I pizzi Ferrè e Tambò, la Motta di Campodolcino e la pista per la Motta di Sotto

ANELLO DEL PIZZO GROPPERA - PRIMO GIORNO (O PRIMI DUE GIORNI) -
FRACISCIO-MOTTA DI SOTTO-MOTTA DI SOPRA-MADESIMO-RIF. BERTACCHI

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Fraciscio-Motta di Sotto-Motta di Sopra-Madesimo-Rif. Bertacchi
7 h
1200
E
Fraciscio-Motta di Sotto-Motta di Sopra-Madesimo
4 h e 30 min.
530
E
Madesimo-Rif. Bertacchi
2 h e 30 min.
670
E
SINTESI. Alla chiesa di S. Giovanni Battista di Campodolcino lasciamo la ss 36 dello Spluga prendendo a destra e salendo a Fraciscio. Dopo un tornante dx, al successivo sx lasciamo la strada per salire a destra alla piazza centrale davanti alla chiesa di S. Rocco, dove parcheggiamo (m. 1334). Ci incamminiamo ridiscendiamo alla strada che con qualche tornante risale fra le case del paese. Passiamo così accanto al cimitero. Qui la strada volge a destra e continua nella salita. Dopo breve tratto vediamo una stradina che se ne stacca sulla sinistra, con un cartello che segnala la partenza del sentiero per la Motta. La stradina, con fondo in cemento e sterrato, sale ripida lasciando alle spalle le poche case, proponendo una lunga serie di tornanti e passando per i prati di Monte dell’Avo (m. 1558). Riprendiamo ad inanellare tornanti, fino ad intercettare una pista che traversa a Pianelli ed alla Foppa. Un cartello ci indirizza a sinistra e proseguiamo salendo verso nord-ovest, giungendo ben presto in vista delle baite di Monte (m. 1759). La pista rimane più bassa e seguendola raggiungiamo una sbarra, oltrepassata la quale ci immettiamo in una nuova pista che proviene proprio da queste baite. Andiamo diritti e procedendo quasi in piano raggiungiamo la Motta di Campodolcino (m. 1740). Dirigiamoci verso il punto di partenza della pista di sci denominata “Motta-Serenissima” e proseguire fino al piazzale dell’Albergo Bucaneve. Alla sua destra, appena a sinistra di un campo di bocce, parte un sentierino che risale i prati, poco a destra degli impianti di risalita. Il panorama è già stupendo: sulla sinistra, quasi alle nostre spalle, il pizzo Tambò, più a destra il gruppo del Suretta, davanti a noi il monte Mater. Superato un recinto in legno, ci immettiamo in una pista sterrata che diventa quasi subito stradina asfaltata e porta al nucleo del Mot di Castegna di Motta Alta (m. 1850). La stradina passa a destra, leggermente rialzata rispetto ai nuclei di baite di Motta Alta. Giunti a due cartelli che, sulla nostra destra, segnalano la deviazione per la capanna Chiavenna all’Angeloga (un’ora e 10 minuti) ed il pizzo Stella (4 ore e 30 minuti), proseguiamo ancora per breve tratto, fino ad indovinare, sulla destra (d’estate ci aiuterà il “traffico” dei villeggianti) il sentirino che porta alla conca nascosta del lago Azzurro (m. 1853), circondato da una macchia di conifere. Torniamo poi sui nostri passi e proseguiamo percorrendo a rovescio questa pista e, seguendo le indicazioni per Medesimo, proseguiamo diritti, sulla pista che scende gradualmente verso nord. Raggiungiamo così il nucleo superiore delle baite della Motta di Sopra. Poco più avanti superiamo su un ponte un torrentello, pieghiamo a sinistra e ci portiamo ad un secondo ponte. Lo lasciamo alla nostra sinistra (mentre poco più in alto, a destra, vediamo una grande croce), ignoriamo la pista che va a destra e scendiamo ancora, diritti, verso ovest, fino al nucleo di baite di quota 1825 metri. Qui superiamo il torrentello da destra a sinistra. La pista piega leggermente a sinistra e noi la lasciamo imboccando un sentiero che se ne stacca sulla destra, scendendo per via più diretta ed intercettandola di nuovo ad un suo tornante sx, a quota 1810 metri circa. Se ne stacca però di nuovo subito, sulla destra, attraversa una delle piste di sci degli impianti del monte Groppera (m. 1800), scende per breve tratto verso il centro della valletta sotto il lago Azzurro, poi piega a sinistra. Scendiamo ora nella pineta verso sud-ovest, a breve distanza dalla pista di sci, alla nostra destra. A quota 1760 pieghiamo a destra e ci allontaniamo dalla pista, proseguendo per una decina di minuti la discesa verso nord-ovest. A quota 1650 il sentiero piega a sinistra e dopo un breve tratto ci riporta alla carrozzabile che dalla Motta scende a Madesimo, in corrispondenza di un tornante sx. Seguiamo ora la carrozzabile fino al suo termine. Ad un successivo tornante dx segue un buon tratto diritto. Riattraversata la valletta sotto il lago Azzurro, superiamo una coppia di tornanti sx-dx e giungiamo in vista della struttura di partenza degli impianti di risalita di Madesimo. La carrozzabile concluisce infine della strada che da Campodolcino sale a Madesimo, sul limite meridionale di Madesimo (m. 1538). Qui possiamo pernottare se vogliamo articolare il trekking in tre giorni. In caso contrario percorriamo la strada principale (ignoriamo deviazioni a sinistra per gli Andossi ed a destra per la Motta) e, dopo qualche svolta ci portiamo al suo limite settentrionale. La strada si porta alla frazione di Macolini (maculìn, m. 1656) e termina poco oltre le ultime case. Superato un torrentello su un ponte in legno, attraversiamo un’area-relax ed entriamo nel recinto dell'alpe Macolini. Il sentiero, ben marcato e segnalato dai consueti segnavia rosso-bianco-rossi o bianco-rossi, procede quasi in piano e ci riporta ad una pista sterrata. Poco oltre, da questa si stacca, sulla destra, il marcato sentiero per il rifugio, che comincia una lunga serie di tornanti salendo sul versante orientale della Val Scalcoggia. Dopo la successiva undicesima sequenza dx-sx, in traverso ci porta al torrente emissario del lago Emet, proprio in cima al salto della cascata: lo attraversiamo su un caratteristico ponticello costituito da piode lisce. Approdiamo così alla parte bassa dei pascoli dell’Emet. Risalite alcune balze, dopo il dodicesimo tornante dx, il sentiero descrive un ampio arco verso sinistra, in senso antiorario, e raggiunge il rifugio Bertacchi (m. 2196).


Pista Fraciscio-Motta di Campodolcino

Il pizzo Groppera (m. 2948), che si distingue fra le cime della Valle Spluga orientale per le sue forme eleganti e regolari, è anche la montagna sul cui fianco occidentale sono disegnate le piste di discesa del comprensorio di Madesimo, fra le più note ed amate dagli sciatori nelle valli retiche. Attorno a questa cima si può disegnare un interessante anello escursionistico, percorribile in 2 o 3 giorni, che ha come punto di partenza ed arrivo Fraciscio e che passa per Madesimo e per i due rifugi Bertacchi e Chiavenna. Un anello che non propone particolari difficoltà tecniche (se non quelle legate ad un adeguato allenamento), anche se il passo di Sterla settentrionale propone un passaggio su nevaio che in particolari condizioni può rendere utili i ramponi. Non ci sono poi rilevanti problemi di orientamento, ma in condizioni di visibilità pessima bisogna prestare molta attenzione a non perdere i segnavia.

