CARTA DEL PERCORSO - ALTRE ESCURSIONI A BERBENNO DI VALTELLINA - GOOGLE MAP - GALLERIA DI IMMAGINI

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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Marinella (Prato Maslino)-Alpe Vignone-Alpe Scermendone-Croce dell'Olmo-Cima di Vignone.Alpe Baric-Alpe Vignone-Prato Maslino
6 h
910
E
SINTESI. Dal lato occidentale di prato Maslino (m. 1650) imbocchiamo la mulattiera che sale all'alpe Vignone. Dalla parte bassa dell'alpe Vignone (m. 1890) un sentiero si inerpica sul ripido versante e raggiunge la baita di quota 2000 (campanella). Il sentiero prosegue verso sinistra e giunge ad un bivio: ignorato il sentiero di destra che sale all'alpe Baric, seguiamo le indicazioni del Sentiero Italia, che stiamo percorrendo. Procediamo diritti, superiamo quattro torrentelli, affrontiamo qualche saliscendi fra macchie e radure e pieghiamo a destra salendo con tornantini in una pecceta. Ben presto, però, piega di nuovo leggermente a sinistra, riprendendo l’andamento nord-ovest; superata una nuova radura-valloncello, rientriamo nella macchia, ed incontriamo un segnavia su un tronco. Il sentiero poi esce all'aperto e ci porta ad un primo vallone abbastanza marcato, che superiamo, a quota 2080, senza problemi, tagliando, poi, il successivo dosso. Una breve macchia precede un secondo vallone, a quota 2110. Dopo il successivo dosso, il sentiero piega leggermente a destra: ci attende una serie di ripidi canaloni, su un terreno piuttosto brullo. Compaiono i primi paletti bianchi con bordino rosso e scritta S.I. (Sentiero Italia). L’attraversamento del primo canalone richiede attenzione, mentre dopo il secondo troviamo un piccolo smottamento. Anche il terzo canalone, percorso da un modesto corso d’acqua, richiede un po’ di attenzione; la successiva salita ci porta a tagliare il filo di un dosso, oltre il quale incontriamo un modesto avvallamento, che precede un terrazzino erboso. È questo il punto nel quale prestare maggiore attenzione, perché la “paiùsa” ha colonizzato interamente il sentiero, e si rischia di scivolare, soprattutto nella discesa che ci porta ad un nuovo canalone, oltre il quale la salita riprende. Dopo una salita aggiriamo un nuovo dosso, portandoci in vista del bivacco Scermenone, che raggiungiamo procedendo quasi in piano. Poco più avanti ci portiamo alla chiesetta di San Quirico (San Ceres, m. 2131). Dopo una visita alla chiesetta, torniamo indietro sul Sentiero Italia; poco oltre il bivacco Scermendone, notiamo sulla sinistra un sentiero che se ne stacca e sale sul versante erboso, La traccia si fa più debole e si perde, ma procediamo a vista in direzione di un poggio alto alla nostra destra, con un grande ometto, e raggiungiamo così la Croce dell'Olmo (m. 2342). Proseguendo sul largo crinale, passiamo accanto ad una pozza e ci portiamo ad un bivio: prendendo a destra si scende all'alpe Baric, a sinistra al lago di Scermendone. Non seguiamo nessuna di queste due direttrici, ma procediamo diritti giungendo subito al piede dell'arrotondata elevazione della cima di Vignone. Un sentierino piega a sinistra e ne risale il fianco meridionale, poi piega a destra ed in breve porta all'ometto della cima di Vignone (m. 2608). Tornati al bivio con cartello, prendiamo a destra (ometto a punta di lancia) ed imbocchiamo il sentiero che scende all'alpe Baric. Ad una nuova serie di cartelli, proseguiamo prendendo a destra e seguendo il sentiero che scende alla parte alta dell'alpe Vignone. Ci ritroviamo al bivio già incontrato nella salita. Proseguiamo nella discesa alla parte bassa dell'alpe ed imbocchiamo sul limite di sinistra la mulattiera che riporta a Prato Maslino.



