Per approfondire la storia della Provincia di Sondrio
Rapporto del prefetto dell'Adda Angiolini
al signor Conte Consigliere di Stato Direttore Generale della Pubblica
Istruzione su gli usi
e costumi del Dipartimento dell’Adda -
Sondrio, 8 gennaio 1812
(Pubblicato in: ARTI E TRADIZIONI
POPOLARI - LE INCHIESTE NAPOLEONICHE
SUI COSTUMI E LE TRADIZIONI NEL REGNO ITALICO,
a cura di Giovanni Tassoni,
La Vesconta - Bellinzona, 1973)
Dopo di avere aspettato lungamente dalle diverse persone di questo Dipartimento, alle
quali ho stimato opportuno l'addirizzarmi, quelle notizie che servissero alle savie mire esternate
nella di lei circolare a stampa del 15 p.p. maggio n. 3461, io mi affretto a subordinargliene
i risultamenti nel presente rapporto, aggiungendovi quel tanto di mio che parmi aver raccolto
durante la mia amministrazione.
Quantunque questo Dipartimento, formato per la massima parte dalla Valtellina, debbasi
considerare come una prolungazione del Lario, e quindi come un paese naturalmente lombardo,
pure le sue vicende politiche e religiose, e la sua particolare situazione hanno dovuto
influire in guisa sul carattere de' suoi abitanti da farvi riscontrare tra molte somiglianze molte
dissomiglianze ancora coi popoli finitimi della Lombardia.
La religione d'accordo colla politica delle due Corti di Roma e di Spagna, fè mostra
ne' passati tempi di dare a questo paese più di considerazione, che il numero de' suoi abitanti,
le sue risorse e la sua estensione non sembrino meritare. Si affettò di riguardare la Valtellina
qual baluardo naturale, che impedir dovesse l'ingresso in Italia alle novità religiose che dividevano la Germania.
La massa del popolo valtellinese fu in allora invasa da quello spirito
d'intolleranza, che tante piaghe apri fra le nazioni europee.
Nulla o pochissimo potendo questo popolo politicamente, al pari d'ogni individuo ignorante,
in cui la religione,
lungi dal correggere le illusioni dell'amor proprio, non fa che santificarne gli eccessi,
formò di sé un'idea tanto vantaggiosa quanto sfavorevole su quella che
fecesi de' suoi vicini eretici. I cittadini più facoltosi, parte servendo ai propri interessi, e parte
allo spirito del secolo, videro che il solo mezzo di mantenersi in credito nel paese era quello di
secondare le vertigini della moltitudine, la quale difficilmente avrebbe preso impegno in
querele politiche contro la nazione dominante, se non si avesse potuto farvi entrare la sua religione.
Questa speculazione si riscontra poi avverata nella pratica costantemente osservata dalle
piú distinte
famiglie della Valtellina, quella cioè di riservarsi quasi esclusivamente lo studio
delle leggi ed il sacerdozio; giacché erano queste le due sole molle che si potessero sostituire
alla forza governativa là dove non oravene alcuna, o nessuna se ne voleva da una società,
che aveva un diritto interno democratico.
Altra circostanza comprovante queste mie congetture, quella si è che i
Valtellinesi si sono sempre opposti all'introduzione dell'Inquisizione nella loro
patria: tribunale che avrebbe fatto indistintamente tremare qualunque ceto o classe di persona.
Le cose andando di tal passo, il popolo valtellinese fu trascinato a bruttarsi d'uno di que'
misfatti nazionali, che gli altri popoli non potrebbero scusare quando essi stessi non trovassero
ne' loro annali il bisogno d'un'eguale indulgenza. Intenendo qui di parlare del massacro
religioso eseguito sopra tutti i protestanti, che trovavansi in Valtellina, ad un dato segnale
senza distinzione di sesso o di età. Questo sciagurato avvenimento dovette vieppiù avviluppare
questi abitanti in un sistema assurdo di massime religiose, la sola considerazione da apporre
ai rimorsi d'una sì orribile azione tanto gli istigatori quanto gli esecutori dovettero trovarvi il loro conto.
