Dal rifugio Bignami al rifugio Cristina
Su YouTube: Alta Via della Valmalenco 7: Rif. Bignami-Rif. Cristina
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line APRI QUI UNA MAPPA DI QUESTI LUOGHI ELABORATA SULLA BASE DI GOOGLE MAP - Apri qui una galleria di immagini
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Nella
settima tappa ci porteremo decisamente sul limite nord-orientale della
Valmalenco, percorrendone anche per un tratto la linea di confine con il
territorio svizzero della Val Poschiavina. Imbocchiamo dunque il largo sentiero che dal rifugio Bignami scende verso il muraglione del grande lago creato dalla diga di Gera. Il sentiero percorre il fianco orientale del Sasso Moro e non presenta alcuna difficoltà, ma va percorso con attenzione perché il versante montuoso può scaricare a valle, soprattutto ad inizio stagione, dei massi. |
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Raggiunto
il camminamento che percorre la sommità del grande muraglione della diga, ci
portiamo sul lato opposto, dal quale possiamo godere di un eccellente
panorama sulla parte orientale della testata della Valmalenco. Al centro
dello scenario si colloca ora la grande mole del Sasso Rosso (m. 3481),
dietro il quale si intravede il passo di Sassi Rossi (m. 3510) che introduce
all'altopiano di Fellaria. Appena visibile, fra la vedretta di Fellaria e la vedretta di Fellaria orientale, si scorge il più orientale dei colossi del gruppo del Bernina, il piz Palü (m. 3905). |
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Dal
lato orientale della sommità del muraglione della diga (m. 2060) parte una
carrozzabile che ne percorre il lato est: imbocchiamola, dopo aver gettato
un'occhiata alla sottostante e più piccola diga di Campomoro (m. 1990), alle
cui spalle è ben riconoscibile il profilo del monte Disgrazia. Attraversiamo anche una piccola galleria, all'uscita dalla quale riusciamo ad individuare facilmente, a sinistra del Sasso Rosso, il piz Argient ed il piz Zupò, che mostrano solo la loro cima. |
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Dopo
un breve percorso giungeremo ad un bel terrazzo, in corrispondenza del
quale la strada, presidiata ai lati da alcuni grandi massi, piega a destra
per salire in val Poschiavina. |
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Si tratta del cosiddetto "sentiero dei ponti", perché sono proprio sette comodi ponticelli a permetterci di superare questi torrentelli, che possono assumere una portata non indifferente. Nella traversata verso il lato orientale dell'anfiteatro abbiamo modo di ammirare le tre grandi cascate che scendono fragorosamente da un alto salto roccioso.
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Attraversato
il circo detritico, saliamo alla verde conca che ospita l'alpe Gembrè
(m. 2224) e, dopo averne raggiunto il limite meridionale, dove troviamo
un'evidente croce, ci incamminiamo su un tratturo che fiancheggia, rialzato,
il lato orientale della diga di Gera. |
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Siamo
dunque alle baite dell'alpe Poschiavina (m. 2230), che suscita un senso di
ordine, apertura e luminosità. Dobbiamo ora risalire interamente la valle, fino al suo limite orientale. Si tratta di un percorso facile e rilassante, segnato, se la giornata è buona, dallo splendore delle tonalità di un verde che conferisce alla valle un'impronta di vita anche quando non vi si trovano ancora (o non ci sono più) mucche e pastori.
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Rimanendo
sempre a sinistra del torrente, ci approssimiamo ad una larga porta delimitata
da due grandi formazioni rocciose (vedi foto a sinistra), porta che ci
introduce ad un secondo grande ripiano, dove la valle termina. |
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Raggiunto
il limite orientale della valle, dobbiamo salire fra alcune roccette,
prestando attenzione ai triangoli gialli ed ignorando i segnavia bianco-rosso-bianchi
che indicano il sentiero che, alla nostra sinistra, volge in direzione
del passo di Ur. |
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Sul crinale troviamo anche alcuni cippi di confine, che risalgono al 1930 e che, con le lettere "I" ed "S", puntualizzano dove il territorio italiano e quello svizzero si incontrano (preferisco dir così, piuttosto che "terminano").
