramica fascia di prati che si stende, fra quota 1020 e quota 1090
circa, sopra Verceia. Da qui si gode di un panorama davvero suggestivo
sul lago di Novate Mezzola, sulla piana di Chiavenna e sulla bassa Valle
dei Ratti, il cui versante settentrionale è dominato, da sinistra,
dalle eleganti cime della punta Redescala (m. 2304), del Sasso Manduino
(m. 2888) e della punta Magnaghi (m. 2871).
Alla Foppaccia sale una pista forestale percorribile solo previo acquisto del pass ad un bar in centro a Verceia. La si raggiunge lasciando la ss 36 dello Spluga subito dopo la prima galleria, al primo svincolo sulla destra di Verceia. Passiamo subito davanti al sagrato della chiesa di San Fedele e proseguiamo sulla strada che sale alla frazione di Predello, proseguendo poi con alcuni tornanti fino alla Foppaccia. Può essere ovviamente sfruttata per una divertente pedalata se siamo amanti della mountain-bike. In caso contrario possiamo acquistare il pass di transito per effettuare un'escursione che parta proprio dalla Foppaccia (magari raggiungendo il monte Bassetta). Vediamo però prima come procedere se preferiamo salire a piedi alla Foppaccia.
Percorrendo la ss 36 dello Spluga in direzione di Chiavenna, superiamo la prima galleria ed usciamo al paese di Verceia. Lasciamo quindi la ss. 36 dello Spluga al secondo svincolo sulla destra di Verceia (il primo porta alla chiesa di S. Fedele) e saliamo fino ad un parcheggio di via Molino (quota approssimativa: 260 metri), dove troviamo un cartello escursionistico della Comunità Montana di Chiavenna che dà la Foppaccia a due ore, il monte Bassetta a 4 ore ed il passo del Culmine a 4 ore e 15 minuti.
Dopo un paio di tornantini troviamo un nuovo bivio: ignorato il sentiero che prende a sinistra, stiamo sulla destra, seguendo i segnavia. Proseguiamo, poi, verso sinistra, fino ad un bivio: qui ignoriamo la mulattiera più marcata, che prosegue a sinistra, e prendiamo a destra, intercettando una stradina asfaltata ad un tornante dx, in corrispondenza delle baite del nucleo delle Zocche (m. 425). Visitato il nucleo, osserviamo, alle sue spalle, un bivio: il sentiero di sinistra (segnavia bianco-rosso) è segnalato da un cartello che indica “Val dei Ratti via Castelletto-Moledana”, mentre quello di destra, ben più marcato, prosegue per la Foppaccia (segnavia rosso-bianco-rossi).
Abbiamo ancora circa 40 minuti di cammino prima di raggiungere la Foppaccia: la mulattiera sale, con un fondo elegante ed in alcuni tratti scalinato, fra castagni e faggi. Un simpatico cartello, un po’ sopra Pecendrè, ci invita ad una sosta rispettosa dell’ambiente: “A la posa in mez ai foo lèghia net come se al füdès to”, cioè nella sosta in mezzo ai faggi lascia pulito come se il luogo fosse di tua proprietà. Non fatichiamo a rispettare l’invito, data la bellezza dei luoghi. Ancora qualche sforzo, e ci affacciamo sul limite inferiore di prati della Foppaccia (m. 1044), dove incontriamo un primo gruppo di baite, le baite di Tecc', eleganti e ben curate, per poi salire in direzione del nucleo principale.
Lo scenario è stupendo: alla nostra sinistra le baite sembrano riposare tranquille, in questo angolo remoto e quieto, sorvegliate dalle già citate cime della punta Redescala, del Sasso Manduino e della punta Magnaghi, elegante e suggestiva cornice. Sotto le cime, si apre un ampio scorcio della parte bassa della Valle dei Ratti, che mostra il suo centro principale, Frasnedo. Alle spalle della valle, si vede anche la parte bassa della Val Codera, e si distingue l’omonimo paese, che ne costituisce il principale centro. Alla nostra destra la piccola ed isolata chiesetta (m. 1044), dedicata ai santi Gioacchino ed Anna, con un campanile staccato, dalla sagoma curiosamente bombata. Sulla facciata un dipinto raffigura san Bernardo da Mentone, rappresentato nell'atto di trafiggere un drago. In passato queste mostruose creature frequentavano anche i cieli della Val dei Ratti? Non è da escludere, considerato che a poca distanza, alle soglie della vicina Val Codera, sta San Giorgio, dove, secondo una radicata credenza, venne sepolto il celebre santo dopo l'altrettanto celebre combattimento vittorioso contro un altro drago.