Il popolo sì crudamente offeso non depose mai il rancore che aveva dovuto
ispirargli l'oltraggio; e il popolo colpevole cercò non della scusa, ma i mezzi della sua difesa
nel persistere in que' principi stessi, che l'avevano spinto al delitto. Strana condotta in vero,
che non ha però nulla di sorprendente per chi conosce il cuore degli uomini e la storia dei
popoli. Per questa succinta esposizione dello stato delle cose in Valtellina, stato che non cessò
se non coll'atto di unione di questo paese alla Cisalpina; piú naturale e piú fedele le sembrerà,
Signor Conte, il quadro che son per farle giusta le trasmessemi interpellanze; ed ella saprà
nella sua saviezza calcolare i mezzi opportuni a togliere quei pregiudizi, che un sí breve lasso
di tempo non ha ancora sradicati.
Sui pregiudizi e le superstizioni
Diversi sono i pregiudizi, e varie le superstizioni (che) tormentano ed avviliscono lo spirito
di queste popolazioni. Dipendono in gran parte dalla natura del paese che abitano.
Lo spettacolo della natura fra monti, particolarmente nella notte ha sempre qualche cosa di grande
e di terribile, capace a scuotere non solo le menti de' deboli e degli ignoranti, ma pur anche
talora quelle degli uomini colti ed illuminati. Le nevi eterne che coprono le cime, i ciglioni
sporgenti, le profonde valli per cui scorrono fragorosi torrenti che travolgono massi enormi,
l'urlar del vento fra le gole delle montagne, le bizzarre forme che prendono le nubi nell'atmosfera,
sono tante circostanze che dispongono la mente a ricevere mille impressioni melanconiche,
che ben presto l'immaginazione riveste d'un'arbitraria realtà.
Ed è forse perciò che
questi contadini hanno nel loro dialetto la parola
Solostro o Solengo per esprimere quel brivido,
quell'orrore che viene all'uomo
dal riflettere ch'egli fa sulla sua situazione isolata:
situazione che crea ed ingigantisce i pericoli, che scema ed annulla la confidenza che dobbiamo
avere in noi stessi; per cui noi siamo dominati dagli oggetti esterni, la nostra ragione si rivolge
a nostro danno.
Di qui nasce che generalmente si crede ai fattucchieri, alla malignità ed invidia, de' quali
vengono attribuiti i fascini, le malattie e le disgrazie d'ogni genere. Anche i saltimbanchi,
i ballarini da corda e qualunque giocolare vengono annoverati nella classe degli stregoni, e se
il loro arrivo venisse accompagnato da qualche meteora, si vedrebbero esposti
in qualche luogo a gravi dispiaceri.
Simili stravaganze, credute altre volte universalmente, qui continuano ad ottenere fede
per la ragione che l'isolamento della Valtellina le ha sempre impedito
di profittare di lumi, dell'educazione e dell'esempio degli altri popoli, e che l'influenza del
Governo fu sempre nulla sotto il cessato regime.
Dippiú, questa persistenza in siffatto pregiudizio devesi anche attribuire
per la massima parte alla pessima predicazione,
che già da tanto
tempo trovasi in possesso di questi pergami, e all'ignoranza de' tribunali.
I preti ed i giudici,
lungi dal combattere sì perniciosi errori, sembrano anzi sanzionarli coll'apporvi i primi il
suggello della religione, i secondi quello della giustizia. Quegli esercitavano, questi facevano
abbruciare. Questo pregiudizio dell'esistenza degli stregoni ha gettate sì profonde e tenaci
radici, che se ne suppone ereditaria la professione in alcune famiglie; ed una fanciulla che
abbia la disgrazia di appartenervi, sia pur bella e di eccellenti costumi, ella rischia di vedersi
rifiutata dal piú vil pezzente di cui potrebbe fare la fortuna e la felicità.
Il popolo valtellinese è assai inclinato alla pietà ed alla venerazione verso le anime dei
trapassati. Non si bada ad economia per procurar loro dei servigi di requie; ed il contadino si
raccomanda loro de' suoi bisogni, e fra i pericoli si pretende che alle volte appariscono ad
aiutare i loro amici e vicini, per isbrigarli delle soverchie faccende dell'agricoltura, o quando
cade loro un giumento carico, a porger mano per rialzarlo. Due opinioni singolarissime circa
i defunti regnano fra queste popolazioni. La prima si è che alcuni degli antichi cimiteri sono
a preferenza creduti aver ricettate le spoglie mortali di persone generalmente più grate a Dio,
che non gli altri. La seconda consiste in una decisa prevenzione a favore delle anime de' giustiziati.
