Simpatico paese sul versante orobico mediovaltellinese
Cedrasco è un comune del versante orobico mediovaltellinese, che fronteggia, sul versante retico, Postalesio ed è posto allo sbocco della Val Cervia (sul conoide di deiezione del torrente Cèrvio), un tempo importante porta di comunicazione con il versante orobico bergamasco (Val Brembana). Interessante è leggere, a tal proposito, quanto scrive Henri de Rohan, duca ed abilissimo stratega francese nell’ultima parte delle vicende della guerra di Valtellina nel contesto della guerra dei Trent’Anni (1635), nelle sue “Memorie sulla guerra della Valtellina”: “Allora si capì veramente che le montagne sono come le pianure, che non hanno solo le strade usuali e frequentate, ma molte altre che, benché non siano conosciute dagli stranieri, lo sono dalla gente del posto, per mezzo della quale si può sempre essere condotti al luogo desiderato eludendo chi volesse impedirlo… Dal Gavia fino al lago di Como, si può entrare nella Valtellina dal Mortirolo, dall’Aprica, dalla val Cervia di fronte a Cedrasco, dalla val Madre di fronte a Fusine, da uno dei lati della valle del Bitto e dall’altro dalla Valsassina che appartiene allo Stato di Milano.”
Sull’origine del nome sono state avanzate diverse ipotesi: assai poco probabile, data la natura dei luoghi, è la radice “citrus” o “cedrus”, “cedro”. Si è poi pensato ad una derivazione da un nome romano, che potrebbe essere “Cetrius” o “Caetrius”, ma più probabile è l’etimologia dalla voce dialettale “scidriùn”, che significa “mirtillo”. Etimologia alquanto simpatica, per un piccolo comune poco conosciuto, ma assai interessante per gli scenari e le possibilità escursionistiche offerte. Il secolo successivo si aprì con la caduta degli Sforza di Milano, cui seguì l’odiosissima occupazione dei francesi in Valtellina: bastarono dodici anni (1500-1512) perché i Valtellinesi accogliessero i Magnifici Signori Reti delle Tre Leghe Grigie, dei quali la valle divenne tributaria, se non con entusiasmo, almeno con sollievo. Ben altro effetto avevano suscitato, una generazione prima, le ferrigne truppe grigione, quando erano scese dall’alta valle mettendo a sacco buona parte dei paesi, ed erano state fermate dalle truppe ducali in una battaglia dall’esito controverso, combattuta poco distante da Cedrasco, cioè nella battaglia di Caiolo del 16 marzo 1478. Ora il vento era cambiato, ed i tre terzieri della Valtellina, con le contee di Bormio e Chiavenna, riconobbero il proprio tributo alle Tre Leghe.
Nel "communis Cidraschi" vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 289 lire (per avere un'idea comparativa, Fusine fece registrare un valore di 643 lire, Colorina di 475 lire, Caiolo di 955 lire); 5 pertiche di orti valgono 14 lire; prati e pascoli hanno un'estensione complessiva di poco più di 2076 pertiche e sono valutati 668 lire; boschi e terreni comuni sono valutati 27 lire; campi e selve si estendono per oltre 1424 pertiche, e sono stimati 987 lire; gli alpeggi, che caricano 104 mucche, vengono valutati 20 lire; vengono rilevati mulini ed una fucina per un valore di 27 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 2024 lire (per avere un'idea comparativa, Fusine fece registrare un valore di 4341 lire, Colorina di 6001 lire, Caiolo di 6832 lire).
