CARTE DEL PERCORSO 1, 2, 3 - GALLERIA DI IMMAGINI


Panorama dalla bocchetta della Merdarola


Apri qui una fotomappa degli alti bacini di Visogno e Toate

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Poira di Civo-Pra Succ-Alpe Visogno-Bivacco Bottani Cornaggia
8 h
950
E
SINTESI. Alla prima rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) prendiamo a sinistra, superando un cavalcavia ed una rotonda e raggiungendo il ponte sull'Adda, oltre il quale prendiamo a destra e, dopo breve salita, ci immettiamo nella strada provinciale che sale a Dazio, procedendo a sinistra. Dopo un tornante dx, un lungo traverso ci porta a Dazio. Qui seguiamo la strada che volge a sinistra e sale a Serone, dove, presso la chiesa, prendiamo a destra (indicazioni per Naguarido e Caspano), salendo su una strada che passa per Naguarido e Chempo. Prestiamo attenzione alla deviazione a sinistra per Roncaglia e Poira, e la imbocchiamo. Oltrepassata Roncaglia, siamo alla conca di Poira e ci portiamo al termine della strada, dove parcheggiamo presso la chiesetta di S. Margherita (m. 1077). Ci incamminiamo tornando sulla strada per pochi metri e prendendo a destra (segnalazione del sentiero per i Tre Cornini ed il bivacco Bottani Cornaggia), seguendo una stradina che ci porta nella pineta, dove diventa largo sentiero che sale per un buon tratto diritto, per poi svoltare a destra ed inanellare una lunga serie di tornantini verso nord-est. Intercettata una pista tagliafuoco, riprende sul lato opposto, proponendo nuovi tornanti, fino al punto segnalato in cui volge a sinistra ed effettua un traverso verso ovest-sud-ovest, al termine del quale volge a destra e si porta al limite sud-occidentale dei prati del Pra' Sücc' (m. 1647). Il sentiero riprende alle spalle della baita più vicina e sale alle baite della parte alta dei prati. Qui, ignorata una deviazione a sinistra, proseguiamo (segnalazione) sul sentiero dei Tre Cornini, salendo verso destra (nord). Superato un piccolo corso d'acqua, il sentiero porta ad un ripiano-radura, oltre il quale sale ad un'ampia conca di sfasciumi, che viene tagliata verso sinistra. Con diversi tornantini saliamo sul dorso di un dosso che ci introduce all'alpe Visogno (m. 2003). Passiamo a sinistra del baitone dell'alpe e tagliamo l'ampio pianoro, scovando sul lato opposto la ripartenza del sentiero che sale verso sinistra il ripido versante, portandoci ad un bivio: mentre il ramo di destra si porta al crinale dei Tre Cornini, quello di destra prosegue salendo al bivacco Bottani-Cornaggia. Prendiamo dunque a destra e, dopo pochi tornanti, siamo ai piedi del bivacco Bottani-Cornaggia (m. 2327).