Sia che lo spettacolo sanguinoso, che di sé danno i tristi, imprima, unitamente allo
spavento, un sentimento di compassione e di tenerezza; sia che il volgo creda che nessuno
muoia piú compunto e propiziato d'uno che lascia la testa sul palco; il fatto si è che queste
anime vengono in molti luoghi invocate colla formola di Care anime giustiziate. I defunti poi,
qualunque essi siano, risparmiano molto lavoro ai giudici di pace in questo paese, giacché
molte piccole vertenze si sopiscono col far celebrare qualche messa, o qualche ufficio di requie,
perché vada a profitto di quella parte che può aver avuto maggior danno o maggior ragione;
la qual cosa sembra un reliquato degli antichi giudizi di Dio cangiati così in transazione.
Questa benevola disposizione verso i defunti non impedisce però che la malvagità,
raramente disgiunta dal pregiudizio, non vi si mischi per esercitarsi a spese della fama di coloro le
azioni de' quali non piacquero in vita. Respinti questi dal cielo e dall'inferno,
vengono confinati tra le montagne più cupe e meno accessibili, e sottoposti a travagli non dissimili da quelli
a cui la fantasia poetica degli Antichi volle fossero condannati Sisifo, Issione e le figlie di
Danao. Ciò poi che v'ha di più ridicolo, egli è che la stolta etichetta obbliga queste larve a
portar in testa un gran cappello verde.
I villici sono portati a personificare gli enti morali, o per meglio dire molti di questi. Quindiè che il giuoco, il ballo ecc. sono per essi qualche cosa di reale, a cui danno moglie. Queste
mogli comprendono tutte le idee schifose e ributtanti; e quando si vuol nominare od indicare
con disprezzo una vecchia squarquoia, si dice della stessa che assomiglia alla femmina del
ballo o del giuoco. Questa e le altre enunciate assurdità hanno suggerito a dei furbi la maniera
di sbrigarsi degli armenti che pascolano in tenute di cui si vorrebbe ingiustamente profittare.
Basta solo gettare una pianella per entro ai pascoli medesimi: questa ritrovata dai pastori li
getta nella maggiore costernazione, e gli obbliga ad abbandonare il pascolo
a coloro che meno semplici non temono di valersene.
Del culto in generale e delle cerimonie, usi ed opinioni che riguardano le nascite, le morti.
Le tumulazioni e i matrimoni.
Il popolo del Dipartimento è estremamente attaccato al culto cattolico, o per meglio dire
alle esteriorità del culto, non conoscendosi qui presso a poco altri divertimenti che quelli che
nascono dalle pompe e cerimonie ecclesiastiche. Lo scampanio, che tanto riesce molesto a chi è dotato d'un orecchio alquanto delicato, sembra contenere per questi contadini tutte le più
squisite combinazioni musicali. Il popolo si picca di una grande divozione verso la beata
Vergine, a cui viene attribuita una dichiarata parzialità per questa valle. Dessa è venerata da
per tutto, né avvi chiesa parrocchiale in cui non abbia un altare e talvolta tre, sotto differenti
denominazioni – per esempio del Carmelo, del Rosario, della Neve, dell'Addolorata, del Buon
Consiglio, della Cintura, dell'Immacolata, dell'Assunzione, e cosí discorrendo. La rozzezza e
semplicità della plebe è tale, che spesso accade che commettansi delle irriverenze all'altar
maggiore per rivolgersi a quello della beata Vergine.
Il Santuario della Madonna di Tirano è per cosí dire la rocca de' Valtellinesi, e mi vien
detto che negli anni scorsi vi si faceano degli ottavari ai quali concorreva processionalmente
la Valtellina intiera. La passione delle processioni è vivissima in tutto il Dipartimento: pare che
l'anima di questi contadini si elettrizzi in simili circostanze. Quanto piú sono lunghe, faticose
e per istrade alpestri, tanto piú incontrano il genio de' medesimi. Le rogazioni sono veri viaggi;
forse ciò che ne aumenta lo zelo ed il concorso sono certi lasciti di particolari, per cui a certa
data pausa si distribuiscono delle refezioni.
