CARTA DEL PERCORSO - ALTRE ESCURSIONI A BERBENNO - GALLERIA DI IMMAGINI - GOOGLE MAP


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Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Prato Maslino-Alpi Vignone e Baric-Pizzo Bello- Passo Scermendone-Alpe Caldenno-Prato Maslino
8 h
1200
EE
SINTESI. Dal lato occidentale di prato Maslino imbocchiamo la mulattiera che sale all'alpe Vignone. Dalla parte bassa dell'alpe Vignone (m. 1890) un sentiero si inerpica sul ripido versante, passando per la baita di quota 2000 (campanellina). Poco oltre troviano un bivio segnalato e prendiamo a destra (indicazioni per Baric) ignorando la deviazione a sinistra del Sentiero Italia. Raggiungiamo in breve il terrazzo di quota 2042, nel quale si distingue il basso muretto a secco che serviva da recinto per il bestiame. Proseguiamo seguendo i segnavia e, dopo alcuni tornanti, ci affacciamo all'ampia conca dell'alpe Baric. Raggiungiamo le baite più a sud (m. 2261), per poi prendere a sinistra e salire a monte delle baite, puntando ad un cartello del CAI che segnala un nuovo bivio: il sentiero di sinistra sale al crinale sopra Scermendone, quello di destra ad una sella che si affaccia sull'alta Val Terzana. Andiamo a destra. Superato un dosso erboso, siamo all'imbocco della parte terminale della Val Vignone. Descriviamo un arco verso sinistra e giungiamo ai piedi del ripido versante sotto una sella erbosa. Un sentierino lo risale e con ultimo tratto verso sinistra porta alla sella di quota 2600 m. che si affaccia sull'alta Val Terzana. Prendendo a destra seguiamo un sentierino che risale il crinale occidentale del Pizzo Bello (m. 2743), fino alla cima (ultimo passaggio esposto: attenzione). Ridiscesi alla sella, scendiamo al fondovalle della Val Terzana seguendo un largo canalone, in direzione nord-ovest, fino ad intercettare il sentiero che risale il versante erboso e seguirlo a destra (nord-est) fino al passo di Scermendone (m. 2595). Scendiamo in alta Valle del Caldenno diritti per breve tratto con ripidi tornantini, poi piegando a sinistra (nord e nord-nord-est) lungo un ripido fianco erboso. Più in basso il sentiero volge a destra (est e sud-est), passando a destra di un'enorme ganda di massi rossastri, fra blocchi e magri ascoli, raggiungendo un pianoro con un grande masso erratico. Intercettato il sentiero che scende dal passo di Caldenno, restiamo a sinistra di un torrentello, pieghiamo a sinistra (direzione sud-est) e ci portiamo nei pressi della soglia di un salto dal quale precipita il corso d’acqua. Cerchiamo con un po’ di attenzione il punto di partenza del sentiero, a sinistra del torrentello ed a ridosso di un cocuzzolo erboso: quando l’abbiamo scovato, possiamo scendere per un buon tratto in direzione sud-est senza problemi, perché la traccia è abbastanza marcata. Poi superiamo un torrentello e raggiungiamo una pianetta erbosa; qui la traccia piega a destra (direzione sud) e continua nella discesa ma si fa più debole che ci porta all’alpe Palù. Passiamo a sinistra delle baite dell’alpe e, restando a sinistra del torrente, ci portiamo nei suoi pressi nel punto in cui lascia il suo pigro corso per scendere più veloce lungo il successivo gradino glaciale. Qui troviamo un largo sentiero che scende diretto all’ultimo e più ampio pianoro della valle, dove sono raccolte in due gruppi, ad est e ad ovest, le numerose baite dell’alpe Caldenno (m. 1811). Seguendo i segnavia passiamo a destra delle chiesetta di Santa Margherita ed attraversiamo le baite del lato orientale dell’alpe. Superato, su un ponticello, il torrente Caldenno ci ritroviamo sulla pista sterrata che giunge fin qui da Prato Isio. Seguendola, scendiamo all’ampio parcheggio posto sul lato alto orientale dei prati, dove, a quota 1669 metri, termina la strada aperta al traffico. Dobbiamo, ora, portarci, lasciando la pista e prendendo a destra, sul lato opposto (occidentale). Un cartello nei pressi di un grande masso sul limite inferiore del parcheggio indica che dobbiamo portarci sul lato opposto dei prati (ovest), passando appena sotto la baita più alta dei prati e raggiungendo una fontana in cemento. Un cartello indica la partenza di un sentiero che si addentra nel bosco, in direzione ovest. Inizia, così, da una quota di 1670 metri circa, la traversata verso prato Maslino. Appena dopo la partenza ignoriamo una debole traccia che si stacca, salendo, sulla destra. Poi giungiamo ad un bivio, al quale, ignorando il sentiero più largo che scende a sinistra, dobbiamo prendere a destra, seguendo le indicazioni di un cartello che reca scritto “Prato Maslino – Sentiero Italia”. Segue una traversata di diversi valloni con numerosi saliscendi, che ci porta al limite orientale di Prato Maslino (m. 1650), dove l'anello si chiude.