L'anello parte da Fraciscio, il piccolo nucleo sopra Campodolcino noto per aver dato i natali a San Luigi Guanella, e sale alla Motta di Sotto, sempre in comune di Campodolcino, ma nei pressi degli impianti di risalita di Madesimo, sul versante occidentale che scende degradando dal pizzo Groppera. La salita sfrutta una comoda pista tracciata di recente. In passato era possibile anche attraverso un sentiero impervio ed a tratti esposto, quello del Cagarèl (il nome allude chiaramente ad uno degli effetti della paura), sentiero però al momento (2016) non transitabile per interruzione.


Il pizzo Stella

Alla chiesa di S. Giovanni Battista di Campodolcino lasciamo la ss 36 dello Spluga prendendo a destra e salendo a Fraciscio. Dopo un tornante dx, al successivo sx lasciamo la strada per salire a destra alla piazza centrale davanti alla chiesa di S. Rocco, dove parcheggiamo (m. 1334). Ci incamminiamo ridiscendiamo alla strada che con qualche tornante risale fra le case del paese. Passiamo così accanto al cimitero. Qui la strada volge a destra e continua nella salita. Dopo breve tratto vediamo una stradina che se ne stacca sulla sinistra, con un cartello che segnala la partenza del sentiero per la Motta e dà la Motta ad un'ora. La stradina, con fondo in cemento e sterrato, sale ripida lasciando alle spalle le poche case. Sulla sinistra vediamo un piccolo crocifisso ligneo.
Poco oltre la pista propone un tornante dx, il primo di una lunga serie. Inizia la salita, con pendenza media, nello scenario di alti ed orgogliosi abeti, intervallati dai più timidi larici. Volgendo di tanto in tanto le spalle possiamo apprezzare un colpo d’occhio sempre più ampio sulla bassa Val Rabbiosa e sul pizzo Stella, che, con le sue forme regolari ed armoniche, si impone come suo signore. Alla sua sinistra il panorama è chiuso dal tormentato e selvaggio versante meridionale del pizzo Groppera.


Monte dell'Avo

Dopo mezzora o poco più di cammino ci portiamo ai prati di Monte dell’Avo (m. 1558), con le poche baite disposte alte, alla nostra destra, sul limite della pecceta. Riprendiamo ad inanellare tornanti, fino ad intercettare una pista che traversa a Pianelli ed alla Foppa. Un cartello ci indirizza a sinistra e proseguiamo salendo verso nord-ovest, giungendo ben presto in vista delle baite di Monte (m. 1759). La pista rimane più bassa e seguendola raggiungiamo una sbarra, oltrepassata la quale ci immettiamo in una nuova pista che proviene proprio da queste baite.


I pizzi Ferrè e Tambò e la Motta di Campodolcino

Proseguiamo diritti e ci affacciamo allo splendido scenario dell’alta Valle Spluga. Diritti davanti a noi riconosciamo il puntuto profilo del pizzo Ferrè ed alla sua destra l’asimmetrica piramide del tetto della Valle Spluga, il pizzo Tambò. La pista prosegue ora in piano e, dopo una semicurva, appaiono davanti a noi gli edifici della Motta di Sotto, o Motta di Campodolcino, mentre le balze erbose alla nostra destra nascondono, molto più in alto, la statua della Madonna d’Europa. Procediamo quindi tranquillamente fino alla Motta di Campodolcino (m. 1725), riconoscibile per la grande struttura della Casa Alpina.


Casa Alpina di Motta

Prima di iniziare la discesa a Madesimo non perdiamo l’occasione di visitare una delle perle di Campodolcino (anche se di solito si pensa a Medesimo, essendo la Motta a monte della nota località), vale a dire il lago Azzurro (da non confondere con l’omonimo laghetto posto vicino al passo dello Spluga). Per farlo, dobbiamo dirigerci verso il punto di partenza della pista di sci denominata “Motta-Serenissima” e proseguire fino al piazzale dell’Albergo Bucaneve. Alla sua destra, appena a sinistra di un campo di bocce, parte un sentierino che risale i prati, poco a destra degli impianti di risalita. Il panorama è già stupendo: sulla sinistra, quasi alle nostre spalle, il pizzo Tambò, più a destra il gruppo del Suretta, davanti a noi il monte Mater. Superato un recinto in legno, ci immettiamo in una pista sterrata che diventa quasi subito stradina asfaltata e porta al nucleo del Mot di Castegna di Motta Alta (m. 1850). La stradina passa a destra, leggermente rialzata rispetto ai nuclei di baite di Motta Alta. Giunti a due cartelli che, sulla nostra destra, segnalano la deviazione per la capanna Chiavenna all’Angeloga (un’ora e 10 minuti) ed il pizzo Stella (4 ore e 30 minuti), proseguiamo ancora per breve tratto, fino ad indovinare, sulla destra (d’estate ci aiuterà il “traffico” dei villeggianti) il sentirino che porta alla conca nascosta del lago Azzurro (m. 1853), circondato da una macchia di conifere. Il lago è davvero una perla di raro valore, soprattutto nella cornice del monte Mater, che chiude lo scenario a nord-est. Raggiungerlo da Campodolcino ha richiesto due ore e mezza di cammino (il dislivello in altezza è di circa 750 metri). Un sentierino ci permette di fare il periplo del lago, sorprendendone la bellezza da differenti prospettive. Bellezza che colpì particolarmente un grande appassionato di Madesimo, il celebre poeta Giosuè Carducci, il quale ad essa volle dedicare una sua lirica. Un pannello nei pressi della riva la riporta. Eccola.

Lago Azzurro

Né con un raggio di sole, né timida un’anima d’aura
rincrespa il velo puro de l’acque.
S’odea quando a quando lento tinnire
il campan de le vacche sparse nel pascol raro fra larici, alto.
Quando divenni io qui? Sospese già l’ora il suo passo?
O io già vissi, spirito errante, qui?

La lirica è datata 12-13 ottobre 1888. Vi traspare quel senso fortissimo di smarrimento temporale e di deja-vu che si accompagna ad una passeggiata solitaria presso le sue rive.

Torniamo poi sulla pista e, seguendo le indicazioni per Medesimo, la percorriamo a ritroso, scendendo gradualmente verso nord. Raggiungiamo così il nucleo superiore delle baite della Motta di Sopra.
Poco più avanti superiamo su un ponte un torrentello, pieghiamo a sinistra e ci portiamo ad un secondo ponte. Lo lasciamo alla nostra sinistra (mentre poco più in alto, a destra, vediamo una grande croce), ignoriamo la pista che va a destra e scendiamo ancora, diritti, verso ovest, fino al nucleo di baite di quota 1825 metri. Qui superiamo il torrentello da destra a sinistra. La pista piega leggermente a sinistra e noi la lasciamo imboccando un sentiero che se ne stacca sulla destra, scendendo per via più diretta ed intercettandola di nuovo ad un suo tornante sx, a quota 1810 metri circa. Se ne stacca però di nuovo subito, sulla destra, attraversa una delle piste di sci degli impianti del monte Groppera (m. 1800), scende per breve tratto verso il centro della valletta sotto il lago Azzurro, poi piega a sinistra. Scendiamo ora nella pineta verso sud-ovest, a breve distanza dalla pista di sci, alla nostra destra. A quota 1760 pieghiamo a destra e ci allontaniamo dalla pista, proseguendo per una decina di minuti la discesa verso nord-ovest.