Vi sono delle processioni
in alcuni luoghi instituite per oggetti curiosissimi.
Una se ne faceva per esempio a Teglio, detta de' punteruoli,
ed ha per oggetto di divertire il flagello di questi insetti che tanto danneggiano la vite.
Regnano altre volte il furore di andare a piedi nudi, col viso e corpo coperto d'una camicia,
e battersi
a sangue nella processione del Venerdí Santo.
Era questo il modo con cui i zerbini del popolo
espiavano i soverchi divertimenti
dell'antecedente Carnevale, e davano all'innamorata una
prova del loro coraggio, insieme, e del loro attaccamento. Un tal uso si è però estinto in questi
ultimi anni.
Matrimoni.
Nulla di rimarchevole in ordine ai matrimoni. Fra i contadini i matrimoni non incontrano
grandi difficoltà. Una condotta onesta e l'attitudine al travaglio assicurano alla contadina un
partito, purché il di lei casato sia d'altronde puro da qualunque macchia, come sarebbe quella
di avere avuto in famiglia un giustiziato, un delatore, od uno sbirro, cui non aggiungo
lo stregone avendo diggià accennato questa stravagante opinione. In un frugalissimo banchetto,
al quale altra volta frammischiavasi qualche colpo di fucile in segno d'allegrezza, consiste ogni
gozzoviglia del giorno delle nozze. All'indomani la novella sposa recasi al campo de' nuovi
parenti, e vi travaglia come ogni altro. Non devo però passare sotto silenzio
che la buona educazione d'una sposa contadina esige dalla medesima diverse smorfie,
che palesino la sua ripugnanza a lasciare la casa paterna e ad entrare in un'altra.
Deve fuggire, deve nascondersi,
essere ritrovata e condotta nella
nuova famiglia coll'impiego anche degli urti quando occorra
di dover vincere una straordinaria resistenza.
Un uso singolare praticavasi in Valtellina all'evenienza di qualche matrimonio in cui ambedue,
o altro dei due coniugi, fossero rimasti precedentemente vedovi.
Consisteva nell'accompagnare gli sposi al loro domicilio con urli e schiamazzi,
e collo strepito di bacinelle, di padelle e caldai. Credevasi forse con ciò di
secondare lo spirito della Chiesa che nega la benedizione e simili nozze.
Questo barbaro uso fu abolito dal Signor Casati in allora vice prefetto.
Nascite
Quando nasce un fanciullo si porta alla chiesa ordinariamente assistito da un padrino
e da una madrina. Questi vengono per lo piú scelti tra il ceto signorile o fra i migliori vicini.
Il padre stabilisce il nome che deve portare suo figlio. Tal nome è costantemente quello degli
avoli o delle avole, e quindi degli altri parenti men diretti, ciò che fa non di rado nascere delle
confusioni. Ella è cosa degna di osservazione, che i contadini pensano comunemente che certi
nomi non siano da usarsi fra loro, ma da lasciarsi a' signori, sembrando loro soverchiamente
gentili. Le madri allattano i propri parti, e si deve dire, a loro onore, che niuna lusinga di lucro
potrebbe indurle a dare al figlio d'altri un nutrimento dalla natura destinato al suo.
Morti e tumulazioni
La morte ha poco o nulla di spaventoso per questi contadini. L'idea che se ne fanno è
piuttosto quella del riposo che quella del proprio annientamento. Si domandi ad un villico cosaè accaduto di suo padre, o di qualche suo attinente, risponderà: è là che riposa, volendo significare che è trapassato.
I molti travagli e patimenti, raramente interrotti da qualche piacere,
contribuiscono potentemente a rendere loro meno deforme l'aspetto della morte. Spirato
l'individuo, si accende nella sua camera una candela, e lo si fa vegliare da qualche persona
sino al momento del suo trasporto. Se la famiglia del morto è civile, è dovere di cortesia
di tutte le persone sue pari il recarsi presso gli afflitti, e tener loro compagnia sin che dura la
cerimonia funebre; ciò che chiamasi tener caso. Se il defunto è contadino, la di lui bara è
seguita in alcuni luoghi da tutti i suoi parenti, che assistono alla messa ed alle esequie. Le donne
prorompono in pianti, e danno l'ultimo bacio al cadavere pria che venga calato nella fossa.