Non fu, il cinquecento, secolo clemente, almeno nella sua prima metà: la natura si mostrò più volte piuttosto matrigna che madre. Nel 1513 la peste infierì in molti paesi della valle, Bormio, Sondalo, Tiolo, Mazzo, Lovero, Tovo, Tresivio, Piateda, Sondrio, Fusine, Buglio, Sacco, e Morbegno, portandosi via diverse migliaia di vittime. Dal primo agosto 1513 al marzo del 1514, poi, non piovve né nevicò mai, e nel gennaio del 1514 le temperature scesero tanto sotto lo zero che ghiacciò perfino il Mallero. L’eccezionale ondata di gelo, durata 25 giorni, fece morire quasi tutte le viti, tanto che la successiva vendemmia bastò appena a produrre il vino sufficiente ai consumi delle famiglie contadine (ricordiamo che il commercio del vino oltralpe fu l’elemento di maggior forza dell’economia della Valtellina, fino al secolo XIX). Le cose andarono peggio, se possibile, l’anno seguente, perché nell’aprile del 1515 nevicò per diversi giorni e vi fu gran freddo, il che arrecò il colpo di grazia alle già duramente colpite viti della valle. Nel comune di Sondrio, annota il Merlo, cronista del tempo, vi furono in tutto solo un centinaio di brente di vino. Nel 1526 la peste tornò a colpire nel terziere di Mezzo, e ne seguì una dura carestia, come da almeno un secolo non si aveva memoria, annota sempre il Merlo. L’anno successivo un’ondata di freddo e di neve nel mese di marzo danneggiò di nuovo seriamente le viti. Dalle calende d’ottobre del 1539, infine, fino al 15 aprile del 1540 non piovve né nevicò mai, tanto che, scrive il Merlo, “per tutto l’inverno si saria potuto passar la Montagna dell’Oro (cioè il passo del Muretto, dall’alta Valmalenco alla Val Bregaglia) per andar verso Bregaglia, che forse non accadè mai tal cosa”. La seconda metà del secolo, infine, fu caratterizzata da una grande abbondanza di inverni rigidi e nevosi ed estati tiepide, nel contesto di quel tendenziale abbassamento generale delle temperature, con decisa avanzata dei ghiacciai, che viene denominato Piccola Età Glaciale (e che interessò l’Europa fino agli inizi dell’Ottocento). C’è davvero di che far meditare quelli che (e non son pochi) sogliono lamentarsi perché non ci sono più le stagioni di una volta…
Giovanni Guler von Weineck, governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel biennio 1587-88, così presenta Cedrasco nella sua opera “Rhaetia”, pubblicata nel 1616 a Zurigo: “Il paese più vicino è Cedrasco, il quale sorge alle falde di un alto monte dirupato: possiede un territorio piano e fertile, che si estende verso mezzanotte sino all’Adda, dove abbiamo pure un traghetto. Nella montagna restostante si apre verso mezzodì una valle detta Val Madre, dove esistono due piccoli villaggi, appartenenti al comune di Cedrasco. Attraverso questa con valle passa un sentiero per Bergamo e per altri paesi dello Stato veneto.”
Nella sua visita pastorale al paese nel 1589, Feliciano Ninguarda, vescovo di Como di origine morbegnese, trovò nel paese la consistente cifra di 140 fuochi, cioè famiglie, corrispondenti ad una popolazione congetturale di 700 abitanti (ma il dato è assai dubbio: una generazione più tardi, nel 1624, si contavano nel paese 480 abitanti). Ecco quello che annota sul paese: “A sinistra del paese di Fusine, un miglio più avanti nella zona di Postalesio, vi è un altro paese chiamato Cedrasco con centoquaranta famiglie tutte cattoliche: vi sorge una chiesa dedicata a Sant'Agostino Vescovo e vi fa da rettore il sac. Benedetto Robustelli di Grosotto. A un quarto di miglio più avanti, salendo verso il paese di Caiolo, vi è un'altra chiesa dedicata a Sant'Anna.” Un quadro sintetico di Cedrasco nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: “Da banda sinistra la prima communità di questa pieve è Sidrasco, terra di 250 persone, computata la Spineda contrata di qua d' Adda. Perché questo luoco ha gran monti pascolivi et boschivi et pianura con bella campana, perciò questi terrazzani hanno abbondanza di biade et grassine; ma perché è ombregiato dalla montagna, alle cui radici è posto, stando alcuni [mesi] dell'anno horridi tra le nevi et senza sole, perciò non ha territorio atto per viti. Passa per Sidrasco un fiume dell'ístesso nome, dal quale è denominato il luoco, nascente dalli alti monti nivali confini a Bergamaschi. La chiesa parochiale è di S. Agostino; v'è ancora un altro oratorio vicino alla terra verso mattina dedicato a S. Anna. L'aria di questo luoco può passare.”
