La schiva e simpatica mascotte di Livigno
Fra
gli animali leggendari e curiosi di cui la fantasia degli abitanti delle
Alpi ha popolato balze e monti il Daü di Livigno è, sicuramente,
uno dei più singolari. Innanzitutto non è solo un animale,
ma è un simbolo, una sorta di incarnazione dello spirito di una
comunità che ha fatto della propria collocazione geografica particolarissima
un punto di forza, un elemento fondante della propria identità.
In quell’altipiano quasi sospeso fra cielo e terra, remoto e fasciato
su ogni lato da ampie dorsali montuose, non poteva non celarsi un animale
unico, sospeso fra scherzo e mito.
Come tutti gli animali fantastici, è tutt’altro che facile
da scovare. Pochi hanno la fortuna di vederlo, e coloro che si imbattono
nel Daü possono stare certi che quest’esperienza rimarrà
unica, perché a nessuno è dato di vederlo più di
una volta nella vita. Quest’animaletto, infatti, è un po’
come quegli eventi rarissimi e fortunati che puoi sperare di avere almeno
una volta nella vita, ma non di più. Quindi a fatica, raccogliendo
i racconti dei pochi che per pochi istanti lo anno visto, generazione
dopo generazione, si è costruita la sua leggenda, ed oggi possiamo
sapere alcune cose importanti su di lui. Alcune, certo, non tutte: ancora
molte generazioni sono necessarie prima che si possa dire di sapere
davvero tutto sul Daü. Intanto vediamo quel che si sa.
Ovviamente non lo si può incontrare girando fra le vie di Livigno:
sua dimora è la valle delle Mine, che dalla località Tresenda
porta al ghiacciaio delle Mine. Si tratta di una delle valli meno conosciute
nell’arco dei monti che circonda Livigno: da Tresenda (m. 1892),
il nucleo che si trova sul limite meridionale della piana di Livigno,
ci si deve staccare, sulla sinistra, dalla strada che sale in valle
della Forcola, fino al passo omonimo, che si affaccia sulla valle di
Poschiavo. Una
pista sale, da Tresenda, al Baitel del Motton de l’Al ed all’alpe
Mine (m. 2141), proseguendo, poi, verso l’interno della valle,
a sinistra del torrente Tresenda, fino al Baitel del Grasso (m. 2192).
Un sentiero, poi, prosegue verso la testata della valle, sulla quale
sono posti a destra (sud) il ghiacciaio delle Mine ed il pizzo Zembrasca
(m. 3089) ed a sinistra (nord-est) il pizzo Filone (m. 3133).
Ecco, questi luoghi remoti e solitari costituiscono l’habitat
ideale del Daü, che non è certo un animale esibizionista:
non ama mostrarsi, è schivo, timido, per cui si capisce che sia
così difficile vederlo e che si nasconda, a quote superiori ai
2000 metri, fra questi monti calcati solo da rari passi d’uomo.
C’è però un secondo importante motivo che induce
il Daü a rimanere fra i versanti ripidi di questa valle: la sua
conformazione anatomica. Unico fra tutti gli animali, ha sviluppato
zampe asimmetriche: nel maschio le zampe di destra sono più lunghe
di quelle di sinistra, mentre nella femmina è il contrario. Ora,
immaginate il motivo di questa singolarissima conformazione: quando
deve muoversi su versanti ripidi, lo può fare in tutta tranquillità,
standosene perfettamente diritto ed appoggiando le zampe più
corte a monte e quelle più lunghe a valle. Unico problema: lo
può fare solo in un senso; quando si sposta in senso contrario,
lo fa procedendo all’indietro, perché altrimenti finirebbe
per ruzzolare rovinosamente sul fondo della valle. Le curiosità
non finiscono qui: maschi e femmine si vengono incontro faccia a faccia,
e quando si tratta di corteggiarsi o di tenersi compagnia, non ci sono
problemi.
