Eccoci giunti all’ultima tappa del sentiero, che prevede una traversata dalla Val di Tartano alla Val Madre, con il conclusivo ritorno al piano della media Valtellina, a Fusìne. Val di Tartano e Val Madre sono, fra le valli orobiche, quelle che presentano il maggior numero di valichi che le pongono in comunicazione. Ce ne sono, infatti, ben cinque. Il più settentrionale è il passo di Vicìma, posto al culmine dell’omonima valle, la prima laterale che trova, sulla sua sinistra, chi si addentra in Val di Tartano. Oltre i 2234 metri del passo si scende in val Bernasca, laterale della Val Madre, dove si trova il grazioso laghetto di Bernesca. Il secondo valico, procedendo verso sud, è la bocchetta, senza nome sulle carte militari, che congiunge le estreme propaggini dell’alpe Gerlo, sul lato orientale della Val Lunga, di nuovo con la val Bernasca. Poco più a sud si trova una seconda bocchetta senza nome, a quota 2410, nella parte più alta dell’alpe di Canale: sul lato della Val Madre troviamo la val Cògola. Avvicinandoci alla parte alta della Val Lunga, troviamo il passo di Dordonella (m. 2320), al culmine dell’omonima valle, la prima che abbiamo trovato sulla nostra destra, scendendo dalle baite di Porcile. Oltre il passo ci si ritrova in alta Val Madre, non molto distanti dal passo di Dordona.

 
Infine, ecco il valico che ci interessa, il passo o bocchetta dei Lupi, in fondo all'omonima valle, il cui nome richiama i tempi nei quali queste zone erano battute dall'animale che, nell'immaginario di molti, suscita arcani timori. Lasciamo, dunque, il rifugio Beniamino e ripercorriamo, a ritroso, il sentiero verso le baite di Porcile, a 1803 metri.
Se non abbiamo ancora visitato i laghetti di Porcile, non possiamo mancare di salire a vederli, portandoci sul lato di sud-ovest della piana e risalendo, verso destra, il dosso che la sovrasta, fino alla baita di quota 1900, dove troviamo un bivio: proseguendo a destra si sale al passo di Tartano, prendendo a sinistra ci si dirige ai laghetti. Incontriamo così ben presto il lago Piccolo (m. 2005) e, appena sopra, il lago Grande (m. 2030); un sentiero che parte dal lato di sud-ovest di quest’ultimo sale al lago di Sopra (m. 2095), proseguendo, poi, per il passo di Porcile (m. 2290).
Se, però, non vogliamo effettuare di nuovo il percorso del giorno prima, dalla piana di Porcile possiamo imboccare un sentiero che percorre un tratto nella boscaglia e taglia, sulla sinistra (est), il fianco della valle dei Lupi. Dobbiamo prestare un po' di attenzione per trovarne la partenza, ma poi non possiamo perderlo.
Superata un porta che si trova alla sommità della piccola forra del torrente, raggiungiamo l'alpe dei Lupi,
e, attraversando un bel pianoro e,
superando la baita di quota 1975, ci dirigiamo all'imbocco del largo canalone che scende dalla bocchetta dei Lupi (m. 2316), lo stretto intaglio che è già ben visibile sul crinale alla nostra sinistra.
Questo percorso taglia fuori il lago Grande,
che però rimane, ben visibile, alle nostre spalle.
L’ultimo tratto della salita è un po’ ripido,
ma alla fine ci affacciamo sull'alta Val Madre.
Alla sinistra, sul crinale che separa le due valli, vediamo il monte Seleron,
mentre a destra si impone l'ampia sella del passo di Dordona, che congiunge la Val Madre alla Val Brembana.
Dopo aver disceso il canalino terminale, giungiamo ad un bivio: mentre il sentiero di sinistra scende verso la casera di Dordona (m. 1950),
quello di destra effettua un traverso nell'alta valle, passa nei pressi di un bel microlaghetto, supera tre valloncelli e conduce alla baita della Croce (1944), dove, effettivamente, si trova una croce, ma anche un crocevia: si intersecano qui, infatti, la Gran Via delle Orobie, che prosegue verso la casera di Valbona ed il passo omonimo (con successiva discesa in Val Cervia) ed il sentiero che dalla Val Madre sale al passo di Dordona, che la unisce all’alta Val Brembana. Dobbiamo salutare la Gran Via ed immetterci su questo secondo sentiero.
Se abbiamo tempo, una puntata all’ormai vicino passo di Dordona (m. 2061) non può mancare: fra i motivi di interesse del passo, uno dei più frequentati nodi di comunicazione fra Valtellina e bergamasca, nei secoli scorsi, sono indubbiamente i resti delle fortificazioni militari risalenti alla Prima Guerra Mondiale, ed in particolare un osservatorio scavato nella roccia per dominare visivamente la Val Madre ed avvistare da lontano eventuali nemici. Oggi ciò che da qui avvistiamo è solo il bel profilo del monte Disgrazia, che domina, verso nord, il panorama.
Torniamo, poi, sui nostri passi, scendendo tranquillamente verso il fondovalle.
Passiamo, così, più in basso rispetto alla casera di Dordona
e, dopo qualche tornante,
ci ritroviamo alla piana che si stende ai piedi della parte alta della valle. Qui attraversiamo il torrente su un ponticello e, portandoci sul lato destro della valle, guadagniamo rapidamente una strada sterrata sulla quale proseguiamo la discesa, raggiungendo dapprima
la baita Forni (m. 1452), poi la località Tegge (m. 1255)
ed infine
le poche case
e la bella chiesetta
di Val Madre (m. 1195).
La successiva e conclusiva discesa verso Fusìne avviene comodamente sulla strada, con fondo in terra battuta prima, in asfalto poi,
passando per il maggengo di Ca' Manari
e la bella chiesetta della Madonnina (m. 552).
Raggiungiamo il paese (m. 285) dopo circa 6 ore di cammino, avendo superato circa 820 metri in salita.

Se non disponiamo dell’appoggio di una seconda automobile, teniamo presente che dalla stazione di San Pietro-Berbenno possiamo raggiungere, con il treno, Delebio. Si conclude così un cammino destinato a lasciare un segno indelebile negli amanti del trekking, soprattutto perché avviene, in buona parte, in luoghi che non sono fra i più frequentati dai cultori della camminata ed in ambienti che regalano ancora ampi squarci di natura incontaminata e selvaggia, su una quota media ragguardevole (1800 metri), ma senza passaggi rischiosi o particolarmente impervi. L’unica avvertenza è di non effettuare il percorso nel periodo primaverile, anche avanzato, in quanto la neve residua, soprattutto se marcia, potrebbe costituire un ostacolo da non sottovalutare, oltre che rendere più problematico il riconoscimento del sentiero.

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