Dov’eravamo rimasti? Ah, sì, alla Val Mala. La denominazione significa “valle cattiva”, e si trova anche in altri luoghi della Valtellina, quando si ha a che fare con valli scoscese e dirupate. Non sembra un inizio di buon auspicio per questa terza giornata. In realtà questa valle si chiama così per l’aspetto che la caratterizza a quote molto più basse, come è possibile osservare percorrendo la strada statale che da Morbegno sale a Gerola Alta. L’aspetto che la valle assume appena prima della galleria che incontriamo poco dopo Rasura è, infatti, veramente selvaggio ed impressionante.
 
Ma torniamo alle nostre quote. Abbiamo appena lasciato il Bar Bianco e dobbiamo subito salire, per riguadagnare la baita del Prato,
cominciando, poi, una traversata che ci porta sul versante opposto della Val Mala (qui tutt’altro che impressionante), fino all’alpe Ciof, o Giuf (m. 1732).
Nella traversata incontriamo, in una gentile cornice di radi larici, anche un masso sul quale è fissata una targa che ci ricorda che quello che stiamo percorrendo è il sentiero Andrea Paniga. Ma questo noi lo sappiamo già. Inoltre, passiamo poco al di sotto dell’alpe Culino, caratterizzata dalla presenza di un bel laghetto (m. 1959): non è una cattiva idea salire a visitarlo e, se siamo in forma, proseguire, verso nord-est, imboccando l’evidente sentiero che sale alla croce della panoramica Cima della Rosetta (m. 2142). Questo fuori-programma ci porterà via non più di un’ora e mezza-due.
Ma torniamo alla traversata, che si è conclusa alla casera dell’alpe Ciof, posta al limite inferiore di un lungo e bellissimo prato adagiato sul crinale che scende, verso est, dal monte Rosetta (m. 2360). Ad accoglierci troveremo, d’estate, lo scampanio delle mucche al pascolo (ma anche l’abbaiare di qualche cane che, come spesso accade, non si mostra troppo amico degli escursionisti).
Il sentiero non taglia il pascolo, ma prosegue appena sopra il limite superiore del bosco (leggermente più in basso rispetto alla casera), in direzione sud-est.
Dopo il primo tratto, entra in un bosco di larici e comincia a guadagnare quota, per circa duecento metri. Ignorata una deviazione a sinistra, e superato il solco della val Combana,
raggiungiamo, infatti,
la baita dell’alpe Combana (m. 1810). Questa parte del sentiero suscita emozioni contrastanti: gli alpeggi offrono scenari gentili ed aperti, ma i boschi lasciano intravedere versanti che cadono, ripidi, sugli anfratti ombrosi di valli profonde, la val Combana e, ancor più, la successiva val di Pai. La deviazione a sinistra, ignorata, porta proprio nel cuore di questa seconda valle, ad un ponte sul torrente, che permetterebbe di accorciare il percorso di un buon tratto. Meglio, però, rimanere più in alto.
All’alpe Combana, oltretutto, ci viene offerta l’occasione di un secondo interessante fuori-programma, che richiede circa due ore di supplemento di marcia.
Invece di proseguire verso la casera di Stavello, prendiamo a destra, risalendo, senza percorso obbligato, la solare e solitaria parte alta della val Combana. Oltrepassate un paio di baite dell’alpe Piazzi di Fuori, guadagniamo la conca terminale. Portiamoci ora nella sua parte sinistra, risalendo verso il piede della testata fra massi e sfasciumi. Incontreremo, qua e là, tracce di sentiero. Raggiunto il piede di una formazione rocciosa, troveremo un sentiero che ci porta facilmente all’erbosa cima del monte Stavello, a 2416 metri.
Dalla conca non è facile individuare la cima, posta ad ovest-sud-ovest rispetto all’ultima baita dell’alpe. Sta alla nostra sinistra e non è molto pronunciata.
Il panorama, dalla vetta, è davvero suggestivo: sul crinale fra Val Gerola e Val Lesina, verso sud, si riconosce, per la caratteristica forma, il monte Rotondo,
mentre sul lato opposto, a nord-est, possiamo osservare, da un angolo visuale insolito, uno scorcio della media Valtellina e del versante retico.
Interessante è anche il colpo d'occhio sulla parte settentrionale del versante che separa la Val Gerola dalla Val Lésina.
Infine, guardando ad est, appaiono i versanti orientali della Valle del Bitto di Albaredo e della Val Tartano.
Torniamo però ora alla baita di Combana: il sentiero se la lascia alle spalle, sale verso un bel bosco di larici,
taglia un dosso e sbuca nella conca dell’alpe Stavello, dove troviamo un baitone
ed una croce (m. 1944).
 Da qui la visuale sulla parte occidentale della testata della val Gerola
è particolarmente felice.

