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Apri qui una panoramica da Caspano

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Strada per Dazio-S. Croce-Civo-Serone-Naguarido-Roncaglia-Chempo-Caspano-Cadelpicco-Cadelsasso-Regolido-Dazio- Strada per Dazio
6 h
715
E
SINTESI (indicazioni per l'escursione). Lasciamo la ss. 38 dello Stelvio alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendendo a sinistra. Dopo un ponte ed una nuova rotonda, alla quale andiamo diritti, raggiungiamo il ponte sull'Adda lo superiamo, prendendo a destra. Raggiunto lo stop che immette alla provinciale Ganda-Dazio, parchaggiamo allo slargo a sinistra della strada (m. 250). Se siamo a piedi, ci conviene scendere per breve tratto verso il ponte di Ganda e lasciare subito la provinciale per salire sulla stradina che con qualche tornante porta a San Bello e prosegue volgendo a sinistra ed intercettando di nuovo la provinciale più in alto. Sul lato opposto imbocchiamo la stradina che sale a Santa Croce, e dopo un tornante dx siamo al sagrato della chiesa (m. 447). Prendiamo a sinistra (ovest), superando una fontana; non imbocchiamo, però, la pista che sale verso Mello, ma rimaniamo sulla stradina che propone un tornante a destra e sale verso un gruppo di case alte. Appena dopo il tornante, troviamo, sulla sinistra, una mulattiera che sale fra le vigne, raggiungendo le baite alte della parte occidentale del paese. Passando in mezzo alle baite, la mulattiera prosegue, alle loro spalle, con un bel tratto delimitato da due muretti a secco. Entrata in un bel castagneto, la mulattiera diventa sentiero. Alcune frecce bianche contornate di rosso ci aiutano a non perderlo. Il sentiero volge a destra, con un muretto a secco che lo delimita a monte, fino al rudere di una grande baita. Oltrepassato il rudere, saliamo ancora, fino ad una cappelletta isolata. Una freccia rossa ci indica che il sentiero, qui, volge a sinistra, fino ad un nuovo rudere, dove volge di nuovo a destra, uscendo dal bosco ed approdando ai prati che precedono un tornante sinistrorso della carozzabile che da Santa Croce sale a Civo. Sulla sinistra della strada troviamo una grande baita e, appena oltre, sulla sinistra, una larga mulattiera che se ne stacca. Seguendola, incontriamo, sulla destra, due cappellette. Dopo un buon tratto, la mulattiera esce dal bosco e volge a destra: incontriamo una terza cappelletta, sulla sinistra, e raggiungiamo, finalmente, le case sul limite meridionale di Civo (m. 743). Imbocchiamo la strada che corre appena a monte della chiesa, passando a sinistra del piccolo cimitero ed a destra di una bella cappelletta. Procedendo verst est passiamo poi a monte della chiesetta di San Bernardo ed antriamo in una selva, incontrando una nuova cappelletta. La pista termina intercettando una carozzabile presso Serone. Ci portiamo alla chiesa di Serone e qui prendiamo a sinistra (nord-est), cioè seguendo la carozzabile che sale a Caspano, passando per i nuclei di Naguarido e Chempo. Appena prima di Chempo prendiamo la strada che se ne stacca sulla sinistra, imboccando la strada che sale verso Poira. Raggiunta Poira di Sotto, imbocchiamo la stradina che sale al cimitero e di qui al sagrato della chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra (m. 895). Dalla chiesa saliamo alle case di Roncaglia di Sopra, volgiamo a destra e portiamoci al limite del paese, dove parte un sentiero che passa per una cappelletta e comincia a scendere nel bosco, intercettando la strada carozzabile in prossimità del ponte sulla Valle di San Martino, prima di Caspano. Seguendo la carozzabile ci portiamo infine a Caspano (m. 875). Passiamo nel centro del paese e scendiamo sul lato opposto, intercettando la strada provinciale presso Bedoglio. Qui lasciamo la provinciale e scendiamo seguendo la strada verso destra, passando per Cadelpicco (m. 796) e raggiungendo Cadelsasso (m. 747). Sendiamo ancora sulla strada, fino a trovare, sulla sinistra, un tratturo in cemento che si stacca dalla strada ed imbocchiamolo: dopo aver superato un edificio con cartello indicatore “antico torchio”, ci immergiamo in un bel bosco di castagni. Il tratturo diventa una mulattiera, con fondo discreto, che punta a sinistra e passa accanto ad un piccolo rudere di baita, nel cui interno si vede ancora un frammento di dipinto. Superati un secondo rudere di baita ed una cappelletta, concludiamo la discesa nei pressi della chiesetta di Regolido (m. 536), piccolo nucleo di case posto sul limite occidentale della piana di Dazio. Imbocchiamo, ora, la stradina asfaltata che si congiunge con la strada Morbegno-Dazio, sul limite orientale di Dazio, e che, percorsa in discesa, dopo un lungo traverso in direzione sud-ovest ed un tornante sinistrorso, ci riporta alla piazzola nella quale abbiamo lasciatol’automobile.


Apri qui una fotomappa della Costiera dei Cech

Ecco la descrizione di un bel circuito di mountain-bike, interamente su fondo asfaltato, o, anche, di una lunga camminata, che ci porta a conoscere buona parte dei centri che costituiscono la costellazione di Civo. Lo effettueremo in compagnia di un personaggio illustre, il diplomatico ed uomo d’armi Giovanni Guler von Weineck, che fu governatore della Valtellina nel 1587-88, e che, nell’opera “Rhaetia”, pubblicata a Zurigo nel 1616, ne diede un’ampia descrizione, soffermandosi in particolar modo su questi luoghi, per i quali traspare la sua particolare predilezione. Daremo a lui la voce, via via che incontreremo i nove campanili compresi nel nostro circuito: con un po’ di immaginazione, non sarà difficile calarsi nell’atmosfera di quattro secoli fa, quando questi borghi fervevano di un’intensa vita ed esprimevano una civiltà contadina che ha modellato profondamente il territorio, e di cui resta ancora abbondanza di segni.