“Vado a fare quattro passi”: solo un modo di dire? E se, invece, lo volessimo intendere alla lettera? E’ possibile, in una giornata, una traversata che valichi quattro passi ed attraversi sei valli, senza richiedere uno sforzo fisico disumano? Non è facile, effettivamente, trovare un itinerario che abbia queste caratteristiche: neppure il Sentiero Roma le propone. Eppure, proprio non lontano dai celeberrimi scenari di questo sentiero, questa traversata esiste, e collega il bivacco Bottani-Cornaggia, rosso presidio nelle assolate balze della Costiera dei Cech, attraversate da silenzi antichissimi, al rifugio Omio, uno dei più famosi rifugi coronati dalle verticali pareti di granito della Val Masino (il rifugio venne edificato nel 1937 dalla Società Escursionisti Milanesi ed intitolato alla memoria di Antonio Omio, una delle sei vittime della tragica ascensione alla punta Rasica, in Valle di Zocca, del 1935; incendiato dalle forze nazifasciste nel 1944, perché veniva utilizzato come punto di appoggio dalle forze partigiane, venne ricostruito nel 1948 e ristrutturato nel 1970 e nel 1997).
Si attraversano le valli Visogno, Toate, di Spluga, della Merdarola, Ligoncio e dell’Oro, attraverso la bocchetta di Toate, il passo del Colino est, la bocchetta della Merdarola e la bocchetta di Medaccio. E, per coronare il fascino del percorso, si incontra uno dei più bei laghetti alpini in Valtellina, il laghetto superiore di Spluga. Il tutto nella cornice di scenari integri, solitari, selvaggi, senza, però, passaggi pericolosi, esposti o di impegno alpinistico.
Una premessa, però, si impone: il percorso è molo articolato, richiede buon allenamento e buone capacità di orientamento, ed è del tutto sconsigliabile in caso di cattivo tempo o cattive cndizioni di visibilità.
La traversata ha un prologo ed un epilogo. Il prologo è la salita al bivacco Bottani-Cornaggia, posto in alta val Visogno, a 2327 metri di quota. L’epilogo è, invece, la discesa dal rifugio Omio (che può essere effettuata il giorno stesso della traversata, visto che richiede circa un’ora di cammino). All’ultimo semaforo di Morbegno (per chi viaggia in direzione di Milano) imbocchiamo, dunque, lo svincolo a destra, per la Costiera dei Cech; superato il ponte sull’Adda, prendiamo a destra e saliamo a Dazio, proseguendo per Roncaglia (non per Cadelsasso e Cadelpicco). Oltrepassata Roncaglia, la strada termina al piazzale della chiesetta di Poira (m. 1077). Lasciamo qui l’automobile e procuriamoci le chiavi del bivacco, se non l’abbiamo già fatto a Morbegno presso Oscar Scheffer del GAM di Morbegno (tel.: 0342 611022): le troveremo agli alberghi Scaloni o Ville di Poira, a Poira, o da Anselmo Tarca, all’alpe Visogno o al Pra’ Succ. Imbocchiamo la pista che parte a sinistra di un cartello che offre alcune informazioni sul bivacco, trasformandosi presto in sentiero che sale per un buon tratto nel bosco e, dopo un lungo traverso a sinistra, porta alle baite del Pra’ Succ (m. 1647), la cui denominazione fa riferimento alla scarsità di acqua che caratterizza spesso questi luoghi. In cima ai prati c’è un cartello che indica la ripartenza del sentiero: cerchiamolo con un po’ di pazienza e riprendiamo a salire, attraversando anche una macchia che reca ancora i segni di un incendio.
Dopo un tratto verso destra, raggiungiamo una bella radura, ai piedi di un canalone occupato da grandi massi, che costituisce il ramo orientale della val Visogno. Dopo una breve salita, cominciamo a piegare a sinistra, e ci portiamo sul fianco di un largo dosso. Seguendone per un tratto il crinale, ci affacciamo ai prati dell’alpe Visogno, un’ampio pianoro sorvegliato dalla baita di quota 2003. Alla nostra sinistra sono visibili i celebri Tre Cornini (chiamati anche Tre Frati), massi erratici misteriosamente fermi sul ciglio di un ripido crinale. Attraversata la piana, con una diagonale verso sinistra, ritroviamo il sentiero che, inizialmente, sale verso sinistra, poi piega a destra ed effettua una lunga diagonale che ci porta allo speroncino di roccia su cui è posto il bivacco Bottani Cornaggia (m. 2327). La salita richiede circa 3 ore e mezza, per superare 1250 metri circa di dislivello, nello scenario di grande bellezza delle guglie gotiche della testata della valle, che culmina nella cima di Malvedello (m. 2640).
Pernottare in questo luogo solitario, vero regno delle aquile, che guarda dal suo lontano silenzio al brulicare di vita del fondovalle, è sicuramente un’esperienza di forte impatto emotivo.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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BIVACCO BOTTANI CORNAGGIA-BOCCHETTA DI TOATE-PASSO DI COLINO-BOCCHETTA DELLA MERDAROLA E DI MEDACCIO-RIFUGIO OMIO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bivacco Bottani Cornaggia-Bocchetta di Toate-passo di Colino orientale-Laghi e casera di Spluga-Casera di Cavislone-Bocchetta della Merdarola-Bocchetta di Medaccio-Rifugio Omio
7-8 h
1200
EE
SINTESI. Dal bivacco Bottani-Cornaggia procediamo verso est (frecce blu) fino alla bocchetta di Toate (2340), cioè l'imbocco di un ampio canalone che scende all'alta Val Toate. Una traccia di sentiero lo discende zigzagando fra i blocchi, percorrendone prima il lato sinistro, poi portandosi verso il centro ed infine leggermente a destra, li evita quasi interamente, per approdare ai pascoli della valle, approssimativamente cento metri più in basso rispetto all’imbocco. Per un buon tratto continuiamo a seguire le frecce che ci fanno tagliare, senza perdere quota, un dosso erboso, su traccia di sentiero, poi, quando queste cominciano a scendere decisamente verso la visibile baita del Colino, lasciamole alla nostra destra per seguire la traccia di sentiero che prosegue tagliando ad una quota approssimativamente costante i pascoli dell’alta valle. La traversata ci porta sul lato orientale della valle, dove, presso un gruppo di ruderi di calecc, ritroviamo i segnavia, che tracciano il percorso che da Ledino porta al passo di Colino est. Riprendiamo, quindi, a salire, con una svolta a sinistra, su un ampio dosso erboso, poi su un successivo più ad est, non lontani dal piede della poderosa Torre di Bering. La salita ci porta ai piedi del conoide erboso che scende dal passo del Colino orientale (m. 2403; Ercole Bassi, nella sua monografia sulla Valtellina, pubblicata a Milano nel 1890, riporta il toponimo "Culino", che si trova anche nella Val Corta in Val di Tartano e che deriverebbe dal latino "aquilinus", con nobile riferimento alla presenza delle aquile; l'alpe Culino, a valle del passo, caricava allora 45 mucche) (2414), che vediamo alla nostra destra e che raggiungiamo su sentierino ben visibile. La discesa in Valle di Spluga non presenta problemi: i segnavia sono numerosi e ben visibili, e ci portano dapprima ad effettuare un semicerchio verso sinistra (dalla direzione est a quella nord), poi ad attraversare un valloncello, finché ci affacciamo, a quota 2320 metri circa, su quella che ci appare come un’ampia spianata nell’alta valle, dove scorgiamo una baita isolata. Scendiamo, quindi, verso il pianoro, in direzione nord e, passando a monte della baita, superiamo una fascia caratterizzata da qualche roccetta, a quota 2240 circa, piegando poi gradualmente ad ovest (sinistra). Ci portiamo, così, in vista del bellissimo lago superiore di Spluga, al quale il sentiero scende. Siamo alla sua riva orientale, e ci portiamo a quella opposta dove vediamo la casera più alta di Spluga. L’itinerario piega, poi, a destra (est-sud-est), e, con qualche saliscendi, porta ad una radura acquitrinosa e ad un corridoio fra le rocce arrotondate, prima di passare accanto ad una baita posta a quota 2100 metri circa. Il sentiero (attenzone ai segnavia) si affaccia quindi all'ampio versante della media valle, e scende facilmente, in direzione sud-est, alla casera di Spluga (1939), appena a monte della prima fascia di boschi, presso un grande masso eratico. Qui giunti, prima della fascia boschiva attraversiamo una prima breve macchia di alberi e, prestando attenzione alla nostra sinistra, individuiamo il rudere di un baitello. Raggiungiamolo, staccandoci sulla sinistra dal sentiero: percorsa qualche decina di metri in una radura, troviamo, sul limite del bosco, la partenza di un sentiero che, con andamento quasi pianeggiante, effettua una traversata che ci porta al limite inferiore dei pascoli dell’alpe Cavislone, appena sotto la bella casera omonima (m. 1985). Dalla casera proseguiamo la salita verso nord, in direzione di una baita più alta, di quota 2148, che dal basso si fatica a vedere, perché nascosta in una conca. Oltrepassata la baita più alta, procediamo tendendo leggermente a sinistra e passando ai piedi di un colle erboso, che poi aggiriamo, volgendo a destra, fino a giungere alla sella che lo precede, a monte: da qui in pochi passi verso sinistra ne raggiungiamo la sommità. La successiva salita punta al passaggio compreso fra il versante destro di un promontorio roccioso e la vasta distesa di sfasciumi che occupa un’ampia conca nella parte nord-orientale della valle. Tagliandone in salita il fianco destro, sormontiamo anche questo sperone, giungendo, a quota 2440 circa, proprio ai piedi del ripido crinale erboso che raggiunge, restringendosi, la bocchetta. Non ci resta che risalirlo, un po’ faticosamente, ma senza problemi (troviamo anche una traccia di sentiero), fino all’intaglio della bocchetta della Merdarola (m. 2515), che si affaccia sulla valle omonima, in Val Masino. Ad essa scendiamo sfruttando un canalino di sfasciumi che non ha un andamento diritto, ma orientato a sinistra, parallelo alla costiera rocciosa della testata (sulla nostra sinistra) e difeso, sul lato della valle (la nostra destra) da una crestina. Dopo una curva appena accennata a destra, eccoci ad una fascia di massi che ci accoglie a quota 2450 circa. Dopo averla superata, con il percorso più razionale, raggiungiamo, in breve, il terrazzo terminale di un ampio promontorio, poco sopra quota 2300. Dobbiamo ora scendere dal lato sinistro del promontorio, su una fascia di facili roccette, in direzione di un poco pronunciato canalone costituito da magri pascoli disseminati di numerosi massi. Ci portiamo alla sinistra del canalone, scendendo al crinale di un facile dosso erboso, dal quale possiamo vedere le tre baite della Merdarola. Scendiamo a quella intermedia (m. 2053) ed intercettiamo il sentiero segnalato per la bocchetta di Medaccio. Seguendolo verso sinistra, ci portiamo alla baita superiore (m. 2089). Seguiamo poi per un tratto il filo di un crinalino ed attraversando una fascia di grossi massi, puntando al marcato intaglio della bocchetta di Medaccio (m. 2303), che si affaccia sulla Val Ligoncio. Ci troviamo così sul limite di un canalone un po' ripido che scendiamo a zig-zag seguendo il sentiero. Ai piedi del canalone tagliamo verso sinistra n nevaietto e passiamo a monte di un marcato promontorio che, visto dal rifugio Omio, si rivela un’impressionante formazione di granito dalle pareti lisce, mentre visto da noi si mostra come un più insignificante sperone erboso. Perdiamo, poi, quota, passando ai piedi di una grande placca liscia, e, sempre rimanendo al di sotto di quota 2000, con qualche saliscendi puntiamo in direzione della meta, il rifugio Omio (m. 2100), che raggiungiamo dopo aver riguadagnato gradualmente quota.