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Al pizzo Bello (piz o pizza Bèla, femminile, nella forma dialettale, per attrazione del sottinteso "cima") è legata un’antichissima e conosciuta leggenda, detta del monte Disgrazia o dei Corni Bruciati. Anticamente il pizzo Bello non aveva nome; questa denominazione era, invece, attribuita all’attuale monte Disgrazia, per onorarne la superba bellezza.
Bellissimo era il monte Disgrazia, ma non meno belli erano i ricchi alpeggi che si stendevano ai suoi piedi, per l’intera valle di Preda Rossa. I pastori, che venivano da Buglio, vi conducevano al pascolo le pingui mandrie, e tutto quanto di più generoso poteva offrire il buon Dio, sembrava loro elargito. Ma tanta floridezza non li indusse a rendere grazie all’Onnipotente, bensì inaridì molti dei loro cuori. Venne, dunque, un giorno, fra loro un umile mendicante, chiedendo ospitalità a due pastori. Uno lo cacciò, deridendolo, l’altro, invece, ebbe compassione di lui e gli fornì cibo ed alloggio.
Congedandosi dal pastore buono, il mendicante gli disse di lasciare al più presto l’alpe senza mai volgersi indietro, perché qualcosa di terribile sarebbe accaduto di lì a poco. Questi obbedì, lasciò Preda Rossa alla volta di Scermendone basso e poi Scermendone alto. Qui giunto, udì un fragore immane, e vide sinistri bagliori dipingere il cielo di un rosso fuoco. Non seppe resistere, si voltò, e per un attimo vide piovere fuoco dal cielo, e vide gli alpeggi bruciare, seppelliti da un torrente di massi infuocati. Vide per pochi attimi, poi fu accecato da una fiammella, perché aveva disobbedito. Pentito, chiese a Dio di perdonare la sua colpa, e fu esaudito: una voce gli disse di bagnare gli occhi presso una fonte che avrebbe trovato nei suoi pressi. L’acqua operò il miracolo (ancora oggi la fonte dell’”acqua di öcc” è segnalata, nei pressi del baitone dell’alpe Scermendone, non lontano dalla chiesetta di Scermendone). Da allora i pastori di Buglio scampati al diluvio di fuoco dovettero lasciare quei luoghi desolati, ridotti ad un deserto di massi dal caratteristico colore rosso, chiamato Preda Rossa (“sasso rosso”), e si spostarono negli alpeggi di Scermendone e della Val Terzana. I pastori egoisti, invece, furono condannati in eterno a colpire, con le loro mazze, ciascuno di quei massi: erano diventati, per volontà divina, i danàa de Préda Rosa. Per ricordare la tremenda punizione divina, il nome pizzo Bello venne tramutato in quello di monte Disgrazia (e le cime vicine si chiamarono Corni Bruciati e Sasso Arso). Ma il nome “pizzo Bello non andò completamente perso: venne assegnato alla cima più alta che si vede sul fondo della Val Terzana, cima più umile ma non insignificante, quasi a voler dire che nell’umiltà c’è una profonda bellezza che solo l’occhio della fede sa cogliere.
I misteri del pizzo Bello, però, non finiscono qui. Esso, infatti, è completamente ignorato in quella che è una pietra miliare per chiunque voglia approfondire la conoscenza delle cime del gruppo del Masino-Disgrazia, vale a dire la guida di A. Bonacossa, edita a cura del CAI/ITC nel 1936, Masino, Bregaglia, Disgrazia, Monti d’Italia. Eppure si tratta di una cima non irrilevante, posta, com’è, sull’angolo sud-orientale della Val Terzana (e quindi della Val Masino). Una cima, oltretutto, non difficile da raggiungere.