Volgiamo dunque spalle, per verificare. possiamo godere di un panorama stupendo sul lago di Novate Mezzola e sulla piana di Chiavenna. Il luogo è davvero incantevole. A sinistra, cioè a sud-est, lo sguardo raggiunge l'alto Lario. Procedendo a destra, oltre la soglia del massiccio monte Berlinghera si apre la piana della bassa Valchiavenna, coronata da una serie di cime fra le quali è facilmente riconoscibile l'intaglio del passo della Forcola. Procedendo verso destra ecco la massiccia mole del pizzo di Prata, che annincia gli scenari più selvaggi della bassa Val Codera. Ma il vero signore di questo comprensorio è più a destra ancora: si tratta della pala possente del Sasso Manduino (m. 2888), la cui luminosa parete meridionale è una delle più note icone dell'imbocco della Valchiavenna. Alla sua destra la cima del Cavrè e, sullo sfondo, uno scorcio della testata della Valle dei Ratti, sulla quale il pizzo Ligoncio (m. 3038), la sua più alta cima, si distingue appena. Il panorama è chiuso a destra dal breve scorcio della Val Priasca. Una valle che merita qualche parola. Si tratta di una tributaria della Valle dei Ratti, ripida, scoscesa, selvaggia. Sinistra la sua fama. Raccontano che fosse la dimora di streghe particolarmente malefiche. Come quella che si trasformò in una capra e tentò di far precipitare sulla Foppaccia un masso al Pesciadèl, una località boscosa posta circa trecendo metri più in alto rispetto al maggengo. Sul grande masso, chiamato "sas de strìi", sono rimaste impresse le impronte della capra.
Portiamoci ora al gruppo principale di baite, dove scorpiremo la presenza di un rifugio
che ha una parte sempre aperta (ottima cosa, in caso di maltempo imprevisto),
il rifugio Chianova.
Di fronte ad esso, un comodo telefono, anch’esso assai utile in
caso di imprevisti.
La più semplice e breve camminata che parte dalla Foppaccia è la traversata al maggengo della Motta, ottimo terrazzo panoramico sull'alto Lario. Per trovare il sentiero dalle baite della Foppaccia dobbiamo dirigerci alla chiesetta dei santi Anna e Gioacchino (m. 1044), sulla pista che passa appena sotto, proseguendo diritti fino al limite dei prati, quello orientale.
La più bella escursione che parte dalla Foppaccia (m. 1044) è la salita al panoramicisismo Monte Bassetta, sul crinale che divide la Valtellina dalla Valchiavenna. Il sentiero è segnalato (segnavia rosso-bianco-rossi) e non difficile, ma in alcuni tratti bisogna fare attenzione a non perderlo.
Il masso, piuttosto grande, si trova a poche decine di metri dal sentiero,
e reca, nella parete verso il monte, due grossi segni simmetrici, che suggeriscono l’immagine di zoccoli di capra molto grandi. Non
ha un aspetto particolarmente minaccioso, come pure il luogo, che, al
massimo appare piuttosto desolato e solitario. Tuttavia se si mettesse
in moto verso valle, come era nell’intento della capra-strega,
gli effetti sarebbero sicuramente dirompenti. Proseguiamo, ora, per
un tratto verso sinistra, addentrandoci fra le ombre del bosco. La temibile
val Priasca non è lontana, e, nel silenzio, forse ci parrà
di udire qualche sinistro ghigno.
Saliamo ancora ed un monte si impone, perentorio, al nostro
sguardo che segue la linea del crinale, ma non è il monte Bassetta,
bensì il monte Brusada (m. 2143), dal profilo severo, quasi altero.