Il bivacco Bottani-Cornaggia

Alle spalle del bivacco Bottani-Cornaggia parte un percorso segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi (gli stessi che guidano ad esso) e che, come si trova indicato su un grande masso, porta ai rifugi Volta ed Omio. L’itinerario, infatti, punta a nord-est, districandosi fra gli ultimi magri pascoli ed una fascia di massi che occupa il piede di un intaglio sul crinale fra Costiera dei Cech e Valle dei Ratti (intaglio che non è visibile dal bivacco, ma che cominciamo a vedere salendo): si tratta del passo di Visogno (m. 2574), da cui si gode di un’ottimo colpo d’occhio sulla testata della Valle dei Ratti. Raggiunto il passo e scesi per un tratto in un grande vallone, poi, si presenta la duplice possibilità: si può proseguire per l’itinerario tracciato dai segnavia, scendendo, verso sinistra, agli alti pascoli dell’alpe Primalpia, per poi raggiungere il bivacco omonimo (m. 1980), dal quale si può traversare al rifugio Volta (m. 2212), punto di partenza del sentiero attrezzato Dario Di Paolo che, per il passo della Vedretta Meridionale, conduce in valle dell’Oro ed al rifugio Omio (presentando, tuttavia, un piccolo passaggio che richiede attrezzatura alpinistica); si può anche, risalendo con molta cautela il canalone di sfasciumi, puntare, in direzione opposta (destra), al passo del Colino ovest (m. 2630; Ercole Bassi, nella sua monografia sulla Valtellina, pubblicata a Milano nel 1890, riporta il toponimo "Culino", che si trova anche nella Val Corta in Val di Tartano e che deriverebbe dal latino "aquilinus", con nobile riferimento alla presenza delle aquile), per il quale si torna nella Costiera dei Cech, e precisamente in alta val Toate. Queste note aiutano a comprendere la ricchezza di possibilità escursionistiche offerte da queste montagne.


Il bivacco Bottani-Cornaggia dalla bocchetta di Toate

Ma torniamo alla nostra traversata: invece di seguire i segnavia, dobbiamo dirigerci verso est, percorrendo un pianoro irregolare, fra pascoli, balze e rocce, e rimanendo approssimativamente alla stessa quota. Questo segmento della traversata, fino all’alta val Toate, è segnalato da diverse frecce di color blu, che si fanno più frequenti alla bocchetta di Toate. Si tratta, in realtà, di un facile canalone che, dal pianoro, scende in alta val Toate. Non è difficile trovarne il largo imbocco, a quota 2340 circa, anche se, prima di raggiungerlo, dobbiamo attraversare una fascia di balze che lo nascondono alla vista. Il canalone è occupato da massi, anche malfermi, ma, seguendo le frecce, possiamo individuare una traiettoria di discesa che, percorrendone prima il lato sinistro, poi portandosi verso il centro ed infine leggermente a destra, li evita quasi interamente, per approdare ai pascoli della valle, approssimativamente cento metri più in basso rispetto all’imbocco.


La bocchetta di Toate

Per un buon tratto continuiamo a seguire le frecce che ci fanno tagliare, senza perdere quota, un dosso erboso, su traccia di sentiero, poi, quando queste cominciano a scendere decisamente verso la visibile baita del Colino (m. 1937), lasciamole per seguire la traccia di sentiero che prosegue tagliando ad una quota approssimativamente costante i pascoli dell’alta valle. In caso di necessità, o di escursione di un giorno che abbia come punto di appoggio Poira, teniamo presente che, raggiunta la baita, possiamo facilmente scendere, seguendo i segnavia, alle baite occidentali dell’alpe Pesc' (m. 1613) e di qui, entrando in un bosco, fino al maggengo di Ledino (m. 1181), da cui, per pista carrozzabile, raggiungiamo il piazzale della chiesetta di Poira. La traversata ci porta sul lato orientale della valle, dove, presso un gruppo di ruderi di calecc, ritroviamo i segnavia, che tracciano il percorso che da Ledino porta al passo di Colino est.
Riprendiamo, quindi, a salire, con una svolta a sinistra, su un ampio dosso erboso, poi su un successivo più ad est, non lontani dal piede della poderosa Torre di Bering. Non è, con i suoi 2403 metri, la più alta cima del fianco orientale della valle (rappresentata, invece, dal cono a base larga del Corno di Colino, m. 2504), ma sicuramente, con la sua caratteristica forma a corno, la più bella. Le formazioni rocciose che dalla torre proseguono verso nord-ovest nascondono il passo, per cui il suo intaglio comincia a farsi visibile solo quando, oltrepassato il limite superiore dei pascoli (segnalata da un filo di ferro arrugginito) ed una breve fascia di massi, ci troviamo ai piedi del conoide che scende da esso. Lo vediamo quando ormai dista pochi minuti di cammino, e lo raggiungiamo sfruttando un ben visibile sentiero.


