CARTA DEL PERCORSO

Avete presente la favola di Hansel e Gretel, una delle più famose dei fratelli Grimm? Bene, ce n’è una simile, o, se possibile, ancora più paurosa che si racconta in quel di Chiavenna. Ancora più paurosa perché, in questo caso, non ci sono due fratelli che si possono aiutare e confortare a vicenda, ma un solo, sventurato bambino. Di più: qui le streghe sono addirittura due, e non sono rappresentate da una sconosciuta vecchina che abita una casa sperduta nel bosco, ma da persone vicine, per parentela, al bambino, nientemeno che la nonna e la zia. Si potrebbe immaginare qualcosa di più terribile ed oscuro?
State e sentire. Il piccolo eroe di cui racconta la storia (riportata da Guido Scaramellini nell'articolo "Un dipinto nella fantasia popolare", pubblicato sul Corriere della Valtellina del 5 settembre 1970) è un bambino sveglio e sfortunato di Chiavenna, soprannominato Pedoscìn (o Pedruscìn); sfortunato perché rimane presto orfano, dopo la morte di entrambi i genitori. Viene, quindi, affidato alle amorevoli cure (si fa per dire) della nonna e della zia, che vivono ad Uschione, paese collocato in una splendida conca di prati a monte di Chiavenna e raggiunto da una ancor più splendida mulattiera. Se bella e gentile è la cornice dei luoghi, orribile è la storia.