«Mi pigliò et mi volse gettar nel fuoco due volte, se bene io mi riparai con l'agiutto di Cattarina Pomina che sta in casa nostra et però, non sapendo in che modo, son restata offesa in questa orecchia che si vede insanguinata... stando anco che moltissime altre volte il detto mio marito mi ha battuta senza occasione, hor con un badile, hor con una cosa et hor con un'altra, con animo credo di amazarmi, e però mi concia talmente che ho rovinata tutta la vesta et son divenuta meza fuori di me».
Dopo il trattato di Monzon, il triennio 1626-29 segnò una tregua: niente più armi né soldatesche, almeno per il momento, in valle. Ma non furono tre anni sereni. Ci si mise il clima a tormentare la vita già di per sé non semplice dei cristiani, un clima pessimo, caratterizzato da eccezionale piovosità, soprattutto primaverile, accompagnata da repentine ondate di freddo, tanto da ritardare le vendemmie anche di due settimane rispetto al consueto, da compromettere seriamente i raccolti e da determinare una situazione di carestia. Nel 1629 la calata dei Lanzichenecchi dalla Valchiavenna ed il loro provvisorio stazionamento in Valtellina diffusero il morbo della peste: l’epidemia che colpì l’intera Valtellina fra il 1629 ed il 1631 non fu né la prima né l’ultima, ma sicuramente la più terribile e devastante. Le valutazioni dell’impatto demografico variano dalla riduzione a poco più di un quarto della popolazione precedente (da 150.000 circa a poco meno di 40.000, secondo una stima accolta dall'Orsini), alla riduzione a poco più della metà: numeri, in ogni caso, impressionanti. Cedrasco non fu certo risparmiata dal flagello, anzi, fu colpita in misura maggiore rispetto al versante retico. Per questo fu posto un "rastrello" sul ponte dell'Adda presso S. Pietro, per evitare che abitanti di Fusine, Cedrasco e Colorina, zone di maggior contagio, passassero dall'una all'altra sponda del fiume senza una regolare bolla di sanità.
A ciò si aggiunse un temibile effetto collaterale: lo spopolamento dei nuclei di mezza costa e la diminuzione del bestiame lì insediato indussero i branchi di lupi a scendere al piano nei mesi più freddi dell’anno: ciò spiega quanto segnalato dalle cronache, le quali riportano, fra il 1633 ed il 1637, attacchi, anche mortali, a bambini nelle vicine Albosaggia, Fusine e Colorina.
Ella lasciò anche una traccia profonda nell'immaginario popolare; ancora nel secolo scorso le nonne raccontavano ai nipoti storie terrificanti della strega che, nascosta da un cappuccio o da una maschera che ne celava il volto, bussava, a notte fatta, all'uscio o al vetro delle finestre, spaventando la gente. Era credenza diffusa che le streghe non finissero di far del male dopo la morte, perché potevano rivivere nelle piante di sambuco: per questo esse venivano strappate e, quando dal gambo reciso scendeva qualche goccia di color purpureo, questo segno veniva interpretato come sangue di strega, per cui le piante incriminate venivano accuratamente raccolte e bruciate. Era, questo, il secondo rogo delle streghe.
Una lenta ma costante ripresa economica e demografica interessò la seconda metà del seicento e l’intero settecento (molto giovarono l’introduzione di nuove colture, soprattutto della patata). La ripresa settecentesca non fu, però, priva di arresti e momenti difficili, legati soprattutto ad alcuni inverni eccezionalmente rigidi, primo fra tutti quello memorabile del 1709 (passato alla storia come “l’invernone”, “l’inverno del grande freddo”), quando, ad una serie di abbondanti nevicate ad inizio d’anno, seguì, dal giorno dell’Epifania, un massiccio afflusso di aria polare dall’est, che in una notte gelò il Mallero e parte dell’Adda. Ed ancora, nel 1738 si registrò una nevicata il 2 maggio, nel 1739 nevicò il 27 ed il 30 marzo con freddo intenso, nel 1740 nevicò il 3 maggio, con freddo intenso e nel 1741 nevicò a fine aprile, sempre con clima molto rigido e conseguenze disastrose per le colture e le viti.