Il passo di Colino orientale

Dal passo di Colino orientale (m. 2414; Ercole Bassi, nella sua monografia sulla Valtellina, pubblicata a Milano nel 1890, riporta il toponimo "Culino", che si trova anche nella Val Corta in Val di Tartano e che deriverebbe dal latino "aquilinus", con nobile riferimento alla presenza delle aquile; l'alpe Culino, a valle del passo, caricava allora 45 mucche), si apre un ampio scorcio sulla media Valtellina, mentre nella complessa conformazione dell’alta Val Toate si distingue, sul suo lato opposto, il più alto e già citato passo di Colino ovest (m. 2630); alla sua destra, la vetta più alta di questo gruppo montuoso, la Cima del Desenigo, o monte Spluga (m. 2845). Chi volesse effettuare una traversata dall’un passo all’altro, tenga presente che l’itinerario passa per un’ampio e singolare pianoro ai piedi del conoide che scende dal passo più alto: la piana, che da qui non si vede, ospita due singolari monoliti, curiosi e suggestivi. Fra essa ed il passo di Colino est, infine, si frappone un crinale che può essere valicato con un po’ di attenzione, oppure, con tragitto più lungo, aggirato ai piedi.
Torniamo al passo, che immette nell’alta valle di Spluga (prima laterale occidentale della Val Masino, sopra Cevo), e precisamente nel lato sud-occidentale dell’alta valle. La discesa non presenta problemi: i segnavia sono numerosi e ben visibili, e ci portano dapprima ad effettuare un semicerchio verso sinistra (dalla direzione est a quella nord), poi ad attraversare un valloncello, finché ci affacciamo, a quota 2320 metri circa, su quella che ci appare come un’ampia spianata nell’alta valle, dove scorgiamo una baita isolata. Nella prima parte di questa discesa, fermiamoci per osservare le cime alle nostre spalle: il corno di Colino si mostra come un impressionante conglomerato di massi, la torre di Bering quasi non si riconosce più, il sistema di rocce alla sua destra presenta spuntoni dalle forme più bizzarre.
Scendiamo, quindi, verso il pianoro, in direzione nord e, passando a monte della baita, superiamo una fascia caratterizzata da qualche roccetta, a quota 2240 circa, piegando poi gradualmente ad ovest (sinistra). Ci portiamo, così, in vista del bellissimo lago superiore di Spluga (“läch gränt”, m. 2160), alle cui acque scure fanno da corona i due passi di Primalpia (a sinistra) e Talamucca (o bocchetta di Spluga, a destra), facili porte di accesso alla valle dei Ratti, e la tozza cima del Calvo (sciöma del munt Splügao, su alcune carte, monte Spluga, 2967 metri). Un gioiello, tanto più prezioso quanto più raro, in una valle, quale la Val Masino, che all’abbondanza di superbi scenari di granito non unisce il più classico corollario dei laghetti alpini (al di là del sistema dei laghetti di Spluga, “i läch”, di un microlaghetto al centro della val Cameraccio e del laghetto di Scermendone, nulla). Poco prima di raggiungere le rive del lago, dall’itinerario disegnato dai segnavia si stacca, sulla sinistra, la traccia di sentiero che sale al passo di Primalpia (m. 2476), oltre il quale si trova un sistema analogo, costituito da due laghetti (dove però quello più grande è ad una quota più bassa). Scendendo dal passo, potremmo, poi, scegliere di raggiungere il rifugio Volta (percorrendo un tratto del Sentiero Italia) o di piegare a sinistra per il bivacco Primalpia.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Noi raggiungiamo, invece, la riva orientale del lago: sul lato opposto, a destra, vedremo la casera più alta di Spluga. L’itinerario piega, poi, a destra (est-sud-est), e, con qualche saliscendi, porta ad una radura acquitrinosa e ad un corridoio fra le rocce arrotondate, prima di passare accanto ad una baita posta a quota 2100 metri circa. Sotto di noi, a destra, scorgiamo gli altri due più modesti laghetti che costituiscono il sistema dell’alta valle di Spluga (il lago medio di Spluga ed il laghetto di Spluga). Stiamo percorrendone il tratto più suggestivo, una sorta di balcone corrugato, dall’aspetto un po’ lunare; ne raggiungiamo in breve il limite, e si apre al nostro sguardo la distesa dei pascoli della valle medio-alta, dai quali scendiamo con percorso tranquillo, in direzione della ben visibile casera di Spluga (1939).


Apri qui una fotomappa della Valle di Spluga

L’alpe viene ancora caricata, il che attenua il forte senso di solitudine che, diversamente, caratterizzerebbe questi luoghi. Sulla nostra sinistra, le poco pronunciate cime della Merdarola (sciöme da merdaröla), sul crinale che divide la valle di Spluga dalla valle omonima, e le levigate e solari pareti delle meno importanti cime che ci separano dalla valle di Cavislone, l’unica laterale di un qualche rilievo della valle principale. Ed è proprio questa valle che dovremo risalire, fino alla bocchetta della Merdarola.


L'alpe Cavislone

Per entrarvi dobbiamo lasciare il sentiero segnalato dai segnavia, che scende ripido alla corte di Cevo (“cort dè cèf”, m. 1769), alla Corte del Dosso (“cort dal dòs”, m. 1450), a Ceresolo (Sceresö, m. 1041) e, sempre rimanendo sul lato sinistro (per noi; è il lato di nord-est) della valle, al ponte sul torrente Spluga, valicato il quale si raggiunge Cevo (m. 660), sopra la località Ponte del Baffo, in Val Masino.


L'alpe Cavislone

Per effettuare la deviazione, raggiunta la casera di quota 1993, l’ultima, prima della fascia boschiva, attraversiamo una prima breve macchia di alberi e, prestando attenzione sulla sinistra, individuiamo il rudere di un baitello. Raggiungiamolo, staccandoci sulla sinistra dal sentiero: percorsa qualche decina di metri in una radura, troviamo, sul limite del bosco, la partenza di un sentiero che, con andamento quasi pianeggiante, effettua una traversata che ci porta al limite inferiore dei pascoli dell’alpe Cavislone, appena sotto la bella casera omonima (m. 1985). Il distacco dal sentiero per Cevo significa anche distacco dai segnavia: da qui fino alla media valle della Merdarola, purtroppo, l’itinerario non è segnato: è un peccato, considerata la sua bellezza e la mancanza di autentiche difficoltà.