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Attorno al pizzo Bello, infine, si può disegnare un interessantissimo anello escursionistico, che, nell’arco di una giornata, ci fa passare da Prato Maslino, per l’alpe Vignone, all’alta Val Terzana, e da qui, per il passo di Scermendone, all’alta Valle del Caldenno, discesa la quale e raggiunto Prato Isio, inizia la traversata conclusiva che ci riporta a Prato Maslino. Un anello che può essere impreziosito dalla salita alla cima del pizzo Bello, che, per così dire, sfioriamo passando dal versante retico alla Val Terzana. Vediamo come procedere. Innanzitutto ci dobbiamo portare con l’automobile a Prato Maslino, salendo da Berbenno.


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Superata la frazione di Regoledo, procediamo seguendo le indicazioni di Monastero, ma, alla prima deviazione a destra (indicazione per Prato Maslino), la imbocchiamo e cominciamo a salire verso il bellissimo terrazzo a monte di Berbenno. Dopo una decina di chilometri da Regoledo la strada, che nell’ultimo tratto è diventata una sterrata, si conclude al parcheggio posto appena sotto il rifugio Marinella, sul limite inferiore dei prati. Lasciata qui l'automobile, ci portiamo al vertice opposto del prato (nord-ovest, a sinistra). Qui, a quota 1600 circa, troviamo due cartelli dei CAI: il primo indica, nella direzione dalla quale proveniamo (il lato opposto, cioè orientale, dei prati) Prato Isio, dato ad un’ora, l’alpe Caldenno, data ad un’ora e 30 minuti ed il passo Scermendone, dato a 4 ore; il secondo, che ci interessa, indica che la mulattiera porta all’alpe Vignone in un’ora e che proseguendo si può salire, in 2 ore e 50 minuti, al pizzo Bello, o traversare, in 2 ore e 40 minuti, al lago di Scermendone (curiosamente, non indica che il medesimo passo Scermendone, menzionato dal precedente, è raggiungibile anche per questa via, ed in un tempo inferiore, diciamo 3 ore e 40 minuti).


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Imbocchiamo, dunque, la mulattiera che procede in direzione nord-ovest, con un buon tratto iniziale pianeggiante. Superato il vallone che scende ad ovest del dosso di Piviana, ci portiamo sul filo di un secondo dosso, raggiungendo il punto (quotato 1602 metri) nel quale, ad una semicurva a destra, dalla mulattiera si stacca, sulla sinistra, il sentiero che scende ai prati del Gaggio di Monastero. Ignoriamo questa deviazione e proseguiamo sulla mulattiera, che comincia a salire con pendenza abbastanza severa, superando, a quota 1650, un secondo e più ampio vallone, per poi raggiungere il filo del lungo dosso sul quale, oltre quattrocento metri più in basso, si aprono i prati del Gaggio di Monastero. La mulattiera comincia, quindi, a piegare a destra, assumendo l’andamento nord-nord-est. Siamo nel cuore di una splendida pecceta, che però viene gradualmente sostituita da una boscaglia più disordinata. Superiamo, così, un valloncello, in un tratto con fondo in cemento. Dopo alcuni tornantini, un ultimo traverso ci porta sul limite inferiore dell’alpe Vignone, dove ci accoglie la baita più bassa, quotata 1881 metri.