Apri qui una videomappa sul versante retico da Ardenno a Berbenno

Il versante retico sul quale si dispongono, da ovest ad est, i comuni di Ardenno, Buglio in Monte e Berbenno di Valtellina culmina nel lungo crinale che separa il fondovalle valtellinese dalla Val Masino e dalla Val Terzana (chiamata anche Valle di Scermendone: così, per esempio, nella carta della Val Masino curata dal conte Lurani, nel 1881-1882), che confluisce, da nord-est, nella Valle di Sasso Bisòlo, la più orientale delle valli che costituiscono la Val Masino. Il crinale sale gradualmente, da ovest ad est, proponendo l’appena accennata cima di Granda, all’alpe omonima (m. 1706), il pizzo Mercantelli (m. 2070), lo splendido alpeggio di Scermendone, lo speroncino sul quale è posta la Croce dell’Olmo (m. 2342), l’arrotondata cima di Vignone (m. 2608), la cima quotata 2643 ed infine, sull’angolo di nord-est del versante, il pizzo Bello (m. 2743).
La cima di Vignone domina l’ampio sistema di alpeggi Vignone-Baric, il più importante, insieme all’alpe Caldenno nell’omonima valle, nel territorio del comune di Berbenno. La salita alla cima non presenta difficoltà ed è ampiamente remunerata da un panorama di prim’ordine. Può essere effettuata partendo da Prato Maslino e sfruttando diversi itinerari. Quello proposto qui combina ad anello il Sentiero Italia nella sezione che congiunge il rifugio Marinella al bivacco Scermendone, la salita lungo il crinale che passa per la Croce dell’Olmo e culmina alla cima di Vignone ed infine la discesa agli alpeggi di Baric e Vignone, che può avvenire per due vie: la più breve, che sfrutta la mulattiera principale, ai piedi della cima di Vignone, e la più lunga, per la bocchetta compresa fra la cima quotata 2643 sulla carta IGM ed il pizzo Bello. Una seconda via che, volendo, può essere ulteriormente allungata di una quarantina di minuti e coronata con la salita alla cima del pizzo Bello.
Punto di partenza dell’escursione è Prato Maslino, lo splendido ed ampio terrazzo di prati nella parte medio-alta del versante retico sopra Berbenno. Lo si raggiunge salendo verso il centro di Berbenno e prendendo a sinistra (indicazioni per Regoledo). Ci si immette, così, sulla strada asfaltata che attraversa la frazione di Regoledo, ad ovest di Berbenno, e che ci porta ad un bivio: proseguendo diritti si sale a Monastero, mentre svoltando a destra (come chiarisce un cartello) si inizia a salire a Prato Maslino. Nel primo tratto la strada, con andamento complessivo nord-est, supera i prati di Fumaset, Muscio e Bardagli e si porta quasi sul ciglio del versante orientale della Val Finale, a quota 850 metri circa. Piega, poi, decisamente a sinistra, salendo in direzione ovest ed effettuando un lungo traverso, interrotto solo da due brevi tornanti in località Pra Balzàr. Ignorata, in corrispondenza di due cassonetti della spazzatura, la successiva deviazione a destra per Prà Campiscio e Prà Misciold, raggiungiamo il bel maggengo della Foppa, una splendida conca di prati posta a 1090 metri, che la strada, piegando a destra, taglia con andamento diritto sud-nord, in un tratto nel quale l’antico fondo in grisc, per fortuna, è stato conservato.

Val Vignone

La strada assume, quindi, nuovamente l’andamento nord-ovest per un breve tratto, portandosi sul ciglio del versante orientale della Val Vignone. Qui piega a destra ed assume la direzione complessiva nord-est, salendo, con pendenza severa, nella cornice di un’ombrosa pecceta. I tornanti si susseguono incalzanti, finché si sbuca ad una prima ampia radura, un incantevole pianoro a quota 1518, che precede di poco Prato Maslino. Ripresa la salita, l’asfalto lascia il posto allo sterrato, ma ormai la meta è vicina: dopo un ultimo tornante destrorso (al quale ignoriamo una pista secondaria che si stacca sulla sinistra: porta al punto di partenza della mulattiera per l’alpe Vignone, ma parcheggiare è problematico), la pista termina ad un ampio parcheggio, sul limite inferiore dell’ampio terrazzo di Prato Maslìno, a 1610 metri circa.
Lasciata qui l’automobile, notiamo che appena a monte del parcheggio si trova il rifugio Marinella: si tratta di un punto-tappa del Sentiero Italia (che giunge fin qui dall’alpe Scermendone e prosegue per la Valle del Caldenno e la Val Torreggio (Val del Turéc'), dove si trova il successivo punto tappa, il rifugio Bosio), che dispone di 27 posti letto, servizio di ristorante e servizi, ed è aperto da maggio ad ottobre (gestione: Leana Bongiolatti, di Berbenno, tel. 0342 492838). Saliamo, ora, ai prati, passando fra le numerose e belle baite e nei pressi di una fontana. Alla nostra sinistra notiamo anche una graziosa chiesetta, che veglia sulla profondissima quiete di cui sembra circonfuso lo scenario alpestre di rara bellezza. Il termine Maslino significa, etimologicamente, piccolo maso, cioè piccolo podere, ma l’impressione è quella di una grande apertura e luminosità. Procediamo scendendo leggermente alla depressione che precede l’impennata terminale dei prati: qui troviamo una traccia di pista, seguendo la quale verso sinistra raggiungiamo il limite nord-occidentale dell’alpeggio, al quale giunge anche la pista con fondo in cemento di cui sopra si è fatta menzione.
Qui, a quota 1600 circa, troviamo due cartelli dei CAI: il primo indica, nella direzione dalla quale proveniamo (il lato opposto, cioè orientale, dei prati) Prato Isio, dato ad un’ora, l’alpe Caldenno, data ad un’ora e 30 minuti ed il passo Scermendone, dato a 4 ore; il secondo, che ci interessa, indica che la mulattiera porta all’alpe Vignone in un’ora e che proseguendo si può salire, in 2 ore e 50 minuti, al pizzo Bello, o traversare, in 2 ore e 40 minuti, al lago di Scermendone (curiosamente, non indica che il medesimo passo Scermendone, menzionato dal precedente, è raggiungibile anche per questa via, ed in un tempo inferiore, diciamo 3 ore e 40 minuti).
Imbocchiamo, dunque, la mulattiera che procede in direzione nord-ovest, con un buon tratto iniziale pianeggiante. Superato il vallone che scende ad ovest del dosso di Piviana, ci portiamo sul filo di un secondo dosso, raggiungendo il punto (quotato 1602 metri) nel quale, ad una semicurva a destra, dalla mulattiera si stacca, sulla sinistra, il sentiero che scende ai prati del Gaggio di Monastero. Ignoriamo questa deviazione e proseguiamo sulla mulattiera, che comincia a salire con pendenza abbastanza severa, superando, a quota 1650, un secondo e più ampio vallone, per poi raggiungere il filo del lungo dosso sul quale, oltre quattrocento metri più in basso, si aprono i prati del Gaggio di Monastero. La mulattiera comincia, quindi, a piegare a destra, assumendo l’andamento nord-nord-est. Siamo nel cuore di una splendida pecceta, che però viene gradualmente sostituita da una boscaglia più disordinata. Superiamo, così, un valloncello, in un tratto con fondo in cemento.
Dopo alcuni tornantini, un ultimo traverso ci porta sul limite inferiore dell’alpe Vignone, dove ci accoglie la baita più bassa, quotata 1881 metri. L’alpe si stende su una lunga fascia di prati piuttosto ripida (solo molto più in alto, all’alpe Baric, si trova una conca), che però restituisce un grande senso di luminosità ed apertura.


