Fra versante orobico sopra Colorina e Val Tartano
Apri qui una panoramica dal Pramusìi e dalla Casa Rotonda
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Colorina-Rodolo-Alfaedo-Ronco-Motta-Sponda-Somvalle-Campo Tartano |
4 h e 30 min. |
1000 |
E |
SINTESI. Da Colorina procediamo sulla Pedemontana Orobica in direzione ovest (Morbegno) fino al ponte sul torrente Presio. Appena oltre il ponte imbocchiamo una pista che se ne stacca sulla sinistra e procediamo fino a trovare sulla destra la partenza di una mulattiera, che sale a Rodolo (m. 676). Scendiamo da qui sulla carozzabile che porta al fondovalle, ma ad un bivio prendiamo a sinistra e saliamo ad Alfaedo (m. 803). Appena oltre la chiesa di S. Gottardo troviamo un sentiero che si stacca dalla strada sulla sinistra e sale ad intercettare una pista sterrata. Procedendo a destra scendiamo per breve tratto verso Ronco, fino a trovare, sulla sinistra, la partenza di un nuovo sentiero che passa a monte dei prati di Ronco (m. 943) e procede con serrati tornantini fino ad una bocchetta a quota 1070, che ci introduce alla Val Fabiolo. Il sentiero porta in breve ai prati della Casa Rotonda. Stando sul limite a monte dei prati procediamo su un sentiero che scende ripido alla Motta (m. 934). La discesa prosegue fino al fondo della Val Fabiolo, dove intercettiamo la mulattiera. Seguendola verso sinistra, saliamo ai prati della Sponda (m. 908) ed alla sella terminale, in località Cà; di qui ci immettiamo sulla carozzabile di Val Tartano e scendendo a destra siamo a Campo Tartano. |
Vi
ritrovate nel cuore della stagione estiva e l’idea di un’escursione
su sentieri battuti da turbe di vacanzieri vocianti vi fa venire il
mal di stomaco? Amate wilderness e solitudine a pochi passi da un centro
nel quale lasciare l’automobile? Ecco una proposta di escursione
nel cuore delle Orobie meno conosciute, un anello che ha come baricentro
il pizzo di Presio (m. 2391), cima nella quale convergono il versante
orobico che guarda alla media Valtellina, sopra Colorina, la val Vicima
(laterale della Val di Tàrtano) e la valle di bernesca, laterale
della Val Madre.
Esistono due possibilità: se abbiamo a disposizione due giorni,
possiamo chiudere un bel circuito con partenza ed arrivo a Colorina
(m. 295). In caso contrario, dobbiamo avere a disposizione due automobili,
lasciarne una a Colorina, salire con la seconda a Campo Tàrtano
e da qui cominciare la lunga escursione. Nel primo caso, dedichiamo
la prima giornata ad una bella traversata che da Colorina ci porta a
Campo Tartano, dove possiamo pernottare.
Ci sono, anche in questo caso, due possibilità.
Raggiunta Colorina (staccandosi dalla ss. 38 al passaggio a livello
di San Pietro di Berbenno, fra Morbegno e Sondrio, procedendo in direzione
di Fusine, deviando a destra ed attraversando un ponte con archi), possiamo
incamminarci, seguendo la Pedemontana Orobica, verso
ovest, alla volta del paese di Sirta, che raggiungiamo dopo aver attraversato
Valle di Colorina (passando proprio davanti al Santuario del Divin Prigioniero,
edificato negli anni venti del secolo scorso a memoria di tutti i caduti
in azioni di guerra o in prigionia) e Selvetta, centro amministrativo
del comune che comprende anche Sirta stessa. Dalla chiesa di San Giuseppe
di Sirta, caratterizzata dal grande e ben visibile cupolone, parte la
Via per Sostìla, mulattiera (purtroppo in diversi punti rovinata dall'alluvione del luglio 2008) che si addentra nella nascosta e selvaggia val
Fabiòlo (dal latino: la valle del piccolo faggio; di qui passava,
anticamente, il torrente Tartano, prima che i fenomeni erosivi disegnassero
il suo attuale tracciato), risalendola interamente, fino alla sella
erbosa che introduce alla bassa Val di Tartano. Ci ritroviamo, così,
fra la frazione di Somvalle (m. 1082), alla nostra sinistra (che appartiene
al comune di Selvetta), e quella di Case, alla nostra destra (nel territorio
del comune di Tartano). Pochi passi ancora, sulla strada asfaltata,
verso destra, e siamo a Campo Tàrtano (m. 1049), dove possiamo
pernottare all’albergo Miralago. La salita da Colorina a Tartano
richiede, con questo itinerario, circa tre ore e mezza, necessarie per
superare 780 metri circa di dislivello.