La chiesa dei santi Pietro e Paolo a Madesimo

A quota 1650 il sentiero piega a sinistra e dopo un breve tratto ci riporta alla carrozzabile che dalla Motta scende a Madesimo, in corrispondenza di un tornante sx. Seguiamo ora la carrozzabile fino al suo termine. Ad un successivo tornante dx segue un buon tratto diritto. Riattraversata la valletta sotto il lago Azzurro, superiamo una coppia di tornanti sx-dx e giungiamo in vista della struttura di partenza degli impianti di risalita di Madesimo. La carrozzabile concluisce infine della strada che da Campodolcino sale a Madesimo, sul limite meridionale di Madesimo (m. 1538). Qui, se abbiamo a disposizione tre giorni, possiamo pernottare. In caso contrario, dobbiamo proseguire nella salita al rifugio Bertacchi.


Apri qui una panoramica dell'alpe Motta di Sopra

ANELLO DEL PIZZO GROPPERA - SECONDA (O TERZA) GIORNATA-
RIF. BERTACCHI-PASSO DI STERLA SETTENTRIONALE-VAL DI LEI-PASSO DELL'ANGELOGA-RIF. CHIAVENNA-FRACISCIO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in salita/discesa
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Rif. Bertacchi-Passo di Sterla sett.-Val di Lei-Passo di Angeloga-Rif. Chiavenna-Fraciscio
9 h
990/1820
EE
SINTESI. Dal rifugio Bertacchi (m. 2168) seguiamo le indicazioni del sentiero C12, che passa a sinistra del lago di Emet e procede verso est, raggiungendo il passo di Emet o Niemet (m. 2280). Non saliamo però fino al passo ma ad un tornante sx a quota 2230 circa notiamo, alla nostra sinistra, i segnavia che ci fanno lasciare il sentiero per seguire una traccia di sentiero che procede verso est, tagliando il versante di radi pascoli, nel primo tratto in piano, poi salendo leggermente, fino a raggiungere il cippo di confine n. 1, a quota 2493 m. Qui la traccia piega a destra, restando in territorio italiano e procedendo diritta in direzione sud-sud-est, nella faticosa salita di un versante di pietraie e nevaietti. A quota 2700 la traccia volge leggermente a destra, superando una gobba, poi ancora leggermente a sinistra, tornando all’andamento sud-sud-est e puntando al crinale delimitato a sinistra dalla quota 3024 ed a destra dalla quota 2844, appena individuabile. Raggiungiamo così questo crinale appena a sinistra della quota 2844, pieghiamo per breve tratto a destra, poi a sinistra, perdendo leggermente quota nell’alta Val Sterla, sempre fra fastidiose pietraie, e passando accanto ad un solitario baitello (m. 2788). Diritta davanti a noi vediamo una depressione sul crinale, fra la già citata quota 3024, a sinistra, e la modesta ma affilata cuspide del pizzo Sterla, a destra (m. 2948): si tratta del passo di Sterla settentrionale (m. 2830), che raggiungiamo prendendo dal lato sinistro il versante alla sua base, con un arco di cerchio in senso orario. Ci affacciamo alla Val di Lei ed inizia la lunga ma facile discesa della Val Rebella lungo il versante settentrionale. Dopo un breve tratto, su pietraia, verso est-sud-est, nel quale passiamo a sinistra di una pozza (un laghetto glaciale, m. 2637, appare poco dopo alla nostra destra), la traccia (attenzione ai segnavia) piega a sinistra ed assume l’andamento est-nord-est. Per un buon tratto procediamo non distanti dal suo solco, poi a quota 2550 cominciamo ad allontanarcene verso sinistra. Notiamo più in basso, alla nostra destra, in fondo ad un ripido crinale erboso, le baite dell’alpe Rebella. Procediamo ora verso nord-est, tagliando in diagonale un versante di prati e superando tre valloni, fino a raggiungere il ripiano con le baite dell’alpe Ganda Nera (m. 2143). Gli scuri roccioni che incombono, alla nostra sinistra, sull’alpe spiegano la ragione del suo nome. Poco oltre le baite il sentiero, prima quasi diritto, comincia ad inanellare diversi tornanti, supera un ultimo vallone e, piegando decisamente a destra, raggiunge finalmente il fondovalle (m. 1940), immettendosi sulla pista sterrata che costeggia l’enorme Lago di Lei. Seguiamo questa pista verso destra. Superato un ponticello ed un secondo sulla Val Rebella, passiamo accanto al baitello di quota 1939 e troviamo un terzo ponte. Subito dopo ci troviamo ai piedi dei prati dell’alpe Mulacetto (m. 1956), dove un cartello segnala la partenza, sulla destra, ovviamente, del sentiero che vi sale, procedendo poi fino al passo ed all’alpe di Angeloga (si tratta del sentiero C3 ed un cartello dà l’alpe Angeloga a 2 ore e mezza). Lasciamo la pista e saliamo, quindi, alle baite dell’alpe. Dopo una serie di tornanti, siamo ad un bivio, a quota 2050: qui lasciamo alla nostra destra il sentiero che sale all’alpe Caurga e procediamo verso sinistra (andamento sud-sud-ovest). Superato un torrentello, passiamo a monte del dosso quotato 2316 metri. A quota 2235 superiamo un secondo torrentello, e continuiamo a salire molto gradualmente, scendendo poi in una valletta dove ci raggiunge, salendo dalla nostra sinistra, a 2310 m., un sentiero che parte dall’alpe Mottala. Proseguiamo tagliando in diagonale verso sud-ovest un ripiano, di cui contorniamo il bordo superando due torrentelli. Poco più in basso, alla nostra sinistra, vediamo il lago Ballone (m. 2321). Pieghiamo poi a destra (ovest) passando a destra di un microlaghetto e poi piegando a destra e superando il torrentello che vi affluisce. Proseguiamo verso sud e ci infiliamo in un lungo corrodoio di micro laghetti e roccette: è il passo di Angeloga, di cui riconosciamo il punto esatto solo per una croce in legno (m. 2386). Superato il laghetto delle Streghe, pieghiamo bruscamente a destra e ci affacciamoalla grande conca che ospita il Lago Nero (m. 2352), al quale il sentiero scende passando a destra del lago, attraversando verso sinistra un torrentello e raggiungendo il ciglio di un salto roccioso, che viene superato sul lato sinistro (verso sud). L'ultima discesa di un ripido versante erboso verso sud-est ci porta al rifugio Chiavenna (m. 2044) all'alpe Angeloga, presso l'omonimo lago. Inizia da qui l'ultimo segmento del trekking, la discesa sulla comoda mulattiera a Fraciscio. Seguendo le indicazioni, dal rifugio imbocchiamo il sentiero che taglia la piana verso sud-ovest, restando a destra del lago, e raggiunge la soglia dalla quale il torrente Rabbiosa si precipita da una gola incassata. Stando alla sua destra ci affacciamo alla parte media della valle, che mostra un volto più incassato ed angusto, e pieghiamo a destra, traversando in discesa verso nord-ovest. In alcuni tratti il sentiero è solcato da piccoli corsi d'acqua laterali, per cui il fondo è umido ed insidioso: è quindi tassativamente vietato allentare la concentrazione, anche considerato che ormai la fatica fa sentire i suoi morsi. Proseguiamo diritti tagliando il selvaggio versante settentrionale della valle, con qualche tratto esposto (ma la sede della mulattiera è sempre adeguata), fino a raggiungere il centro di un lungo dosso. Qui il sentiero piega a sinistra e comincia a scendere più decisamente verso sud-ovest, inanellando una lunga serie di tornantini sul brullo versante della valle. Nella discesa perdiamo circa 300 metri di dislivello. Giunti a quota 1600 metri circa, pieghiamo a destra e proseguiamo diritti verso ovest-nord-ovest, assecondando l'andamento della valle e restando sul suo versante destro. Passiamo accando ad un curioso roccione chiamato ancor più curiosamente "Testa di Garibaldi", superiamo un torrentello laterale e, fra radi larici, usciamo dalla stretta della media valle e ci affacciamo all'ampio versante che ospita Fraciscio, che riappare ai nostri occhi. Un ultimo tratto su pista in un lariceto ci porta al parcheggio della località Soste (m. 1420), dove gli escursionisti che da Fraciscio salgono al rifugio Chiavenna lasciano in genere l'automobile. Proseguiamo nella discesa verso il paese sulla carrozzabile che ci riporta all'automobile.


