CARTA DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI - ESCURSIONI IN VAL DEI RATTI


Apri qui una panoramica sul sentiero di accesso alla Valle dei Ratti

La Val dei Ratti (o Valle dei Ratti), in rapporto alla sua ampiezza ed alle possibilità escursionistiche offerte, è molto probabilmente la meno nota ed apprezzata fra le valli non solo della Valchiavenna, ma dell’intera provincia. Non senza motivo. È, insieme alla Val Codera (che però gode di una ben maggiore notorietà, anche per essere attraversata dalla prima tappa del celeberrimo Sentiero Roma), l’ultima valle di una certa ampiezza (il torrente Ratti la percorre per 11 km) che non è servita da una carrozzabile e che quindi si lascia visitare solo con grande fatica e dispendio di sudore. La valle, che si apre alle spalle di Verceia (anche se appartiene nella sua quasi totalità amministrativamente, al comune di Novate Mezzola), resta quindi, per i più, un enigma, emblema di una montagna che, pur non avendo nulla da invidiare alle mete più frequentate, è stata risparmiata dalle peregrinazioni di massa delle frotte di turisti alla ricerca di frescure a portata di motore. Resta là, nascosta, alle spalle della solare Costiera dei Cech, resta il regno degli abitanti di Verceia che, d’estate, animano il nucleo di Frasnedo, il suo baricentro, guardando gli sporadici turisti “forestieri” senza diffidenza, ma con l’orgoglio di chi si sente sovrano di un lembo alpino non privo di storia e di importanza anche economica (i suoi pregiati alpeggi furono, un tempo, in gran parte posseduti dalla nobile famiglia comasca dei Ratti, che hanno donato alla valle il nome).