Ma, con una giornata a disposizione, possiamo
anche scegliere un itinerario più elaborato ed interessante per
portarci da Colorina a Campo. Si tratta di una bella traversata del
lungo fianco montuoso che sovrasta gli abitati di Colorina, Selvetta
e Sirta.
A Colorina, invece di imboccare la Pedemontana orobica, cerchiamo la strada
sterrata che si trova immediatamente ad ovest del ponte che attraversa
il torrente Presio (torrente che corre ad ovest del paese). La strada
si addentra nella selvaggia parte terminale del vallone di Presio, nel
quale confluiscono gli aspri Valgelli che caratterizzano questo tratto
del versante orobico.
Dopo aver gettato un’occhiata al pizzo di Presio, che vediamo, in alto, alla nostra sinistra, imbocchiamo, invece,
la prima deviazione a destra, che in breve ci porta alla partenza di
una mulattiera sfruttando la quale saliamo, gradualmente, in direzione
di Ròdolo (m. 676), un bel nucleo abitato di cui raggiungiamo,
superato un ultimo prato, le case sul lato orientale. Intercettata la
strada che, verso est (sinistra), porta alle baite di Corna in Monte
(m. 910, località che merita di essere visitata, magari salendo
dal fondovalle – cioè da Selvetta - in mountain-bike, per
scoprire, fra l’altro, una bellissima chiesetta recentemente restaurata),
ci dirigiamo in direzione opposta e, attraversato il paese, scendiamo,
per un tratto, sulla strada asfaltata che conduce a Selvetta, sul fondovalle. Troviamo ben presto la deviazione che, verso
sinistra, sale verso Alprato ed Alfaedo (termine che significa “al faggeto”). Ad un bivio, prendiamo a sinistra,
seguendo le indicazioni per Alfaedo (m. 803), altro bellissimo paesino
collocato su un poggio panoramico dal quale si gode di una suggestiva
visuale sulla della piana della Selvetta e sul versante retico sovrastante. Per
raggiungere il paese ignoriamo la deviazione a sinistra che sale alla
Casa degli Alpini.
A questo punto cerchiamo, immediatamente ad ovest della bella chiesetta
di san Gottardo, un sentierino che sale, ripido, nel bosco, puntando
a sud. Dopo un breve tratto nel bosco, il sentiero intercetta una strada
sterrata che scende a destra verso la località Ronco.
Prima di raggiungerla,
imbocchiamo, sulla sinistra, un secondo sentiero che, passando a monte
della baite di Ronco (m. 943) e fiancheggiando una bella pineta, rientra
nel bosco e comincia a salire verso sud ovest, fino a raggiungere il
piede dell’ultimo gradino roccioso del versante orobico, che viene
superato con alcuni secchi tornanti (nei punti più esposti si
trovano preziosi corrimano). Raggiungiamo, così, una suggestiva
bocchetta che, a quota 1070, introduce, con un breve corridoio, alla val Fabiòlo. Siamo nella parte alta del sul suo fianco orientale,
sul limite superiore di un ampio prato caratterizzato dalla presenza
di un curiosissimo edificio, la Casa Rotonda, che forse, in tempi remoti,
fungeva da torretta di avvistamento. Dal prato della Casa Rotonda si
vede, in particolare, Somvalle, posta alla sommità della val
Fabiolo, mentre verso ovest (a destra dell’evidente Sella di Campo,
posta sopra il paesino di Sostila, sul lato opposto della val Fabiolo)
è ben visibile il Crap del Mezzodì, l’arrotondata
e brulla formazione rocciosa che chiude, ad occidente, la valle. Il
Crap nasconde il fondovalle della bassa Valtellina, mentre alle sue
spalle si disegnano, lontane, le cime della bassa Valchiavenna e dell’alto
Lario. Alla loro sinistra, fa capolino l’inconfondibile corno
del monte Legnone e, ancora più a sinistra, occhieggiano le cime
del fianco occidentale della Val Gerola.