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L’alpe si stende su una lunga fascia di prati piuttosto ripida (solo molto più in alto, all’alpe Baric, si trova una conca), che però restituisce un grande senso di luminosità ed apertura. Guardando in alto, ci parrà di individuare nell’arrotondata cima che sta proprio sulla verticale dei prati la nostra meta. In realtà si tratta della cima quotata 2643 metri; la cima di Vignone si trova alla sua sinistra e, vista da qui, mostra un profilo assai largo e poco pronunciato. La mulattiera lascia quindi il posto ad un sentiero, sempre ben marcato, che sale in direzione di alcune baite poste più in alto. Superiamo così una coppia di baite ed una baita isolata, passando poi a sinistra di un grande ometto. Il sentiero piega, qui, a sinistra e conduce alla coppia di baite di quota 1991, dove troviamo una campanella ed un’edicola dedicata alla Madonna. La baita di destra rimane sempre aperta per offrire rifugio agli escursionisti che ne avessero bisogno. Il sentiero prosegue verso sinistra (nord-ovest), raggiungendo, in breve, un bivio segnalato da cartelli del CAI, che danno Prato Maslino, nella direzione dalla quale proveniamo, a 40 minuti. Indicano, poi, che il sentiero di destra porta in 40 minuti all’alpe Baric, in un’ora e 50 minuti al pizzo Bello o in un’ora e 40 minuti al laghetto di Scermendone, mentre quello che prosegue diritto, in direzione nord-ovest (si tratta del Sentiero Italia), porta, in un’ora, all’alpe Scermendone ed a San Quirico.


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Lasciamo il Sentiero Italia e prendiamo a destra, seguendo un sentiero ben marcato segnalato anche da segnavia banco-rossi: dopo un paio di tornanti a destra raggiungiamo, così, un terrazzo nel quale si distingue il basso muretto a secco che serviva da recinto per il bestiame. Lo attraversiamo ed usciamo più o meno al centro del suo lato settentrionale, ritrovando il sentiero che riprende, con ampie diagonali, a guadagnare quota. Dopo il secondo tornante sinistrorso superiamo un ramo del torrente Vignone e passiamo a monte di uno sperone roccioso. Ci attende l’ultimo tratto della salita, con altri due tornanti a sinistra (ignoriamo una deviazione a destra), dopo l’ultimo dei quali ci affacciamo alla più ampia conca che ospita l'alpe Baric (m. 2261), dove troviamo alcune baite nascoste alla vista di chi sale dall’alpe Vignone da un dosso erboso che chiude la conca a sud.


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Passiamo a destra di una pozza (ridotta a stagione avanzata a terreno acquitrinoso) e del muretto a secco del recinto per il bestiame, raggiungendo le baite più a sud, per poi prendere a sinistra e salire a monte delle baite, puntando ad un cartello del CAI che segnala un nuovo bivio. Il sentiero, infatti, si divide in due rami: quello di sinistra sale tagliando il fianco meridionale della cima di Vignone (m. 2608) e raggiungendo il largo crinale che separa il versante retico dalla media Val Terzana (per questa via il laghetto di Scermendone è dato ad un’ora ed il passo di Scermendone ad un’ora e 30 minuti); quello di destra sale alle estreme propaggini dell’alta Val Vignone fino alla bocchetta che si apre fra il pizzo Bello, a destra, e la cima quotata 2643, a sinistra (per questa via il pizzo Bello è dato ad un’ora e 10 minuti).


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Prendiamo, dunque, a destra (nord-est), tagliando il piede della cima quotata 2643 e superando una conca con una vasca in cemento per la raccolta dell’acqua. Raggiunto il successivo dosso erboso, vediamo bene, in alto, alla nostra sinistra, i fianchi rocciosi della cima quotata 2643 metri; alla sua destra è ora ben distinguibile la cima del pizzo Bello, sulla quale si scorge un grande ometto. Descrivendo gradualmente un arco verso sinistra ci portiamo, quindi, all’ampio anfiteatro terminale, che va a morire sui ripidi fianchi erbosi del versante meridionale del pizzo Bello. I segnavia dettano una traiettoria che ci consente di evitare un ammasso di sfasciumi, alla nostra sinistra, per raggiungere le ultime falde di questo versante. La meta è la ben visibile bocchetta erbosa posta fra pizzo Bello, ad est, e cima di quota 2643, ad ovest: la raggiungiamo salendo, un po’ faticosamente, le ultime ripide balze erbose.