Lago di Emet

La seconda (o terza giornata, se abbiamo fatto tappa a Madesimo e poi al rifugio Bertacchi) è piuttosto lunga e fisicamente impegnativa, ma estremamente ripagante per gli scenari che propone, in particolare nella traversata alta in Val di Lei, la valle remota, appannaggio di grandi camminatori.
Dal rifugio Bertacchi, come segnalano chiaramente i cartelli della Comunità Montana della Valchiavenna, partono due sentieri, l’uno, a sinistra, per la località di Montespluga, l’altro, a destra, per il passo di Niemet (o Emet), sul confine italo-svizzero. Imbocchiamo questo secondo sentiero (C12, sentiero interregionale Italia-Svizzera), che nel primo tratto procede in piano sul versante erboso che scende alla riva occidentale del lago di Emet. Lasciato il lago alle spalle, passiamo a destra di tre baite dell’alpe di Emet, cominciando a salire, con pendenza moderata, verso destra, in direzione dell’evidente depressione del passo. Superata la prima china, ci affacciamo ad un falsopiano, che precede l’ultima salita prima del rifugio.


Andossi e rifugio Bertacchi (clicca qui per ingrandire)

Prima che questa inizi, però troviamo un bivio, segnalato da due cartelli, presso un grande masso: procedendo diritti ci portiamo al passo di Emet (o Niemet), prendendo a sinistra proseguiamo per il pizzo Spadolazzo (come indica anche una grande scritta su un masso). La salita al passo non è di per sè necessaria, ma, data la sua importanza storica in qualità di facile valico fra Valle Spluga e Rezia elvetica, non possiamo non toccare luoghi un tempo percorsi da mercanti ed armenti.
Torniamo ora un po’ indietro rispetto al passo, ripercorrendo il sentiero percorso: dopo un tornante dx a quota 2230 circa notiamo, alla nostra sinistra, i segnavia che ci fanno lasciare il sentiero per seguire una traccia di sentiero che procede verso est, tagliando il versante di radi pascoli, nel primo tratto in piano, poi salendo leggermente, fino a raggiungere il cippo di confine n. 1, a quota 2493 m.


Apri qui una fotomappa della salita al passo di Sterla settentrionale

Stiamo percorrendo il sentiero che viene di solito sfruttato da quanti salgono, dal rifugio Bertacchi, al pizzo di Emet (o Piz Timun), una classicissima ascensione della Valle Spluga. Al cippo la traccia piega a destra, restando in territorio italiano e procedendo diritta in direzione sud-sud-est, nella faticosa salita di un versante di pietraie e nevaietti. A quota 2700 la traccia volge leggermente a destra, superando una gobba, poi ancora leggermente a sinistra, tornando all’andamento sud-sud-est e puntando al crinale delimitato a sinistra dalla quota 3024 (elevazione poco marcata ma ben distinguibile sul lungo crinale che scende verso sud-ovest dal pizzo Emet, che vediamo chiaramente alla nostra sinistra) ed a destra dalla quota 2844, appena individuabile.
Raggiungiamo così questo crinale appena a sinistra della quota 2844, pieghiamo per breve tratto a destra, poi a sinistra, perdendo leggermente quota nell’alta Val Sterla, sempre fra fastidiose pietraie, e passando accanto ad un singolare baitello (m. 2788), perso in questa surreale solitudine. Diritta davanti a noi vediamo una depressione sul crinale, fra la già citata quota 3024, a sinistra, e la modesta ma affilata cuspide del pizzo Sterla, a destra (m. 2948): si tratta del passo di Sterla settentrionale (m. 2830), il punto più alto delle otto tappe del trekking, che raggiungiamo prendendo dal lato sinistro il versante alla sua base, con un arco di cerchio in senso orario. “Sterla” è toponimo che ottimamente descrive la natura di questi luoghi, perché è voce dialettale che significa “sterile”, se riferito a donne o ad animali, o “arido, desolato”, se riferito a luoghi.
Dal passo ci affacciamo però alla luminosa, affascinante ed amplissima Val di Lei, di cui avremo modo di approfondire la conoscenza. Per la precisione, siamo alla sommità di una delle sue laterali occidentali, la Val Rebella (o Valle del Mot Grand).

Inizia ora la lunga ma facile discesa fino al fondovalle, lungo il versante settentrionale di questa valle. Dopo un breve tratto, su pietraia, verso est-sud-est, nel quale passiamo a sinistra di una pozza (un laghetto glaciale, m. 2637, appare poco dopo alla nostra destra), la traccia (attenzione ai segnavia) piega a sinistra ed assume l’andamento est-nord-est.  Per un buon tratto procediamo non distanti dal suo solco, poi a quota 2550 cominciamo ad allontanarcene verso sinistra. Notiamo più in basso, alla nostra destra, in fondo ad un ripido crinale erboso, le baite dell’alpe Rebella.


Apri qui una fotomappa della salita al passo di Angeloga dalla Val di Lei (sentieri C3 e C5)

Procediamo ora verso nord-est, tagliando in diagonale un versante di prati e superando tre valloni, fino a raggiungere il ripiano con le baite dell’alpe Ganda Nera (m. 2143). Gli scuri roccioni che incombono, alla nostra sinistra, sull’alpe spiegano la ragione del suo nome. Poco oltre le baite il sentiero, prima quasi diritto, comincia ad inanellare diversi tornanti, supera un ultimo vallone e, piegando decisamente a destra, raggiunge finalmente il fondovalle (m. 1940), immettendosi sulla pista sterrata che costeggia l’enorme Lago di Lei, che lo occupa interamente. La Val di Lei idrograficamente appartiene al territorio elvetico, essendo tributaria del bacino del Reno, mentre politicamente appartiene all'Italia. Un accordo italo-svizzero, però, ha riservato alla Svizzera il diritto di sfruttamento idroelettrico delle acque della valle. L’imponente sbarramento (lungo 690 metri e alto 173) dell'enorme invaso (dalla capacità di 197 milioni di metri cubi d'acqua) che occupa, appunto, il fondovalle, è quindi in territorio svizzero, ed è stato realizzato fra il 1958 ed il 1961. La valle, orientata a nord, è chiusa, ad oriente, dalla costiera che dallo Schahorn (m. 2836) scende alla cima di Lago (m. 3083) e ad occidente da quella che dal pizzo Motta (m. 2835) scende ai pizzi Groppera (m. 2948) e Stella (m. 3136).
La diga di Val di Lei è una delle più grandiose mai realizzate. Un accordo italo-elvetico la colloca in territorio italiano ma concede agli svizzeri lo sfruttamento energetico delle acque. All’epoca della sua costruzione, che durò dal 1958 al 1960, si trattava della più grande diga del mondo, larga 690 metri ed alta 143, con uno spessore di 28,10 metri alla base e 15 alla sommità. Sotto la direzione della Edison di Milano, che l’aveva anche progettata, vi lavorarono fino a 3390 operai, non solo valchiavennaschi e valtellinesi, ma anche provenienti da diverse regioni italiane (in particolare Veneto, Calabria e Sicilia). Un elevato numero di questi vi perse la vita. Il bacino, lungo oltre 8 km., contiene circa 200 milioni di metri cubi d’acqua, convogliati qui da un complesso sistema di gallerie dalle valli di Madris, Avers e Niemet. A corredo della diga furono costruite 58 km di strade e gallerie, 10 teleferiche, 4 sbarramenti supplementari, 13 prese d’acqua sui torrenti, 56 km di gallerie, 3 centrali idroelettriche e 108 km di elettrodotti. Le sue acque, che raggiungono la quota di 1931 metri s.l.m., seppellirono la chiesetta di S. Anna e nove km della strada comunale Savogno-Alpigia-Val di Lei, con l’osteria del Palaz e gli alpeggi di Rebella e Guardanegra, toponimi che alludono ad antiche credenze legate a fanciulle bellissime ed a malefiche presenze dallo sguardo mortifero, oltre agli alpeggi di Palù, Salina, Crot e Motta. Curiosamente, non fu questo enorme lago a dare il nome alla valle, ben più antico, ma il lago dell’Acquafraggia, sul versante della Bregaglia italiana, perché questa valle era economicamente e storicamente legata a Piuro.