Dal
prato, seguendo un sentiero che ne percorre a monte il lato più
alto, per poi scendere con rapidi tornanti, si raggiunge, in breve,
la località Motta (m. 934), le cui antiche abitazioni suscitano
la sensazione di un tempo sospeso. Il sentiero prosegue verso sud e
conduce, dopo qualche tornante sull’aspro fianco della valle (con
un tracciato protetto, in qualche punto esposto, da corrimano), al suo
fondo, dove intercettiamo l’elegante mulattiera che sale da Sirta
a Somvalle. Ci troviamo ad 821 metri, approssimativamente a metà
strada fra la località Bores, a valle, e le baite della Sponda (m. 908), più a monte. Percorrendo la mulattiera verso sinistra,
raggiungiamo queste ultime e, proseguendo, guadagniamo, infine, la sella
poco oltre la quale ci attende la meta, Campo Tàrtano. Questa
seconda possibilità comporta un cammino di circa quattro ore
e mezza ed un dislivello in salita di circa 1000 metri. E' possibile
pernottare qui presso l'albergo Miralago (tel.: 0342 645052).
Apri qui una panoramica dal Pas de la Muta
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Somvalle-Alpe d'Assola-Cima della Zocca-Alpe della Zocca-Alpe Vicima-Passo di Vicima-Laghetto di Bernasca-Rifugio Bernasca-Sovalzo-Colorina | 8 h |
1700 m |
EE |
Somvalle-Val Vicima-Alpe Vicima-Passo di Vicima-Laghetto di Bernasca-Rifugio Bernasca-Sovalzo-Colorina |
6 h |
1200 |
E |
SINTESI DEL PERCORSO BREVE. Da Campo Tartano incamminandoci sulla carozzabile per Tartano fino a trovare, sulla sinistra, dopo una semicurva a sinistra, la partenza di della mulattiera della Val Vicima (segnalazione con cartello) che passa a monte della frazione Ronco e sale fino ad un poggio nel bosco posto all'ingresso della Val Vicima. La mulattiera si inoltra nella valle tagliandone il fianco, fino alle Baite Vicima (m. 1505), Saliamo ancoira, attraversiamo un piccolo corso d'acqua ed una fascia di ontani portandoci alle successive baite di quota 1619, che restano alla nostra destra (qui ignoriamo la deviazione a destra che attraversa la valle e porta al Barghèt). Stando sulla sinistra procediamo per breve tratto nel bosco, passando a destra di altre baite, poi usciamo all'aperto e raggiungiamo, a quota 1763, un terzo gruppo di baite, prima di scendere sulla destra
ad attraversare il torrente e, superata un’ultima balza, giungere
in vista dell’ampio pianoro terminale dell’alpe di Vicima,
dove, a 1933, troviamo la baita utilizzata dai caricatori dell’alpe. Tenendo la sinistra (per noi) della valle senza però guadagnare
quota, aggiriamo il recinto che delimita lo spazio riservato agli animali
e percorriamo a vista il pianoro: manca, infatti, una vera e propria
traccia di sentiero. Superata un’ultima baita, risaliamo il fianco
del gradino roccioso che ci separa dallo strappo finale. Siamo sempre
sul lato sinistro della valle, spostati verso il centro, quando affrontiamo
il sentiero ben marcato che, con qualche stretta serpentina, conduce
infine al passo di Vicima (m 2234), riconoscibile anche da lontano per il grande
ometto e la croce che lo sormontano. Appena oltre il passo seguiamo il sentiero che scende sul lato destro di un gradino roccioso e ci porta al lago di Bernasca (2134). Passiamo a sinistra del lago e ci portiamo poco più in basso al rifugio Bernasca (m. 2093). Dal rifugio Bernasca cominciamo ad abbassarci seguendo la traccia di sentiero che taglia in diagonale verso sinistra. Superiamo così una fascia di pascolo ed una franetta, proseguendo diritti in graduale discesa, fra lembi di pascolo e roccette affioranti. Ci avviciniamo così ad una valletta. Prima di raggiungela, la traccia piega a destra e scende affiancandolo lungo una striscia di pascolo, per poi piegare a sinistra e portarsi sul suo lato opposto. Non la seguiamo, però, in questa svolta, ma restiamo sul medesimo lato, risaliamo per qualche metro la gobba erbosa alla nostra destra e scendiamo lungo un breve corridoio erboso. Pieghiamo ora a destra iniziando a scendere in diagonale fra pascoli e roccette, su facile terreno, fino a raggiungere un facile avvallamento che sdeguiamo stando più o meno al centro. La discesa ci porta ad una sorta di conca, dove intercettiamo un sentiero che scende da destra. Lo seguiamo verso sinistra. Il sentiero descrive un arco verso sinistra, attraversando un pascolo pulito e raggiungendo la valletta sopra menzionata. Sul lato opposto pieghiamo a destra e poi subito a sinistra, raggiungendo la bella conca che ospita la Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da un baitello.