Apri qui una panoramica dell'alpe Cavislone

L’alpe Cavislone, in una bella giornata, ci appare dal basso come un luminoso anfiteatro, immerso in una luce quasi immota, difeso, sul fianco destro, da un crinale disseminato di artigli rocciosi, con qualche bocchetta invitante, che si affaccia però sulla paurosa val Pegolera e sul pericolosissimo versante che dalla cima di Cavislone (sciöma dò caveslùn) guarda alla Val Masino, nel tratto fra il Ponte del Baffo e Cataeggio. Una diversione per salire sulla prima bocchetta (m. 2065), che si trova a destra della casera ed è colonizzata da una macchia di fitti nocciòli, o a quella posta un po’ più in alto (di quota poco inferiore ai 2200 metri) si giustificherebbe solo per gustare l’ottimo panorama sul gruppo del Disgrazia e sui pizzi Torrone: tentare una discesa sarebbe un azzardo molto pericoloso.


Apri qui una panoramica sulla conca di Cavislone

Dalla casera proseguiamo la salita, in direzione di una baita più alta, di quota 2148, che dal basso si fatica a vedere, perché nascosta in una conca. In realtà la salita verso la bocchetta non ha un percorso obbligato.


Salita alla bocchetta della Merdarola

I due punti di riferimento principali sono altrettanti promontori, che dividono in due la valle, un primo più modesto, erboso ed arrotondato (di quota 2288), ed un secondo più alto e pronunciato, con un saltino roccioso nella parte inferiore. La bocchetta, poi, è facilmente individuabile sulla testata della valle: è posta laddove si scorge un modesto intaglio a cui giunge un ultimo lembo erboso. Oltrepassata la baita più alta, procediamo tendendo leggermente a sinistra e passando ai piedi del promontorio più basso, che poi aggiriamo, volgendo a destra, fino a giungere alla sella che lo precede, a monte: da qui in pochi passi se ne raggiunge la sommità, dalla quale si domina la bella distesa dell’alpe.


Apri qui una fotomappa della Valle della Merdarola

La successiva salita punta al passaggio compreso fra il versante destro del secondo promontorio e la vasta distesa di sfasciumi che occupa un’ampia conca nella parte nord-orientale della valle. Tagliandone in salita il fianco destro, sormontiamo anche questo sperone, giungendo, a quota 2440 circa, proprio ai piedi del ripido crinale erboso che raggiunge, restringendosi, la bocchetta. Non ci resta che risalirlo, un po’ faticosamente, ma senza problemi (troviamo anche una traccia di sentiero), fino all’intaglio della bocchetta della Merdarola (m. 2515).


Il canalone che scende in Valle della Mardarola

Il panorama, su entrambi i versanti, è grandioso: lasciamo alle spalle non solo la valle di Cavislone, ma anche la compatta sinfonia delle Orobie centro-orientali, con il primo piano la Val di Tartano; si apre davanti a noi l’intera compagine delle cime del gruppo del Masino, dal pizzo Ligoncio, alla nostra sinistra, al monte Disgrazia, alla nostra destra.


Apri qui una panoramica dalla bocchetta della Mardarola

La discesa in alta valle della Merdarola, nonostante l’aspetto un po’ impressionante del canalino che la permette, non è difficile: unici reali pericoli (in assenza, s’intende, di neve o ghiaccio), sono i sassi malfermi e, su una traccia zigzagante, il terriccio che tende a franare. Non ci sono però punti esposti, perché il canalino scende non diritto, ma piegato a sinistra, parallelo alla costiera rocciosa della testata (sulla nostra sinistra) e difeso, sul lato della valle (la nostra destra) da una crestina.


Apri qui una panoramica dalla Valle della Merdarola

Dopo una curva appena accennata a destra, eccoci ad una fascia di massi che ci accoglie a quota 2450 circa. Dopo averla superata, con il percorso più razionale, raggiungiamo, in breve, il terrazzo terminale di un ampio promontorio, poco sopra quota 2300: si tratta di un pianoro estremamente panoramico, ed una sosta non potrà non riempirci di ammirazione per lo scenario superbo su tutto il gruppo del Masino-Disgrazia. Vediamo assai bene, da qui, anche il crinale che separa la valle della Merdarola dalla val Ligoncio, nella quale dovremo scendere per il quarto passo, la bocchetta di Medaccio, evidente intaglio a sinistra delle affilate punte Fiorelli (a sinistra, m. 2401) e Medaccio (a destra, m. 2350), ed a destra della punta Virgilio (m. 2482), scalata per la prima volta dall’alpinista morbegnese Giuseppe “Chiscio” Caneva e dedicata alla guida Virgilio Fiorelli. Dobbiamo ora scendere dal lato sinistro del promontorio, su una fascia di facili roccette, in direzione di un poco pronunciato canalone costituito da magri pascoli disseminati di numerosi massi.


Apri qui una panoramica dalla Valle della Merdarola

Ci portiamo alla sinistra del canalone, scendendo al crinale di un facile dosso erboso, dal quale possiamo vedere le tre baite della Merdarola, quella a quota 1959, alla nostra destra (qualche decina di metri sotto, in verticale, parte, segnalato dai segnavia, il complesso sentiero che scende ai Bagni di Masino), quella a quota 2053, la più vicina, leggermente a sinistra, e la più alta, a 2089 metri, sulla sinistra. Scendendo ancora (c’è una traccia di sentiero, ma si può scendere anche a vista), intercettiamo, in breve, il sentiero che congiunge le tre baite, poco ad est (destra) di quella intermedia: ci dirigiamo a sinistra e, riprendendo a salire, la raggiungiamo dopo un breve tratto di cammino.


La baita intermedia della Mardarola

Siamo di nuovo in compagnia dei segnavia, e questo ci rassicura, in quest’ultima parte della traversata. Dalla baita intermedia, con il tetto scoperchiato, proseguiamo verso quella più alta, per poi puntare, seguendo per un tratto il filo di un crinalino ed attraversando una fascia di grossi massi, al marcato intaglio della bocchetta di Medaccio (m. 2303). La bocchetta è un canalone chiudo dalle severi pareti della costiera, e per esso vale lo stesso discorso della bocchetta della Merdarola, con l’aggiunta di un punto che richiede un leggero impegno ed una notevole attenzione nella parte più alta. Alla base della bocchetta possiamo trovare, qualche volta anche a stagione avanzata, un nevaietto, che possiamo tagliare verso sinistra o superare ai piedi.