Il monte Bassetta ha un profilo ben più modesto, ma, a suo modo,
accattivante e simpatico: la sua cima altro non è se non l’arrotondato
poggio erboso nel quale il crinale raggiunge la sua seconda significativa
elevazione (m. 1746), prima di cominciare a scendere leggermente. Su
un masso è posto il simbolo del triangolo, che indica il punto
esatto della cima, che, ad occhio nudo, non è del tutto evidente.
Lo raggiungiamo facilmente dopo quasi due ore di cammino dalla Foppaccia: il dislivello è di circa 700
metri.
Questo è, forse, il cuore rotondo della Terra di mezzo, il suo baricentro, il suo punto archetipico. Non siamo né di qua, né di là, ma nella rotonda sospensione di un luogo arcano. Poco oltre, e poco più in basso, due grandi baite ben ristrutturate sembrano rompere l’incanto, e ricordare che questo è anche un posto di uomini, con le loro vicissitudini, necessità ed occupazioni. A monte delle baite, un singolare e grande masso erratico, sospeso, come tutto, qui, nella Terra di Mezzo.
Dalla Foppaccia possiamo anche traversare in Valle dei Ratti, tagliando un versante aspro e selvaggio e raggiungendo la diga di Moledana, dalla quale possiamo poi salire a Frasnedo. Se siamo partiti da Verceia possiamo infine tornarvi sfruttando una seconda mulattiera.
Cominciamo così a percorrere un sentiero che entra nel bosco e procede diritto verso est, superando due vallette e raggiungendo il solco della selvaggia Val Priasca, la valle delle streghe, che mostra un volto all'altezza della sua fama, occupata com'è da una frana attiva. La attraversiamo quindi con molta cautela, proseguendo verso nord-est, in leggera discesa, sempre nel bosco, fino ad uscire ai prati dei Monte del Drogo (“munt”, m. 942). Il nome deriva dalla voce “rovéd”, roveto, o, più probabilmente, da “drago” o “dargùn”, che significa “torrente rovinoso”. Ottimo, da qui, il panorama sulla bassa Valchiavenna, sul monte Berlinghera e sul lago di Mezzola. Le poche baite sono ancora discretamente conservate e solo lo scrosciare discreto di un filo d’acqua raccolta in una bacinella rompe il silenzio arcano di questo luogo intriso d’antico. Non possiamo non fermarci a gustarne la pace, profonda, assoluta. Un tempo questo maggengo pulsava di un’intensa vita: dalle belle piante le ciliegie venivano raccolte e vendute a Verceia. Un tempo.
Lasciato il maggengo alle spalle, riprendiamo la traversata nel bosco, procedendo diritti verso nord-est, scendendo gradualmente ed attraversando diversi avvallamenti. Alcuni passaggi, come quello della parte terminale della Val Codogno, sono esposti e protetti da catene e ponticelli. Al termine della traversata siamo vicini al fondovalle della Val dei Ratti ed intercettiamo la mulattiera che sale fin qui da Verceia. In effetti siamo ad un quadrivio (m. 930), segnalato da cartelli: procedendo diritti ci portiamo a Moledana mentre se prendiamo a sinistra scendiamo alla diga di Moledana oppure, invertendo la direzione, scendiamo a Verceia.
Scegliamo ora se tornare direttamente a Verceia oppure prolungare l'escursione salendo a Frasnedo. In questo secondo caso imbocchiamo il sentiero che dopo una brevissima discesa si porta al coronamento della diga di Moledana (m. 912),
con un colpo d'occhio impressionante su una forra della bassa Valle dei Ratti. Attraversato il camminamento, passiamo per una galleria e seguiamo il primo tratto del Tracciolino, il percorso pianeggiante con binari che effettua una lunga traversata fino a Saline, in Val Codera.