Prendiamo a destra, procedendo sulla pista verso il fondo del lago (sud). Superiamo così su un ponte il torrente della val Rebella.
Superato un ponticello ed un secondo sulla Val Rebella, passiamo accanto al baitello di quota 1939 e troviamo un terzo ponte, che scavalca il torrente della Val Caurga. Subito dopo ci troviamo ai piedi dei prati dell’alpe Mulacetto (m. 1956), dove un cartello segnala la partenza, sulla destra, ovviamente, del sentiero che vi sale, procedendo poi fino al passo ed all’alpe di Angeloga (si tratta del sentiero C3 ed un cartello dà l’alpe Angeloga a 2 ore e mezza).
Lasciamo la pista e saliamo, quindi, alle baite dell’alpe. Dopo una serie di tornanti, siamo ad un bivio, a quota 2050: qui lasciamo alla nostra destra il sentiero che sale all’alpe Caurga e procediamo verso sinistra (andamento sud-sud-ovest). Superato un torrentello, passiamo a monte del dosso quotato 2316 metri. A quota 2235 superiamo un secondo torrentello, e continuiamo a salire molto gradualmente, scendendo poi in una valletta dove ci raggiunge, salendo dalla nostra sinistra, a 2310 m., un sentiero che parte dall’alpe Mottala (si tratta del sentiero C5, che percorreremo il settimo giorno in discesa). Proseguiamo tagliando in diagonale verso sud-ovest un ripiano, di cui contorniamo il bordo superando due torrentelli. Poco più in basso, alla nostra sinistra, vediamo il lago Ballone (m. 2321).

Pieghiamo poi a destra (ovest) passando a destra di un microlaghetto e poi piegando a destra e superando il torrentello che vi affluisce. Proseguiamo verso sud e ci infiliamo in un lungo corrodoio di micro laghetti e roccette: è il passo di Angeloga, di cui riconosciamo il punto esatto solo per una croce in legno (m. 2386).  Proprio qui passa lo spartiacque che separa il bacino del Po da quello del Reno. La Val di Lei, dalla quale (per oggi) ci congediamo appartiene infatti, idrograficamente, al territorio svizzero, anche se politicamente è ancora territorio italiano.
Passiamo accanto a piccoli specchi d’acqua, il primo dei quali è sinistramente denominato “Lago delle Streghe”. Se ne fa menzione nell’incantevole volumetto di don Abramo Levi, “Spartiacque”, (L’Officina del Libro, Sondrio, 2004): “…il … Lago delle Streghe, … a dispetto del nome, si presenta come un laghetto ameno, inoffensivo, di un ovale quasi perfetto. Ma non si sa mai. Non si sa mai donde possa venire lo stregamento, e in quale veste esso si presenti: folletto, turbine, incantesimo, allucinazione, sbigottimento, incubo, oppure scontro anomalo fra il fuori e il dentro, tra il mare immenso del mondo e la piccolissima vela che lo solca ancorata unicamente al principio di individuazione.” Ad ogni buon conto meglio evitare di passare di qui nel cuore della notte.


Apri qui una fotomappa della traversata dal passo di Sterla settentrionale al rif. Chiavenna

Il sentiero piega bruscamente a destra e si affaccia alla grande conca che ospita il Lago Nero (m. 2352), preceduto da due laghetti vassalli. A dispetto del nome, questo lago non ha nulla di tetro, anzi, in una bella giornata, regala riflessi di un blu intenso. Alla sua sinistra il pizzo Stella, con il suo elegantissimo profilo, la fa da padrone, anche se ora il suo primato è insidiato, sulla sinistra, dal pizzo Peloso (m. 2780), dal profilo, oltre che dal nome, assai meno elegante. Percorriamo, dunque, il lato settentrionale (di destra, per noi) del lago, seguendo il sentiero fino al limite dello sbarramento costruito per sfruttarne le acque.

Ci affacciamo così all’alpe Angeloga, che però sta circa 300 metri più in basso. Per raggiungerla dobbiamo percorrere un sentiero ben marcato, ma nel primo tratto, che scende ripido fra scorbutici roccioni, aereo, esposto e protetto da corde fisse. Poi approdiamo ad un più tranquilli versante erboso, che ci permette di raggiungere finalmente la luminosissima piana dell’alpe, ingentilita dallo splendido lago dell’Angeloga (m. 2044). Eccolo, finalmente, il rifugio Chiavenna, a destra e ad una certa distanza dal lago, a ridosso invece delle caratteristiche baite dell'alpe. Non soffriremo certo la solitudine se percorriamo il trekking nella stagione estiva: la salita al rifugio da Fraciscio è infatti una delle più gettonate camminate in Valle Spluga.
Inaugurato nel 1928, venne definitivamente acquisito dalla sezione di Chiavenna del CAI nel 1949, dopo essere stato danneggiato durante la II Guerra Mondiale (qui si combattè anche la battaglia dell'Angeloga, fra partigiani e forze nazi-fasciste; cfr. l'approfondimento III). Venne poi ristrutturato diverse volte, negli anni Settanta, nel 1988, nel 1995 e nel 2004. Rappresenta infine un ottimo punto di appoggio per la salita al pizzo Stella lungo la via normale.
Inizia da qui l'ultimo segmento del trekking, la discesa sulla comoda mulattiera a Fraciscio. Seguendo le indicazioni, dal rifugio imbocchiamo il sentiero che taglia la piana verso sud-ovest, restando a destra del lago, e raggiunge la soglia dalla quale il torrente Rabbiosa si precipita da una gola incassata. Stando alla sua destra ci affacciamo alla parte media della valle, che mostra un volto più incassato ed angusto, e pieghiamo a destra, traversando in discesa verso nord-ovest. In alcuni tratti il sentiero è solcato da piccoli corsi d'acqua laterali, per cui il fondo è umido ed insidioso: è quindi tassativamente vietato allentare la concentrazione, anche considerato che ormai la fatica fa sentire i suoi morsi.
Proseguiamo diritti tagliando il selvaggio versante settentrionale della valle, con qualche tratto esposto (ma la sede della mulattiera è sempre adeguata), fino a raggiungere il centro di un lungo dosso. Qui il sentiero piega a sinistra e comincia a scendere più decisamente verso sud-ovest, inanellando una lunga serie di tornantini sul brullo versante della valle.