La bocchetta di Medaccio

Eccoci, dunque, in val Ligoncio, la metà meridionale dell’ampio anfiteatro, ben noto ai frequentatori dei Bagni di Masino, che comprende, a nord, la valle dell’Oro. Dobbiamo ora attraversarla e, sempre seguendo i segnavia, passiamo a monte di un marcato promontorio che, visto dal rifugio Omio, si rivela un’impressionante formazione di granito dalle pareti lisce, mentre visto da noi si mostra come un più insignificante sperone erboso. Perdiamo, poi, quota, passando ai piedi di una grande placca liscia, e, sempre rimanendo al di sotto di quota 2000, con qualche saliscendi puntiamo in direzione della meta, il rifugio Omio, che, fin dalla discesa per la bocchetta di Medaccio, si presenta come piccolo presidio nella sterminata estensione dei pascoli. Nell’ultimo tratto cominciamo a riguadagnare quota, fino a raggiungere il rifugio, a 2100 metri, dopo circa 7 ore di cammino, ed un dislivello in salita approssimativamente valutabile in 1200 metri, con l’orgoglio di chi potrà dire di aver effettuato una traversata raramente eguagliata in bellezza, ma ancor più raramente praticata.


Ai piedi della bocchetta di Medaccio, verso il rifugio Omio

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VARIANTE PER IL PASSO DEL CALVO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bivacco Bottani Cornaggia-Bocchetta di Toate-passo di Colino orientale-Passo di Primalpia-Bocchetta di Spluga-Passo del Calvo-Rifugio Omio
5 h
600
EE
SINTESI. Dal bivacco Bottani-Cornaggia procediamo verso est (frecce blu) fino alla bocchetta di Toate (2340), cioè l'imbocco di un ampio canalone che scende all'alta Val Toate. Una traccia di sentiero lo discende zigzagando fra i blocchi, percorrendone prima il lato sinistro, poi portandosi verso il centro ed infine leggermente a destra, li evita quasi interamente, per approdare ai pascoli della valle, approssimativamente cento metri più in basso rispetto all’imbocco. Per un buon tratto continuiamo a seguire le frecce che ci fanno tagliare, senza perdere quota, un dosso erboso, su traccia di sentiero, poi, quando queste cominciano a scendere decisamente verso la visibile baita del Colino, lasciamole alla nostra destra per seguire la traccia di sentiero che prosegue tagliando ad una quota approssimativamente costante i pascoli dell’alta valle. La traversata ci porta sul lato orientale della valle, dove, presso un gruppo di ruderi di calecc, ritroviamo i segnavia, che tracciano il percorso che da Ledino porta al passo di Colino est. Riprendiamo, quindi, a salire, con una svolta a sinistra, su un ampio dosso erboso, poi su un successivo più ad est, non lontani dal piede della poderosa Torre di Bering. La salita ci porta ai piedi del conoide erboso che scende dal passo del Colino orientale (2414), che vediamo alla nostra destra e che raggiungiamo su sentierino ben visibile. La discesa in Valle di Spluga non presenta problemi: i segnavia sono numerosi e ben visibili, e ci portano dapprima ad effettuare un semicerchio verso sinistra (dalla direzione est a quella nord), poi ad attraversare un valloncello, finché ci affacciamo, a quota 2320 metri circa, su quella che ci appare come un’ampia spianata nell’alta valle, dove scorgiamo una baita isolata. Scendiamo, quindi, verso il pianoro, in direzione nord e, passando a monte della baita, superiamo una fascia caratterizzata da qualche roccetta, a quota 2240 circa, piegando poi gradualmente ad ovest (sinistra). Ci portiamo, così, in vista del bellissimo lago superiore di Spluga, verso il quale il sentiero scende. A monte del lago intercettiamo il sentiero che da esso sale al passo di Primalpia, alla nostra sinistra. Senza scendere al lago, lo seguiamo verso sinistra (la traccia è discontinua), e giungiamo in vista dell'ampia sella del passo di Primalpia (m. 2476). Poco sotto il passo, però, prendiamo a destra (deviazione segnalata sopra un masso, indicazioni per il rifugio Volta), imboccando un sentierino che taglia il fianco di uno sperone roccioso e porta al passo gemello di Spluga (o bocchetta di Spluga, m. 2522), dove troviamo le indicazioni del Sentiero Life e del Sentiero Walter Bonatti, che da ora in poi seguiremo. Gli abbondanti segnavia ci guidano nella traversata dell'alto versante della Valle di Spluga, un mare di blocchi di tutte le dimensioni, fino alla base del passo del Calvo, segnalata da un grande cerchio bianco contornato di rosso che ci segnala che inizia un tratto esposto e potenzialmente pericoloso. L’ultimo tratto della salita, infatti, sfrutta una cengia a ridosso del fianco roccioso di destra del versante (le corde fisse assistono questo passaggio), poi uno stretto e ripido corridoio erboso (anche qui le corde fisse sono di grande aiuto), ed infine un’ultima brevissima cengia (sempre corde fisse), che ci porta non direttamente all’intaglio del passo, ma ad uno stretto corridoio che lo precede. Ora vediamo l’intaglio, alla nostra sinistra (su una placca rocciosa sono assicurate la targa gialla del Sentiero Life ed una scatola metallica), ma dobbiamo prestare attenzione anche nell’ultimo passaggino, per evitare di cadere in un singolare buco che si spalanca, improvviso, alla nostra sinistra, sotto un grande masso. La discesa in Val Ligoncio dal passo del Calvo (m. 2700) sfrutta una lunga cengia attrezzata con corde fisse, al termine della quale seguiamo i segnavia che ci fanno scendere verso sinistra su un facile terreno, fino ad un ampio dosso. L'ulteriore discesa sul dosso ci orta ad intercettare il sentiero che dal rifugio Omio travers aala bocchetta di Medaccio: seguendolo verso sinistra, raggiungiamo il rifugio Omio (m. 2100).

Valicato il passo di Colino orientale e disceso il primo tratto dell'alta valle di Spluga, possiamo effettuare una più breve traversata alta che punta al passo del Calvo e quindi permette di transitare direttamente da questa valle alla val Ligoncio, tagliando fuori la valle della Merdarola. Per sfruttare questa variante, una volta intercettato il sentiero che dal passo di Primalpia scende al lago superiore di Spluga, prendiamo a sinistra e saliamo al passo. Poco sotto il passo troviamo, su un masso, un masso che indica la deviazione a destra per la bocchetta di Spluga, valico che, come il passo di Primalpia (m. 2476), si affaccia sull'alta Valle dei Ratti.
Ci immettiamo ora sull'ultimo tratto della terza tappa del Sentiero Life delle Alpi retiche (ne troveremo diverse indicazioni). In questo tratto una debole traccia taglia il fianco dello sperone montuoso che separa i due valichi. Superata una breve fascia di massi, guadagniamo una posizione dalla quale è possibile ammirare un ampio scorcio del lago superiore di Spluga, che, purtroppo, dobbiamo lasciare qualche centinaio di metri più in basso rispetto a noi (è a 2160 metri, mentre noi stiamo oltrepassando la quota 2500), ma che, anche da qui, ci regala qualcosa del fascino profondo e selvaggio delle sue scure acque. Si tratta di un lago che merita un’attenta considerazione, anche perché è il più grande dell’intera Val Masino (valle ricchissima di scenari alpini incomparabili, ma assai povera di laghi: menzionati il lago di Spluga, appunto, e quello, in Val Terzana, di Scermendone, li abbiamo praticamente menzionati tutti). Sullo sfondo, le più alte cime della catena orobica.