Propongo un terzo fuori-programma, più lungo dei precedenti, e quindi riservato ai grandi camminatori. Dal baitone imbocchiamo il marcato sentiero che sale, verso sud-ovest, in direzione di una formazione rocciosa, che viene tagliata: ci introduciamo, così, nell’ampio anfiteatro dell’alta val di Pai. Siamo su un sentiero, marcato con segnavia rosso-bianco-rossi, che, superata una baita a quota 2000, si dirige verso il ben visibile intaglio nella testata della valle, la bocchetta di Stavello, che viene raggiunta dopo un ultimo ripido tratto. La bocchetta, a quota 2201, dà sull’alta val Fràina, laterale della Val Varrone, dalla quale giunge il sentiero Cadorna, tracciato durante la Prima Guerra Mondiale per portare pezzi d’artiglieria alle fortificazioni che sono ancora visibili nei pressi della bocchetta stessa. Troviamo anche una breve galleria scavata nella roccia e che era parte integrante del sistema di fortificazioni. Dalla bocchetta parte, verso destra, una traccia di sentiero che, appoggiandosi alla parte sinistra (di sud-ovest) del crinale, conduce facilmente alla cima erbosa del monte Rotondo (m. 2495), sormontata da una statua della Madonna. Il panorama, da qui, è, nelle giornate limpide, particolarmente ampio e suggestivo. Questo terzo fuori-programma richiede circa due ore e mezza di cammino in più.

D’accordo, adesso diamo un taglio ai fuori-programma e torniamo al sentiero Paniga. Eravamo al baitone di Stavello. Scendiamo al limite del prato antistante verso sud est (destra). Se guardiamo con attenzione, vedremo che, quasi intagliato nel fianco roccioso della val di Pai, parte, verso destra, un sentiero abbastanza largo,
ma assai esposto (per renderlo più sicuro è stato attrezzato con corde fisse). In breve, però, scendiamo a luoghi più tranquilli, incontrando subito 
una deviazione a sinistra, che ci fa scendere verso il solco della valle. Sono luoghi di grande bellezza, fra i più suggestivi della val Gerola.
Raggiungiamo un’ampia radura, attraversata in diagonale la quale ritroviamo, non lontano dal torrente, che scende qui rinserrato in aspre rocce, il sentiero, che ci porta, scendendo ancora, ad un ponticello (attenzione: se non è stato riparato, era pericolante; ma non è difficile, se non è piovuto da poco, attraversare il torrente). Passati sull’altro lato della valle (il destro), seguiamo un sentiero che, attraversato un bel bosco e lasciato il torrente sempre più in basso, scende ad intercettare una pista sopra la località di san Giovanni, poco al di sopra dei 1400 metri. Dirigiamoci a sinistra: la pista scende per un tratto, poi intercetta una più larga strada sterrata che sale da Gerola e Castello
a Laveggiòlo. Se però, per sbaglio, si fosse scesi dalla Val di Pai per il sentiero più basso, che segue il torrente, ci si sarebbe ritrovati nei pressi di Ravizze, poco al di sotto dei 1200. Niente di drammatico: proseguendo verso ovest-sud-ovest, da Ravizze si può facilmente salire ad intercettare la medesima strada sterrata.
Laveggiòlo, dunque, stupendo nucleo di case e baite a 1471 metri, posto quasi all’ingresso della Val Vedràno, sul suo lato settentrionale.
Ora dobbiamo imboccare la pista che sale verso la valle,
staccandocene, però, ben presto sulla sinistra, dove troviamo un sentiero
che scende,
in uno scenario bellissimo,
ad un ponte, che ci permette di superare
il torrente Vedrano, risalendo poi, con un tratto ripido,
sul versante opposto della valle,
fino ad intercettare di nuovo la pista.
Dopo qualche tornante, prestiamo attenzione ad un cartello che segnala il rifugio Trona, in prossimità della partenza di un sentiero che sale ripido nel bosco e, in corrispondenza di un bel tavolo con panca per una sosta,
comincia un lungo traverso sul fianco occidentale della Valle della Pietra, il più occidentale dei rami nei quali l’alta Val Gerola si divide.
Dopo qualche saliscendi, il sentiero attraversa un torrentello
e sbuca poco sotto il rifugio di Trona Soliva (m. 1907), collocato nella bellissima alpe
che si stende ai piedi del pizzo Mellasc (m. 2465). Il luogo, per la sua apertura, infonde un fortissimo senso di respiro e serenità: sembrano lontane forre e boschi ombrosi. Qui tutto, nelle luci della sera, appare rassicurante e quieto.
Lo scenario che ci sta di fronte, verso sud, è davvero imponente: il pizzo di Trona, sulla destra, si impone come signore della testata della Val Gerola.
Siamo in cammino da circa 6-7 ore, fuori-programma esclusi, e la sosta per il pernottamento appare quanto mai meritata. I circa 1000 metri di dislivello superati si fanno sentire, nelle gambe, ma non nello spirito. Domani è un’altra tappa, la quarta.

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