Panorama da San Bello

Punto di partenza è la strada Morbegno-Dazio: la si raggiunge staccandosi dalla ss. 38 dello Stelvio, al primo semaforo all’ingresso di Morbegno (per chi viene da Milano) sulla sinistra (indicazione per la Costiera dei Cech), varcando un cavalcavia, superando una rotonda e percorrendo un rettilineo fino al ponte sull’Adda. Oltrepassato il ponte, dobbiamo prendere a destra, imboccando la strada citata, che sale verso Dazio. Appena prima del primo tornante sinistrorso (dove, prestiamo attenzione, vi è lo stop per dare la precedenza alle auto che vengono dalla stradina che sale dal ponte di Ganda), troviamo, sulla sinistra, uno spiazzo, e lì possiamo parcheggiare per dare inizio alla pedalata (o alla camminata), da una quota di 250 metri. Decisione sicuramente approvata dal nostro illustre compagno di viaggio, che non amerebbe di certo vedere le strade a lui care percorse da rumorose e puzzolenti scatole di metallo. Difficilmente pedalerà con noi, ma, montando un buon cavallo, non stenterà certo a seguirci.
Dopo un lungo tratto verso ovest, affrontiamo il primo tornante destrorso, e pedaliamo per un alto buon tratto in direzione nord-est, fino a trovare, sulla sinistra, lo svincolo per Santa Croce. Lasciamo, quindi, la strada per Dazio ed imbocchiamo quella che sale al primo dei borghi toccato dal nostro circuito, Santa Croce, appunto (m. 447, 128 abitanti), posto nel cuore di una fascia di vigneti, con ottima vista panoramica su Morbegno, la bassa Valtellina e le valli del Bitto. Sul sagrato della chiesa parrocchiale, di origine secentesca, restaurata nel 1933, si respira un intenso profumo d’antico, ed anche la caratteristica Trattoria di Santa Croce contribuisce a conservare l’atmosfera di paese, raccolta, un po’ sonnolenta, molto serena.
Ci attenderemmo qualche parola dal nostro illustre compagno di viaggio, ma questi ci sorprende, tacendo. Quando, però, gli chiediamo ragione del suo silenzio, è lui a stupirsi della nostra ignoranza: “Al tempo nel quale scrissi delle cose di questa parte della Rezia, codesto borgo ancora non esisteva”. Bene, abbiamo perso una buona occasione per stare zitti.
Ora, per darci un po’ di tono, prospettiamo una duplice possibilità per salire alla prossima tappa, Civo, che da qui non si vede, posto, com’è, in un bel terrazzo di prati che si nasconde alle spalle del declivio a monte di Santa Croce. Se siamo su due ruote, dobbiamo proseguire sulla stradina asfaltata che parte dal lato orientale (di destra) del paese, mentre se siamo a piedi, ci conviene salire per via più diretta, nel bosco.
Nel primo caso, ci troviamo, ben presto, ad un bivio: la strada di destra prosegue verso est, fino alla frazione di Selva Piana (comune di Morbegno), mentre quella di sinistra sale verso Civo. Prendiamo, dunque, a sinistra, e, dopo otto tornanti, raggiungiamo il punto (m. 681) nel quale la stradina si immette nella strada che da Serone (alla nostra destra) sale a Civo (alla nostra sinistra, ovest). La stradina è molto bella, attraversa luoghi che testimoniano dell’antichissima civiltà contadina, come Prato Guido (m. 619), al penultimo tornante. Seguendo la strada che sale da Serone, verso sinistra, raggiungiamo, infine, in breve, il limite orientale di Civo, e ci ritroviamo proprio sotto la chiesa parrocchiale di S. Andrea Apostolo.
Vediamo, invece, come fare per salire a piedi. In questo caso dobbiamo portarci verso la parte opposta (occidentale) del paese, superando una fontana; non imbocchiamo, però, la pista che sale verso
Mello, ma rimaniamo sulla stradina che propone un tornante a destra e sale verso un gruppo di case alte. Appena dopo il tornante, troviamo, sulla sinistra, una mulattiera che sale fra le vigne, raggiungendo le baite alte della parte occidentale del paese. Passando in mezzo alle baite, la mulattiera prosegue, alle loro spalle, con un bel tratto delimitato da due muretti a secco. Entrata in un bel castagneto, la mulattiera diventa sentiero. Alcune frecce bianche contornate di rosso ci aiutano a non perderlo. Il sentiero volge a destra, con un muretto a secco che lo delimita a monte, fino al rudere di una grande baita. Oltrepassato il rudere, saliamo ancora, fino ad una cappelletta isolata (che, almeno nei mesi invernali, si vede da Santa Croce), con un bel dipinto che rappresenta la Madonna secondo l’immagine dell’Apocalisse, cioè come Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi. Una freccia rossa ci indica che il sentiero, qui, volge a sinistra, fino ad un nuovo rudere, dove volge di nuovo a destra, uscendo dal bosco ed approdando ai prati che precedono un tornante sinistrorso della già citata strada asfaltata che da Santa Croce sale a Civo. Sulla sinistra della strada troviamo una grande baita e, appena oltre, sulla sinistra, una larga mulattiera che se ne stacca. Seguendola, incontreremo, sulla destra, due cappellette. La cornice è davvero bella, silenziosa, suggestiva: siamo circondati da castagni e betulle, e possiamo immaginare l’innumerevole transito, nelle stagioni ormai tramontate, di passi con il loro carico di fatiche, pensieri, preghiere. Dopo un buon tratto, la mulattiera esce dal bosco e volge a destra: incontriamo una terza cappelletta, sulla sinistra, e raggiungiamo, finalmente, le case sul limite meridionale di Civo (m. 743, 219 abitanti).
Ecco quel che ne riferisce il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, che visitò la Valtellina nel 1589: "Scendendo da Roncaglia un miglio verso occidente c'è Civo con 30 famiglie, delle quali una di contadini è eretica; c'è la chiesa parrocchiale dedicata a S. Andrea apostolo, il cui rettore è il sac. Parravicini de Asinago oriundo di lì".
Ci immettiamo sulla strada asfaltata e, raggiunto il centro del paese, volgiamo a destra, verso la chiesa. E di fronte alla chiesa parrocchiale di S. Andrea Apostolo ci fermiamo, stupiti dalla sua bellezza: se ne sta staccata, ad est del paese, con uno splendido sagrato dal quale si gode di un ottimo panorama. E, nella sosta, lasciamo che a parlare sia il nostro compagno di viaggio: “…Civo… sorge quasi a mezza montagna sopra il piano dell’Adda in un’amena conca; ivi passa in un valloncello un piccolo rivo che serve per i mulini e per l’irrigazione. Questo villaggio è assai antico ed in buona posizione: venne così denominato dal suo fondatore Caio Livio, il quale, si dice, sia venutodalla Grecia in Italia con l’imperatore Teodosio ed abbia in seguito combattuto contro i Goti sotto Stilicone generale dell’impero romano; poi, varcato il passo di Bormio, sia capitato col suo seguito in questa località della Valtellina inferiore. E il luogo tanto gli piacque che egli e i suoi vi fissarono la propria dimora; tanto più che nessuno osava loro impedirlo, perché quel territorio era solo frequentato da pastori nomadi, che si aggiravano qua e là fra la valle del Tovate e il vallone di Bioggio (termine connesso con la voce dialettale “bedoia”, betulla, oppure con “Biogio”, soprannome personale), a seconda della opportunità dei pascoli. Il nome del paese così sorto venne col tempo a ridursi per brevità da due parole ad una sola, da Caio Livio trasformandosi in Clivio… poiché ordinariamente Caio si scrive…C.; e questo C., seguito da Livio, diede la forma Clivio. Fra i seguaci di Caio Livio vi dovettero essere alcuni Greci, dai quali si dice discesa la casata dei Greco, che ancora ai di nostri qui fiorisce, e numerosa, a Mello…Sotto Civo c’è Acqua Marcia, pi Pratogrosso, Civasca, Corlazzo e S. Agata, tutti in buona posizione vinifera”.