Apri qui una fotomappa della Valle di Spluga

Oltrepassato un masso che segnala un bivio (a destra si scende alla baita Spluga, nei pressi del già citato lago, a sinistra si prosegue per la capanna Volta), al quale prendiamo a sinistra, eccoci, alla fine, alla bocchetta di Spluga (bochèta dè la möca, m. 2522), dove, su un masso, ritroviamo la targa gialla del Sentiero Life. Qui intercettiamo anche il sentiero Walter Bonatti. Amplissimo il panorama, non solo in direzione della media Valtellina, maanche, sul lato, opposto, in direzione della media Valle dei Ratti e dell’alto Lario. Dobbiamo, ora, stare attenti (soprattutto nell’eventualità, non remota, di foschia e visibilità limitata) a non seguire le indicazioni per la capanna Volta, che ci portano a scendere alla bocchetta verso sinistra (tali indicazioni – segnavia rosso-bianco-rossi - si giustificano in riferimento ad un percorso che, dalla bocchetta, scende in alta Valle dei Ratti e di qui al rifugio Volta). Dobbiamo, invece, rimanere a destra: raggiunta, sul lato opposto della bocchetta, una grande placca di granito con un segnavia rosso-bianco-rosso sulla sinistra, in segnavia bianco-rosso affiancato dalla targhetta azzurra con il logo “Life” sulla destra, troviamo il punto nel quale le due vie si separano.
Noi prendiamo a destra, senza però perdere quota, ma cominciando a salire a ridosso delle grandi placche di granito che scendono dalla testata nord-occidentale dell’alta Valle di Spluga. Incontriamo alcuni segnavia rosso-bianco-rossi, poi un grande quadrato bianco, e, ancora, segnavia rosso-bianco-rossi sul fianco della testata. Il sentiero sale decisamente, snodandosi fra gli ultimi magri pascoli, per poi raggiungere la sterminata e caotica zona di sfasciumi che riempie interamente l’angolo nord-occidentale dell’alta valle. Ora possiamo, guardando in basso, alla nostra destra, vedere il lago superiore di Spluga nella sua interezza. Ancora più suggestiva ci appare, sullo sfondo, la fuga di quinte delle valli orobiche (sezione centro-orientale). Terminano i pascoli e si fa meno accentuata, ma non meno faticosa, la salita: dobbiamo, infatti, ora districarci fra massi di ogni dimensione, con pazienza e cautela, seguendo la direzione dettata dagli abbondanti segnavia. La cautela è d’obbligo: siamo ormai stanchi, e la possibilità diprocurarci una storta, o peggio, anche su un terreno apparentemente non pericoloso è dietro l’angolo. Alle nostre spalle, intanto, si rende ora ben visibile, sull’angolo sud-occidentale della valle, la cima del Desenigo (m. 2845).
Ma dove andremo a finire? Dov’è il passo del Calvo che ci porterà alle soglie della Val Ligoncio? Se guardiamo davanti a noi, vedremo una larga depressione, apparentemente accessibile, dietro la quale occhieggiano, furbi ed un po’ impertinenti, i Corni Bruciati. Non è quello il passo. Si trova più a sinistra, ed è costituito da un intaglio appena distinguibile su una più modesta depressione, riconoscibile per la grande e liscia placca giallastra sottostante. Se poi queste indicazioni non bastassero a capire qual è la meta, poco male: con un po’ di pazienza, seguendo i segnavia ed alcuni grandi ometti, ci si arriverà. Dietro la bocchetta dello Spluga appare, ad un certo punto, anche l’inconfondibile corno del monte Legnone: ce lo ricordiamo, ha dominato lo scenario della prima giornata del sentiero. Alla nostra sinistra, le formazioni gotiche e tormentate della testata nord-occidentale della Valle di Spluga. Un’avvertenza: se, per qualunque motivo, ci trovassimo nella necessità di scendere a valle, cioè di scendere dalla Valle diSpluga, non scegliamo di scendere, a vista, attraversando la fascia di sfasciumi in direzione del lago: la fascia è, infatti, chiusa dal salto di qualche centinaia di metri di rocce lisce, arrotondate e ripidissime.
Dopo quasi un’ora di traversata, eccoci, infine, alla base del passo: un grande cerchio bianco contornato di rosso ci segnala che inizia un tratto esposto e potenzialmente pericoloso. L’ultimo tratto della salita, infatti, sfrutta una cengia a ridosso del fianco roccioso di destra del versante (le corde fisse assistono questo passaggio), poi uno stretto e ripido corridoio erboso (anche qui le corde fisse sono di grande aiuto), ed infine un’ultima brevissima cengia (sempre corde fisse), che ci porta non direttamente all’intaglio del passo, ma ad uno stretto corridoio che lo precede. Ora vediamo l’intaglio, alla nostra sinistra (su una placca rocciosa sono assicurate la targa gialla del Sentiero Life ed una scatola metallica), ma dobbiamo prestare attenzione anche nell’ultimo passaggino, per evitare di cadere in un singolare buco che si spalanca, improvviso, alla nostra sinistra, sotto un grande masso.