Apri qui una panoramica dall'alpe Baric

Dalla sella, posta a quota 2600, si dominano già la Val Terzana e le cime della Valle dell'Oro. Qui troviamo un cartello del C.A.I. che dà la cima del pizzo Bello a 30 minuti ed il laghetto di Scermendone a 45. Ora dobbiamo scegliere se proseguire speditamente in direzione del passo di Scermendone, oppure coronare questa prima parte dell’anello salendo alla cima del pizzo Bello. Vale davvero la pena di investire poco più di mezzora in più per scegliere questa seconda soluzione.
Per salire alla vetta basta seguire il crinale occidentale del pizzo, fra erbe e roccette. Saliamo, seguendo il confine fra i comuni di Buglio e Berbenno: tale confine, infatti, segue il crinale che dal pizzo Bello scende alla Croce dell'Olmo, passando per la cima 2643 e la cima di Vignone.


Apri qui un fotomappa del sentiero che dall'alpe Baric sale al pizzo Bello

Salendo seguiamo un sentierino, e, dopo un primo strappo, porta ad un tratto in falsopiano, dove possiamo tirare il fiato, in vista di un secondo strappo, non meno severo, che ci porta poco sotto la cima. Una modesta pianetta precede l'ultimo strappo, che ci porta alla parte sommitale del crinale: qui si trova un'anticima sormontata da un grande ometto, ed il crinale si restringe parecchio. La cima ci sta di fronte (la riconosciamo per la piccola croce metallica che la sormonta), ma il passaggio più delicato ed esposto è proprio quello che ci separa da essa: prestiamo attenzione soprattutto sul lato alla nostra sinistra, più esposto. Eccoci, infine, ai 2743 metri della vetta, dove si trova la già citata croce, collocata qui dalla sezione C.A.I. di Berbenno nel 2005.


Apri qui una panoramica del monte Disgrazia dalla cima del pizzo Bello

Non sapremmo dire se il pizzo sia bello: certamente lo è il panorama. Guardando ad ovest, distinguiamo la cima del Desenigo (m. 2845), alla cui destra si aprono i passi gemelli di Primalpia (pàs de primalpia, m. 2477) e della bocchetta di Spluga o di Talamucca (bochèta de la möca, m. 2532), che congiungono l’alta Valle di Spluga alla Valle dei Ratti. Procedendo verso destra, notiamo, alle spalle della massiccia e severa costiera Cavislone-Lobbia, l’affilata cima del monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), posto all’incontro di Valle di Spluga, Val Ligoncio e Valle dei Ratti. I più modesti pizzi Ratti (m. 2919) e della Vedretta (m. 2909) preparano l’arrotondata cima del pizzo Ligoncio (Ligunc’, m. 3038), che si innalza sopra una larga base di granito, nel catino glaciale che si apre sopra i Bagni di Masino (Val Ligoncio e Valle dell’Oro).


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Alla sua destra, la punta della Sfinge (m. 2802) precede la larga depressione sul cui è posto il passo Ligoncio (m. 2575), fra la valle omonima e la Valle d’Arnasca (Val Codera). A nord del passo si distinguono i modesti pizzi dell’Oro (meridionale, m. 2695, centrale, m. 2703 e settentrionale, m. 2576), seguiti dall’affilata punta Milano (m. 2610), che precede di poco la costiera del Barbacan, fra Valle dell’Oro e Val Porcellizzo, la quale culmina nella cima del Barbacan (m. 2738).
Proseguendo verso nord, la testata della Val Porcellizzo propone le poco pronunciate cime d’Averta (meridionale, m. 2733, centrale, m. 2861 e settentrionale, m. 2947), alla cui destra si eleva il più massiccio pizzo Porcellizzo (il pèz, m. 3075), nascosto, però, dietro la cima del Cavalcorto, sulla costiera del Cavalcorto(sciöma da cavalcürt, m. 2763). Si intravedono, poi, le più celebri cime della Val Porcellizzo: il celeberrimo pizzo Badile (badì, m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195), ed il secondo signore della valle, il pizzo Cengalo (cìngol, m. 3367). Alla sua destra, da una prospettiva cursiosamente defilata, i pizzi del Ferro occidentale (o cima della Bondasca, m. 3267) e centrale (m. 3287), chiamati nel dialetto di Val Masino “sciöme do fèr”.
Le rimanenti cime del gruppo del Masino sono nascoste dalla costiera che separa la Val Terzana, che si apre, solitaria e bellissima, sotto di noi, e la Valle di Preda Rossa, che resta, invece, interamente nascosta ai nostri occhi. Su questa costiera, dominata dalle tonalità rossastre, si distinguono, da sinistra, il Sasso Arso (m. 2314) e le tre punte dei Corni Bruciati, meridionale, m. 2958, centrale, m. 3114, e settentrionale, m. 3097, seminascosta, a destra della seconda. A destra di quest'ultima cima si affaccia il profilo regale del monte Disgrazia (m. 3678), seguito dal pizzo Cassandra (m. 3226: il nome rimanda alla profetessa che nell'antichità ebbe la triste sorte di preannunciare disgrazie - che poi sarebbero accadute - senza essere creduta da nessuno: una degna compagna, non c’è che dire, del monte Disgrazia!). In basso, fra i Corni Bruciati ed il monte Disgrazia, il passo di Scermendone (m. 2953).
A destra del pizzo Cassandra si vede, lontana, la sezione orientale della testata della Valmalenco: da sinistra si distinguono i pizzi Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4049), i pizzi Argient (m. 3945) e Zupò (m. 3995), la triplice innevata cima del pizzo Palù (m. 3823, 3906 e 3882), a monte del ramo orientale della vedretta di Fellaria e, a chiudere la splendida carrellata, il più modesto pizzo Varuna (m. 3453).
Più a destra, molto lontane, si intravedono due celebri cime dell'alta Valtellina, la cima Viola (m 3347) e la cima Piazzi (m. 3439). Proseguendo in questo giro in senso orario, ecco, dietro l'ometto di una seconda anticima, il gruppo Scalino-Painale, sul quale si individuano, da sinistra (nord) il pizzo Scalino (m. 3323), la punta Painale (m. 3248), la cima Vicima (m. 3122) e la vetta di Ron (m. 3136).