Chiesa di Sant'Andrea a Civo

Quest’ultimo accenno ci fa sospettare che il nostro amico sia un particolare estimatore del prodotto della vite, ma non glielo facciamo notare. Gli facciamo notare, invece, un errore: non di S. Agata si tratta, ma di S. Apollonia; ed aggiungiamo che non possiamo scendere a vedere queste altre frazioni, anche perché sono in territorio di Mello, ma dobbiamo proseguire verso est. Si adombra un po’, ma ci segue. Ne approfittiamo per annotare che la statistica curata dal prefetto Scelsi nel 1866 attesta che a Civo vivevano 194 persone, 87 maschi e 107 femmine, con 46 famiglie e 47 case, di cui una vuota.
Imbocchiamo la strada che corre appena a monte della chiesa, passando a sinistra del piccolo cimitero ed a destra di una bella cappelletta. Se guardiamo in alto, alle spalle della cappelletta, riconosceremo una sorta di corno, sul limite della val Toate: si tratta della cima che ospita la croce di Ledino, meta di un’interessante escursione. Poco oltre, ecco, sulla destra, la solitaria chiesetta di San Bernardo, dalla quale ottimo è il colpo d’occhio su Talamona e sulla bassa Val Tartano. La cita anche il Ninguarda: "A mezzo miglio sul monte sopra Civo c'è la chiesa campestre dedicata a S. Bernardo abate, dove due volte all'anno, nella festa e nella dedicazione, si celebra la messa". La pista, poi, prosegue attraversando una fascia di prati pianeggiante ed entra in una selva, toccando una nuova cappelletta; ne esce di nuovo e di nuovo rientra nella selva, prima di intercettare dopo circa 1,2 km da Civo, la strada asfaltata che da Dazio sale a Caspano, passando per Serone.