Apri qui una panoramica del Sentiero Italia da Scermendone all'alpe Vignone

Guardando in alto, ci parrà di individuare nell’arrotondata cima che sta proprio sulla verticale dei prati la nostra meta. In realtà si tratta della cima quotata 2643 metri; la cima di Vignone si trova alla sua sinistra e, vista da qui, mostra un profilo assai largo e poco pronunciato. La mulattiera lascia quindi il posto ad un sentiero, sempre ben marcato, che sale in direzione di alcune baite poste più in alto. Superiamo così una coppia di baite ed una baita isolata, passando poi a sinistra di un grande ometto. Il sentiero piega, qui, a sinistra e conduce alla baita di quota 2000 (baita di sinistra di una coppia di baite), dove troviamo una campanella ed un’edicola dedicata alla Madonna. Questa baita rimane sempre aperta per offrire rifugio agli escursionisti che ne avessero bisogno. Il sentiero prosegue verso sinistra (nord-ovest), raggiungendo, in breve, un bivio segnalato da cartelli del CAI, che danno Prato Maslino, nella direzione dalla quale proveniamo, a 40 minuti. Indicano, poi, che il sentiero di destra porta in 40 minuti all’alpe Baric, in un’ora e 50 minuti al pizzo Bello o in un’ora e 40 minuti al laghetto di Scermendone, mentre quello che prosegue diritto, in direzione nord-ovest (si tratta del Sentiero Italia, che scende al rifugio Marinella nella sua 287sima tappa), porta, in un’ora, all’alpe Scermendone ed a San Quirico.
È questa seconda la direzione che ci interessa (utilizzeremo, invece, la prima al ritorno; nulla vieta, ovviamente, che si percorra l’anello in senso contrario rispetto a quello orario che abbiamo scelto per la maggiore semplicità). Proseguiamo, dunque, diritti, giungendo, in breve, al guado di uno dei rami che confluiscono, più in basso, nel torrente Vignone.


Apri qui una panoramica da San Quirico (San Ceres)

Poco più avanti attraversiamo, con l’ausilio di un asse in legno (piuttosto malfermo: attenzione!), un secondo ramo del torrente, e notiamo, appena oltre il guado, su un sasso, un segnavia bianco-rosso molto sbiadito. Dopo una breve discesa, attraversiamo il terzo corso d’acqua e, dopo alcuni saliscendi, il quarto ed ultimo. Una nuova breve discesa ci porta al limite di una macchia di larici ed abeti. Scendendo ancora, raggiungiamo una radura con un valloncello appena accennato: guardando verso sud, vediamo bene la piana della Selvetta ed il paese della Sirta, la Val Fabiolo ed uno scorcio della Val di Tartano, il versante occidentale della Val Gerola e, sul fondo, a destra, il corno del monte Legnone. Dopo una seconda radura, rientriamo nella macchia, incontrando, su un tronco, un secondo segnavia bianco-rosso. Una salitella ci porta ad una nuova radura-valloncello, dove si trovano due caselli dell’acqua ed una vasca in cemento. Da qui si vedono bene, sempre a sud, la Val Madre ed il passo di Dordona. Nuova salitella nella macchia e nuova radura-valloncello.