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Ad est, sul fondo, il gruppo dell'Adamello, mentre il panorama di sud-est, sud e sud-ovest è interamente occupato dalla catena orovica, che si mostra in tutta la sua ampiezza, chiusa, a destra, dall'inconfondibile corno del monte Legnone. Un'occhiata ai tempi. La salita da Prato Maslino si effettua in circa 3 ore e mezza (il dislivello è di circa 1100 metri).


Alta Val Terzana

Riprendiamo, ora, il filo che traccia il nostro anello, scendendo di nuovo alla sella di quota 2600. La traversata al passo di Scermendone (che avviene interamente in territorio del comune di Buglio in Monte) può avvenire per due vie: la prima, più diretta ma anche più complessa, rimane in quota, tagliando il fianco di roccette, sfasciumi e magri pascoli che lo divide dalla sella sulla quale ci troviamo; la seconda, più lunga ma più semplice, prevede che ci si abbassi dalla sella, per un facile e largo canalone, ad un piccolo pianoro, attraversato il quale verso nord ci immediato sul sentiero, segnalato da qualche segnavia rosso-bianco-rosso, che sale al passo dal laghetto di Scermendone. In questo caso attraversiamo il torrentello della valle, passando alla sua sinistra, per poi piegare gradualmente a destra e puntare alla sella erbosa del passo, sorvegliata, a sinistra, dal caratteristico torrione quotato 2656 metri.
Dai 2595 metri del passo di Scermendone ci affacciamo all’alta Valle del Caldenno (o Valle di Postalesio), e vediamo subito il meno pronunciato passo gemello (quello di Caldenno), che permette di scendere al rifugio Bosio, in Val Torreggio (Val del Turéc') (Valmalenco).