Qualche
problema pone, invece, l’accoppiamento, che è possibile
solo con l’aiuto di un’abbondante coltre nevosa, che annulla,
a mo’ di cuscinetto, i problemi posti dalla crescita diseguale
delle zampe. È capitato, però, che, forse nell’emozione
di un corteggiamento più passionale del solito, qualche Daü
sia ruzzolato fino al fondovalle. Ebbene, le pochissime persone che
hanno avuto modo di osservare un evento così raro raccontano
che l’animaletto si è trovato in una situazione drammatica:
con una coppia di zampe più lunga dell’altra continuava
disperatamente a muoversi in tondo, senza riuscire a guadagnare di nuovo
il versante montuoso. Ma si tratta di un animaletto così grazioso
e simpatico che non può non essere aiutato: così, nonostante
l’evento avrebbe assicurato al fortunato una popolarità
mondiale, nessuno ha mai pensato di catturarlo, approfittando di questa
difficoltà: il Daü è stato riportato al suo elemento
naturale, il pendio scosceso.
Un animaletto grazioso, dicevamo: assomiglia un po’ ad una lepre,
ma alla lontana, perché il maschio ha la testa ricoperta di eleganti
corna (che però perde, insieme al mantello, durante l’accoppiamento).
Maschio e femmina sono ricoperti di un folto pelo, necessario per resistere
alle rigide temperature della valle: quello del maschio è più
chiaro, quello della femmina più scuro. Come già detto,
il cuore dell’inverno è il periodo dell’accoppiamento,
durante il quale maschio e femmina assumono una colorazione bianca,
mimetizzandosi perfettamente con la coltre nevosa: un modo come un altro
per risolvere...candidamente il problema della privacy nell'intimità.
Poi, a tarda primavera, nascono i cuccioli, due o tre, e rimangono con
la madre per un paio d’anni, prima di avventurarsi da soli nell’affascinante
vita in qua e in là (non su e giù!) per
i lunghi pendii della valle.
Una vita tutto sommato assai piacevole. Il cibo non manca: pini, pinoli,
bastoncini di cannella, primule, viole gialle ed altri fiori costituiscono
la sua dieta prediletta. Ama molto anche i rametti di larice, che sgranocchia
volentieri e che utilizza anche per grattarsi e profumarsi il pelo della
schiena. Sì, perché il Daü è un animale schivo,
ma non trasandato: tiene molto alla pulizia ed al decoro, ed è
anche un tantino vanitoso (stupisce, infatti, come abbia finora resistito
alla tentazione di offrirsi agli obiettivi di quegli animali invadenti
ed impiccioni che sono gli uomini: ma fino a quando riuscirà
a farlo?).
Molte storie si raccontano sul suo conto. Fra queste, la più
singolare è quella che fa risalire a lui l’invenzione della
brisaola affumicata (il Brisù) che poi si è diffusa nel
livignasco, diventandone uno fra i piatti più tipici. Le cose
sono andate così. Nella baita di un Daü (già, fra
i misteri di quest’animaletto c’è anche questo: sembra
che non ami vivere in scomode tane, ma che si costruisca confortevoli
baite!) accadde, un giorno, un increscioso incidente: il focolare che
riscaldava la rigida serata invernale provocò un incendio disastroso.
Il povero Daü si salvò, e, mentre guardava sconsolato le
rovine fumanti della sua baita, si accorse che le sue brisaole (si chiamano
così, in quel di Livigno, le bresaole valtellinesi) non erano
andate in fumo, ma erano solo annerite. Provò ad addentarle,
e con grande sorpresa scoprì che non solo erano ancora commestibili,
ma avevano assunto anche un gusto più appetitoso. Quell’incidente
fu, dunque, all’origine della specialità della brisaola
affumicata, il Brisù, appunto, prodotto tipico di Livigno.
Come gli uomini si siano impadroniti del segreto del Daü nessuno
lo sa dire con previsione. Ma è, questo, solo uno dei tanti misteri
che attendono ancora di essere chiariti su quest’animale così
curioso e sfuggente.
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