Passiamo davanti alle due baite e proseguiamo nella discesa, sempre sul sentiero discretamente marcato, piegando a destra. Raggiunto il centro di un avvallamento, pieghiamo a destra e scavalchiamo un dosso erboso, proseguendo con qualche svolta su una larga striscia di pascolo. Superato un modesto gradito, siamo ad un nuovo avvallamento. Qui il sentiero piega a sinistra, superando piccole franette e portandosi di nuovo ad un’ampia striscia di pascoli. Piegando subito a destra ci portiamo al già ben visibile Baitone di Bernasca (m. 1890), anch’esso affiancato da una baita.
Il sentiero passa appena a sinistra di questa baita ed alla sua altezza piega decisamente a sinistra, scendendo ad attraversare una seconda valletta (il solco principale della Valle di Bernasca). Sul lato opposto proseguiamo diritti per un tratto, poi pieghiamo decisamente a destra riattraversando la valletta in una fascia di macereti. Tornati sul pascolo, vediamo alla nostra destra la baita più bassa dell’alpe (m. 1820). Il sentiero però non ragigunge la baita, ma piega prima a sinistra e, descritto un arco, torna ad una fascia di macereti e riattraversa per la terza volta la valletta. Lasciati alle spalle i pascoli dell’alpe Bernasca, il sneiteor, a tratti esposto, punta decisamente
a nord e raggiunge, dopo una breve salita, un bel bosco di abeti, dove piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa,
che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso
fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della
valle del Pizzo, alla nostra sinistra. Dopo
un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della Piana (m. 1650 circa). Il sentiero diventa larga mulattiera (a tratti scalinata e sorretta da muretti a secco) e prosegue scendendo con le sue serpentine all’ombra
di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti. Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero
volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso
il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando
l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val
Madre, selvaggio e scosceso, procedendo quasi sempre in piano, protetti da corrimano alla nostra destra (ma la mulattiera è sempre larga). Attraversiamo, così, il solco dell’aspra
ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale
del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma
un’interessante cascata del torrentello. Superato un secondo
e più modesto vallone, che scende anch’esso dalle pendici
del pizzo, ci ritroviamo, infatti,
nell’amena pianetta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci
accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi. Seguendo una pista sterrata intercettiamo la carrozzabile che scende con diversi tornanti a Colorina. |
La
seconda giornata dell’anello (o la prima, per chi parte da Campo
Tàrtano) è dedicata ad un’interessante traversata
dalla Val di Tàrtano alla Val Madre, o meglio dalle laterali
val Vicima e val Bernesca, attraverso il passo di Vicima. Si tratta
di uno dei cinque possibili itinerari che congiungono le due valli,
il più basso, o settentrionale. Infatti interessa quella parte
della Val di Tàrtano che è ben visibile anche dalla zona
della bassa Valtellina compresa fra Talamona ed il morbegnese. Guardando
da qui in direzione della Val di Tàrtano si scorgono, da nord,
il poco pronunciato Crap del Mezzodì, il più alto Culmine
di Campo, l’esile cima della Zocca ed il solco della Val Vicima.
La traversata può avvenire in due modi, a seconda che si decida
di salire per l’intera val Vicima oppure di raggiungerne il settore
mediano con un ampio semicerchio, che ci permette di salire alla cima
della Zocca (o cima D’Assola, m. 2166). Raccontiamo per prima
quest’ultima, più lunga, ma anche più interessante
e panoramica possibilità.