Il monte Disgrazia visto da Scermendone

Rientrati nella macchia di abeti e larici, continuiamo a salire, incontrando, sulla destra, alcune formazioni rocciose. Il luogo è molto bello e suggestivo, arcano, quasi, nella sua solitudine profonda. Poco dopo il sentiero piega leggermente a destra, procedendo in direzione nord con una serie di serrati tornantini. Ben presto, però, piega di nuovo leggermente a sinistra, riprendendo l’andamento nord-ovest; superata una nuova radura-valloncello, rientriamo nella macchia, ed incontriamo il terzo segnavia, sempre su un tronco. Qui la macchia è chiusa ed il fondo del sentiero molto bello, un tappeto di aghi di abete: è una gioia difficile da esprimere respirare l’atmosfera di luoghi come questo. Ben presto però il bosco si dirada ed il sentiero ci porta al primo vallone abbastanza marcato, che superiamo, a quota 2080, senza problemi, tagliando, poi, il successivo dosso.
Ora siamo all’aperto: intorno a noi, solo qualche rado abete. Una breve macchia precede un secondo vallone, a quota 2110: la traccia è, qui, un po’ più stretta, insidiata dalla “paiùsa” o “erba vìsega”, ma con un minimo di attenzione non incontriamo problemi.


Il nuovo bivacco Scermendone

Sormontato il successivo dosso, restiamo senza fiato: improvviso si apre, ad ovest, cioè proprio davanti a noi, il bellissimo scenario della sezione occidentale del gruppo del Masino, che propone, da sinistra, il Corno di Colino e la cima del Desenigo (m. 2845), alla cui destra si aprono i passi gemelli di Primalpia (pàs de primalpia, m. 2477) e della bocchetta di Spluga o di Talamucca (bochèta de la möca, m. 2532), che congiungono l’alta Valle di Spluga alla Valle dei Ratti. Procedendo verso destra, notiamo l’affilata cima del monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), posto all’incontro di Valle di Spluga, Val Ligoncio e Valle dei Ratti. I più modesti pizzi Ratti (m. 2919) e della Vedretta (m. 2909) preparano l’arrotondata cima del pizzo Ligoncio (Ligunc’, m. 3038), che si innalza sopra una larga base di granito, nel catino glaciale che si apre sopra i Bagni di Masino (Val Ligoncio e Valle dell’Oro). Alla sua destra, la punta della Sfinge (m. 2802) precede la larga depressione sul cui è posto il passo Ligoncio (m. 2575), fra la valle omonima e la Valle d’Arnasca (Val Codera). A nord del passo si distinguono i modesti pizzi dell’Oro (meridionale, m. 2695, centrale, m. 2703 e settentrionale, m. 2576), seguiti dall’affilata punta Milano (m. 2610), che precede di poco la costiera del Barbacan, fra Valle dell’Oro e Val Porcellizzo, la quale culmina nella cima del Barbacan (m. 2738). Ai piedi di questo superbo schieramento di cime si stende il lungo serpente erboso dell’alpe Scermendone.


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Ora il sentiero piega leggermente a destra: ci attende una serie di ripidi canaloni, su un terreno piuttosto brullo, ingentilito solo da qualche rado abete. Compaiono i primi paletti bianchi con bordino rosso e scritta S.I. (Sentiero Italia), che risultano utili, dal momento che la traccia non è sempre chiara. L’attraversamento del primo canalone richiede attenzione, mentre dopo il secondo troviamo un piccolo smottamento. Anche il terzo canalone, percorso da un modesto corso d’acqua, richiede un po’ di attenzione; la successiva salita ci porta a tagliare il filo di un dosso, oltre il quale incontriamo un modesto avvallamento, che precede un terrazzino erboso. È questo il punto nel quale prestare maggiore attenzione, perché la “paiùsa” ha colonizzato interamente il sentiero, e si rischia di scivolare, soprattutto nella discesa che ci porta ad un nuovo canalone, oltre il quale la salita riprende. Per fortuna la “paiùsa” allenta la presa ed il piede torna a posarsi su terreno più sicuro (ma sempre insidioso se bagnato). La compagnia di qualche giovane abete, peraltro sempre poco loquace, rende meno noioso questo tratto della traversata.