Noi, però, salutiamo il Tracciolino e proseguiamo sulla mulattiera per Frasnedo, che continua a salire con andamento est. Dopo breve salita, alcuni cartelli ci segnalano la presenza, poco a monte della mulattiera, del piccolo nucleo di Casten (così è chiamato sulle carte, ma un cartello lo chiama Casctan ed è citato anche come Castàn, con evidente derivazione da “castagno”). Di nuovo un riferimento al castagno, l’albero che regna incontrastato su questo segmento della valle. Saremmo inclini a pensare che da sempre esso abbia abitato le valli alpine, integrato perfettamente com’è nella magra economia di sussistenza delle sue popolazioni, data la versatilità degli usi alimentari della castagna; così, però, non è: fu introdotto, dai boschi appenninici dell’Italia centrale, in epoca romana e cominciò a soppiantare l’incontrastato dominio del faggio in età medievale. Qui a Casten si respira, però, un’aria quasi cosmopolita: un simpatico cartello indica la direzione per Chiavenna e St. Motitz ed un altro definisce il gruppo di baite frazione d’Europa. Un terzo cartello, infine, posto dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, commemora la traversata della 55sima brigata Fratelli Rosselli, che, nel novembre del 1944, incalzata da un rastrellamento delle forze nazi-fasciste, passò di qui scendendo dall’alta Valle dei Ratti per effettuare la traversata in Val Codera sul Tracciolino ed espatriare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola. Poco più avanti, a sinistra della mulattiera, un grande masso cavo raccoglie l’acqua di una sorgente, ed una scritta indica che si tratta di un “böi” (trogolo) di origine forse cinquecentesca.
Salendo ancora, ci affacciamo alla soglia della media valle, che comincia a regalarci qualche scorcio dal quale possiamo già apprezzarne, per quanto parzialmente, l’ampiezza. La soglia è presidiata da una terza cappelletta, a 1171 m., quella della Val d’Inferno (così si chiama il vallone laterale che precipita da nord nel solco principale della valle). Vi è raffigurata una Madonna con Bambino. Mentre Gesù, con volto singolarmente “adulto”, le cui fattezze richiamano quelle dei montanari di queste valli, addita con l’indice il cielo e volge lo sguardo, serio e compreso, lateralmente, la Madonna, con espressione dolcemente malinconica, guarda direttamente il viandante. Niente scarponi, questa volta. Le valli alpine sovrabbondano di questi segni della devozione popolare, che assumevano diverse funzioni: erano luoghi di sosta nella faticosa salita degli alpigiani al monte, sempre con un carico di molti chilogrammi, ed erano, insieme, invito alla preghiera ed a pensieri edificanti; spesso presidiavano luoghi pericolosi, soprattutto per l’esposizione, e quindi fungevano anche da segno della divina protezione; talvolta servivano anche da riparo in caso di intemperie. Su un lato di questa cappelletta dobbiamo alla penna ed alla vena poetica di un tal Andreino (classe 1947) una simpatica poesiola che ne celebra il restauro: “Vegia capela de la Val d’Infern. Al me par er che andevi in Talamüchä, pasevi via quaivolt sempar de fughà e te vidivi ilò, in ör a sctreda, a fe la guardia a tüta la valeda. Te ne paset denenz de tüti ‘l nöt: tudesch, cuntrabandier e partigiani, ma te te mai tremeet, chära capela, driza ilò, impee a fe da sentinela. Pasevan i nos vec cul zainu in scpala, chilò i se fermevan a quintala; un fiuu, un pater, e dopu via debot, andevan a pusee cuntent ai crot. Adess i pasan via sempar de presa, se ferman piö ninch a cambiat i fiuu! La nef, al suu, vürün maledücheet töc i tö sant t’an quasi cancelet. “Quanta fadighä i nos vecc a fala sö” i disaran un dè i nos fiö, cun i falò d’ascteet, al frec d’invern, vegia capela de la Val d’Infern! An te farè növa, bela cumè prüma, senza scpecee chè i vegnin sö da Roma e quei che i pasarè cun gran riscpet i pensaran: “Parò ‘l 47” Peccato doverla tradurre, magari pedestremente: “Vecchia cappella della Val d’Inferno. Mi pare ieri quando andavo in Talamucca, passavo via qualche volta di fretta e ti vedevo qui, sul ciglio della strada, a far la guardia a tutta la vallata. Te ne sono passati davanti di tutti