Lasciata l’automobile nella frazione
di Somvalle, appena oltre Campo, cerchiamo, alle spalle della graziosa
piazzetta del borgo (dove una fresca fontana ci può aiutare a
rifornirci di un’adeguata scorta d’acqua), il sentiero che
sale all’alpe di Àssola (o Dassola). La prima parte del sentiero si
lascia alle spalle i prati che sovrastano le case, supera un casello
dell’acqua e prosegue diritta per un buon tratto, disegnando una
lunga diagonale verso sud-est e raggiungendo il crinale di un largo
dosso. La salita è piuttosto faticosa, e qualche pausa permette
non solo di riprendere fiato, ma anche di godere di buoni scorci panoramici
sul Culmine di Campo, su Campo Tàrtano e sulla bassa Valtellina.
Apri qui una panoramica sul gruppo del Masino dall'alpe D'assola
Improvvisamente, il sentiero volge quindi ad est, e troviamo una serie
di nervosi tornanti, che ci fanno guadagnare rapidamente quota, sempre
rimanendo nel bosco. Dopo un ultimo tornante sinistrorso, percorriamo
un tratto verso nord-est, che ci porta proprio sullo spigolo del dosso.
Uno squarcio nella vegetazione ci regala un suggestivo colpo d’occhio
su Campo Tàrtano, che appare sotto di noi. Poi abbandoniamo la
luce per addentrarci nella penombra di una fresca e fitta pineta, ed
effettuare un lungo traverso in direzione est, con un percorso semipianeggiante
lungo il fianco meridionale della valle d’Assola.
Alla
fine usciamo dal bosco per attraversare il corso d’acqua che scorre
nel solco della breve valle (per poi precipitare con una suggestiva
cascata nell’alta val Fabiòlo), e ci ritroviamo sul limite
inferiore dell’alpe omonima, alla quota approssimativa di 1700
metri. Salendo verso le prime baite (e rimanendo nei pressi del limite
di sinistra dei prati dell’alpe), possiamo osservare, verso sud
est (alla nostra destra), la Cima della Zocca, che domina l’alpe.
Oltrepassata la prima baita, saliamo alla cappelletta che protegge l’alpe.
Salendo ancora, incontriamo una nuova baita, mentre alle nostre spalle
si fa più ampia la visuale sulle montagne della Val Masino e
sulla bassa Valtellina. Oltre gli abeti ed i larici dell’alpe,
infatti, campeggia la testata della Val Masino (che mostra, da sinistra,
i pizzi Badile e Cengalo, i pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), la cima di Zocca, la Cima
di Castello, i pizzi Torrone, il monte Sissone ed il monte Disgrazia),
mentre verso ovest lo sguardo raggiunge l’alto Lario. Poco prima
del limite superiore dell’alpe un sentiero si inoltra nel bosco.
Seguendolo, saliamo per un tratto verso nord est, svoltando a sinistra
e sbucando, dopo un breve tratto, presso la baita più alta, presso
il crinale (m. 1930).
Lasciati alle spalle la baita e l’albero rinsecchito che la veglia,
risaliamo gli ultimi prati, raggiungendo un sentiero che segue il crinale
che separa la valle dal versante della Valtellina sopra Selvetta, Alfaedo
e Rodolo, mentre appare, improvviso, il panorama della media Valtellina,
fino al gruppo dell’Adamello. Il sentiero conduce ad un dosso,
che risaliamo in direzione di un primo grande ometto, fino a raggiungere
una piccola conca. Se si dovesse perdere la traccia di sentiero, si
può prendere come punto di riferimento un secondo grande ometto. La
conca è collocata alle spalle della cima: da essa saliamo facilmente
al crinale, superando alcune facili roccette, e ci troviamo a pochi
passi dalla sommità erbosa della cima della Zocca (m. 2166), che rimane alla nostra destra, ed
è sormontata da una croce di legno.
Al superbo spettacolo della testata della Val Masino si aggiunge, qui,
un buon colpo d’occhio su quella della Valmalenco. Ma la cima,
per la sua posizione avanzata, è un ottimo osservatorio anche
sulla catena orobica, soprattutto nella sua sezione occidentale. Gustato
il grandioso scenario, proseguiamo scendendo all’alpe della Zocca,
la cui conca è ben visibile a sud est della cima. La discesa
sfrutta una labile traccia di sentiero che taglia la parte alta del
brullo fianco sud-occidentale del crinale che dalla cima si prolunga
in direzione di alcune cime minori, fino al roccioso pizzo di Presio.