Apri qui una fotomappa della Val Rabbiosa e della Motta

Per attenuare la fatica e la monotonia della discesa pensiamo ad una curiosa leggenda ispirata a questa cima e riportata dall'alunno Buzzetti Lino in un ciclostilato prodotto dalla scuola media Bertacchi di Chiavenna, nel 1959. Sfondo storico della leggenda, la disastrosa alluvione del torrente Rabbiosa nel 1927. Pare che il parroco avesse relegato sulla cima del pizzo Stella, nella festività dell'Assunta, tre anime di persone che erano morte nella condizione di scomunicati. Queste anime, però, si trasformarono in un masso, in un grosso tronco ed in un fascio di fieno: questa fu l'origine della rovinosa alluvione che portò le acque del torrente Rabbiosa a devastare la Val S. Giacomo. Solo quando masso, tronco e fieno furono rimossi, le acque del torrente tornarono, miracolosamente, dentro l'antico alveo.

Nella discesa perdiamo circa 300 metri di dislivello. Giunti a quota 1600 metri circa, pieghiamo a destra e proseguiamo diritti verso ovest-nord-ovest, assecondando l'andamento della valle e restando sul suo versante destro. Passiamo accando ad un curioso roccione chiamato ancor più curiosamente "Testa di Garibaldi", superiamo un torrentello laterale e, fra radi larici, usciamo dalla stretta della media valle e ci affacciamo all'ampio versante che ospita Fraciscio, che riappare ai nostri occhi. Un ultimo tratto su pista in un lariceto ci porta al parcheggio della località Soste (m. 1420), dove gli escursionisti che da Fraciscio salgono al rifugio Chiavenna lasciano in genere l'automobile. Proseguiamo nella discesa verso il paese sulla carrozzabile che ci riporta all'automobile.

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo (CNS), che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Anche le carte sopra riportate sono estratti della CNS. Apri qui la carta on-line

APPROFONDIMENTI


Val Rabbiosa e Testa di Garibaldi

Luigi Brasca, nella monografia “ Le montagne di Val San Giacomo” (CAI di Torino, 1907) così descrive la salita al passo di Angeloga agli inizi del secolo XX: “Il passo di Angeloga (m. 2397) è valicato da una comoda mulattiera che collega Campodolcino con la Valle di Lei; si sale da Campodolcino a Fraciscio, pittoresco villaggio, che tra poco sarà unito al capoluogo da una carrozzabile, indi a Soste e pel fondo della Valle Rabbiosa, fino ad uno strano masso isolato a sinistra, che un bell’umore chiamò Testa di Garibaldi, dopo il quale la mulattiera si arrampica a zig zag (sono quasi cento risvolti!) per la costa del monte per 400 metri di dislivello, noiosa e faticosa salita; indi, procedendo quasi in piano, si è in breve alle alpi di Angeloga m. 2046, in riva al lago omonimo (m. 2029): ore 2 da Campodolcino. Da qui la mulattiera gita verso sud-est con lunga curva, indi ritorna verso nord, costeggiando un nevaio perenne, infila una specie di gola su per la parete (il Camino d’Angeloga) e giunge all’altezza di m. 2425, indi in breve discesa si è al passo, segnato da una croce. Ad ovest v’è il cupo e grande Lago Nero, col più piccolo Lago Caldera ed altri laghetti minori; ad est trovasi il Lago Ballone. È questa del Passo d’Angeloga una curiosa località alpestre. Per pascoli e prati si scende infine a Mulacetto e a Sant’Anna verso Inner Ferrera.”


Il lago di Angeloga

Per illustrare meglio le caratteristiche di questi luoghi, riportiamo infine le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello Rosario ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:
Nell'alto bacino del Torrente Rabbiosa, che si riversa nel Liro a Campodolcino, molto sopra l'abitato di Fraciscio, c'è un'area alpestre ricca di laghi, siti a quote diverse, ma sostanzialmente su due piani: quello dell'Alpe Angeloga (attorno ai 2000 m) e quello del Passo dell'Angeloga (attorno ai 2350 m). Il Lago di Angeloga è una
pozza rotonda di acqua verde che riflette i pascoli circostanti, un tempo assai importanti e floridi, un elemento ideale di una segantiniana «abbeverata».


Rifugio Chiavenna

Gli altri laghi stanno in tutt'altro ambiente, cioè su un alto scalino roccioso in un piccolo altipiano sopra il quale un ghiacciaietto sospeso, in epoche arcaiche, ha scavato le fosse in cui stanno i laghetti, ha accumulato le morene e i massi, ha modellato i dossoni di friabile roccia scistosa. Il Lago «Nero», certo dal colore prevalente delle acque, soggette però a quella quota e in un ambiente siffatto a mutevoli giochi di luce; il Lago Caldera forse così denominato dalla forma vagamente rotondeggiante e dall'essere affossato entro pendii più incombenti. Ma ve ne sono altri minori e, poco in là dal passo, già in Val di Lei, ancora altri molto piccoli e uno maggiore (Lago Ballone), in una continuazione del pianoro glaciale che costituisce oggi anche un punto di osservazione eccezionale sul sottostante lunghissimo lago artificiale che occupa il fondo della Val di Lei.
Si tratta, nel complesso, di un ambiente straordinario, anche per la presenza incombente del Groppera e la vista sul Pizzo Stella, per il colpo d'occhio su tutto l'anfiteatro sottostante, per la varietà dei microambienti fisici e biologici.
Certo il luogo non è di comodissimo accesso, sia che si salga da Fraciscio lungo la bella mulattiera che percorre la vallata, sia che si parta da Motta di Campodolcino, a una quota sensibilmente superiore, per poi affrontare lo scenografico sentiero che sale (e scende) lungo le pendici meridionali della Colmenetta e del Groppera, sotto gli spuntoni della suggestiva costa di Fortezza sempre con una vista meravigliosa sulle vallate sottostanti. Poi, una volta raggiunta l'Alpe Angeloga per l'una o per l'altra delle due vie, ancora non è finito il cammino, perché per raggiungere i laghi superiori si deve risalire una ripida costa-canale erbosa e percorrere una breve gola scavata nelle rocce dello spalto roccioso, subito a valle del Lago Nero. L'impressione, alla fine del viaggio, è di essere penetrati in uno spazio magico, inaccessibile, regno della luce e del vento.”


La Val di Lei ed il pizzo Stella (a destra)

Appendice I: la Val di Lei

Luigi Brasca, nella monografia “Le montagne di Val San Giacomo” (CAI di Torino, 1907) così descrive la Val di Lei agli inizi del XX secolo, cioè ben prima della costruzione della grande diga: “Strana valle questa, grande distesa di pascoli lunga forse 15 chilometri, col fondo quasi piano, dove scorre lentamente un ramo del Reno, colle scarse baite aggrappate miseramente a tratti; migliaia e migliaia di pecore, di capre, di bovini riuniti in greggi e mandrie irrequiete pascolano su pei fianchi dei monti, e, la sera, si addossano alle alpi, intorno ai focolari dei pascoli lombardi; e nell’oscurità tintinnano le campane squillanti in mille toni, che capre e pecore e giovenche portano al collo e che scuotono, ruminando. Appena varcato il ponte alla fine della vallata, cessa l’idioma lombardo, e compare il gutturale suono della lingua nordica o quello strano dell’antico romancio.”
Dall’incantevole e ben più recente volumetto di don Abramo Levi, “Spartiacque”, (L’Officina del Libro, Sondrio, 2004), raccogliamo queste preziose annotazioni sulla Val di Lei:
Per la verità il manoscritto parlava molto di Valpiana, ma quella Valpiana ormai non esisteva più. Era diventata. proprio quel che recitava il suo toponimo Valle di Lej ( e in romancio Lej significa lago). L'acqua sommergeva il fondo della valle e risaliva lungo le due pendici a ricoprire il territorio che aveva costituito il pascolo più sostanzioso per le vaccine.