Apri qui una panoramica sull'alta Val Terzana

Oltre il crinale orientale della valle, possiamo individuare alcune cime assai distanti fra di loro: i corni di Airale, in Val Torreggio (Val del Turéc'), a sinistra, poi il lontano pizzo Varuna (o Verona), sulla testata della Valmalenco, ed ancora la cima Viola, fra Valle d’Avedo (val Grosina) e Valle Cantone di Dosdè, ed infine, sulla destra, il pizzo Scalino e la punta Painale. Volgendoci verso la Val Terzana, la dominiamo interamente, e scorgiamo il laghetto di Scermendone ed un bel tratto dell’omonima alpe. Sul fondo, le cime della Val Ligoncio, che culminano nell’arrotondato pizzo omonimo.
La discesa in alta Valle di Postalesio ci riporta nel territorio del comune di Berbenno e sfrutta un sentierino, ripido e molto marcato, che scende diritto per un tratto, con alcuni rapidi tornantini, piega decisamente a sinistra fino a guadagnare un largo dosso erboso a sinistra di un canalone di sfasciumi, scende di nuovo diritto ed infine punta a destra, verso il pianoro dell’alta valle, duecento metri circa più in basso rispetto al passo. Dal passo in poi i segnavia sono bolli rossi con bordo giallo.
Nell’ultima parte della discesa, lasciamo alla nostra sinistra una grande ganda, costituita da massi rossatri, così come rossastre sono le cime che, sulla testata della valle, ci nascondono la vista del monte Disgrazia. L’incendio di Preda Rossa è giunto fin qui? La leggenda non lo dice. C’è però un’altra leggenda, che parla dei “cunfinàa”, cioè delle anime che, per le loro colpe, sono state condannate a scalpellare eternamente questi innumerevoli massi (e, se prestiamo attenzione, ne vediamo, effettivamente, di tutte le dimensioni). Tuttavia il loro lavoro disperato inizia solo sul far del tramonto: solo allora si possono udire i colpi sordi e sconsolati del metallo sulla pietra. Prima che ciò accada, procediamo, spediti, destreggiandoci fra i massi che sembrano incalzarci da destra e da sinistra e superando una pianetta con fondo sabbioso.


Apri qui una panoranica sull'alta Valle del Caldenno (passo di Scermendone a sinistra, di Caldenno a destra)

Raggiunto il torrente, lo superiamo, lasciando poi alla nostra sinistra, a quota 2380 metri circa, i segnavia che indicano la traccia di sentiero (qui, peraltro, assai debole) che riprende quota e, dopo un traverso a sinistra, punta a destra, in direzione del passo di Caldenno. Noi dobbiamo, invece, passare vicino ad un masso ciclopico e sfruttare il sentiero che scende all’alpe Palù (m. 2099), tagliando il ripido fianco erboso dell’ultimo gradino della valle. Cerchiamo con un po’ di attenzione il punto di partenza, a sinistra del torrente ed a ridosso di un cocuzzolo erboso: quando l’abbiamo scovata, possiamo scendere per un buon tratto in direzione sud-est senza problemi, perché è abbastanza marcata. Poi superiamo un torrentello e raggiungiamo una pianetta erbosa; qui la traccia piega a destra (direzione sud) e continua nella discesa ma si fa più debole. Non ci sono, comunque, particolari problemi, perché il versante è tranquillo e vediamo chiaramente davanti a noi la meta, il pianoro dell’alpe Palù. Teniamoci sulla sinistra, per evitare il terreno acquitrinoso; passiamo, così, a sinistra delle baite dell’alpe e, restando a sinistra del torrente, ci portiamo nei suoi pressi nel punto in cui lascia il suo pigro corso per scendere più veloce lungo il successivo gradino glaciale.
Qui troviamo un largo sentiero che scende diretto all’ultimo e più ampio pianoro della valle, dove sono raccolte in due gruppi, ad est e ad ovest, le numerose baite dell’alpe Caldenno (m. 1811). Seguendo i segnavia passiamo a destra delle chiesetta di Santa Margherita ed attraversiamo le baite del lato orientale dell’alpe. Superato, su un ponticello, il torrente Caldenno ci ritroviamo sulla pista sterrata che giunge fin qui da Prato Isio. Seguendola, scendiamo all’ampio parcheggio posto sul lato alto orientale dei prati, dove, a quota 1669 metri, termina la strada aperta al traffico.


Apri qui una fotomappa sulla Valle di Postalesio

Dobbiamo, ora, portarci, lasciando la pista e prendendo a destra, sul lato opposto (occidentale). La direzione ci viene indicata da un cartello nei pressi di un grande masso sul limite inferiore del parcheggio (là dove si trova anche un grande pannello con una mappa del comune di Berbenno): dobbiamo seguire la direzione verso sinistra (Prato Maslìno), passando appena sotto la baita più alta dei prati e raggiungendo una fontana in cemento. Lì vicino possiamo scorgere, segnalata da un cartello che dà Prato Maslino ad un’ora, la partenza di un sentiero che si addentra nel bosco, in direzione ovest.