Quindi si ritirano alle loro case, dove pranzano in compagnia, e mangiano d'una forma di
formaggio detta in qualche luogo del caso. Questa è la piú bella che si faccia nelle Alpi; rimane
intatta in ciascuna famiglia, perché destinata al solo oggetto del convitto mortuario, se uno
ne avvenisse in quell'anno. Quando l'anno passi senza accidente, nel venturo alpeggiamento
se ne sostituisce un'altra, e la vecchia serve all'uso della famiglia.
Nella comune di Tirano, dopo aver dato sepoltura al cadavere, gli amici ed i parenti
si radunano nella casa del defunto. Se era contadino, sorge fra essi un tale che ne tesse l'elogio
e ne esalta le buone qualità. Sono indigeste rapsodie raccozzate qua e là ed adattate grossolanamente all'occorrente.
La famiglia paga dieci soldi di Milano in rimunerazione all'oratore;
si mangia e si beve, e così tutto finisce.
Divertimenti, canzoni nazionali ed altre feste non ecclesiastiche, usi e costumi particolari.
Pochi sono i divertimenti di questo popolo, cui il continuo travaglio toglie il tempo materiale e la volontà di divertirsi.
Nei giorni festivi passano l'intervallo fra il mattutino ed il vespro a dormire coricati sull'erba, se la stagione il permette.
Qualche partita alla morra, in cui si giuoca qualche boccale di vino, termina la giornata.
Neppur il Carnovale non presenta alcuna differenza dalle altre stagioni,
se si eccettui qualche festino che si fa piuttosto al rumore che al suono
d'un colascione. I cosí detti signori, cioè le persone civili poi si divertono ove piú ove meno col
mascherarsi e girare la notte, accompagnati da suonatori, per le case de' contadini, ove giunti
si pongono a danzare, e dopo il primo ballo si scoprono.
In ciaschedun paese sono delle conversazioni presso ai particolari, ove si giuoca al tarocco o al tresette.
La quadragesima comincia bensì col mercoledí delle Ceneri, ma la domenica susseguente
chiamasi Carnoval vecchio, e nella sera i villici fanno qualche ballo. Altre volte si formava un
fantoccio riempito di paglia, colle corna in testa, gli si leggeva in pubblica piazza l'atto di accusa;
la sentenza portava sempre la pena del vivicomburio; la si eseguiva e ciò si chiamava
bruciar il Carnoval vecchio.
Un altro uso singolare, e che forse non si conosce altrove, si è quello dí vincere il Gabbinato. Consiste nel prevenirsi, cioè nell'essere il primo, incominciando dai vespri, invitando
un altro a dire la parola gabbinato, dalla vigilia dell'Epifania sino ai vespri dell'Epifania me
desima. Chi è prevenuto suole dare qualche regaluccio a colui che gli ha vinto il gabbinato.
I poveri, in quel giorno, invece di chiedere l'elemosina, vengono sotto le finestre de' benestanti
e vincon loro il gabbinato; i domestici ai padroni, i figli ai genitori, e tutti ricevono qualche
regalo. Un tal costume tien forse luogo in questo paese al ferragosto, che si pratica altrove
e che qui non si conosce. Giova però l'osservare che nulla v'ha di obbligatorio in tutto
questo, potendo chi che sia dismettere di fare il presente al vincitore.
Altri usi particolari esiston pure nelle diverse Comuni, ma non meritano che se ne faccia menzione, riducendosi a
qualche burla innocente, come sarebbe il puntellar la casa ai nuovi maritati affinché non si
sfianchi pc1 gran numero de' figli, e simili puerilità.
Canzoni nazionali
Non se ne conosce alcuna. I contadini non cantano, talvolta le donne cantano quando
sarchiano la campagna, o quando ritornano la sera avanzata dalla campagna stessa alle loro case;
ma tutto il canto loro si riduce alle litanie o qualche strofetta sacra.