Frasnedo

ANELLO DELLA VALLE DEI RATTI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Verceia (Via Molino)-Moledana-Frasnedo-Casten-Piazzo-Vico-Verceia
6 h
1100
E
SINTESI. Percorriamo la ss 36 in direzione di Chiavenna e, usciti dalla prima galleria, la lasciamo prendendo a destra al secondo svincolo di Verceia e portandoci alle case del paese. Saliamo fino ad un parcheggio di via Molino (quota approssimativa: 260 metri), dove troviamo un cartello escursionistico della Comunità Montana di Chiavenna che dà la Foppaccia a due ore. Prendiamo a destra, seguendo una breve stradina asfaltata ma, prima di raggiungere l’argine del torrente Ratti, prendiamo a destra, raggiungendo l’imbocco della mulattiera che comincia a salire verso destra. Ignorata una deviazione a sinistra, incontriamo il primo segnavia rosso-bianco-rosso su un sasso alla nostra sinistra, appena prima un tornante sx. Dopo un paio di tornantini troviamo un nuovo bivio: ignorato il sentiero che prende a sinistra, stiamo sulla destra, seguendo i segnavia. Proseguiamo, poi, verso sinistra, fino ad un bivio dove prendiamo la mulattiera che prosegue a sinistra. Superata la cappelletta di San Fedele a quota 444 m., raggiungiamo una zona più aspra: il sentiero corre sul ciglio di un ripido versante (in alcuni tratti un corrimano ci offre maggiore sicurezza), è protetto per breve tratto da una galleria paramassi e, restringendosi, corre poco a monte del letto del torrente. Proseguendo, troviamo un tratto protetto con parapetto, che ci introduce al solco della selvaggia ed ombrosa Val Priasca. A quota 660 metri circa ci lascia, sulla sinistra, un sentierino; la mulattiera prosegue superando un tratto intagliato nella nuda roccia che, spesso umida, può riservare qualche insidia. Dopo un tratto diritto, troviamo una svolta a destra, che precede un nuovo bivio; la mulattiera prosegue a sinistra (segnavia rosso-bianco-rosso), mentre il sentiero di destra porta, come leggiamo su un masso, al “Monte Drogo”. Stiamo a sinistra e passiamo a sinistra di uno spuntone di roccia e sotto il cavo della teleferica. Dopo un tratto un po’ esposto, raggiungiamo il filo di uno stretto dosso, che il sentiero comincia a risalire, zigzagando. Passiamo, quindi, di nuovo sotto il filo della teleferica e poi a monte di un baitello che resta alla nostra sinistra. Raggiungiamo, infine, il punto di arrivo della teleferica e continuiamo a salire, sul fianco meridionale della valle. Un nuovo tratto protetto da parapetto ci introduce alla Val Codogno e dopo una nuova salita, incontriamo un quadrivio (quota 930 circa), segnalato da cartelli. Proseguiamo diritti, passando per le baite di Moledana, Qui, ignorando una deviazione a destra, proseguiamo ancora diritti e scendiamo a superare il torrente Ratti su un ponte, per poi risalire sul versante opposto fino ai prati di Corveggia (m. 1221). Qui ci innestiamo sul sentiero che da Frasnedo sale verso l'alta valle, al rifugio Volta o al bivacco Primalpia. Lo seguiamo verso sinistra, cioè in discesa, per raggiungere la nostra meta più importante, Frasnedo. Il sentiero, ben marcato, supera due vallette e si immette in una pista che in leggera salita ci porta fino al limite di Frasnedo (m. 1287), passando a sinistra del rifugio Frasnedo. Attraversiamo il paese, passando per la chiesetta della Madonna della Neve ed uscendone sul lato opposto, dove imbocchiamo una larga mulattiera che scende fra i prati ed inizia un traverso verso sud-ovest, passando per la cappelletta della Valle d'Inferno (m. 1171) ed il nucleo di Casten (m. 975). Tagliamo il Tracciolino (m. 910) e passiamo per i prati di San Sciucc (m. 860), con una cappelletta ed una struttura sfruttata dall'ANA di Verceia. Scendendo ancora raggiungiamo lo slargo al quale attualmente (2018) termina la carozzabile che sale da Verceia, e che percorribile solo dai veicoli autorizzati (il pass piò essere acquistato in un bar al centro di Verceia). Possiamo ancora riprenderla sul lato opposto dello slargo, scendendo per un altro tratto per via più diretta e passando per una terza cappelletta, fino alla località Piazzo (m. 680). Poi, però, non ci resta che seguire la carrozzabile nella lunga discesa che ci porta alla frazione alta di Vico ed infine a Verceia. La noia è stemperata dagli splendidi scorci sul lago di mezzo,a sul Pian di Spagna, sulla bassa Valchiavenna e sul monte Berlinghera. Tornati a Verceia, prendiamo a sinistra traversando la parte alta del paese, fino al ponte sul torrente Ratti, che ci riporta al parcheggio di via Molino al quale abbiamo lasciato l'automobile.


Apri qui una panoramica della Val dei Ratti vista dalla Croce GAM di quota 2585

Lasciamo la ss. 36 dello Spluga al secondo svincolo sulla destra (per chi proviene dalla Valtellina) di Verceia (il primo porta alla chiesa di S. Fedele) e saliamo fino ad un parcheggio di via Molino (quota approssimativa: 260 metri), dove troviamo un cartello escursionistico della Comunità Montana di Chiavenna che dà la Foppaccia a due ore, il monte Bassetta a 4 ore ed il passo del Culmine a 4 ore e 15 minuti. Seguendo la direzione indicata dal cartello, prendiamo a destra, seguendo una breve stradina asfaltata ma, prima di raggiungere l’argine del torrente Ratti, prendiamo a destra, raggiungendo l’imbocco della mulattiera che comincia a salire verso destra. Ignorata una deviazione a sinistra, incontriamo il primo segnavia rosso-bianco-rosso su un sasso alla nostra sinistra, appena prima un tornante sx. Alle nostre spalle si apre un bel colpo d’occhio sul lago di Novate Mezzola e sul monte Berlinghera che lo sovrasta. Dopo un paio di tornantini troviamo un nuovo bivio: ignorato il sentiero che prende a sinistra, stiamo sulla destra, seguendo i segnavia. Proseguiamo, poi, verso sinistra, fino ad un bivio: qui ignoriamo la mulattiera più marcata, che prosegue a sinistra; dovremmo seguirla, ma possiamo anche effettuare un breve “fuoriprogramma” prendendo a destra ed intercettando una stradina asfaltata ad un tornante dx, in corrispondenza delle baite del nucleo delle Zocche (m. 425).