Caspano

Ci ritroviamo proprio nei pressi del centro di questo piccolo borgo, che pure, nonostante le sue ridotte dimensioni (59 abitanti, 719 metri) è centro amministrativo del comune. Ci accoglie la bella chiesetta dedicata a S. Rocco, che risale alla fine del Cinquecento. Ecco quel che ne riferisce il vescovo di Como Feliciano Ninguarda, che visitò la Valtellina nel 1589: "Scendendo un miglio da Roncaglia inferiore verso il piano si trova Serone con venti famiglie cattoliche, con la chiesa di S. Rocco non consacrata. Questo paese è unito alla comunità di Roncaglia." Ma non possiamo soffermarci più di tanto: dobbiamo seguire, ora, la strada asfaltata in salita, non prima di aver osservato che la citata statistica del prefetto Scelsi attesta che qui, nel 1866, vivevano 65 persone, 19 maschi e 46 femmine, con 16 famiglie e 16 case.
Dopo 700 metri circa, ci accoglie, a valle della strada, sulla destra, Naguarido (774 m., 23 abitanti), con la sua bella chiesetta dedicata alla Beata Vergine, di origine settecentesca. Un'etimologia popolare vuole che il suo nome derivi dall'espressione dialettale "n'ha guarìì", cioè "ci ha guarito", con riferimento ad una grazia della Madonna dopo una pestilenza. Il nostro austero compagno ancora tace, ed allora siamo noi a fornirgli un curioso ragguaglio. Le donne di questo borgo, denominate “Cecche di Naguarido”, si sono, in passato, conquistate, nella zona, una controversa fama di libertà di pensiero e di costumi, in quanto, stanche di grondare sudore durante le fienagioni al solleone di luglio, decisero, un bel giorno, di presentarsi nei campi… a gambe nude. Lavorare va bene, avran pensato, ma soffrire inutilmente la calura per un eccessivo senso della decenza e del decoro, questo no.
L’aneddoto suscita la viva curiosità del nostro, che tuttavia non si scompone, e ci propone una breve sosta: gli serve, afferma, per por mano ad alcune aggiunte che vorrebbe apportare al libro sulla Rezia al di qua delle Alpi: le cose cambiano, e gli stessi luoghi, rivistti a distanza di tempo, non sono più i medesimi. A noi resta il sospetto che si tratti di un elegante pretesto per fermarsi fra queste case dense di fascino e sorprendere qualche avvenente e simpatica Cecca. Ma teniamo questo pensiero per noi. Mentre il Guler assume un'aria pensosa e pare annotarsi qualcosa, noi, per non essere da meno, tiriamo fuori dal nostro zaino un libriccino meno denso di notizie storiche della sua opera, ma intriso di un fascino e di una freschezza descrittiva ed evocativa di grande impatto. Un libro dedicato a Naguarido, alla sua gente, alle sue case di sasso, perché, come vi si legge, "taute el ca iè de sass, ogneuna la ga el so fracass", cioè "tutte le case sono di sasso, ognuna ha il suo fracasso. Dove per fracasso si intende ciò che ogni persona porta di suo, nel comune piatto del vivere insieme". "Case di sasso" è, appunto, il suo titolo, ed Ines Busnarda Luzzi ne è l'autrice. Pubblicato nel 1980 (per le Edizioni Lo Faro), racconta fili di vita che si dipanano a Naguarido, negli anni trenta del secolo scorso. Ecco alcuni scorci dedicati al paese ed alla sua gente. "Quando io ero bambina a Naguarido abitavano circa cento persone e ci si lamentava che la gente era diminuita da "una volta" e che i giovani stavano andandosene. Tuttavia c'era ancora fame di terra e si coltivavano tutti gli angoli; intorno alle case non c'era un'ortica o un rovo che trovasse una manciata di terra per crescere. Le famiglie allevavano mucche, quelle che il raccolto di fieno contentiva e pecore che, a noi bambini, riempivano il tempo libero dalla scuola e da altri lavori a noi accessibili. Ora a Naguarido, dopo cinquant'anni, vivono in permanenza circa quindici persone. I giovani sono andati a piantare altrove le loro tende, e i vecchi, uno dopo l'altro, sono andati a vedere se c'è quella vita in cui hanno creduto e la cui speranza ha dato forza e coraggio e sale a quella che han vissuto qui, per settanta, ottant'anni...
La patrona di Naguarido è la Madonna del Carmine, che si festeggia il sedici luglio. Ai miei tempi ogni paese preannunciava le sue feste con uno scampanio di otto o dieci giorni; così anche Naguarido... Due o tre giorni prima iniziavano i preparativi per presentare a chi sarebbe convenuto da fuori paese, in occasione della festa, strade, fontane, case e muri puliti e una chiesa curata negli arredi e nei paramenti, addobbata di fiori e di colori. Tutti ci mettevamo un po' di fatica, un po' di tempo, un po' di inventiva. Ogni famiglia puliva il tratto di strada prospicente la sua casa.
..
Fino a poco tempo fa la gente del mio paese e di quelli limitrofi dopo l'Epifania migrava da Naguarido, Vallate, Serone, Chempo, Roncaglia a Santa Croce, San Bello, San Biagio, Cerido, Selvapiana. Questi ultimi si trovano a una quota più bassa di circa duecento metri... Una volta la scuola si faceva a Naguarido, Roncaglia e Civo, in un localetto affittato da privati... Nel resto dell'anno... era divisa in gruppi omogenei, paesani, ma nel periodo invernale si mischiavano, senza però confondersi... Il campanilismo a volte sembrava riprendere più forza in quei contatti. E lo
strano è che i più accaniti conservatori erano proprio i ragazzi che erano riuniti per due mesi a Selvapiana, in un antico edificio scolastico, residuo di dimore di signorotti feudali! Quante sassaiole e quante bastonate! Quanti soprannomi: Civat, Chempat, Naguaridat, Roncaiat! E quel "iat" con forza di peggiorativo e spregiativo, veniva gridato con convinzione."
Mentre la lettura ci prende e sembra far rivivere davanti a noi figure antiche che mai hanno lasciato veramente vie e case del paese, il nostro, forse deluso per la mancata materializzazione di qualche gentile pulzella locale, si riscuote e fa un cenno che significa la volontà di riprendere il cammino. Per consolarlo gli raccontiamo uno dei tanti esempi di decisione femminile, cioè di quella tal Cecca che sbalza fuori a tutto tondo dal libro della Busnarda: "Riguardo ai "fiadei" girava una certa storia: una tale prendeva frequentemente botte dal marito. Si era stabilita l'abitudine che lui picchiasse e lei le prendesse. Ma un giorno per caso, mentre le prendeva, le capitò vicino un "fiadel"; lo aveva usato tante volte per trebbiare il grano saraceno. Automaticamente lo afferrò, lo fece ruotare e poi battere sulle spalle del marito, dicendo: - Han s'è spusaa nel stes dé, se te bat te battec a me - Tradotto dice: - Ci siamo sposati nello stesso giorno, se picchi tu, picchio anch'io -" Questo bell'esempio di donna virile aumenta nel nostro, lo si vede, il rimpianto di non averne incontrata alcuna; poi, quasi per compensare questa leggera pena, vuole regalarsi un breve fuori-programma: come non puntare all’illustre frazione di Roncaglia, anche se non si trova sul nostro cammino?
Lo accontentiamo volentieri ma, prima di oltrepassare Naguarido, dopo aver annotato che la citata statistica del Scelsi attesta che qui nel 1866 vivevano 132 persone, 53 maschi e 79 femmine, con 28 famiglie e 31 case, di cui 4 vuote, gettiamo un'occhiata al bel castagneto a monte della strada, quasi sulla verticale della chiesa, un po' a sinistra: scorgeremo, forse, il tronco massiccio, che ormai sostiene solo pochi leggeri rami, di un castagno secolare, classificato fra gli alberi monumentali della provincia di Sondrio (censimento del 1999), con un tronco dalla ragguardevole circonferenza di 605 centrimetri.


Chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

Ci avviene di pensare che forse è contemporaneo del nostro illustre compagno di viaggio, o probabilmente un po' più giovane, ma ci guardiamo bene dal dirglielo. Siamo di nuovo in cammino sulla strada per Caspano ma, appena prima di Chempo, ce ne stacchiamo, sulla sinistra, dalla strada per Caspano, imboccando quella per Poira di Civo. Dopo una breve salita, eccoci in vista della splendida chiesa prepositurale di S. Giacomo di Roncaglia di Sopra (m. 895), edificata nel 1654 e consacrata vent’anni più tardi. Una chiesa splendida, con un sagrato molto ampio, circondato da 14 cappellette nelle quali sono raffigurate scene della Via Crucis. Il nostro ci rivolge uno sguardo carico d’orgoglio, quasi a voler dire: guardate quali splendidi capolavori d’arte ha saputo creare quella civiltà di cui ebbi il privilegio di essere testimone diretto.
Quel che effettivamente dice è, invece, questo: “Al disopra del Dosso Visconte, a circa millecinquecento passi da Caspano, sorge il popoloso villaggio di Roncaglia, in un terreno pianeggiantecui sovrasta una foresta; al disotto poi di Roncaglia, fra il torrente Tovate e Cermeledo, s’incontrano sei frazioni: Tovate, Chempo, Naguarido, Sirone, Vallate, Cerido. In questo territorio si alleva molto bestiame e si produce un genere speciale di piccoli caci squisiti, i quali sonoassai rinomati e si esportano qua e là anche in paesi lontani. Fra Caspano e Roncaglia corre impetuoso iltorrente Tovate per una forra del monte; e quivi si scava un marmo eccellente che viene condotto a Morbegno, a
Traona e ad altri paesi circonvicini per adornare porte e finestre; è bello e piacevole alla vista, ma assai duro da scalpellare. Gli abitanti di Roncaglia, come i terrieri di Mello, discendono dagli abitatori di Civo, dai quali si sono separati, venendo a dissodare queste terre e dalla loro opera assunsero il nome attuale. Roncaglia, infatti, può provenire dal dialettale roncà (dissodare, liberare il terreno dal pietrame)”. Ci colpisce che egli usi il tempo presente, ma non gliene chiediamo ragione, supponendo che per lui tutto ciò di cui ci informa sia ancora una realtà viva.
Per ascoltare anche un'altra campana, assumiamo, però, ulteriori informazioni dalla relazione del vescovo di Como Feliciano Ninguarda, in visita pastorale in queste zone nel 1589: "A un miglio da Caspano verso occidente c'è il paese di Roncaglia superiore, con la chiesa parrocchiale dedicata a S. Giacomo apostolo. Sotto di esso a un tiro di bombarda c'è Roncaglia inferiore, spettante alla stessa comunità, con 100 famiglie, tutte cattoliche. E' parroco il sacerdote Giovanni di Beca, oriundo di lì, che ha circa novanta anni. In altri tempi questa comunità con la chiesa era stata sottomessa alla parrocchiale di Caspano ma in seguito fu separata; ogni famiglia però è obbligata una volta all'anno, nella festa di S. Martino, a dare al parroco di Caspano due piccole misure di mistura."


Sagrato della chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

Dalla "Cronistoria di Caspano e dei paesi limitrofi" del sacerdote Giovanni Libera (Como, 1926), apprendiamo interessanti notizie sull'edificazione della chiesa di S. Giacomo e su un curioso episodio che risale al tempo dell'occupazione francese della Valtellina ad inizio Ottocento, nel contesto del periodo napoleonico:
Addì 6 agosto 1654 dal sac. Giovan Battista Paravicino, fu Giovan Antonio, da Buglio , prevosto di Talamona e Vicario Foraneo di tutto il Terziere Inferiore della Valtellina, venne benedetta la prima pietra della chiesa attuale di S. Giacomo. Intervenne alla funzione il parroco di Caspano ed il di lui nipote sac. Lorenzo Grazioli, notaio ap. e Dottor in S. Teologia.  La qual pietra fu posta nella parete angolare del coro da mattina e da monte, come da strumento rogato dal suddetto notaio ap. E Dottor in S. Teologia, sac. Lorenzo Grazioli, anno, mese e dì, come sopra. Detta chiesa ha molti affreschi di C. Ligari, e possiede coro, pulpito, confessionali e organo a pregevoli intagli, bellissimi stucchi, un altare monumentale di legno intagliato e dorato, molta e ricca argenteria. Nel piazzale della chiesa si trovano le 14 splendide cappelle della Via Crucis, dipinte dal Ligari e ristaurate dal Gavazzeni.


La chiesa di San Giacomo a Roncaglia di Sopra

Un commissario della Cisalpina, residente a Morbegno, aveva mandato, come in altre chiese, così anche nella chiesa di S. Giacomo a Roncaglia un ufficiale coll’ordine di far disporre nella suddetta chiesa tutta l’argenteria di quella parrocchia e di fare un elenco degli oggetti di valore, che più tardi sarebbero stati requisiti. Vi era parroco un Paganetti, nativo di Roncaglia, il quale, appena ultimata l’elencazione, escogitò d’accordo con un proprio nipote e col segrista un rimedio per salvaguardare il vistoso patrimonio. Scavata una buca profonda in una stalla a pian terreno della Casa Parrocchiale vi fece una notte seppellire tutti gli oggetti d’argento, ricoprendo poi la terra smossa con un mucchio di letame; nella notte stessa fece abbattere una porta laterale della chiesa, mentre egli in tutta fretta si portava sull’Alpe Ligoncio (sovrastante ai Bagni di Masino).
Ma due gendarmi si recarono poco appresso sul suddetto Alpe ad arrestarlo ed a tradurlo nella chiesa S. Antonio a Morbegno, dove si svolse un processo. Quasi tutta la popolazione di Roncaglia, trepidante per la sorte del proprio pastore, assisteva al dibattimento e attestava la innocenza del sacerdote e ne reclamava la liberazione. Due pastori del Ligoncio, un Fiora ed un Morelli, ambedue di Roncaglia, giuravano, che la notte del furto il sac. Paganetti trovavasi con loro sull’Alpe. Egli poi si discolpava col dire che aveva ricevuto l’ordine del commissario di far disporre nella chiesa gli oggetti sacri, ordine da lui perfettamente eseguito; ma non aveva ricevuto l’altro ordine, cioè quello di far la custodia ai suddetti oggetti. Il tribunale dopo 2 ore di discussione sentenziò non farsi luogo a procedere contro il cittadino Prevosto Paganetti per mancanza di prove. Caduta la Cisalpina, gli oggetti sacri tornarono alla luce."
Un'occhiata all'ormai consueta statistica del Scelsi ci informa che qui nel 1866 vivevano ben 359 persone, 140 maschi e 219 femmine, con 90 famiglie e 92 case, di cui 2 vuote.