Se non dovessimo trovare la traccia, possiamo procedere a vista, perdendo
quota gradualmente, fino a raggiungere la parte alta di un evidente
canalone erboso, dove un sentierino, con diversi tornanti, ci conduce
ai prati dell’alpe. Continuiamo a scendere, fino al limite inferiore
di un grande dosso erboso, che segna il limite dell’alpe della Zocca. Qui
troviamo un sentiero che si addentra in un bosco di abeti e scende a
monte delle baite della media Val Vicima, poco al di sopra di quota
1600, intercettando il sentiero che da queste sale verso la parte alta
della valle e dell’alpe omonima. A questo punto, seguendolo verso
sinistra, ci incamminiamo alla volta del passo di Vicima.
Apri qui una fotomappa della parte terminale della Val Tartano e della Val Vicima
Prima, però,
di raccontare questa seconda salita vediamo come si può giungere
fin qui, per via più breve e semplice, risalendo la bassa e media
val Vicima.
Torniamo, dunque, a Campo Tartano. Mezzo chilometro circa oltre Campo,
in direzione di Tartano, troviamo una piazzola a lato della strada,
sulla destra, con un tavolo per la sosta. Pochi metri oltre parte, sulla
sinistra, il sentiero per la val Vicima. Dal primo tratto del sentiero
si domina la bassa val di Tartano, con Campo Tartano. Sul versante opposto
della val di Tartano si vedono le case di Postareccio.Salendo
per questa bella mulattiera e gettando un ultimo sguardo a Campo Tartano
si giunge al crinale di un dosso, dove una piccola radura permette una
piacevole sosta. Dal dosso lo sguardo raggiunge, sul fondo della val
Lunga, il passo di Tartano. Il sentiero si inoltra, quindi, sul fianco
settentrionale della valle e raggiunge una cappelletta che sembra posta
a guardia del pauroso dirupo che si apre, alla nostra destra, sul fondovalle.
Apri qui una fotomappa della Val Vicima
Il sentiero, infatti, è largo e comodo, ma esposto su questo
dirupo. In questo tratto il sentiero è quasi pianeggiante e da
qui scorgiamo anche l’audace ponte di Vicima, che, sulla strada
che porta a Tartano, supera la selvaggia forra della bassa val Vicima.
Riprendiamo la salita: ben presto si raggiungono le baite di Vicima
(m 1505), a monte dei ripidi prati che la sapienza contadina ha saputo
sfruttare da tempi immemorabili. Continuiamo, fino ad un secondo gruppo
di baite (m. 1619) ed un terzo (m. 1783), che raggiungiamo dopo aver superato un piccolo corso d’acqua
ed aver attraversato una fascia di bassa vegetazione, dove ignoriamo
una deviazione che si stacca dal sentiero sulla nostra destra, scende
al torrente della valle e si porta sul suo lato opposto, per raggiungere
l’alpeggio del Barghèt: potremo utilizzare questo itinerario
in un’altra occasione, dedicata ad un’interessantissima
traversata degli alpeggi della bassa Val di Tàrtano (Assola,
Vicima, Barghèt, Torrenzuolo, con discesa finale a Tartano).
E’ a queste baite che ci conduce anche il sentiero che scende
dall’alpe della Zocca.
La salita successiva permette, infine, di superare le ultime balze che
ci separano dal pianoro terminale dell’alpe di Vicima, dove, a
1933, troviamo la baita abitata dai caricatori dell’alpe. Tenendo
la sinistra (per noi) della valle senza però guadagnare quota,
aggiriamo il recinto che delimita lo spazio riservato agli animali e
percorriamo a vista il pianoro: manca, infatti, una vera e propria traccia
di sentiero. Superata un’ultima baita,risaliamo il fianco del
gradino roccioso che ci separa dallo strappo finale. Siamo sempre sul
lato sinistro della valle, spostati verso il centro, quando affrontiamo
il sentiero ben marcato che, con qualche stretta serpentina, conduce
infine al passo di Vicima (m 2234), riconoscibile anche da lontano per il grande
ometto e la croce che lo sormontano (om di Vicima).
Oltre
il passo, scendiamo ad un breve pianoro, che percorriamo (ignorando
una deviazione che sale sulla destra e che permette, con percorso un
po’ esposto, di tornare in Val di Tartano, scendendo all’alpe
del Gerlo ed in Val Lunga), fino ad affacciarci su un pianoro più
ampio, dove, inatteso, ci appare il bellissimo laghetto di Bernasca (m 2134), dominato, sulla destra, dalla mole del monte Seleron. Scendiamo
facilmente al laghetto sfruttando un sentiero ben marcato che taglia il fianco destro di un gradino roccioso; passiamo alla sua sinistra e, percorso un breve tratto, giungiamo poi a vedere
lo sperone roccioso denominato Pizzolo e, nei suoi pressi, il rifugio Bernasca (m. 2093).