Tramonto sul lago di Mezzola

Visitato il nucleo, osserviamo, alle sue spalle, un bivio: il sentiero di sinistra (segnavia bianco-rosso) è segnalato da un cartello che indica “Val dei Ratti via Castelletto-Moledana”, mentre quello di destra, ben più marcato, prosegue per la Foppaccia (segnavia rosso-bianco-rossi). Noi prendiamo il sentierino di sinistra che, dopo un tratto pianeggiante, si congiunge con la mulattiera che abbiamo lasciato poco più in basso. Dopo un breve tratto di salita, incontriamo la cappelletta di quota 444, dove viene dipinta una Madonna con Bambino ed alcuni santi, S. Giovanni, S. Guglielmo, S. Lorenzo, S. Antonio e S. Fedele, patrono di Verceia.  Da qui si vede molto bene l’impressionante orrido terminale della Valle dei Ratti, un luogo che sembra evocare la presenza del male e quindi giustificare il sacello che simboleggia la presenza di quelle del bene. San Fedele, dunque: in queste zone è davvero di casa. È dedicato a questo padre della fede comasca il tempietto che si trova di fronte a Novate Mezzola, detto appunto di San Fedelino, e da lui prende il nome il pregiato granito che si cava nella vicina Val Codera. Questo soldato romano, avendo rifiutato di rinnegare la fede cristiana, fu decapitato, in località Torretta, nel 286 d.C., presso l’attuale tempietto di San Fedelino. Ecco quel che scrive, in proposito, Giovanni Guler von Weineck, che fu governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie nel 1587-88, nella sua opera "Rhaetia", pubblicata a Zurigo nel 1616:
"Restano...sul posto dell'antica Samolaco, i ruderi di alcune torri ed una parte della chiesa che era stata eretta in onore di S. Giovanni. In quel luogo fu martirizzato S. Fedele dai sicari di Massimiano, che allora insieme con Diocleziano governava l'Impero Romano, perseguitando il Cristianesimo. Il corpo del Santo fu in seguito, nell'anno 1437, trasferito di lì con solenni cerimonie a Como, essendo Vescovo Ubaldo; ed a S. Fedele venne dedicata la basilica che prima era stata eretta in onore di S. Eufemia". Fedele venne, dunque, proclamato santo e, per celebrare la sua memoria, nel luogo del suo martirio fu eretto un primo tempietto che custodiva la sua tomba, ricordato già fra la fine del V secolo e gli inizi del VI dal vescovo di Pavia e scrittore Ennodio. Il tempietto andò in rovina, e, fu sostituito, qualche secolo dopo, nel 964, dall’attuale tempietto in stile romanico, mentre le sue spoglie vennero trasportate a Como. La sua devozione si estese all’intera zona dell’imbocco della Valchiavenna, e Verceia lo scelse come protettore celeste.
Raggiungiamo, quindi, una zona più aspra: il sentiero corre sul ciglio di un ripido versante (in alcuni tratti un corrimano ci offre maggiore sicurezza), è protetto per breve tratto da una galleria paramassi e, restringendosi, corre poco a monte del letto del torrente. Proseguendo, troviamo un tratto protetto con parapetto, che ci introduce al solco della selvaggia ed ombrosa Val Priasca, legata a paurose leggende di streghe che l’avrebbero scelta come dimora dalla quale calare, sul far della sera, ad insidiare i cristiani; sul lato opposto entriamo nel territorio del comune di Dubino, ed il primo tratto è agevolato da parapetto e corde fisse. Segue un tratto che regala un bel colpo d’occhio sulla bassa Valchiavenna e sul suo versante occidentale, sul quale distinguiamo il