Torniamo, ora, alla strada Serone-Caspano, e riprendiamo a salire. Se però siamo a piedi, procediamo così: dalla chiesa saliamo alle case di Roncaglia di Sopra, volgiamo a destra e portiamoci al limite del paese, dove parte un sentiero che passa per una cappelletta e comincia a scendere nel bosco, intercettando la strada carozzabile in prossimità del ponte sulla Valle di San Martino, prima di Caspano. Se invece siamo in bike, tornati sulla strada per Caspano ci si presenta subito Chempo (808 m., 40 abitanti, ad un chilometro da Serone), con la secentesca chiesetta di San Carlo. Facile intuire l’origine del suo nome: dalla voce dialettale “chèmp”, che significa “campo”.
Di nuovo, ecco quel che riferisce il Ninguarda su Chempo e sui paesi vicini: "Poco fuori da Roncaglia e tutt'intorno ci sono quattro paesi senza chiesa e incorporati a Roncaglia; essi sono: Tova con 25 famiglie, Campo con 50, Nogara con 60 e Vallate con 12 e sono tutti cattolici". Il Scelsi, nella statistica citata, attesta che qui nel 1866 vivevano 118 persone, 59 maschi e 59 femmine, con 23 famiglie e 25 case, di cui 2 vuote.


Chiesa di San Bartolomeo a Caspano

Oltre Chempo, la strada scavalca, su un ponte, il torrente Toate, e ci porta, alla fine, alle soglie di Caspano (875 m., 225 abitanti, a 2 km da Serone). Gli occhi del nostro si illuminano, si inumidiscono: si capisce che considera, e a buon diritto, Caspano come la perla di questo territorio. Quel che ne dice è di per sé eloquente: “Il grande e rinomato borgo di Caspano… situato com’è a mezzaaltezza fra Dazio e la parte superiore della montagna, gode di una larga vista, così verso la Valtellina inferiore come verso la Valtellina di mezzo; di fronte ha sotto i suoi occhi la ridente piana di Dazio. Questo luogo era in origine abitato da pastori; ma verso il 1250, quando infierivano tremende le lotte fra i Guelfi e i Ghibellini, Domenico Paravicini figlio di Straccia, sopraffatto dal prevalere dei nemici, si rifugiò nella Valtellina con un servo e con tutto il denaro e i tesori che poteva trasportare, arrivando su questi monti che a lui non dispiacquero. E poiché la torre dei Paravicini, sua ordinaria residenza che sorgeva non lungi da Lecco, durante la sua assenza era stata abbattuta dai Ghibellini milanesi e tutti i suoi beni erano stati distrutti, si decise a passare la sua vita quassù, dove, edificandovi un palazzo, diede origine al borgo di Caspano. Dal suo matrimonio egli ebbe nel 1259 un figliuolo che egli chiamò Montanaro… Da Domenico e Montanaro discendono adunque i Paravicini di Caspano, i quali per la benedizione avuta da Dio crebbero a dismisura di numero, propagandosi quassù ed in altri luoghi, così in Valtellina che fuori…
In Caspano risiede parecchia nobiltà: alcuni hanno conseguito il dottorato in entrambe le facoltà, altri sono valenti nella carriera delle armi e nella politica. Durante la stagione estiva, quando avvampa la canicola, così per questo motivo come per l’aria corrotta che esala dalle paludi e dagli altri miasmatici pantani, ipaesi giacenti al basso nella pianura ed in altri luoghi soleggiati cominciano a diventare insalubri. Ma allora la nobiltà e le persone facoltose si trasferiscono quassù in questi luoghi freschi, particolarmente a Caspano, dove l’aria è pura e temperata: ivi poi gentiluomini e gentildonne trascorrono l’estate in svariati onesti passatempi, divertendosi con concerti musicali e con esercizi sportivi sino all’autunno: in cui tornano al piano alle loro ordinarie dimore
”.

Siccome non vogliamo far la figura degli ignoranti, ci permettiamo di integrare le sue indicazioni citando lo storico Enrico Besta: “A Caspano, intorno al 1530 presso i Parravicini, Matteo Bandello trova cibi delicati e vini preziosissimi, tratti dai solatii vigneti di Traona e le grasse sue novelle allietavano la nobiltà locale e i mercanti grigioni e svizzeri, nonché i gentiluomini milanesi e comaschi che giovavan per la loro salute dei Bagni del Masino” (citato dalla “Guida Turistica della Provincia di Sondrio”, edita dalla Banca Popolare di Sondrio nel 2000). Annuisce, con convinzione. E sembra altrettanto convinto quando gli comunichiamo che la salita è terminata, e possiamo dedicare un po’ di tempo alla visita del paese.


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Ed ancora, dalla "Cronistoria di Caspano e dei paesi limitrofi" del sacerdote Giovanni Libera (Como, 1926), apprendiamo: "Lassù, coperto da una fitta faggeta che gli pende sul capo, scarso un dì di facili vie di comunicazione, mentre ora si può accedervi in auto; al riparo dai venti e dotato, relativamente ai quasi 900 metri di altitudine, di clima mite e salubre, si aderge Caspano, centro di vicariato, colla sua splendida Chiesa prepositurale di prima dignità, collegiata insigne e matrice di altre vicine parrocchie, e colla sua maestosa torre, dalla quale si diffondono le dolci armoniose note delle otto campane, che formano uno dei più bei concerti di Valtellina, per potenzialità di timbro e per dolcezza di espressione... Attualmente il Vicariato di caspano comprende le parrocchie di Caspano, di Roncaglia, di Dazio, di Civo e di Cevo...