La nuova e la vecchia Crus de l'Om

Dopo una salita aggiriamo un nuovo dosso, portandoci in vista del bivacco di Scermendone, che ora vediamo davanti a noi, incorniciato dalla cima di Arcano e dalla cima degli Ali, sulla costiera Remoluzza-Arcanzo che separa la Val di Mello dalla Valle di Preda Rossa. Il terreno si fa gradualmente più tranquillo. Incontriamo ben presto, sulla destra, una traccia secondaria che sale ed una vasca di contenimento presso una sorgente inaridita. Più avanti ci raggiunge, salendo da sinistra, una traccia che proviene dal grande dosso sul quale è posta, qualche centinaio di metri più in basso, l’alpe Oligna, nel territorio del comune di Buglio (siamo, infatti, passati dal territorio di Berbenno a quello di Buglio attraversando, prima della sequenza di canaloni, il largo dosso del Termine; lo riconosciamo guardando verso l’alto, perché culmina in uno speroncino appuntito, sovrastato da un grande ometto e dalla Croce dell’Olmo, per la quale passeremo nel prosieguo dell’escursione). Attraversiamo, quindi, un primo modesto smottamento ed un secondo ben più vasto (la traccia è comunque anche qui sufficientemente marcata da non creare eccessivi problemi), che precede l’ultima salitella. Il bivacco Scermendone in questo tratto è nascosto dalla rientranza di un dosso, ed incontriamo, sulla destra, un secondo sentiero che si stacca dal nostro, salendo: lo sfrutteremo per la seconda parte dell’anello. Ora, però, proseguiamo diritti nell’ultimo breve tratto che si separa dal bivacco, ottimo punto di appoggio per una sosta ristoratrice, che non guasta dopo le prime due ore ed un quarto di cammino.
Qualche nota di bilancio su questa splendida traversata: nonostante la traccia sia in qualche punto debole e corra su versanti piuttosto ripidi, non presenta reali problemi ad une escursionista semplicemente attento; le cose cambiano, però, su terreno bagnato o in presenza di neve o gelo. Poche decine di metri più in là, sul limite nord-orientale dell’alpe Scermendone vediamo la chiesetta di San Quirico (San Cères, 2131 m.), stupendo esempio di chiesetta alpestre dedicata ad uno dei martiri più piccoli della storia cristiana. La sua campanella ha per secoli chiamato a raccolta i pastori dell’alpe, ed anche oggi, la seconda domenica di luglio, annuncia S. Messa nella festa dedicata al santo, che richiama un numeroso concorso di appassionati di questi splendidi luoghi.
L’alpe è davvero una delle più belle del versante retico, per la sua panoramicità ed estensione. Diverse sono le ipotesi sull’origine del nome: forse è da ricercarsi in un nome personale o soprannome, cui è premesso "Scer" da "ser" o "scior", cioè "signore". Alcuni ipotizzano, invece, una derivazione etrusca da "cer", "cerro", o dal germanico "schirm", che significa ricovero per il bestiame. Non è da escludere, infine, la voce del dialetto bergamasco "scérem", che significa soccida, un particolare contratto fra il proprietario di alpeggi ed un prestatore d'opera che vi conduceva anche alcuni capi di bestiame propri. Anche oggi l’alpe è caricata, anche se non si raggiunge più il considerevole numero dei 200 capi che venivano censiti fino a qualche decennio fa. Se proseguiamo, in diagonale, in direzione dell’opposto versante che, pochi passi più in là, guarda sulla Valle di Preda Rossa, potremo ammirare anche uno scorcio del monte Disgrazia: è l’unico punto del nostro anello in cui la più alta cima della Val Masino (m. 3654) si lascia ammirare.
E', però, il Sasso Arso, che nasconde i Corni Bruciati, a dominare, sulla sua destra, lo scenario. Le tonalità rossastre che dominano l’intero versante settentrionale della Val Terzana evocano il terribile evento che segnò, in un’epoca senza nome, indelebilmente questi luoghi, mutando il nome dell’antico pizzo Bello in quello sinistro di monte Disgrazia ed imponendo altri nomi eloquenti alle cime circostanti, Corni bruciati, appunto e Sasso Arso: gli splendidi alpeggi che contornavano queste cime vennero consumati in un immane rogo, punizione per l’egoismo dei pastori che non accolsero il Signore nascosto dalle vesti di umile mendicante. Solo uno si salvò, l’unico ad aver accolto il mendicante: per il suo buon cuore ottenne in dono dapprima di essere avvisato per tempo, affinché lasciasse al più presto l’alpeggio senza voltarsi indietro; ottenne, poi, dopo aver perso la vista perché non aveva saputo resistere ed aveva guardato la pioggia di fuoco dal cielo che cuoceva le stesse rocce, di poterla riacquistare bagnandosi all’acqua di una fonte miracolosa (l’acqua di öcc, acqua degli occhi: troviamo ancora la sorgente, scendendo da San Quirico sul sentiero che porta al grande baitone-ricovero per le bestie; si trova a poca distanza da questo, sulla destra, custodita da una piccola nicchia di sassi, e dona ancora, quando non è inaridita, quell’acqua che preserva dalle malattie gli occhi). Gli occhi, appunto: è una gioia per i nostri occhi poter ammirare lo splendore di questi luoghi. Ma poi viene il tempo di lasciarli, per luoghi non meno belli.