marcato intaglio del passo della Forcola. A quota 660 metri circa ci lascia, sulla sinistra, un sentierino; la mulattiera prosegue superando un tratto intagliato nella nuda roccia che, spesso umida, può riservare qualche insidia se non stiamo attenti. Dopo un tratto diritto, troviamo una svolta a destra, che precede un nuovo bivio; la mulattiera prosegue a sinistra (segnavia rosso-bianco-rosso), mentre il sentiero di destra porta, come leggiamo su un masso, al “Monte Drogo”, congiungendosi con il sentiero che termina al già citato maggengo della Foppaccia. Passiamo, poi, a sinistra di uno spuntone di roccia e sotto il cavo della teleferica; dopo un tratto un po’ esposto, raggiungiamo il filo di uno stretto dosso, che il sentiero comincia a risalire, zigzagando. Passiamo, quindi, di nuovo sotto il filo della teleferica e poi a monte di un baitello che resta alla nostra sinistra. Raggiungiamo, infine, il punto di arrivo della teleferica e continuiamo a salire, sul fianco meridionale della valle. Poco oltre, un incontro che non dimentichiamo: sulla nostra destra, appena a monte della mulattiera, ecco un faggio dalla forma bizzarra e vagamente mostruosa, con le radici abbarbicate ad un grosso masso erratico. È sicuramente il genius loci, lo spirito tutelare di questi luoghi, o forse è uno dei più illustri discendenti di quella stirpe che un tempo fu incontrastata sovrana dei boschi della valle, prima che, nei primi secoli dell’età cristiana, i Romani vi introducessero l’odiato rivale, il castagno. È, infine, uno degli alberi monumentali della Provincia di Sondrio (censimento del 1999): un’empia mano ha osato misurarne la circonferenza (444 cm) e l’altezza (8 metri). Poco oltre, una baita isolata.
Poi, proseguendo nella salita, vediamo, attraverso qualche spiraglio del bosco, Frasnedo, sul versante opposto della valle. Un nuovo tratto protetto da parapetto ci introduce alla Val Codogno, oltrepassata la quale rientriamo nel territorio di Verceia. Dopo una nuova salita, eccoci ad un quadrivio (quota 930 circa), segnalato da cartelli: procedendo diritti si va a Moledana, prendendo a destra ci si dirige alla Foppaccia mentre scendendo verso sinistra si scende alla diga di Moledana.
Proseguiamo diritti, portandoci in graduale salita alle poche case di Moledana, dove possiamo controllare il tempo, sfruttando un simpaticissimo termometro a corda (funziona così: corda secca = bel tempo, corda bagnata = pioggia, corda rigida = freddo, corda mossa = vento, corda invisibile = nebbia o bere meno, no corda = ce l’hanno rubata). Poi, ignorando il cartello che segnala, sulla destra, il sentiero per l’alpe Lavazz, proseguiamo diritti, fino ad un ponte, sfruttando il quale ci portiamosul lato sinistro (per chi sale) della valle, in corrispondenza di alcune baite. Di qui proseguiamo nella salita e, ignorata una deviazione a sinistra per Frasnedo ed una deviazione a destra (sentiero per l'alpe Nave), usciamo dalla boscaglia ai prati di Corveggia (m. 1221).
Qui ci innestiamo sul sentiero che da Frasnedo sale verso l'alta valle, al rifugio Volta o al bivacco Primalpia. Lo seguiamo verso sinistra, cioè in discesa, per raggiungere la nostra meta più importante, Frasnedo.
Il sentiero, ben marcato, supera due vallette e si immette in una pista che in leggera salita ci porta fino al limite di Frasnedo, passando a sinistra del rifugio Frasnedo.