Val di Lei e pizzo Stella (a destra)

Tutto quello che il manoscritto raccontava si riferiva alla valle prima dell'invaso, prima che il fiume Reno fosse stato fermato, imbrigliato dalla diga e costretto a tornare su se stesso. Quelli che avevano assistito al primo invaso avevano potuto osservare questa parodia di trasgressione geologica, per cui l'acqua rioccupava flaccida e sordida i rivi e i valloncelli dai quali era scesa limpida e garrula. Li rioccupava con movimento lentissimo, recessivo e trasgressivo a un tempo. Così dovevano essere le acque del diluvio quando salivano e salivano a sommergere ogni forma di vita, trasgressive verso chi era stato trasgressivo, uomini e animali. Chi si trovava là in valle quando l'acqua era penetrata nelle stalle, nei cascinali, negli stazzi, aveva visto ermellini, puzzole, e topi, soprattutto topi, uscire a frotte dalle loro sedi e cercar riparo sulle travi: avanti e indietro in cerca di un passaggio inesistente, e infine giù con un tonfo nell'acqua putrida, ad imputridirla ancora di più...
Uno degli alpeggi – e per la verità neanche il più grosso e attrezzato – si chiamava 'Palazzo', toponimo che non ha la pur minima corrispondenza con le abitazioni, ma ne ha invece con la storia, se si è bravi ad interrogarla. La Val di Lej infatti era in gran parte proprietà dei nobili Vertemate, i quali avevano a Piuro in val Bregaglia il loro palazzo favoloso e realissimo, come favolosa e realissima era stata la frana che nel 1618 aveva sepolto il lussuoso borgo. C'è dunque un aggancio fra questo toponimo della Val di Lej e la storia di Piuro.
Ma come era iniziata questa storia? Piuro fu ab antiquo un borgo illustre, voglioso di competere con Chiavenna. Si sa di una fiera lite tra i due borghi, quando Piuro avanzò la pretesa al titolo di arcipretura, cioè di chiesa plebana, con proprio Capitolo. Cosa significasse un 'Capitolo' lo si può dedurre dal fatto che il Capitolo, cioè il gruppo dei canonici di Chiavenna, aveva il diritto di 'decima' sui prodotti dell'alpe Angeloga. E questo sin dal '300. Il nuovissimo Capitolo di Piuro ebbe fra le sue fonti di sostentamento alcuni alpeggi della Val di Lej, di fresco riscattati dalla dominazione dei conti di Sargans. Non si deve pensare,  per questo, che i preti e gli arcipreti fossero delle sanguisughe. Alle loro spalle ribollivano le irrequietezze, l'orgoglio, i campanilismi di popolazioni che lottavano, quali per la parità, quali per l'egemonia.
Fu dunque un segno di intraprendenza da parte della gente di Piuro l'aver esplorato la Valle che dal valico scende verso la Svizzera, l'averla disboscata e resa pascoliva. Infine gli svizzeri si accorsero di quanto la valle era mutata, e avanzarono pretese di possesso sotto forma di enfiteusi, appartenendo il territorio al bacino orografico svizzero.
Fu dall'enfiteusi che il Capitolo di Piuro si liberò, con atto notarile che porta la data del 16 luglio 1461. Se si guarda una cartina geografica un po' dettagliata, si può constatare come la proprietà del Capitolo di Piuro in valle di Lej confina, su al valico, con la proprietà del Capitolo di Chiavenna in Angeloga.

 

Appendice II: la leggenda della Val di Lei

Esiste, in Valchiavenna, una valle dal nome singolare, la valle di Lei, la cui denominazione allude ad una figura femminile (o parrebbe alludere: in realtà il toponimo significa "lago"). Sull’identità di questa figura, però, le spiegazioni divergono.
Una prima storia rimanda ad uno sfondo storico assai lontano nel tempo, cioè all’epoca della dominazione romana della Rezia. Ne è infelice protagonista la moglie di un soldato romano, un centurione di stanza in val Ferrera, attualmente in territorio svizzero. Costei tradì il marito, che non la prese affatto bene e le inflisse una punizione terribile: la rinchiuse in una caverna e la lasciò morire lì.
Passarono circa mille anni, prima che alcuni pastori di Piuro (i pascoli della valle di Lei, assai pregiati, sono, infatti, nel territorio di tale comune) rinvenissero quel che restava della sventurata, sopra l’alpe del Scengio. Come abbiano fatto a ricostruire la vicenda che aveva portato alla tragica fine, non ci è dato sapere: la scoperta, però, suscitò tale impressione e mosse gli animi a tali sentimenti di pietà, che la valle, da allora, assunse il nome che doveva ricordare lei, la donna che trovò nel cuore dei suoi monti la propria tomba.
Da allora quando il vento sibila e pare produrre gemiti lamentosi, i pastori dicono che è l'anima di "lei", un'anima in pena, che piange per il suo tradimento e la sua terribile sorte (cfr. Martino Fattarelli, "Intese e discordie lungo i millenari confini del chiavennasco", in "Clavenna", n. 14, del 1975, e E. Simonetti-Giovanoni, "Almanacco dei Grigioni Italiani", Poschiavo, 1975, pp. 97-98).
Esistono, però, almeno un paio di altre leggende, che ci portano a scenari decisamente più fantastici, anche se non meno tragici (cfr. “C'era un volta, Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, ed. a cura del Comune di Prata Camportaccio, Sondrio, Bonazzi Grafica, dicembre 1994).
La prima ci presenta un tempo in cui la valle godeva di un clima particolarmente favorevole e caldo, ed era quindi particolarmente prospera. Vi dimorava allora una principessa, che possedeva consistenti ricchezze. Purtroppo le situazioni felici, anche nel mondo fantastico delle leggende, non sono mai durature, ed ecco, quindi, entrare in scena un perfido mago, che le intimò di consegnarle tutto l'oro. Inizialmente la principessa resistette alla sua prepotenza, ma quando questi minacciò di congelare la sua bella valle, fu presa dalla paura e cedette.
Aver donato tutto il suo oro, però, non le valse a nulla, perché il mago si fece avanti ancora, con pretese maggiori: questa volta voleva l'intera valle. Questa volta la principessa rispose che non avrebbe mai acconsentito a cedere la sua bella valle. Questo rifiuto segnò il suo destino, perché il mago la uccise. Era tanto malvagio, che neppure volle godersi la valle conquistata con il sopruso, preferendo godersi il gusto di un atto di malvagità gratuita: usò, infatti, le sue arti magiche per stendervi sopra una coltre di ghiaccio. Da allora, in memoria della sua ultima sventurata principessa, la valle assunse l'attuale denominazione.
Una seconda leggenda spiega il nome con una vicenda per certi versi analoga. Questa volta la protagonista è una ragazza di grande bellezza, che abitava sul versante montuoso che scende ad oriente del pizzo Groppera, la vetta che segna il confine sud-occidentale della valle. La sua bellezza non sfuggì ad un malvagio stregone, che passò un giorno nella valle, e che le chiese di sposarlo. La ragazza oppose un netto rifiuto, anche perché, come tutti gli esseri malvagi nell'universo delle leggende, costui era davvero brutto. Brutto e vendicativo: non ci pensò su due volte, e trasformò la ragazza in una grande massa di ghiaccio, in un vero e proprio ghiacciaio. Anche in questo caso alla sventurata venne tributato l'omaggio del ricordo nel nome della valle.
Una terza ed ultima leggenda è riportata nella bella raccolta “C'era un volta, Vecchie storie e leggende di Valtellina e Valchiavenna”, ed. a cura del Comune di Prata Camportaccio, Sondrio, Bonazzi Grafica, dicembre 1994, con contributi di diverse scuole della Provincia di Sondrio (quello riportato è della Scuola Media Bertacchi di Chiavenna):
"Un tempo si diceva che i "malspirit", cioè gli spiriti maligni, erano stati confinati nel posto più tetro della Val di Lej. Qui essi si divertivano a tendere scherzi e tranelli alle persone di passaggio. Il mio bisnonno quasi quasi cascò in uno di questi tranelli. Un giorno infatti giunse alla bocchetta che porta alla Val di Lej quando, improvvisamente, su un burrone, vide una scure conficcata nella roccia. Lui però non la prese, anche se all'inizio gli era venuta la tentazione di farlo per portarla a suo figlio. Si ricordò per fortuna che gli avevano detto che i "malspirit" lasciavano delle scuri in posti pericolosi come quello, per far sì che chiunque tentasse di prenderle, cadesse nel burrone."
Le prime due leggende prendono spunto dalla presenza, nella valle, di ghiacciai, in particolare di quello della Ponciagna, che occupa il vallone dello Stella, il quale, a sua volta, scende dal versante settentrionale del pizzo Stella (m. 3163), ed il ghiacciaio della cima di Lago (m. 3083), che presidia l'angolo di sud-est della valle. Le diverse leggende fiorite sull'origine del suo nome testimoniano della singolarità della valle, che, idrograficamente appartiene al territorio elvetico, essendo tributaria del bacino del Reno, mentre politicamente appartiene all'Italia. Un accordo italo-svizzero, però, ha riservato alla Svizzera il diritto di sfruttamento idroelettrico delle acque della valle. Lo sbarramento dell'enorme invaso (dalla capacità di 197 milioni di metri cubi d'acqua) che occupa il fondovalle, infatti, è in territorio svizzero, ed è stato realizzato fra il 1958 ed il 1961. La valle, orientata a nord, è chiusa, ad oriente, dalla costiera che dallo Schahorn (m. 2836) scende alla cima di Lago (m. 3083) e ad occidente da quella che dal pizzo Motta (m. 2835) scende ai pizzi Groppera (m. 2948) e Stella (m. 3136).