Apri qui una fotomappa della traversata dal passo di Caldenno al passo di Scermendone

Inizia, così, da una quota di 1670 metri circa, la traversata verso prato Maslino, sfruttando un sentiero che si snoda con diversi saliscendi e che in diversi punti non è percorribile stando in sella (il taluni punti un po’ esposti, poi, richiede attenzione). Si tratta di una traversata estremamente suggestiva, perché alterna tratti nel cuore di bellissime pinete, dove il sole rinnova il suo eterno gioco trafiggendo l’antichissima quiete delle dense ombre, ad altri in cui si superano valloni ombrosi e selvaggi, ed in particolare il solco della val Grande, posta al centro del percorso, e della val Fontanin, separate dallo splendido Dosso del Buono, valli che poi confluiscono, più in basso, nella val Finale.


Apri qui una panoramica sull'alta Valle del Caldenno

Consideriamolo nel dettaglio. Appena dopo la partenza troviamo una debole traccia che si stacca, salendo, sulla destra, e la ignoriamo. Poi giungiamo ad un bivio, al quale, ignorando il sentiero più largo che scende a sinistra, dobbiamo prendere a destra, seguendo le indicazioni di un cartello che reca scritto “Prato Maslino – Sentiero Italia” (questo sentiero, infatti, effettua la traversata Maslino Isio e poi prosegue in Valle di Postalesio, salendo al passo di Caldenno e scendendo in Val Torreggio (Val del Turéc'), al rifugio Bosio). Seguono un tratto pianeggiante ed alcuni saliscendi. Non troviamo alcun segnavia, ma solo, di tanto in tanto, segmenti blu sul tronco delle piante.


Apri qui una fotomappa della Valle del Caldenno

Oltrepassata una pianta, sulla destra, con un quadrato blu che racchiude il numero 71, incontriamo e superiamo facilmente il primo vallone, oltre il quale ci attende un breve strappo. Dopo aver incontrato una seconda pianta con l’indicazione del numero 15, seguiamo l’andamento del sentiero che volge gradualmente a sinistra. Uno strappetto ed una discesa ci portano ad attraversare una valle laterale che confluisce nella Val Grande, e che è percorsa da un modesto corso d’aqua: la quota approssimativa è 1640 metri. Una successiva discesa ci porta nel cuore del solco principale della Val Grande, che attraversiamo a quota 1610 metri.
Il sentiero taglia poi uno speroncino che lo separa da un solco gemello, attraversato il quale saliamo per un breve tratto a fianco di alcuni roccioni. Segue un tratto in discesa ed un tratto pianeggiante, a quota 1580, nel cuore di una pecceta che regala circonfusa di un’atmosfera fiabesca. L’impressione vivissima è che fate, elfi, gnomi o folletti siano lì lì per tradire l’immancabile presenza, ma poi, probabilmente, nulla accade, e quel che udiamo è solo il fruscio leggero del nostro passo mentre tagliamo il fianco di un largo dosso.


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Una nuova discesa, lungo la quale un leggero smottamento del sentiero è stato tamponato con assi di legno, ci porta ad una nuova valle, stretta ed incassata, che attraversiamo a quota 1540. E’ il punto più basso della traversata: da qui in poi guadagneremo gradualmente una cinquantina di metri di quota.  Inizia una salita, seguita da un tratto in falsopiano, lungo il quale incontriamo due deviazioni, una traccia meno marcata che si stacca sulla sinistra, ed una seconda che si stacca sulla destra e sale con rapide serpentine. Ignorate entrambe le tracce secondarie, affrontiamo un tratto dalla pendenza piuttosto marcata, cui segue un nuovo tratto in falsopiano. Più avanti, vediamo, a poco più di una decina di metri a monte del sentiero, la nuova pista forestale Prato Maslino-Valinette. L’ultimo tratto della salita ci porta ad intercettarla ad una quota di circa 1590 metri. La seguiamo verso sinistra, percorrendo un tratto in falsopiano che ci porta al parcheggio di Prato Maslino, dove abbiamo lasciato l’automobile circa 8 ore prima. Si è chiuso un anello davvero splendido, che comporta un dislivello approssimativo in altezza (compresa la salita al pizzo Bello) di 1200 metri.


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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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