Il rifugio Frasnedo

Ci accoglie, un po' sopra la pista, la chiesetta della Madonna delle Nevi (m. 1287), dedicata anche a S. Anna, sulla cui facciata, fra i santi Rocco ed Antonio, si legge una dedicazione in latino, dalla quale ricaviamo che il popolo di Frasnedo la fece erigere nel 1686 a perpetua memoria dell’apparizione di fiori fra le nevi (il campanile, però, venne eretto più tardi, nel 1844). Ci regala la sua preziosa ombra un grande olmo montano, fiero di essere stato inserito fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio (censimento del 1999) per il suo portamento, la sua eleganza ed anche la sua rarità botanica (a questa quota): la circonferenza del suo tronco misura 270 cm ed è alto 10 metri. Ma se glielo chiedete, sicuramente vi fornirà dati approssimati per eccesso. La vanità non è solo animale. La chiesetta è posta in posizione rialzata, rispetto al corpo centrale del paese. La sua collocazione ci permette di vivere la sensazione di una curiosa sospensione: guardando oltre la soglia della bassa valle scorgiamo uno spicchio del lago di Mezzola, mentre volgendo lo sguardo alla testata della valle vediamo il monte Spluga o cima del Calvo (m. 2967), dove si incontrano Valle di Ratti, Valle dell’Oro e Valle di Spluga. Noi siamo in una sorta di dimensione intermedia fra le placide sponde lacustri ed i contrafforti graniti delle cime del gruppo del Masino, di cui scorgiamo, da qui, il monte Spluga o cima del Calvo.


Frasnedo

Scendiamo poi alla parte centrale del paese. Le baite, ben curate e ristrutturate, regalano qualche dettaglio che ne testimonia l’antichità, come uno stipite in legno datato 1721. Su una baita notiamo anche una piccola targa in legno che invoca sulla valle la protezione di Santa Barbara. Se abbiamo un po’ di spirito di osservazione, noteremo anche che alcune di queste baite sfruttano la presenza di una vicina piccola roggia, che serve a fornire acqua fresca per conservare alimenti e bevande nella parte più calda della stagione. Paese simpatico davvero, Frasnedo, che si anima di vita nella stagione estiva, nonostante i villeggianti debbano salire fin quassù da Verceia con un’ora e mezza buona di cammino, in quanto la strada carrozzabile non accede alla valle, ma si ferma ad una quota approssimativa di 600 metri. È questo, come già detto, il motivo principale che ha conservato alla valle un volto antico, pressoché intatto: per giungere fin qui occorrono circa un’ora e tre quarti di cammino.


Frasnedo

D’estate non patiremo certamente la malinconia: la vivace e cordiale presenza della gente di Verceia riempirà di suoni, umori e colori la vita del paese. Ecco quel che scrive, al proposito, Giuseppe Miotti in “A piedi in Valtellina” (Istituto geografico De Agostani, 1991):
Il villaggio sorge a 1287 metri, poco sotto il selvaggio crestone che separa la Val dei Ratti dal Vallone di Revelaso. Come Codera anche Frasnedo fino a pochi anni or sono era abitato tutto l’anno; oggi i suoi paesani vengono quassù solo d’estate, alcuni per passarvi le ferie, altri per falciare il fieno e portarvi le mucche. È gente rustica quella di Frasnedo, gente che mi par vada fiera del fatto che la valle sia rimasta immune dal progresso e dal clamore. Una strada che da Verceia conducesse al paese sarebbe molto comoda, ma quelli con cui ho parlato sembrano poco propensi… Finora i rifornimenti giungono al paese tramite la teleferica, che è gestita da un consorzio formato dagli stessi abitanti di Frasnedo e della quale tutti sono giustamente fieri. Nel mese di agosto il piccolo villaggio è animato da numerose feste e vale certo la pena di passare una giornata in loco per dividere con gli abitanti la gioia e le sensazioni antiche che questi “riti” evocano. Forse la festa più importante è quella della seconda domenica del mese: quella della Madonna delle Nevi. Dalla piccola e graziosa chiesa, dedicata appunto alla Vergine, parte la processione che esce dal paese addentrandosi per un breve tratto nella valle e facendo ritorno dalla parte opposta di quella donde si è mossa. Mentre la processione si allontana e per tutta la sua durata, le campane vengono suonate a martello da due esperti percussionisti locali. Tutto il villaggio è parato a festa e, soprattutto la sera, l’allegria si scatena con mangiate, bevute e fuochi d’artificio.”