Caspano

Caspano, o, come era detto un dì, Casapano... a cui diede il nome il greco Kathapàn, che con una colonia ellenica là si ricoverò fra quei pastori, si prestava, per la sua felice ubicazione, assai meglio che gli altri paesi vicini nei secoli dell'Evo di mezzo ad accogliere coloro che volevano fuggire gli orrori delle invasioni barbariche o dalle lotte feroci dei partiti, o la prepotenza e le vessazioni dei feudatari, o le distrazioni dell'agitato commercio, onde non tardò a divenire rifugio di nobili, ed, a sua volta, culla di nobiltà. Di là trasse la sua origine la famiglia Caspani, che ivi abitava; fu pure patria degli Alamanni, dei Castelli, dei malacrida e dei Paravicini"... Questa zona saluberrima coll'affluir dei nobili venne trasformata; furono costruite belle abitazioni con sale istoriate a rabeschi, ampi cortili e portici con graziosi colonnati, nei quali le ricche famiglie si trattenevano a godere i tiepidi soli di inverno e la frescura estiva. In quasi tutti i palazzi si aveva la cisterna per l'acqua... A Caspano, in questo nido di poesia e di sogno, dimorava l’estate anche buona parte dei signori che frequentavano i Bagni del Masino, i quali si prendevano l’incomodo non lieve di partire da Caspano la mattina e far ritorno la sera, compiendo fra andata e ritorno circa sei ore di cammino. La festa di San Bartolomeo apostolo (24 agosto), titolare della Parrocchia, dava occasione a tutti i parrocchiani di mettersi in gran tripudio; in tal circostanza affluivan qua non solo gli abitanti dei vicini paesi, ma anche molti nobili delle grosse borgate di Valtellina, i quali, essendo spesso legati ai nobili di Caspano, o per vincoli di sangue o per ragione di interessi, o per titolo di amicizia, si davan per quel giorno quassù la posta per ragionare di tante cose.


Piazza di Caspano

Entriamo dal lato occidentale, e ci accoglie il palazzo dei Parravicini, ancora imponente. Poi, in breve, siamo alla piazza, dove fa splendida mostra di sé la chiesa arcipretale di S. Bartolomeo, che si staccò dalla pieve di Ardenno nella prima metà del Trecento e divenne chiesa prepositurale e collegiata nel 1664. Dal suo porticato, che guarda a sud, sostenuto da un imponente muraglione, si gode di un panorama davvero eccellente, soprattutto sulla Val Tartano e la Val Gerola.
Evitiamo accuratamente di far cadere il discorso sugli aspetti meno luminosi della storia di un paese a lui così caro. Qui, infatti, dalla seconda metà del cinquecento la comunità di protestanti assunse dimensioni non insignificanti. Lo storico Cesare Cantù, che scrisse una monografia sul "Sacro Macello di Valtellina" (la sanguinosa insurrezione di alcuni nobili cattolici nel luglio del 1620 che si trasformò in una tragica caccia al protestante), annota, parlando dei seguaci della Riforma protestante e delle loro vicende in Valtellina: "Per le persecuzioni, com è il solito, nessuno si convertì, alcuni dissimulavano le loro opinioni, i più fuggivano là dove potessero trovar pace, negli Svizzeri, fra i Grigioni. E per continuare in luoghi ove il cielo, i costumi, la favella gli avvertisse d'essere ancora in Italia, si ricoveravano nei baliati svizzeri italiani, che oggi sono il Canton Ticino, in Valtellina e massimamente a Chiavenna...


Cadelpicco

Un Parravicini valtellinese fondò una chiesa privata a Caspano nel 1546: ma essendosi trovato un crocifisso fatto a pezzi, il popolo in furore arrestò lui, che al tormento si confessò reo di tal sacrilegio: ma a Coira protestò aver confessato solo per lo spasimo, e se ne accertò autore uno studente... Caspano, il semenzajo della nobiltà valtellinese, abbondava più che altri di evangelici, come essi si intitolavano o di eretici come gl'intitolavano i nostri, ai quali predicava Angelo cappuccino piemontese; Lorenzo Gajo di Soncino minor osservante predicava a Mello, e un cappuccino a Traona... Francesco Calabrese e Girolamo da Mantova predicavano apertamente contro il battesimo dei bambini in Engadina, onde furono espulsi dall'inquisizione protestante, che non era meno intollerante della romana. Camillo Renato spacciò uguali dottrine a Caspano, poi a Chiavenna; e vi costituì una chiesa separata ove s'insegnava che l'anima finisce col corpo, che soli i giusti risorgeranno ma con corpo diverso, che niuna legge naturale impone cosa fare od ommettere, che il decalogo è inutile a coloro che credono, lor legge essendo lo spirito, che il battesimo e la cena son semplici segni di avvenimenti passati, e non portano alcuna grazia particolare o promessa."


Panorama da Cadelpicco

E, sulle tragiche vicende successive al 19 luglio 1629: "Andrea Paravicini da Caspano, preso dopo molti giorni, fu messo fra due cataste di legna e minacciato del fuoco se non abjurasse: durando costante, fu arso vivo. E si videro spiriti celesti aleggiargli intorno a raccoglierne lo spirito. Né fu questo il solo prodigio, onde le due parti pretesero che il Cielo ad evidenti segni mostrasse a ciascuna il suo favore. Ignobili affetti presero il velo della religione, e coll'eterna iracondia del povero contro il ricco, contadini e servi piombarono sui loro padroni, i debitori su cui dovevano, i drudi sui cauti mariti."
Non facciamo menzione di quelle tristi giornate anche perché il Guler dovette calare dalla Valmalenco, alla testa di truppe grigione, per riprendere Sondrio e riportare la Valtellina sotto il controllo dei Magnifici Signori Reti; probabilmente non ama ricordare quei giorni. Se ne sta tranquillo, agodersi il panorama dal sagrato. Vorrebbe fermarsi ancora. Beato lui. Gli è stato risparmiato il ritmo frenetico della vita contemporanea, scandito dalla diabolica invenzione degli orologi da polso. Glielo facciamo osservare, e sembra non capire. Ma si adegua e ci segue.
Prima di lasciare il paese, ci soffermiamo ad ammirare la superba facciata della chiesa di San Bartolomeo.