i generi: tedeschi, contrabbandieri, partigiani, ma tu non hai mai tremato, cara cappella, dritta, qui, in piedi a fare la sentinella. Passavano i nostri vecchi con lo zaino in spalla e si fermavano qui per chiacchierare; un fiore, un pater e dopo via ancora, andavano anche più contenti ai crotti. Adesso passano via sempre di fretta, non si fermano più neppure a cambiarti i fiori! La neve, il sole e qualche maleducato hanno quasi cancellato tutti i tuoi santi. “Quanta fatica i nostri vecchi a costruirla”, diranno un giorno i nostri figli, con i falò d’estate, il freddo d’inverno, vecchia cappella della Val d’Inferno! Ti faremo nuova, bella come prima, senza aspettare che vengano su da Roma e quelli che passeranno con gran rispetto penseranno: “però, il ‘47”. I riferimenti storici nella poesia testimoniano di come questa valle non fu in passato avulsa dalle vicende più generali di Valchiavenna e Valtellina. Già abbiamo visto come di qui passò, nel novembre 1944. la 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che aveva iniziato un lungo ripiego dalla Valsassina, per la Val Gerola, alla Costiera dei Cech, dalla quale era appunto scesa fin qui per passare in Val Codera sfruttando il Trecciolino e di qui guadagnare la Svizzera varcando la bocchetta della Teggiola. Di qui passarono, nel secolo scorso, anche molti contrabbandieri, che scendevano dalla Val Codera. Meno chiaro è il riferimento ai tedeschi. Potremmo pensare a truppe naziste, perché nel novembre del 1944 truppe nazifasciste salirono in valle per cercare di intercettare la citata ritirata della 55sima Rosselli. Ma forse c'è un'allusione anche al celebre colonnello tedesco Pappenheim che, al serbvizio degli Spagnoli, combattè con successo, nel settembbre del 1625, contro gli avversari, Francesi e Grigioni, nel contesto delle guerre per la Valtellina successive alla rivolta dei cattolici del 1620. Per suo ordine 700 soldati, guidati dal Perucci, compirono un’ardita traversata dalla Val Codera per il vallone di Revelaso e la forcella di Frasnedo, scendendo poi dalla Valle dei Ratti per sorprendere alle spalle le truppe franco-grigione di stanza a Verceia. La manovra riuscì in pieno e fu il preludio della ritirata di Francesi e Grigioni, che, presi alle spalle, lasciarono Verceia, che tenevano da qualche mese, e sgomberarono la bassa Valtellina fino a Traona. La manovra voluta dal Pappenheim, che poi regalò un quadro celebrativo della sua vittoria alla chiesa di S. Fedele di Verceia, è così descritta nella “Storia della Valtellina” del Romegialli 1836): “All’impresa adunque di Campo e Verceja pose egli [Pappenheim] ordine, e dati settecento al cavaliere Perucci, questi, con alcuni di Valle Codera, prese le aclività di quel monte, e superandone l’altezza, non che la costa di quelli che dividono dall’altra Valle detta dei Ratti, d’onde uscivasi sopra Verceja, dopo due giorni e tre notti di periglioso arrampicarsi e marciare, prendevano alle spalle e ai fianchi gli alleati, senza che le scolte od alcun avamposto se ne accorgesse…” Con uno sforzo di immaginazione possiamo figurarci i fanti agli ordini del Perucci scivolare silenziosi giù per il sentiero, fino ad affacciarsi agli ultimi pendii sopra Verceia.
Non abbiamo, invece, bisogno di immaginazione alcuna per figurarci Frasnedo, che vediamo, in alto, sulla sinistra. C’è ancora un po’ da camminare: la mulattiera ci porta ad un bivio, segnalato da un cartello, che indica il ramo di sinistra come direzione per Frasnedo (la sigla S.I., che abbiamo già incontrato al Traccolino, sta per Sentiero Italia, di cui ora percorriamo un tratto della tappa Codera-Frasnedo), mentre quello di destra porta a Moledana e Corveggia. Dopo un tratto scalinato e qualche tornantino, incontriamo una nuova fresca fontanella, sempre gradita se camminiamo nella calura estiva. Poi la selva si dirada progressivamente e superiamo un tratto nel quale la mulattiera incide alcune formazioni rocciose affioranti, volgendo in direzione nord-nord-est. Qualche ultimo sforzo ci porta al limite dell’ampia fascia di prati che ospita Frasnedo, il paese dei molti frassini (questo è il significato etimologico del nome).