Frasnedo

Da Frasnedo ridiscendiamo a Verceia sfruttando la storia mulattiera che esce sul limite opposto del paese rispetto alla chiesetta e scende ripida per una fascia di prati con a lato muretti a secco. Usciti dal paese, passiamo accanto ad una fresca fontanella ed ignoriamo un sentierino che si stacca dalla mulattiera sulla sinistra. Iniziamo poi un lungo traverso scendendo verso sud-ovest.
Il traverso termina ad una cappelletta sulla soglia di un profondo precipizio, a 1171 m. Si tratta della cappelletta della della Val d’Inferno (così si chiama il vallone laterale che precipita da nord nel solco principale della valle). Vi è raffigurata una Madonna con Bambino. Mentre Gesù, con volto singolarmente “adulto”, le cui fattezze richiamano quelle dei montanari di queste valli, addita con l’indice il cielo e volge lo sguardo, serio e compreso, lateralmente, la Madonna, con espressione dolcemente malinconica, guarda direttamente il viandante.
Le valli alpine sovrabbondano di questi segni della devozione popolare, che assumevano diverse funzioni: erano luoghi di sosta nella faticosa salita degli alpigiani al monte, sempre con un carico di molti chilogrammi, ed erano, insieme, invito alla preghiera ed a pensieri edificanti; spesso presidiavano luoghi pericolosi, soprattutto per l’esposizione, e quindi fungevano anche da segno della divina protezione; talvolta servivano anche da riparo in caso di intemperie.


Testata della Valle dei Ratti vista da Frasnedo

Su un lato di questa cappelletta dobbiamo alla penna ed alla vena poetica di un tal Andreino (classe 1947) una simpatica poesiola che ne celebra il restauro: “Vegia capela de la Val d’Infern. Al me par er che andevi in Talamüchä, pasevi via quaivolt sempar de fughà e te vidivi ilò, in ör a sctreda, a fe la guardia a tüta la valeda. Te ne paset denenz de tüti ‘l nöt: tudesch, cuntrabandier e partigiani, ma te te mai tremeet, chära capela, driza ilò, impee a fe da sentinela. Pasevan i nos vec cul zainu in scpala, chilò i se fermevan a quintala; un fiuu, un pater, e dopu via debot, andevan a pusee cuntent ai crot. Adess i pasan via sempar de presa, se ferman piö ninch a cambiat i fiuu! La nef, al suu, vürün maledücheet töc i tö sant t’an quasi cancelet. “Quanta fadighä i nos vecc a fala sö” i disaran un dè i nos fiö, cun i falò d’ascteet, al frec d’invern, vegia capela de la Val d’Infern! An te farè növa, bela cumè prüma, senza scpecee chè i vegnin sö da Roma e quei che i pasarè cun gran riscpet i pensaran: “Parò ‘l 47” 


Frasnedo

Peccato doverla tradurre, magari pedestremente: “Vecchia cappella della Val d’Inferno. Mi pare ieri quando andavo in Talamucca, passavo via qualche volta di fretta e ti vedevo qui, sul ciglio della strada, a far la guardia a tutta la vallata. Te ne sono passati davanti di tutti i generi: tedeschi, contrabbandieri, partigiani, ma tu non hai mai tremato, cara cappella, dritta, qui, in piedi a fare la sentinella. Passavano i nostri vecchi con lo zaino in spalla e si fermavano qui per chiacchierare; un fiore, un pater e dopo via ancora, andavano anche più contenti ai crotti. Adesso passano via sempre di fretta, non si fermano più neppure a cambiarti i fiori! La neve, il sole e qualche maleducato hanno quasi cancellato tutti i tuoi santi. “Quanta fatica i nostri vecchi a costruirla”, diranno un giorno i nostri figli, con i falò d’estate, il freddo d’inverno, vecchia cappella della Val d’Inferno! Ti faremo nuova, bella come prima, senza aspettare che vengano su da Roma e quelli che passeranno con gran rispetto penseranno: “però, il ‘47”.
I riferimenti storici nella poesia testimoniano di come questa valle non fu in passato avulsa dalle vicende più generali di Valchiavenna e Valtellina. Già abbiamo visto come di qui passò, nel novembre 1944. la 55sima brigata partigiana Fratelli Rosselli, che aveva iniziato un lungo ripiego dalla Valsassina, per la Val Gerola, alla Costiera dei Cech, dalla quale era appunto scesa fin qui per passare in Val Codera sfruttando il Trecciolino e di qui guadagnare la Svizzera varcando la bocchetta della Teggiola.