La seconda parte dell’anello prevede, molto semplicemente, la risalita del crinale che separa la media Valtellina dalla Val Terzana (la più orientale fra le laterali della Val Masino), fino alla cima di Vignone. Torniamo, quindi, indietro, sul Sentiero Italia, per un breve tratto, fino ad incontrare la prima traccia che si stacca dal sentiero sulla sinistra ed inizia a salire sul versante erboso. Seguendolo, tagliamo un dosso poco pronunciato e ci affacciamo ad un ampio scivolo che scende, con pendenza abbastanza ripida ma non problematica, dal crinale. Proseguiamo a salire in diagonale, tenendoci, più o meno, sul lato sinistro dello scivolo lasciando a destra una sorta di piccolo corno: inseguiamo, più che seguire, la traccia che sembra sempre lì lì per lasciarci. Non ci sono problemi, però: anche una semplice, per quanto faticosa, salita a vista fa al caso nostro. Raggiungiamo, così, quelli che sembrano ruderi di baitelli o semplici cumuli di sassi, sulla verticale di un grande ometto posto sul crinale, lasciandoli alla nostra sinistra e piegano con molta gradualità a destra. Passiamo, così, a monte del cornetto e vediamo, ancora abbastanza lontano, davanti a noi il grande ometto, posto su uno sperone sul lato destro del crinale, che presidia la Croce dell’Olmo. Puntiamo in quella direzione (est-sud-est): per un breve tratto una balza ci nasconde alla vista la meta, che però quasi subito ricompare. Ancora qualche sforzo, rimontando, parrebbe, la corrente di una splendida ed ampia fiumana erbosa, ed eccoci alla croce, preannunciata dal grande ometto.
La Croce dell'Olmo è posta, a 2342 metri, su uno speroncino di roccette nel punto culminante del già menzionato Dosso del Termine che, come indica la denominazione stessa (da “tèrmen”, confine), fa da confine fra i comuni di Buglio in Monte e Berbenno di Valtellina. È una modesta croce in legno (qualche anno fa ce n’era una ancora più modesta e malridotta, che però, nella sua povertà, con quel braccio orizzontale mestamente reclinato, sembrava perfetta per questo luogo ascetico). Nel suo nome nasconde un mistero: il riferimento diretto all’albero, data la quota, è da escludersi; c’entra, forse, un riferimento indiretto, in quanto l’olmo era rappresentato nello stemma della famiglia degli Olmo, che venne dalla bergamasca in Valtellina nei secoli scorsi, ed alla quale si riconduce anche il paesino di Olmo, in Valchiavenna. Stupendo il panorama. Sul fondo, ad ovest, le valli di Spluga, della Merdarola, Ligoncio e dell’Oro; poi, più a destra, la costiera Remoluzza-Arcanzo, che ci nega la visuale della splendida sequenza delle più nome cime del gruppo del Masino. Ai piedi di questo splendido scenario, il lungo serpente dell’alpe Scermendone (rivediamo san Quirico ed il baitone). A nord la cima meridionale dei Corni Bruciati (m. 3114), che occhieggia appena alle spalle del crinale erboso che ci separa dalla Val Terzana. Alla sua destra, il timido ed arrotondato profilo della nostra meta, la cima di Vignone. A sud, infine, le Orobie, che si distendono, nella fitta trama di cime che giochiamo volentieri a riconoscere, percorrendole una ad una fino all’inconfondibile corno del monte Legnone, vera colonna d’Ercole che segna il confine della Valtellina, alle soglie di altri monti ed altri mondi.
Lasciamo questo luogo mitico, o forse, meglio, mistico, proseguendo, verso sinistra, la salita lungo l’ampio corridoio erboso e rientrando nel territorio del comune di Berbenno. Ci attende, quasi subito, una graditissima sorpresa, una pozza nascosta nel cuore di una conce che si apre al centro del crinale. Sediamoci a contemplarla, guardando verso est: l’orizzonte, intorno a noi, quasi si chiude. Nessun profilo di monti disturba l’abbraccio, materno, del coro di zolle erbose che ci circonda da ogni lato. Rimane, sul fondo, solo il dolce profilo della cima di Vignone che si specchia in queste poche preziose acque, in questo anello nuziale che ricorda antichissime nozze fra cielo e terra.
Riprende il cammino, a destra del crinale che si innalza fino alle roccette della quota 2395, per poi scendere ad un’ampia sella erbosa, a quota 2380, non quotata né nominata sulle carte IGM. La sella ci dischiude un ampio scorcio della media ed alta Val Terzana: si mostrano ancora i Corni Bruciati, si rinnova l’inquietudine al pensiero di quell’arcaica pioggia di fuoco che ne ha fuso e sbriciolato tanta parte della compagine rocciosa, ora frantumata ed adagiata sui fianchi meridionali. Un canalone dolce e molto ampio scende verso il fondovalle: non sarebbe difficile scendere a vista fino all’alpe Piano di Spini (m. 2198), che, però, da qui non si mostra: nella parte bassa del canalone si deve, però passare da destra a sinistra di un corso d’acqua che dal crinale scende alla conce dell’alpe.
Ma torniamo a noi: volgendo lo sguardo a destra, cioè, di nuovo, al crinale, scorgiamo, più in alto, due cartelli del CAI, presso un grande ometto. Li raggiungiamo ed apprendiamo che segnalano la partenza della mulattiera che, dalla quota 2420 del crinale, tagliando il fianco meridionale della cima di Vignone, scende all’alpe Baric, a monte dell’alpe Vignone. Un cartello dà, in questa direzione, l’alpe Baric a 45 minuti e Prato Maslino a due ore (ma dentro questi tempi sta una discesa con passo comodo e tranquillo). Il secondo cartello segnala, invece, la debole traccia che, volgendo a sinistra, descrive un arco che consente di scendere, in 30 minuti, al laghetto di Scermendone (m. 2339), nell’alta Val Terzana, piccolo gioiello nascosto ai nostri occhi.