Eccoci, infine, ai 2700 metri del passo del Calvo. Se il passo di Primalpia (etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenza) emoziona, quello del Calvo toglie addirittura il fiato, perché spalanca, improvvisa e sublime, di fronte a noi, l’intera compagine delle cime del gruppo del Masino e del Monte Disgrazia ("desgràzia"). Da sinistra, l’occhio esperto riconosce, da sinistra, i pizzi dell’Oro (m. 2695, 2703 e 2576), sulla testata della valle omonima, la cima del Barbacan (sciöma dò barbacàn, o Barbacane, da un termine di origine persiana che significa "balcone", m. 2738), sulla costiera che separa la Valle dell’Oro dalla Val Porcellizzo ("val do porscelécc"), le cime d’Averta (dal dialettale "avert", cioè aperto, m. 2778, 2861), il pizzo Porcellizzo (sciöma dò porsceléc', m. 3075), la punta Torelli (m. 3137), i pizzi Badile (m. 3308) e Cengalo (dal latino "cingulum", da cui anche "seng" e "cengia", stretto risalto di roccia, 3367), che spiccano, per mole ed altezza, sulla testata della Val Porcellizzo, i pizzi Gemelli (m. 3221 e 3259), i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), occidentale (o cima della Bondasca, m. 3267), centrale (m. 3287) ed orientale (m. 3200), sulla testata della valle omonima, la cima di Zocca (m. 3175), la punta Allievi (m. 3123), la Cima di Castello ("castèl") (m. 3386), la punta Rasica ("rèsga"m. 3305), le celeberrime cime della Valle di Zocca ("val da zòca"), ed ancora i pizzi Torrone occidentale (m. 3349), centrale (m. 3290) ed orientale (m. 3333, riconoscibile per il sottile ago alla sua sinistra), sulla testata della valle omonima, il Monte Sissone ("sisùn", in Val Masino, "còrgn de sisùm", in Valmalenco; m. 3331), le cime di Chiareggio (da "clarus", nel senso di spoglio di alberi;) m. 3203, 3107 e 3093) ed il monte Pioda (sciöma da piöda, m. 3431), sulla testata della val Cameraccio, ed infine il Monte Disgrazia ("desgràzia") (m. 3678), che signoreggia per mole ed eleganza su tutte le altre cime, ed ancora loro, i Corni Bruciati (m. 3097 e 3114), sulla testata della Valle di Preda Rossa, lo scenario conclusivo del Sentiero Life.


Apri qui una fotomappa della Valle dell'Oro

È, questo, il punto più alto ed emotivamente più forte dell’intero sentiero. Resta l’ultima discesa, in Val Ligoncio e Valle dell’Oro, che ha come meta il rifugio Omio, dove si conclude questa terza giornata. Il rifugio venne edificato nel 1937 dalla Società Escursionisti Milanesi ed intitolato alla memoria di Antonio Omio, una delle sei vittime della tragica ascensione alla punta Rasica (in Valle di Zocca) del 1935. Incendiato dalle forze nazifasciste nel 1944, perché veniva utilizzato come punto di appoggio dalle forze partigiane, venne ricostruito nel 1948 e ristrutturato nel 1970 e nel 1997.
Siamo stanchi, una certa tendenza alla rilassatezza si può fare subdolamente strada, complice il pensiero ingannevole: “il più è fatto!” Invece dobbiamo rimanere concentrati ed attenti, perché il primo tratto della discesa sfrutta la lunga ed esposta cengia del Calvo (battuta da cacciatori, molto prima che da escursionisti),adeguatamente attrezzata ma pur sempre da affrontare con la debita cautela e da evitare in presenza di neve o dopo abbondanti precipitazioni (tanto per fare un paragone forse familiare a diversi lettori, assomiglia un po’ alla discesa dal passo del Barbacan (o Barbacane, da un termine di origine persiana che significa "balcone") sud- est in
Val Porcellizzo, lungo il Sentiero Risari, da molti utilizzato come prima trappa di un abbreviato Sentiero Roma). Ma dove ci troviamo esattamente? Ora, guardando una cartina ci accorgiamo che sul punto di incontro fra le valli di Spluga, Ligoncio e dei Ratti è posta la cima del Calvo (sciöma del munt Splüga), o monte Spluga (m. 2967), che resta, nascosto, alla nostra sinistra. In realtà le cime del Calvo sono due: la già citata è quella occidentale, e ve n’è una seconda, orientale (m. 2873). Ebbene, la cengia che sfrutteremo taglia, in diagonale, proprio in fianco nord-orientale di questa seconda cima, dalla base massiccia. Dopo questi chiarimenti geografici, cominciamo a scendere.
La traccia di sentiero segue la lunga cengia, in gran parte assistita da corde fisse, sempre molto utili. Scendiamo con calma, assicurandoci alle corde fisse. Sulla nostra destra si apre il selvaggio circo terminale della Val Ligoncio (la sezione meridionale di quella che genericamente viene denominata Valle dell’Oro), segnata dai repulsivi salti delle cime che la incorniciano. Distinguiamo anche, più a sinistra, la spaccatura della bocchetta di Medaccio (da "meda", mucchio, quindi monte, in forma dispregiativa), a destra della punta omonima, per la quale si può passare dalla Val Ligoncio alla Valle della Merdarola ("val da merdaröla"). Dopo un ultimo canalino di terriccio scivoloso ed una brevissima risalita, eccoci, alla fine, alla base del passo. Alla nostra sinistra vediamo un nevaietto che rimane per l’intera stagione (può servire come punto di riferimento per chi voglia riconoscere la cengia del Calvo guardando dalla Omio). Proseguiamo al discesa, un po’ faticosamente e senza allentare l’attenzione, superando una fascia di grandi massi. Alle nostre spalle si fa più riconoscibile il poderoso fianco roccioso della cima del Calvo (sciöma del munt Splüga) orientale. Alla sua destra, dopo una curiosa sequenza di irti spuntoni, defilata, la cima del Calvo occidentale, sulla verticale del nevaietto.
La discesa prosegue, seguendo i segnavia rosso-bianco-rossi, fino ai primi pascoli. Dopo un masso che presenta anche una croce rossa, attraversiamo un torrentello che scende dal nevaietto e proseguiamo nella discesa, in diagonale, verso sinistra.
Dopo un buon tratto di discesa, fermiamoci e volgiamo lo sguardo: le due cime del Calvo sono ancora più riconoscibili, e si distingue anche, sul fianco di quella orientale, la cengia che abbiamo sfruttato scendendo dal passo del Calvo. In direzione opposta, al centro della valle, si distingue il rifugio Omio.
Ed è lì che, alla fine, ci porta il sentiero, che si snoda fra i pascoli della Val Ligoncio (val dò ligùnc'), superando diversi torrentelli (àquè do ligùnc’, che confluiscono, più in basso, nel fiöm do ligunc’ o fiöm da caséna di lüsèrt) e balze. Nell’ultimo tratto il sentiero intercetta i due rami del sentiero Dario di Paolo, che salgono ai passi della Vedretta, per il quale si scende nell’alta Valle dei Ratti, e Ligoncio, per il quale si scende in valle d’Arnasca (uno dei più antichi toponimi valtellinesi, dalla radice ligure o celtica "arn", che significa "acqua").
Al rifugio Omio (m. 2100) ci godiamo, alla fine, il meritato riposo, dopo circa 5 ore di cammino: il dislivello in altezza superato è di circa 600 metri.

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