Generalmente parlando, i
Valtellinesi non sembran molto inclinati alla musica, o se l'amano, l'amano di periodo breve
e vibrato come la Walsa e l'Allemande che ballano pure con trasporto.
La musica patetica, lungi dal comoverli, li annoia e li fa sbadigliare. Ciò però sia detto
soltanto per la generalità.
Nei primi giorni di marzo sogliono i fanciulli girar per le campagne scuotendo dei sonagli.
Pretendono essi con queste ambarvali di risvegliare la natura dal suo letargo e di chiamarla
a nuova vita.
Usi e costumi concernenti l'agricoltura
È inutile il ripetere quanto già si sa sul carattere laborioso ed attivo di questi abitanti, che
non sembrano nati per travagliare il suolo e la vigna particolarmente. Mancano però, come già
ebbi l'onore di far presente al Signor Ministro dell'Interno, di cognizioni teoriche, e di que'
metodi che abbreviano la fatica, o la sollevano, e che diminuiscono le spese.
La luna è l'assoluta regolatrice di tutte le opere campestri. Una propaggine fatta in luna
crescente getta un fiocco di radici a fior di terra e nulla piú, la terra facilmente si smotta al
pedale, facile dunque a perire. La propaggine fatta in luna calante getta poca radice e poco si
alza, ma non teme né il gran caldo né il gran freddo. Per ovviare a questi due inconvenienti
bisogna scegliere il tempo che la luna non sia né troppo forte né troppo debole. La
potatura degli alberi, la castratura degli animali, l'estrazion de' concimi dalle stalle, tutto si fa
regolandosi sulle fasi di questo satellite. La legna che non sia tagliata per luna calante ha poco
vigore, arde male, dà fumo, ed è soggetta a tarlarsi. Gli animali che si castrano per luna crescente
sono soggetti a gonfiarsi nelle borse, risanano a stento e non impinguano mai tanto
quanto gli altri, perché rimane sempre loro il fornite dell'amore. I concimi estratti dalle stalle
per luna crescente, lungi dal concuocere per una fermentazione putrida, spiritosa, fanno la
muffa, perdono il loro vigore, e sono di nessuna durata nel terreno.
Non essendo del mio istituto il discutere qui la probabilità ed il valore di si fatte opinioni,
mi ristringerò a dire che vengo assicurato da uomini non prevenuti che l'esperienza
sembra costantemente accordarsi
colle medesime.
I lavori che si fanno alle viti si fanno per la maggior parte colla zappa o coll'aratro, mai
colla vanga. Al qual proposito parmi che si debba preferire l'uso della zappa leggera a quello
dell'aratro e della vanga, tanto per il risparmio del tempo che per la tutela delle radici. La
zappatura è una vera festa per gli zappatori. La loro paga non aumenta,
ma il vitto n'è lautissimo e costosissimo,
perché si dà loro a mangiare e bere sin che ne vogliono.
Tre sono in generale le maniere colle quali si dirige la vite: cioè nana, filonata e ad oppolo.
Non essendo qui mestieri di dare una spiegazione delle due prime maniere conosciute da per
tutto, devo far riflettere che il tirare la vite ad oppolo significa tirarla ora più ora meno alta
conforme al lavoro che le si vuol dare della zappa e dell'aratro. È però sempre più alta d'ogni
altra, trattone il pergolato. Un fondo lavorato ad oppolo presenta tanti quadrati perfetti aventi
ad ogni angolo un palo di castano alto due metri in circa, a cui viene affidato un pedale di vite.
Giunta la vite alla metà del palo, la vi si lega con un vimine; il resto del tralcio gemmato
s'intreccia orizzontalmente con quello dell'altro pedale con cui va ad incontrarsi. Pare che simil
genere di coltura sia il più antico, e che dalla Lombardia venisse ai Valtellinesi, come lo indica
il nome stesso che sembra derivare dall'uso di maritare le viti agli oppii; e qui osservo che si
lavorano nel succennato modo i piani, e i piani meno inclinati che hanno terreno di gran fondo
e di gran prodotto, ma il vino che ne proviene è riputato e giustamente di qualità inferiore a
quello che si ottiene dalla vite nana e dalla filonata.
Del dialetto e de' modi particolari.