Chiesa di San Bartolomeo a Caspano

Don Giovanni Libera scrive, nell'opera citata: Ma sopra tutte le belle opere di quest’epoca trionfa la deliziosa facciata del tempio di S. Bartolomeo, tutta di granito a grana fine ed omogenea, di squisita euritmia di linee e stilizzata secondo l’arte lombarda. La pacata serenità della fronte architettonica, le enormi pietre della base, disposte colla più elegante semplicità, i fregi dei capitelli, lavorati colle pazienti e minute perizie tecniche degli scalpelli e delle raspe, le lesene, i piastrini della doppia balaustrata, le limpide sagomature e le nitide incorniciature del finestrone e del portale, e tutto l’insieme snello di equilibri, di slanci e di mollezze eleganti fanno di questa degna e severa facciata una delle migliori di tutta la Diocesi di Como. Si dice che il disegno è di P. Ligari. La costruzione fu iniziata nel 1730 e fu ultimata nel 1738. diressero l’opera dei muratori i maestri Giovan Mattei di Valcuvia e Baroggio, e quella degli scalpellini un Filippo Raspino… Negli oculi delle tre nicchie sono collocate tre statue di marmo di Viggiù, di recente fattura, delle quali quella centrale, che domina più in alto e che rappresenta la B. Vergine Immacolata, è degna della grandiosa imponenza della facciata.".
Dopo aver gettato un'occhiata alla statistica curata dal prefetto Scelsi nel 1866, dalla quale risulta che a Caspano vivevano 178 persone, 71 maschi e 107 femmine, con 42 famiglie e 42 case, di cui 3 vuote,
usciamo dal lato opposto del paese (est), scendendo fino alla strada principale che corre tangente al paese, a sud, e prosegue per Bedoglio (dal dialettale “bedoia”, betulla), entrando in Val Masino e scendendo a Cevo. Varrebbe la pena, avendo tempo, visitare anche questo campanile. Sarà per un’altra volta. Ora imbocchiamo, invece, la strada che scende verso Dazio, e che attraversa subito un nuovo borgo, Cadelpicco (m. 796). Il nostro è piuttosto laconico: “A metà fra Dazio e Bedoglio vi sono due frazioni; la una si chiama Ca’ del Picco e l’altra Ca’ del Sasso; questa è quasi sull’orlo della Valmasino, mentre la prima è sulla linea retta fra Dazio e Bedoglio.” Noi, intanto, ammiriamo la bella chiesetta dedicata a S. Pietro apostolo, edificata nel 1697, che domina, dall’alto, le case del paese.
Senza dare troppo nell'occhio (al nostro protestante figlio della terra retica non piacerebbe troppo sapere che compulsiamo l'opera di un cattolicissimo figlio della controriforma tridentina), assumiamo qualche informazione anche dalla più volte citata relazione del vescovo di Como Feliciano Ninguarda, in visita pastorale in queste zone nel 1589: "Scendendo da Caspano verso mezzogiorno distante un tiro di bombarda c'è Bedolio con la chiesa di S. Pietro Apostolo, unita come gli abitanti, alla parrocchia di Caspano. Conta dodici famiglie circa, tre eretiche, le altre cattoliche...A un tiro di sasso sotto il paese c'è Cadelpigo, con sedici famiglie tutte cattoliche. Non c'è chiesa. A un tiro di sasso sotto Cadelpigo c'è Cadelsasso, con oltre 30 famiglie cattolche e la chiesa di S. Pietro apostolo, filiale della predetta chiesa di Caspano; in questa chiesa e nelle sopraddette non c'è sacerdote, ma sono rette tutte dal parroco di Caspano". A Cadelpicco nel 1866 vivevano, secondo la citata statistica del prefetto Scelsi, 115 persone, 43 maschi e 72 femmine, con 23 famiglie e 24 case, di cui una vuota.
Scendendo ancora, dunque, ci portiamo a Cadelsasso (747 m., 33 abitanti), passando proprio a lato della chiesetta dedicata a S. Pietro martire, ricostruita nel Seicento a partire da un nucleo di origine più antica (forse quattrocentesca).
Il nome del nucleo deve la sua origine probabilmente alle cave di marmo verde attive nei secoli passati.
Nel libro X dei Commentari di G. Albuzio (Morbegnese che visse a Milano fra la seconda metà del Cinquecento e gli inizi del Seicento) leggiamo infatti: “Nel monte di Caspano v’è la pietra marina, detta così per essere del colore del mare… Si cava in molti luoghi d’esso monte et la più vaga
si trova sotto di Bedoglio alla Casa del Sasso. Questa pietra è la più nobile del distretto Volturreno… Ornate ne sono alchune porte et finestre de nobili stanze de Caspano et serve per fare gli ligamenti et fregi della Magn. Chiesa di S. Bartolomeo… Nella valle del Tovate vi è la pietra biggia, molto simile alla meiarola con gli segni neri: alquanto dura che con qualche difficoltà si rende allo scarpello, et lavorata ela riesce nondimeno vaghissima.” Da qui, nel secolo XV, Ludovico il Moro fece estrarre il marmo delle grosse colonne della Certosa di Pavia.
La citata statistica del prefetto Scelsi attesta che nel 1866 a Cadelsasso vivevano 169 persone, 68 maschi e 101 femmine, con 43 famiglie e 39 case.
Scendendo ancora, cerchiamo, sulla sinistra, un tratturo in cemento che si stacca dalla strada ed imbocchiamolo: dopo aver superato un edificio con cartello indicatore “antico torchio”, ci immergiamo in un bel bosco di castagni.

Il tratturo diventa una mulattiera, con fondo discreto, che punta a sinistra e passa accanto ad un piccolo rudere di baita, nel cui interno si vede ancora un frammento di dipinto. Superati un secondo rudere di baita ed una cappelletta, concludiamo la discesa nei pressi della chiesetta di Regolido (m. 536), piccolo nucleo di case posto sul limite occidentale della piana di Dazio. È, questo, l’ultimo dei nove campanili (o dieci, includendo Roncaglia) toccati dal nostro circuito. Qui, secondo la citata statistica del prefetto Scelsi, vivevano, nel 1866, 60 persone, 22 maschi e 38 femmine, con 19 famiglie e 21 case, di cui 2 vuote.
Imbocchiamo, ora, la stradina asfaltata che si congiunge con la strada Morbegno-Dazio, sul limite orientale di Dazio, e che, percorsa in discesa, dopo un lungo traverso in direzione sud-ovest ed un tornante sinistrorso, ci riporta alla piazzola nella quale abbiamo lasciatol’automobile. Qui ci accorgiamo che il nostro illustre compagno non è più con noi: il suo compito si è esaurito. Al nostro, invece, manca ancora qualche indicazione sui tempi di percorrenza.
Dopo aver fissato il dislivello in salita a 625 metri (esclusa la diversione per Roncaglia, per effettuare la quale dobbiamo salire di altri 90 metri), diciamo che a piedi ci vogliono circa 5-6 ore per chiudere l’anello, mentre in mountain-bike ne occorrono poco più di 2.


Dazio
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