La cappella della Val d'Inferno

Di qui passarono, nel secolo scorso, anche molti contrabbandieri, che scendevano dalla Val Codera. Meno chiaro è il riferimento ai tedeschi. Potremmo pensare a truppe naziste, perché nel novembre del 1944 truppe nazifasciste salirono in valle per cercare di intercettare la citata ritirata della 55sima Rosselli. Ma forse c'è un'allusione anche al celebre colonnello tedesco Pappenheim che, al servizio degli Spagnoli, combattè con successo, nel settembbre del 1625, contro gli avversari, Francesi e Grigioni, nel contesto delle guerre per la Valtellina successive alla rivolta dei cattolici del 1620. Per suo ordine 700 soldati, guidati dal Perucci, compirono un’ardita traversata dalla Val Codera per il vallone di Revelaso e la forcella di Frasnedo, scendendo poi dalla Valle dei Ratti per sorprendere alle spalle le truppe franco-grigione di stanza a Verceia. La manovra riuscì in pieno e fu il preludio della ritirata di Francesi e Grigioni, che, presi alle spalle, lasciarono Verceia, che tenevano da qualche mese, e sgomberarono la bassa Valtellina fino a Traona.
La manovra voluta dal Pappenheim, che poi regalò un quadro celebrativo della sua vittoria alla chiesa di S. Fedele di Verceia, è così descritta nella “Storia della Valtellina” del Romegialli 1836): “All’impresa adunque di Campo e Verceja pose egli [Pappenheim] ordine, e dati settecento al cavaliere Perucci, questi, con alcuni di Valle Codera, prese le aclività di quel monte, e superandone l’altezza, non che la costa di quelli che dividono dall’altra Valle detta dei Ratti, d’onde uscivasi sopra Verceja, dopo due giorni e tre notti di periglioso arrampicarsi e marciare, prendevano alle spalle e ai fianchi gli alleati, senza che le scolte od alcun avamposto se ne accorgesse…” Con uno sforzo di immaginazione possiamo figurarci i fanti agli ordini del Perucci scivolare silenziosi giù per il sentiero, fino ad affacciarsi agli ultimi pendii sopra Verceia.