Alpe Baric

Ma diversa è la nostra meta: la cima di Vignone, che da qui mostra il suo largo crinale sud-occidentale, è ormai vicina. C’è una debole traccia di sentiero che la raggiunge (ma anche una salita a vista, su questo crinale, non presenta problemi). Lasciamo, dunque, alla nostra destra la mulattiera per l’alpe Baric e, procedendo in direzione nord-est, in parallelo rispetto al crinale, ma più in basso, puntiamo ad un secondo grande ometto, portandoci, poi, ad un terzo grande ometto, ai piedi di una fascia di sfasciumi. Qui la traccia piega a destra (direzione nord-ovest), tagliando, con qualche serpentina, la fascia di massi e magri pascoli, fino a raggiungere il crinale, dove piega a destra e torna ad assumere l’andamento nord-est, raggiungendo un quarto grande ometto che precede di poco la cima. Nella parte terminale anche la pendenza si addolcisce, ed in breve siamo all’ometto della cima, a 2608 metri. Una cima molto panoramica: dominiamo, da qui, la Val Terzana, il Corno Bruciato meridionale, la Valle dell'Oro e parte della testata della Val Porcellizzo, in Val Masino, l'intera catena orobica, buona parte della media e bassa Valtellina. Appare, infine, molto vicina, ad est, la cima del pizzo Bello.
Vediamo, in dettaglio, la splendida teoria di cime che possiamo osservare dal grande ometto della cima. Guardando ad ovest, distinguiamo, dietro il lungo serpente dell'alpe Scermendone, la cima del Desenigo (m. 2845), alla cui destra si aprono i passi gemelli di Primalpia (pàs de primalpia, m. 2477) e della bocchetta di Spluga o di Talamucca (bochèta de la möca, m. 2532), che congiungono l’alta Valle di Spluga alla Valle dei Ratti. Procedendo verso destra, notiamo, alle spalle della massiccia e severa costiera Cavislone-Lobbia, l’affilata cima del monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), posto all’incontro di Valle di Spluga, Val Ligoncio e Valle dei Ratti.


Apri qui una fotomappa dalla cima di Vignone all'alpe Baric

I più modesti pizzi Ratti (m. 2919) e della Vedretta (m. 2909) preparano l’arrotondata cima del pizzo Ligoncio (Ligunc’, m. 3038), che si innalza sopra una larga base di granito, nel catino glaciale che si apre sopra i Bagni di Masino (Val Ligoncio e Valle dell’Oro). Alla sua destra, la punta della Sfinge (m. 2802) precede la larga depressione sul cui è posto il passo Ligoncio (m. 2575), fra la valle omonima e la Valle d’Arnasca (Val Codera). A nord del passo si distinguono i modesti pizzi dell’Oro (meridionale, m. 2695, centrale, m. 2703 e settentrionale, m. 2576), seguiti dall’affilata punta Milano (m. 2610), che precede di poco la costiera del Barbacan, fra Valle dell’Oro e Val Porcellizzo, la quale culmina nella cima del Barbacan (m. 2738).
Proseguendo verso nord, la testata della Val Porcellizzo propone le poco pronunciate cime d’Averta (meridionale, m. 2733, centrale, m. 2861 e settentrionale, m. 2947), che sono, però, nascoste dalla cima di Arcanzo e dalla cima degli Alli, sulla costiera Remoulzza-Arcanzo (fra Val di Mello e Valle di Sasso Bisolo), che si propone in primo piano. Più a destra si vede appena il pizzo Porcellizzo (il pèz, m. 3075). Si riconoscono, poi, le più celebri cime della Val Porcellizzo: il celeberrimo pizzo Badile (badì, m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195), ed il secondo signore della valle, il pizzo Cengalo (cìngol, m. 3367). Alla sua destra, da una prospettiva cursiosamente defilata, il pizzo del Ferro occidentale (o cima della Bondasca, m. 3267), il pizzo del Ferro centrale (m. 3287), il torrione del Ferro (m. 3070) ed il pizzo del Ferro orientale (m. 3200), che costituiscono la testata della Valle del Ferro (laterale della Val di Mello) e sono chiamati nel dialetto di Val Masino “sciöme do fèr”.
Le rimanenti cime del gruppo del Masino sono nascoste dalla costiera che separa la Val Terzana, che si apre, solitaria e bellissima, sotto di noi, e la Valle di Preda Rossa, che resta, invece, interamente nascosta ai nostri occhi. Su questa costiera, che si innalza gradualmente appena a destra del pizzo dell'Averta (sulla costiera Remoluzza-Arcanzo), dominata dalle tonalità rossastre, si distinguono, da sinistra, il Sasso Arso (m. 2314) e due delle tre punte dei Corni Bruciati, meridionale, m. 2958, e centrale, m. 3114: resta nascosta quella settentrionale (m. 3097). A destra della punta centrale si scorge un piccolissimo segmento del crinale terminale del monte Disgrazia (m. 3678), seguito dal pizzo Cassandra (m. 3226: il nome rimanda alla profetessa che nell'antichità ebbe la triste sorte di preannunciare disgrazie - che poi sarebbero accadute - senza essere creduta da nessuno). In basso, fra i Corni Bruciati ed il monte Disgrazia, il passo di Scermendone (m. 2595).