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Potremo così permetterci il gioco di starcene tranquillamente con una scarpa qui e l'altra là, in una beata sospensione che gode della bellezza nascosta di questo angolo forse poco conosciuto della catena retica.
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Seguiamo
poi i segnavia che ci accompagnano nella tranquilla traversata di queste
terre di confine, verso quel passo di Canciano (o di Cancian, m. 2464)
che un cartello ci segnala in corrispondenza di un pianoro dal quale parte
l'omonima valle svizzera, laterale di destra della Val Poschiavina (dal
pianoro si scorge, sul lato destro della val Canciano, un grande masso
che sembra curiosamente sospeso in equilibrio precario, quasi fosse lì
lì per cadere). |
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Oltre il torrente saliamo ad un nuovo pianoro dove ci attende una nuova sorpresa, un sistema costituito da cinque laghetti, ai piedi di un gradone roccioso sopra il quale è ben visibile la vedretta del pizzo Scalino (vedi foto sotto, a destra). Oltrepassato il primo laghetto ci troviamo ai piedi di un grande dosso erboso, sovrastato da un ometto ben visibile: potremmo facilmente risalirlo, seguendo una traccia di sentiero, per poi scendere verso sinistra al pianoro sottostante. L'alta via descrive però un percorso un po' più lungo. |
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Se
prestiamo attenzione ai triangoli gialli, infatti, questi ci guidano fino
ai piedi di un pronunciato dosso morenico, del quale percorriamo per un
buon tratto il filo, per poi deviare verso destra, scendere ad un valloncello
e risalire sul lato opposto, raggiungendo il limite di un ampio pianoro,
occupato da grandi massi. |
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Ed
è proprio al limite superiore di questo vallone che troviamo il cartello che
segnala il secondo passo valicato da questa settima tappa, il passo di
Campagneda (m. 2626). Inizia così una lunga discesa sul lato sinistro del grande vallone. Non si tratta però, come accade spesso nelle discese su terreno accidentato, di un noioso tributo pagato all'itinerario escursionistico, perché altre piacevoli sorprese accompagnano i nostri passi. |
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Nella discesa, infatti, incontriamo, alla nostra destra, il bel sistema dei laghetti di Campagneda, su ripiani successivi di roccia, in una disposizione detta "a rosario". Certo, si dirà, si tratta di una sorpresa per modo di dire, perché, carte alla mano, sappiamo che i laghetti ci sono e che l'alta via ci passa molto vicina. |
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Eppure il successivo mostrarsi di questi specchi d'acqua, che dal passo non si vedono, suscita comunque un piacevole stupore. |
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L'emozione
estetica legata a questa discesa è arricchita, sulla nostra sinistra, dalla
bella ed inusuale prospettiva dalla quale il pizzo Scalino ci appare
(finalmente, perché nella prima parte della tappa ne abbiamo visto solo la
vedretta, chiusa ad est dal pizzo Canciano). Possiamo facilmente riconoscere anche la sella a ridosso del Cornetto, alla quale sale il sentiero percorso da chi sale al pizzo per la via più frequentata. |
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Raggiunto
l'ampia e verde spianata dell'alpe Campagneda superiore, poco al di sotto
del terzo ed ultimo laghetto (senza contare qualche secchio d'acqua minore),
pieghiamo a sinistra, verso sud, iniziando una sorta di traversata nel
deserto. Si tratta, beninteso, di un deserto verde, ma l'impressione è proprio questa, perché per un buon tratto non vediamo altro che prati e piccoli dossi occupati da formazioni rocciose, e ci chiediamo dove siano baite ed alpeggi. |
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Nella
traversata i segnavia ci assistono poco, perché li si trova solo ogni tanto,
su qualche sasso. Dobbiamo quindi prestare un po' di attenzione, evitando la tentazione di piegare a destra e di scendere a vista. Teniamoci dunque nella parte centrale del largo corridoio verde, puntando ad una prima fascia di roccette che superiamo valicando una facile porta. Sulla nostra sinistra il pizzo Scalino perde gradualmente il suo profilo slanciato ed elegante, assumendone uno più tozzo e massiccio. |
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