Siamo sul limite superiore di destra dell’alpe di Bernasca,
nella valle omonima, laterale della Val Madre.
Il rifugio Bernasca e, sullo sfondo, monte Disgrazia e testata della Valmalenco
Il rifugio dispone di una ventina di letti completi di cuscini e coperte, di una cucina, di tavoli con panche, di una stufa e di un camino con legna da ardere. E' provvisto anche di illuminazione da pannello solare e di due bagni con acqua calda.
Il rifugio era inizialmente sempre aperto, ma il deplorevole comportamento di alcuni utilizzatori (consumo di legna senza reintegro, piccoli furti, abbandono di rifiuti) potranno indurre i gestori a rivedere questa scelta. Spiace. Spiace perché sarebbe bello poter pensare che chi ama la montagna possegga anche un minimo senso di correttezza e di sensibilità per il rispetto degli altri. ma non sempre è così. E' bene, dunque, qualora lo si voglia utilizzare per il pernottamento, informarsi presso gli uffici dell'aministrazione comunale di Colorina (anche per conoscere il calendario delle aperture estive). Ed è altrettanto bene lasciare un'offerta preziosa per le spese di gestione della struttura.
L'edificio del rifugio è stato ricavato dalla baita della quinta e più alta "muda" (stazione di posizionamento dei capi durante il periodo di alpeggio) dell'alpe Bernasca, nei pressi della bocchetta del Pizzolo o di Bernasca, detta anche "Forcello" (la riconosciamo facilmente a destra (per chi scende verso il rifugio) del rifugio. Bocchetta che costituiva l'importante porta di comunicazione fra l'alpe Bernasca e la gemella alpe Cogola, posta più a nord (il caricatore dei due alpeggi era unico). L'alpe Bernasca purtroppo oggi risente delle condizioni di abbandono, ma in passato era un alpeggio di rilevante consistenza, con capacità di carico di 70 vacche ed altrettante capre.
Il laghetto di Bernasca, poco a monte del rifugio
I vecchi di Colorina ricordano ancora che mentre l'alpe di Cògola era detta favorevole ai caricatori, perché la sua erba più fresca faceva produrre alle mucche più latte, quella di Bernasca era detta favorevole ai proprietari, perché l'erba, a causa del maggior soleggiamento, era più matura e tendeva a far ingrassare i capi.
La discesa dal rifugio Bernasca all’attacco del marcato sentiero per Sovalzo, sopra Colorina (chiamato strada del dosso di Bernasca), richiede attenzione, perché il sentiero, segnalato a tratti, spesso latita e la fascia dell’alpeggio, che si estende per circa trecento metri di dislivello, è costituita non solo da prati, ma anche da noiose fascie di mecereti e roccette.
Procediamo così. Dal rifugio Bernasca cominciamo ad abbassarci seguendo la traccia di sentiero che taglia in diagonale verso sinistra. Superiamo così una fascia di pascolo ed una franetta, proseguendo diritti in graduale discesa, fra lembi di pascolo e roccette affioranti. Ci avviciniamo così ad una valletta. Prima di raggiungela, la traccia piega a destra e scende affiancandolo lungo una striscia di pascolo, per poi piegare a sinistra e portarsi sul suo lato opposto. Non la seguiamo, però, in questa svolta, ma restiamo sul medesimo lato, risaliamo per qualche metro la gobba erbosa alla nostra destra e scendiamo lungo un breve corridoio erboso. Pieghiamo ora a destra iniziando a scendere in diagonale fra pascoli e roccette, su facile terreno, fino a raggiungere un facile avvallamento che sdeguiamo stando più o meno al centro. La discesa ci porta ad una sorta di conca, dove intercettiamo un sentiero che scende da destra. Lo seguiamo verso sinistra. Il sentiero descrive un arco verso sinistra, attraversando un pascolo pulito e raggiungendo la valletta sopra menzionata. Sul lato opposto pieghiamo a destra e poi subito a sinistra, raggiungendo la bella conca che ospita la Casera di Bernasca (m. 1965), affiancata da un baitello.
Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima
Passiamo davanti alle due baite e proseguiamo nella discesa, sempre sul sentiero discretamente marcato, piegando a destra. Raggiunto il centro di un avvallamento, pieghiamo a destra e scavalchiamo un dosso erboso, proseguendo con qualche svolta su una larga striscia di pascolo. Superato un modesto gradito, siamo ad un nuovo avvallamento. Qui il sentiero piega a sinistra, superando piccole franette e portandosi di nuovo ad un’ampia striscia di pascoli. Piegando subito a destra ci portiamo al già ben visibile Baitone di Bernasca (m. 1890), anch’esso affiancato da una baita.
Apri qui una fotomappa della discesa dal rifugio Bernasca alle baite più basse dell'alpe
Il sentiero passa appena a sinistra di questa baita ed alla sua altezza piega decisamente a sinistra, scendendo ad attraversare una seconda valletta (il solco principale dell'alta Val Bernasca). Sul lato opposto proseguiamo diritti per un tratto, poi pieghiamo decisamente a destra riattraversando la valletta in una fascia di macereti. Tornati sul pascolo, vediamo alla nostra destra la baita più bassa dell’alpe (m. 1820).
La baita più bassa dell'alpe Bernasca
Il sentiero però non ragigunge la baita, ma piega prima a sinistra e, descritto un arco, torna ad una fascia di macereti e riattraversa per la terza volta la valletta. Lasciati alle spalle i pascoli dell’alpe Bernasca, dobbiamo ora procedere fra macereti e macchie di larici, dapprima in leggera salita, traversando diritti verso nord, per un buon tratto, lungo il selvaggio versante che scende dalla pizzo di Presio. Il sentiero, pulito di recente, è a tratti esposto, con qualche protezione, e sempre marcato.
Discesa all'attacco del sentiero Bernasca-Sovalzo
Al termine della traversata, il sentiero piega ancora, questa volta a destra, e comincia una lunga discesa,
che ci fa perdere 600 metri circa, sul crinale di un largo dosso compreso
fra la valle Sciesa, alla nostra destra, ed un vallone laterale della
valle del Pizzo, alla nostra sinistra.
Dopo
un primo breve tratto di discesa, attraversiamo la radura della Piana (m. 1650 circa). Il sentiero diventa una mulattiera larga ed a tratti scalinata e protetta da muretti a secco, che scende con le sue serpentine all’ombra
di un fiabesco ed incantevole bosco di abeti. Curiosamente, non è cartografata sulla carta IGM.
Alla fine, poco sotto il rudere della baita Caprile (m. 1141), il sentiero volge a sinistra (attenzione a non perdere la svolta proseguendo verso il fondovalle: ci si ritroverebbe ai margini di un dirupo) ed iniziando l’ultimo lungo traverso sul fianco occidentale della bassa Val Madre, selvaggio e scosceso, procedendo quasi sempre in piano, protetti da corrimano alla nostra destra (ma la mulattiera è sempre larga). Attraversiamo, così, il solco dell’aspra ed impressionante valle del Pizzo (che scende dal versante nord-orientale del pizzo di Presio), proprio nel tratto in cui un salto roccioso forma un’interessante cascata del torrentello (dopo piogge abbondanti o in tarda primavera non si potrà evitare di ricevere il fresco spruzzo dell’acqua che precipita dal salto). Superato un secondo e più modesto vallone, che scende anch’esso dalle pendici del pizzo, ritorniamo a luoghi meno selvaggi: ci ritroviamo, infatti, nell’amena pianetta di Sovalzo (o Soalzo), ad 859 metri, dove ci accoglie un’edicola del Parco delle Orobie Valtellinesi.
Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di Vicima a Sovalzo
E’ l’inizio della fine, e di una fine un po’ monotona dell’escursione: dobbiamo, infatti, percorrere un tratto su una carrozzabile sterrata, che si immette in una seconda sterrata la quale, a sua volta, si congiunge con la strada principale che sale da Colorina (chi volesse effettuare l’anello in senso inverso tenga presente che per raggiungere Sovalzo ci si deve staccare da questa strada alla terza traversa a sinistra). Non abbiamo altra alternativa che percorrerla in discesa fino al paese, che raggiungiamo dopo aver oltrepassato la bella chiesetta della Madonnina (m. 414).
CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI GOOGLE MAP
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