Congedati i grigioni, seguì la Repubblica cisalpina, e ad essa il Regno d’Italia, sempre sotto il controllo di Napoleone: Cedrasco, nel Dipartimento dell’Adda, nel 1805 era incluso nel primo cantone di Sondrio come comune di III classe, con 277 abitanti. Rimase in tale distretto anche dopo la caduta napoleonica e l’insediamento della casa d’Austria, cui venne assegnato, dal Congresso di Vienna, il Regno lombardo-veneto. A metà dell’ottocento, e precisamente nel 1853, Cedrasco era comune, con convocato generale e con 505 abitanti, del primo distretto di Sondrio. Cacciati gli austriaci, alla proclamazione del regno d’Italia, nel 1861, Cedrasco fa registrare una popolazione di 268 abitanti.
Chi tiene la direzione opposta, recandosi da Foppolo a Cedrasco per la Val Cervia, badi a non lasciarsi ingannare dalla via piana e larga che procede nel fondo della valle; essa incontra ben presto scosceso frane la cui traversata è malagevole sempre, talora impossibile. Poco dopo che la via è entrata nel bosco conviene prendere la stradicciuola che si alza a destra e salire durante mezz'ora circa, per ridiscendere poi. Un sentiero non difficile conduce dalle ultime baite di Val Cervia in Val del Livrio. Il Monte Cervo a pareti scoscese, è insignificante. La salita del Corno Stella (2618 m.) direttamente da Val Cervia non fu tentata, e non vuol essere impresa facile. Alla vigilia della prima guerra mondiale, nel 1911, la popolazione è leggermente scesa, a 438 abitanti. La memoria del 1911 è legata ad una disastrosa alluvione, che portò allo straripamento del fiume Adda ed all'allagamento della piana della Selvetta, tanto che, come si scrisse, "ad Ardenno il treno sembrava corresse in mezzo al lago". L'evento fu determinato dalle eccezionali precipitazioni iniziate la sera del 21 agosto, i cui effetti colpirono soprattutto i vicini comuni di Cedrasco, Fusine e Talamona, tanto che si diffuse, poi, una canzoncina che ricordava mestamente l'alluvione, e che iniziava proprio con le parole: "Talamona, Fusine Cedrasco sono i più danneggiati dal disastro". Per raggiungere il paese conviene staccarsi dalla ss. 38 dello Stelvio, sulla destra (per chi proviene da Milano) allo svincolo segnalato sul tirone che termina alla rocca della Sassella, prima di Sondrio; lasciata la strada statale, si scavalca, sun un ponte, il fiume Adda e ci si porta a Caiolo; qui si prende a destra e, lasciato il paese, si imbocca il tirone che porta a Cedrasco, passando per l’isolata chiesa di S. Anna (interessante, alla sua destra, anche il capitello alla Careggine, restaurato nel 2001 dalla Comunità Montana Valtellina di Sondrio). Da Credrasco, infine, parte la carozzabile per la Val Cervia, interessante anche per i bikers (nonostante un andamento piuttosto severo), che passa per gli insediamenti rurali delle nuclei di Foppe (860 m.), dei Bugli (1.060 m.), dei Campelli di Cedrasco, (1.260 m.) addentrandosi sul fianco orientale della valle e portando al maggengo di Arale (1.600 m.).
Carta del territorio comunale (estratto dalla CNS su copyright ed entro i limiti di concessione di utilizzabilità della Swisstopo - Per la consultazione on-line: http://map.geo.admin.ch) Da Prada, don Giovanni, "L'alpeggio Valcervo dal 1620 ai nostri giorni con riferimenti a Cedrasco", in “La magnifica comunità et li homini delle Fusine”, 1984 Da Prada, don Giovanni, "I Trivella di Cedrasco", in "Elzeviri di toppa ovvero briciole di storia della Valtellina", di Giovanni Da Prada, Villa di Tirano, Tipografia Poletti, 1995 Canetta, Eliana e Nemo, “Il versante orobico - Dalla Val Fabiolo alla Val Malgina ”, CDA Vivalda, 2005 Prevideprato, Massimo, "La donna senza volto", romanzo sulla figura di Orsolina del Cedrasco, Labos, Polaris, Sondrio, 2006 AA. VV. (a cura di Guido Combi), "Alpi Orobie Valtellinesi, montagne da conoscere", Fondazione Luigi Bombardieri, Bonazzi, Sondrio, 2011 SITOGRAFIA |
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