Ci accoglie una piccola croce in ferro dedicata alla memoria di Oregioni Teresa (Oregioni e Penone sono i più diffusi cognomi nella valle ed a Verceia) ed una quarta cappelletta, circondata da alcuni grandi aceri, dove è dipinta, non ce ne stupiamo, una Madonna con Bambino (ma questo dipinto è di fattura assai più recente rispetto ai precedenti). Ci viene incontro, poi, la prima baita, sulla quale si legge ancora la scritta “Frasnedo comune di Verceia”. Le baite, ben curate e ristrutturate, regalano qualche dettaglio che ne testimonia l’antichità, come uno stipite in legno datato 1721. Attraversiamo il primo e più consistente nucleo di baite, notando anche una piccola targa in legno che invoca sulla valle la protezione di Santa Barbara. Se abbiamo un po’ di spirito di osservazione, noteremo anche che alcune di queste baite sfruttano la presenza di una vicina piccola roggia, che serve a fornire acqua fresca per conservare alimenti e bevande nella parte più calda della stagione. Paese simpatico davvero, Frasnedo, che si anima di vita nella stagione estiva, nonostante i villeggianti debbano salire fin quassù da Verceia con un’ora e mezza buona di cammino, in quanto la strada carrozzabile non accede alla valle, ma si ferma ad una quota approssimativa di 600 metri. È questo, come già detto, il motivo principale che ha conservato alla valle un volto antico, pressoché intatto: per giungere fin qui occorrono circa un’ora e tre quarti di cammino.
D’estate non patiremo certamente la malinconia: la vivace e cordiale presenza della gente di Verceia riempirà di suoni, umori e colori la vita del paese. Ecco quel che scrive, al proposito, Giuseppe Miotti in “A piedi in Valtellina” (Istituto geografico De Agostani, 1991):
Proseguendo sulla mulattiera, ci portiamo, in breve, al sagrato della chiesetta della Madonna delle Nevi (m. 1287), dedicata anche a S. Anna, sulla cui facciata, fra i santi Rocco ed Antonio, si legge una dedicazione in latino, dalla quale ricaviamo che il popolo di Frasnedo la fece erigere nel 1686 a perpetua memoria dell’apparizione di fiori fra le nevi (il campanile, però, venne eretto più tardi, nel 1844). Ci regala la sua preziosa ombra un grande olmo montano, fiero di essere stato inserito fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio (censimento del 1999) per il suo portamento, la sua eleganza ed anche la sua rarità botanica (a questa quota): la circonferenza del suo tronco misura 270 cm ed è alto 10 metri. Ma se glielo chiedete, sicuramente vi fornirà dati approssimati per eccesso. La vanità non è solo animale. La chiesetta è posta in posizione rialzata, rispetto al corpo centrale del paese. La sua collocazione ci permette di vivere la sensazione di una curiosa sospensione: guardando oltre la soglia della bassa valle scorgiamo uno spicchio del lago di Mezzola, mentre volgendo lo sguardo alla testata della valle vediamo il monte Spluga o cima del Calvo (m. 2967), dove si incontrano Valle di Ratti, Valle dell’Oro e Valle di Spluga. Noi siamo in una sorta di dimensione intermedia fra le placide sponde lacustri ed i contrafforti graniti delle cime del gruppo del Masino, di cui scorgiamo, da qui, il monte Spluga o cima del Calvo. Una dimensione intrisa di suggestione ma anche di mistero. In questo, come in tanti altri luoghi remoti della montagna alpina, sono fiorite le leggende, perlopiù a fondo oscuro.
Vediamo ora come tornare a Verceia.
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