Appendice III: la battaglia dell'Angeloga

La profonda quiete bucolica della piana di Angeloga suggerisce stati d’animo improntati alla serena meditazione, ispira un senso di pace che sembra tanto spesso legato alla natura ed ai suoi spettacoli. Senso di pace che, però, in una lontana mattinata di oltre sessant’anni fa, e precisamente nell’aprile del 1945, venne turbata da un fatto d’armi, passato alla storia come battaglia di Angeloga, che si inscrive fra gli ultimi atti della tragica lotta fra partigiani e repubblichini durante la seconda guerra mondiale.
Per capirne gli antefatti bisogna considerare il contesto di quell’aprile che si sarebbe concluso con la liberazione dell’Italia settentrionale dal regime nazifascista espresso dalla Repubblica di Salò. Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, aveva elaborato un piano di resistenza estrema contro l’avanzata degli Alleati. Tale piano prevedeva la costituzione di un Ridotto Alpino Repubblicano proprio in Valtellina e Valchiavenna, dove avrebbero dovuto asserragliarsi le residue forze fasciste e naziste in attesa di una ormai improbabile svolta clamorosa della guerra legata alle misteriose armi in allestimento in Germania. Di fatto tale progetto, che prevedeva opere di fortificazione, non venne attuato, nonostante i preparativi dello stesso Pavolini, che venne a Sondrio il 5 aprile, ma determinò un movimento di truppe che fu all’origine di diversi scontri con i partigiani, fra i quali, appunto, la battaglia citata.
Affluirono, infatti, in Valtellina e Valchiavenna numerose truppe delle Brigate Nere, cui si affiancavano truppe tedesche, e vennero pianificate azioni di rastrellamento finalizzate a ripulire della presenza partigiana la Valchiavenna e la Bassa Valtellina. Il fine non era solo quello resistenza ad oltranza: il controllo di queste zone avrebbe, infatti, anche consentito, attraverso il passo dello Spluga o la Val Bregaglia, una fuga in Svizzera dei maggiori esponenti del regime repubblichino, per sfuggire alla cattura in caso di disfatta. I partigiani controllavano l’intera Valle di S. Giacomo: loro obiettivo era, in particolare, quello di tener liberi dalla presenza nazifascista la Val di Lei ed il Pian dei Cavalli, luoghi idonei per un lancio paracadutato di armi, promesso dagli Alleati, nell’ottica dell’offensiva finale contro la Repubblica di Salò. La Val di Lei assunse, dunque, in quelle settimane una rilevanza strategica, e siccome il più agevole accesso alla valle era (ed è) il passo dell’Angeloga, per impedirne l’occupazione venne stanziato, nel rifugio C.A.I. Chiavenna all’alpe Angeloga, un presidio composto da una ventina di partigiani.
Il temuto rastrellamento partì, con ingenti forze (500 fascisti e 200 tedeschi circa), all’alba del 19 aprile, lungo tre direttrici, Savogno, la Val d’Avero ed il fondovalle. Dal 21 al 23 aprile Campodolcino, Medesimo e Montespluga vennero occupati dalle forze nazifasciste, che si erano così aperte il passaggio per la Svizzera (anche se il passo dello Spluga, ancora innevato, non era transitabile con mezzi meccanici). Era invece fallito il tentativo di passare in Val di Lei dal passo di Lei, a monte del lago dell’Acquafraggia.
Ecco, allora, il tentativo di passare per l’Angeloga, operato da una compagnia speciale della Milizia di Dongo, composta da oltre 100 uomini, che da Medesimo risalì le pendici del pizzo Groppera, sorprendendo, nella nebbiosa mattina del 26 aprile, il presidio partigiano dell’Angeloga. Un intenso fuoco di mitragliatrici, sostenuto anche da una mitragliera e da un mortaio da 81, costrinse i 20 partigiani a ripiegare 
Il racconto di questo tragico ripiegamento può essere affidato alle parole di un partigiano superstite, Guido Carnazza (Mosquito): Nicolin alla mia destra sparava e rideva, S’ciopp alla mia sinistra sparava e imprecava perché non si dava pace per aver lasciato in capanna uno zaino contenente una mezza forma di formaggio, che rappresentava la scorta di viveri segreta e di estrema emergenza. “Vado a prenderlo”, disse rabbiosamente. Gli urlai che era una follia, ma Sciopp schizzò ugualmente in basso verso la capanna. Sparavo, sparavo, ed il tempo non passava mai. Ad una decina di metri, sulla mia sinistra, in basso, ricomparve S’ciopp, che arrancava per il grosso peso sulle spalle. “Non ne posso più” gridò stremato dalla fatica. “Getta quello zaino” gli urlai. Pochi secondi dopo cadeva colpito da una raffica nemica. (Da un articolo di Guido Carnazza citato in “Antifascismo e resistenza in Valchiavenna, 1922-1945”, di Renato Cipriani, pubblicato dall’Officina del Libro di Sondrio nel 1999). Il ripiegamento partigiano, complice la nebbia, riuscì, a prezzo, però, di due morti (i sopra citati S’ciopp e Nicolin) e di numerosi feriti; i partigiani superstiti varcarono il passo dell’Angeloga e si attestarono in Val di Lei. I miliziani, invece, incendiarono il rifugio e le baite dell’alpe Angeloga, tornando alla sera a Medesimo. Milano era già stata liberata il giorno prima. Chiavenna venne liberata il giorno dopo.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

Levi, Abramo, "Spartiacque", Sondrio, L'Officina del Libro, 1994; www.fraciscio.it

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