Poco più avanti, a destra della mulattiera, un grande masso cavo raccoglie l’acqua di una sorgente, ed una scritta indica che si tratta di un “böi” (trogolo) di origine forse cinquecentesca.
La discesa ci porta poi appena sotto i
l piccolo nucleo di Càsten (m. 975; così è chiamato sulle carte, ma un cartello lo chiama Casctan ed è citato anche come Castàn, con evidente derivazione da “castagno”). Già, il castagno: saremmo inclini a pensare che da sempre esso abbia abitato le valli alpine, integrato perfettamente com’è nella magra economia di sussistenza delle sue popolazioni, data la versatilità degli usi alimentari della castagna; così, però, non è: fu introdotto, dai boschi appenninici dell’Italia centrale, in epoca romana e cominciò a soppiantare l’incontrastato dominio del faggio in età medievale. Qui a Casten si respira, però, un’aria quasi cosmopolita: un simpatico cartello indica la direzione per Chiavenna e St. Motitz ed un altro definisce il gruppo di baite frazione d’Europa. Un terzo cartello, infine, posto dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, commemora la traversata della 55sima brigata Fratelli Rosselli, che, nel novembre del 1944, incalzata da un rastrellamento delle forze nazi-fasciste, passò di qui scendendo dall’alta Valle dei Ratti per effettuare la traversata in Val Codera sul Tracciolino ed espatriare in territorio elvetico per la bocchetta della Teggiola.
Dopo pochi minuti intercettiamo, a quota 910 metri, i binari del Tracciolino, la straordinaria decauville che congiunge il bacino di carico della Val Codera, che serve la centrale di Campo di Novate, con la diga di Moledana, in Valle dei Ratti. Uno straordinario tracciato, che corre, con andamento assolutamente pianeggiante, per circa dodici chilometri, tagliando valloni fra i più orridi e verticali si possano immaginare. Venne tracciata negli anni trenta del secolo scorso, per portare dalla Valle dei Ratti il materiale necessario a costruire la diga in Val Codera. Prendendo a destra troviamo, dopo breve tratto, la casa dei guardiani, poi inizia la lunga traversata verso la Val Codera; prendendo a sinistra ci portiamo, invece, alla diga di Moledana, impressionante muraglia eretta all’imbocco dell’orrida forra nella quale precipita la bassa Valle dei Ratti.
Scendendo ancora diritti, fra grandi castagni, l’ampia radura della località denominata San Sciucc (m. 860). Non sapremmo dire a quale figura di santo si riferisca questa denominazione; tenendo presente, però, che “sciucc” significa “grande tronco d’albero”, essa si attaglia assai bene al luogo, caratterizzato dalla presenza di castagni secolari. Uno di questi, infatti, è stato inserito fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio (Censimento del 1999): dal suo tronco, il cui diametro ragguardevole misura 524 cm, si elevano, però, ormai solo pochi esili rami, che  non superano l’altezza di 10 metri. Eppure questa memoria vivente dei secoli passati non soffre della presenza di più giovani e baldanzosi esemplari, e mostra una rara dignità anche nell’evidente declino e senescenza. La radura ospita una struttura utilizzata dagli Alpini di Verceia per le loro feste estive.
Una seconda cappelletta ci riserva una sorpresa più unica che rara: il dipinto al suo interno mostra una Madonna, biondissima, con Bambino, altrettanto biondo, con in mano un rosario e circonfusa dalle nubi del cielo. Fin qui niente di originale. L’originalità sta nel piede della vergine, che sbuca dalla nube, rivestito di un vistoso ed improbabilissimo scarpone da montanaro, non sapremmo quanto utile in quel della Terra Santa o dell’alto dei Cieli, ma sicuramente intonato con lo spirito di questi luoghi. Difficile, però, che la versione originale del dipinto contemplasse questo dettaglio: una scritta ci informa che la cappella fu fatta edificare per sua devozione da Giova Batista Berino nel 1734.
Sul lato della cappelletta possiamo leggere la preghiera dell’alpino:
Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad esser degni de le glorie dei nostri avi. Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore. Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro su le creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana. E tu Madre di Dio, candida più della neve, tu che hai conosciuto e accolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli alpini caduti, tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli alpini vivi ed in armi, tu benedici e sorridi ai nostri battaglioni e ai nostri gruppi. Così sia.Nei pressi della cappelletta udiamo anche il rallegrante scroscio di un rivolo d’acqua, che una graditissima fontanella ci offre. Una rinfrescata non nuoce prima di riprendere il cammino.
La successiva discesa ci porta allo slargo al quale attualmente (2018) termina la carozzabile che sale da Verceia, e che percorribile solo dai veicoli autorizzati (il pass piò essere acquistato in un bar al centro di Verceia).
Possiamo ancora riprenderla sul lato opposto dello slargo, scendendo per un altro tratto per via più diretta e passando per una terza cappelletta, fino alla località Piazzo (m. 680).
Poi, però, non ci resta che seguire la carrozzabile nella lunga discesa che ci porta alla frazione alta di Vico ed infine a Verceia. La noia è stemperata dagli splendidi scorci sul lago di mezzo,a sul Pian di Spagna, sulla bassa Valchiavenna e sul monte Berlinghera.
Tornati a Verceia, prendiamo a sinistra traversando la parte alta del paese, fino al ponte sul torrente Ratti, che ci riporta al parcheggio di via Molino al quale abbiamo lasciato l'automobile.


La frazione di Vico
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ESCURSIONI IN VAL DEI RATTI

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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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GALLERIA DI IMMAGINI

   


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