Chiavenna

Sì, perché nonna e zia altri non sono che due streghe della peggior specie, di quelle che, quando c’è da mangiarsi bambini giovani e teneri, non vanno troppo per il sottile e non sentono neppure il richiamo della voce del sangue. Per cui, quando si vedono affidare il nipote, che, potete ben immaginarlo, è sconvolto per la perdita di mamma e papà, lo vedono subito come un bocconcino da gustarsi nelle occasioni migliori. Buono, buono e tenero, pensano non appena varca la soglia della loro sinistra dimora, buono ma un po’ troppo magro. Ed invece di pensare agli stenti che il poveretto doveva aver patito per ridursi così a pelle ed ossa, pensano a come fare perché metta su un po’ di chili ed acquisti un gusto più prelibato.
Intanto lo rinchiudono in una cassapanca, perché non fugga: si vede, infatti, che si tratta di un tipo sveglio. Poi praticano un foro abbastanza grande per introdurre del cibo. E gliene danno in abbondanza, belle fette di polenta, condita con formaggio e burro, non certo di prima qualità, ma sempre gustoso, quando si ha fame. All’inizio il Pedoscin sembra rifiutare il cibo, ma poi la fame ha il sopravvento, e nel giro di qualche settimana mette su quei chili che ne arrotondano piacevolmente l’aspetto. Per saggiare gli esiti della loro cura, le streghe gli chiedono, di tanto in tanto, di mettere fuori un ditino, con una frase ricorrente: “Pedoscin, Pedoscin, met fo ‘l tò didìn”. Pedoscin, però, è furbo e, al posto del dito lascia sporgere dal foro della cassapanca un bastoncino di legno. La nonna ci vede poco, lo tasta e commenta, sconsolata: “No, è ancora troppo magro”.
Per un po’ l’espediente funziona, ma poi è la zia, insospettita, a controllare come procede la cura. E la zia ci vede bene, per cui non si fa ingannare dal bastoncino. Guarda dentro il foro e vede un bel volto paffutello. “E’ pronto, è pronto!”, commenta soddisfatta. Per il Pedoscin viene, dunque, il momento di pagare il prezzo di quell’abbondante vitto. Le due streghe preparano una grande caldaia, la riempiono d’acqua e vi accendono sotto un fuoco. Poi lo tirano fuori dalla cassapanca: ormai, pensano, non è più abituato a camminare, non fuggirà di certo. E poi neppure immagina cosa gli sta per capitare.
Pensano male, però, perché il Pedoscin è un bambino molto furbo, ed è perfettamente consapevole che quella caldaia è stata preparata per bollirlo. Attende solo l’occasione buona per sfuggire a quell’orribile destino, perché a farsi lessare come una gallina vecchia non ci pensa proprio. Ecco come vanno le cose. La zia scende a Chiavenna per prendere qualche erba che servirà a rendere più gustoso il pranzo, mentre la nonna cura il fuoco. La fiamma, però, non ne vuol sapere di prendere vigore: la legna è troppo verde, c’è più fumo che fuoco. Tenta, la vecchia strega, di attizzare il fuoco, ma con scarso successo. Ed allora, con il tono di chi si rivolge al più caro ed amato dei nipoti (non hanno proprio pudore, queste streghe), si rivolge al Pedoscin, chiedendogli aiuto: “Séffla dent in del föoc”, cioè “Soffia nel fuoco”.
Ecco l’occasione che il bambino aspetta. Con un candore che ben cela i suoi propositi, risponde: “Non sono capace, nonnina cara, fammi vedere tu come si fa”. “Oh, santo cielo, ma non ti hanno mai insegnato come si soffia in un fuoco?” replica la nonna un po’ stizzita, e si avvicina al fuoco che fa le bizze, chinandosi un po’ e prendendo fiato. Ecco il momento. Non chiedetemi come abbia fatto, ma il Pedoscin, con uno scatto da lepre balza alle sue spalle e la spinge dentro la caldaia. La nonna non è un donnone, è magrolina, la spinta del bambino basta per farla cadere nell’acqua che ancora non bolle, ma è già molto calda. Abbastanza per farla morire ustionata. Che gran brutta fine. Ma non c’è di che commuoversi: l’avrebbe fatta fare lei al bambino, se avesse potuto.
Il nostro piccolo eroe, intanto, è già in strada, scappa a gambe levale, giù, per la mulattiera, a rotta di collo. Arriva al Belvedere, il poggio dal quale si domina Chiavenna, alle baite del Scenc, e qui incrocia la zia che sta risalendo ad Uschione, convinta di trovarlo già in pentola. Immaginate la sua sorpresa nel vederlo vivo e vegeto. Il Pedoscin, invece, non si fa sorprendere, balza su un albero al limite del bosco, e grida alla strega, con un tono di sfida: “Ho ucciso la nonna, ho ucciso la nonna!”.
La zia arde d’ira, si avvicina al tronco dell’albero per agguantare il bambino, che però sale più in alto, tagliando, con un falcetto, i rami più bassi per impedirle di salire a sua volta. La strega, tuttavia, non si dà per vinta e, ricorrendo alle sue arti magiche, comincia a sollevarsi da terra: si sa bene che questa è una delle prime stregonerie che le maliarde imparano nella loro fosca carriera. Il bambino non si fa sorprendere neppure questa volta: ha in mano un ramo di cui ha appuntito, con il falcetto, un’estremità e, appena la zia gli capita a tiro, la infilza proprio all’altezza del cuore. Anche lei finisce, così, di far del male alla gente: cade al suolo e non dà più segni di vita.
Pedoscin è salvo, ma di nuovo solo, di nuovo alla ricerca di qualcuno che possa accoglierlo dentro le mura domestiche. La sua storia fa rapidamente il giro del paese, ed una delle famiglie più in vista, quella dei Fagetti, lo adotta, prendendosi cura di lui e donandogli finalmente tutto quell’affetto a cui ogni bambino ha diritto. Non solo, ma proprio sopra l’uscio della baita al Belvedere, che è di proprietà dei Fagetti, fa dipingere un quadro che ne immortala la figura. Il quadro rappresenta una Madonna con Bambino, sopra la quale è dipinto l’emblema della famiglia, costituito da un grande faggio, con la scritta “Arma Fagietti Succurre Maria”, cioè “O Maria, aiuta le armi del Faggeto”, con chiaro riferimento alla tradizione militare della famiglia. Ma quel che ci interessa è il volto di bambino che sembra guardarci furbescamente dai rami più alti: si tratta del Pedoscin.
Non ci credete? Seguitemi e constatate con i vostri occhi. All’entrata sud di Chiavenna (per chi viene da Milano) troviamo una rotonda, alla quale prendiamo a destra, fino a raggiungere la stazione ferroviaria, presso la quale possiamo lasciare l’automobile ad un ampio parcheggio. Attraversati i binari, siamo in località Pratogiano: guardando alla nostra destra, vediamo il Crotto Ombra, dal quale parte la via Tiglio. Imbocchiamola, fino a trovare sulla nostra sinistra, poco oltre lo svincolo per il Deserto ed il Crotto Al Tiglio, la partenza della mulattiera per Uschione. Dopo il primo tratto, intercettiamo la strada per il Deserto. La mulattiera prosegue nella salita e porta, in breve (dopo circa un quarto d’ora dal punto di partenza) al Belvedere, poggio che regala uno stupendo colpo d’occhio su Chiavenna. Sulla nostra sinistra, in corrispondenza di un sentierino segnalato che si stacca dalla mulattiera, vediamo la baita con il dipinto, collocato in una nicchia sopra la porta.
Ecco la Madonna con Bambino, con un volto particolarmente espressivo. Ed ecco la preghiera ed il faggio dell’emblema della famiglia. Ma il Pedoscin, dov’è? Ahinoi, la caduta dell’intonaco nella parte superiore del dipinto ne ha portato via gran parte del volto. Resta solo traccia del mento. Peccato. Peccato davvero che non si possano vedere le fattezze del bambino furbo ed audace, che due perfide streghe non seppero intrappolare, e che solo l’impietoso scorrere del tempo ha vinto.


Uschione

Che fare? Possiamo sederci ad ammirare Chiavenna, o proseguire nella salita: con un’ora o poco meno di cammino, sulla mulattiera interamente scalinata, raggiungiamo la conca dei prati di Uschione, il paesino legato alle vicende del nostro eroe. In entrambi i casi, il nostro pensiero ammirato non potrà non correre al suo coraggio.

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