Apri qui una panoramica su Corni Bruciati e pizzo Bello

A destra del pizzo Cassandra si vede, lontana, una porzione della sezione orientale della testata della Valmalenco: si distinguono i pizzi Argient (m. 3945) e Zupò (m. 3995) e la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882). Poi il pizzo Bello (m. 2743) chiude l'orizzonte nord-orientale.
Ad est, sul fondo, il gruppo dell'Adamello, mentre il panorama di sud-est, sud e sud-ovest è interamente occupato dalla catena orovica, che si mostra in tutta la sua ampiezza, chiusa, a destra, dall'inconfondibile corno del monte Legnone.
Culmina qui il nostro anello, ed è tempo di scegliere la via di discesa. La più semplice consiste nel ritornare alla coppia di cartelli sopra menzionata, per poi imboccare la mulattiera che, tagliando il ripido fianco meridionale della cima di Vignone, porta all’alpe Baric. A quest’alpe possiamo, però, giungere per una diversa, più lunga ma più interessante via. Se scegliamo questa seconda opzione, proseguiamo, dalla cima di Vignone, scendendo per il ripido crinale orientale: una debole traccia di sentiero, che si appoggia leggermente al versante sinistro (sulla Val Terzana) porta, in pochi minuti, ad una sella occupata da roccette, che si trova, a quota 2550 metri circa, proprio sulla verticale, a nord dell’alpe Baric. La discesa dalla bocchetta all’alpe è piuttosto problematica per un passaggino esposto nella sua prima parte.
Meglio proseguire verso est, in direzione di una seconda sella, fra la cima quotata 2643, il cui crinale sale proprio davanti a noi, ed il pizzo Bello. Per raggiungere questa seconda sella, posta ad una quota approssimativa di 2600 metri, dobbiamo passare per una sorta di corridoio posto ai piedi del versante settentrionale della cima di quota 2643. Nulla vieta, però che prima effettuiamo una puntata a questa cima, che, dal fondovalle valtellinese, appare come la più elegante del gruppo, tanto da essere facilmente confusa con il pizzo Bello; per salire seguiamo il crinale e, nell’ultima parte, per evitare qualche passaggio esposto alla nostra destra, appoggiamoci agli sfasciumi alla nostra sinistra, procedendo, con attenzione, fino all’ometto della cima. Dalla cima, però, ci conviene, poi, tornare alla prima bocchetta per la medesima via di salita, perché la discesa dal versante opposto è piuttosto problematica.
Ma torniamo alla traversata alla seconda bocchetta: essa avviene facilmente, fra roccette affioranti e qualche magro pascolo. Alla bocchetta troviamo una nuova coppia di cartelli del CAI: il primo segnala, sulla sinistra (cioè in direzione della Val Terzana), il passo di Scermendone a 30 minuti ed il laghetto di Scermendone a 45 minuti; il secondo, invece, dà la cima del pizzo Bello a 20 minuti. Vale la pena di approfittarne: si sale a questa cima, senza particolari problemi, sfruttando una traccia di sentiero, segnalata da segnavia bianco-rossi, che ne segue il crinale sud-occidentale. Solo l’ultimo passaggino prima della croce di vetta (m. 2743) richiede un po’ di attenzione, in quanto è esposto sulla sinistra. Splendido il panorama dalla cima, ancora più ampio di quello di cui si gode dalla cima di Vignone. Interessante è anche il suo valore simbolico: pizzo Bello è l’antico nome del monte Disgrazia, prima del rogo immane di cui abbiamo già parlato; ora si fregia di questa lusinghiera denominazione una cima più modesta ed umile, quasi a voler significare che la vera bellezza consiste nella modestia.
Sendiamo, quindi, di nuovo alla sella di quota 2600 (il fuoriprogramma della salita al pizzo Bello ci porta via circa 35 minuti) e di qui, volgendo a sinistra  e seguendo i segnavia bianco-rossi, iniziamo a scendere, descrivendo un arco sulla sinistra ad un’ampia conca che costituisce la più alta propaggine nord-orientale dell’alpe Baric. Dopo il primo tratto, su versante erboso un po’ ripido, incontriamo un sentiero che ci permette di proseguire tranquillamente nella discesa, piegando gradualmente a destra ed assumendo la direzione sud-ovest, fino a giungere in vista delle baite dell’alpe, poste in un’ampia conca, a 2261 metri.


Alpe Baric

Seguendo i segnavia ci portiamo sulla sinistra della conca, fiancheggiamo un muretto che delimita il recinto dell’alpe e, proseguendo verso ovest, ci affacciamo alla parte alta dell’alpe Vignone, tornando a vedere, sotto di noi, le baite per le quali siamo passati, salendo. Il sentiero piega a sinistra, poi a destra e di nuovo a sinistra, attraversando un corso d’acqua. Dopo un nuovo tornante a destra, raggiungiamo, così, la parte alta di un recinto di forma approssimativamente quadrata. Una porta nel basso muretto a secco ci permette di entrare e di attraversarlo, prendendo a destra. Usciti sulla destra dal recinto, ritroviamo il sentiero, che scende con diversi tornanti verso le baite dell’alpe Vignone. Ci ritroviamo, così, al bivio nei pressi della baita di quota 2000: qui proseguiamo la discesa verso sinistra, per la medesima via di salita, raggiungendo il limite basso dell’alpe ed imboccando la mulattiera che ci riporta a Prato Maslino, dove questo splendido anello si chiude.
Qualche conto. Nella sua versione più breve (che prevede la salita alla cima di Vignone ed il ritorno per il versante sud-ovest con discesa diretta all’alpe Baric) esso comporta circa 6 ore di cammino (il dislivello approssimativo è di 1000 metri). Nella versione più ampia, salita al pizzo Bello compresa, le ore salgono a 7 e mezza ed il dislivello a 1150 m.

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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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