Tutti i dialetti hanno qualche cosa che scopre l'influenza degli idiomi vicini, e tanto più
quanto è maggiore la corrispondenza commerciale delle diverse popolazioni. Quindi è che
il Dip.to presenta sotto questo rapporto delle notabili varietà che verrò di mano in mano
accennando.
Il dialetto dipartimentale è l'italiano corrotto, approssimantesi generalmente al lombardo;
ma il cantone di Chiavenna essenzialmente addetto al commercio di economia colla Germania,
ed il cantone di Bormio collo Stato bavaro, discoprono nella loro pronuncia,
e nell'adozione di molti vocaboli stranieri,
la loro finitimità, o piuttosto la loro indifferenza nell'uso delle due lingue
italiana e tedesca, come già feci osservare al Signor Ministro
in altro de' miei rapporti concernente il carattere morale delle popolazioni alle mie cure affidate.
In Bormio poi
regna fra gli artigiani un linguaggio, che gli stessi abitanti di diversa condizione non intendono.
La esse impura si pronuncia ne' suddetti cantoni come nel cantone elvetico del Ticino, vale
a dire come il ch francese, cosa che non ha luogo in nessun altro angolo del Dipartimento,
ove questa semi-vocale ottiene generalmente un'espressione moltissimo sibilata, e singolarmente nel cantone di Ponte,
a cui questo sibilo acquista riputazione di dolcezza. Per la stessa
ragione summentovata, nel cantone di Morbegno, come quello che confina col Dip.to del
Lario, spicca, piú che in qualunque altro, il dialetto lombardo. Una differenza caratteristica
che passa fra il dialetto lombardo e quello che si parla da queste Comuni del centro, si è che
tutti i femminini plurali terminano con un i, di modo che si dirà scarpi, animi, operi, per scarpe,
anime, opere; come si dirà andat, fat ecc. per andato, fatto. Anche nel dialetto di queste
Comuni, che pure deve essere riguardato come il puro valtellinese, scontransi notabili differenze
da Comune a Comune, e dalla sponda destra alla sinistra dell'Adda. Gli abitanti della sinistra
hanno molte parole e molto della pronuncia degli abitanti del Serio, che non hanno gli abitanti della riva opposta.
Massima poi è la differenza che passa fra la pronuncia di questa Centrale e le altre Comuni,
distinguendosi questa per una lentezza e pesantezza tale, a cui i
Francesi darebbero l'epiteto di goguenard ; mentre le Comuni superiori hanno una volubilità
di lingua notabile ed una certa festività non disagradevole.
Grosotto, Grosio e Sondalo, che fan parte del cantone di Bormio, non hanno per vero dire un
dialetto nazionale. Il veneziano vi domina assaissimo fra gli uomini, per la ragione che questi
si portano a Venezia per guadagnarsi la sussistenza. Ciò che vi si riscontra di caratteristico si è
l'u toscano, comune a Bormio ed a Chiavenna ed una enne cosí tinnente (?) che nulla piú, poiché
quegli abitanti pronunciano buon come i francesi bonne, senza che l'o prenda alcun suono largo.
A Tirano l'orecchio resta colpito da un'a talmente cupa e talmente soffocata in gola, ch'essa
produce un suono non dissimile da quello che il genio imitativo ha sanzionato nella parola
rancore.
Tanto per ciò che concerne il dialetto di queste popolazioni. Passando a parlar del suo genio
e dei modi suoi particolari, devo osservare che il genere drammatico vi domina eminentemente. È impossibile che un contadino di questi paesi racconti il più piccolo accidente nel
modo storico; bisogna ch'egli faccia parlare tutte le persone che vi ebber parte; la qual cosa
discopre vieppiù la semplicità dei contadini stessi.
I modi non mi sembrano molto gentili, ma in generale essi sono italiani
colla sintassi naturalissima, seguente l'ordine con cui generansi le idee.
Finalmente devesi aggiungere che pochissimi esempi ritrovansi di pronuncia viziosa,
come sarebbe di smozzare la esse e di gracidare la erre, e che se il popolo non ha come si è
detto modo molto gentile, non ne ha però né di scortesi né di brutali.
Ho l'onore, Signor Conte, di salutarla colla più distinta considerazione.
Angiolíni
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