Lago di Ciazz di Fora

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Chiareggio-Alpe Fora-Rifugio Longoni-Rifugio Palù
7-8 h
1000
E
Variante: Chiareggio-Alpe dell'Oro-Alpe Fora-Rifugio Longoni-Rifugio Palù
9 h
1050
E
SINTESI. Ci portiamo sul limite orientale di Chiareggio, saliamo a sinistra alle case di Corti, entriamo poi in un fresco bosco e, superato il torrente della val Novasco, saliamo, con una lunga diagonale verso nord-est, fino a raggiungere il limite inferiore dell'alpe Fora, sul lato occidentale della val Forasco. Il sentiero risale verso nord i prati inferiori dell'alpe, passando poco a destra delle due baite dell'alpe Fora (m. 2053). Ignorato il sentiero di sinistra, che si porta alle baite e traversa all'alpe dell'Oro, e quello di destra, che scende ad intercettare la pista per l'alpe Bracciascia, proseguiamo diritti salendo su una ripida china ed infilandoci nel vallone del torrente Forasco, che resta alla nostra destra, fino al cartello che dà il rifugio Longoni a 30 minuti. Pieghiamo a destra, superiamo su un ponte il torrente Forasco e ci affacciamo agli splendidi piani di Fora, delimitati a monte da cascate, passando a sinistra del baitello quotato 2283 metri ed a lato di un piano torboso di quota 2300 metri. Più avanti passiamo a sinistra del piccolo Lach di Ciazz. Proseguiamo verso sud-est, superando il torrente Foraschetto ed iniziando a salire su una fascia rocce rotte, prima di raggiungere un trivio, al quale proseguiamo diritti, raggiungendo, dopo pochi minuti, la bandiera italiana, che precede di poco il rifugio Longoni (m. 2450). Dopo la sosta al rifugio, torniamo indietro per breve tratto al trivio, prendiamo a sinistra e scendiamo verso sud-est, seguendo un sentiero che, ben presto, attraversa un bel boschetto di pini mughi, prima di congiungersi con la strada sterrata che dai Prati della Costa, sopra san Giuseppe, sale verso l'ex rifugio Entova-Scerscen. Raggiunta la strada, seguiamo la segnalazione per il rifugio Palù e proseguiamo in leggera salita, verso nord-est, finché, dopo aver attraversato un torrentello, in corrispondenza di un tornante sx, troviamo l'indicazione della deviazione a destra che ci fa staccare dalla strada per effettuare una lunga traversata verso sud-est. Il primo tratto supera una fascia di grandi massi. Dopo aver attraversato il torrente Entovasco, iniziamo a salire gradualmente, trovando ogni tanto una traccia di sentiero, alternata a tratti in cui sono ancora i massi a farla da padrone. Ai tratti in salita si succedono anche brevi discese fino al'abbandonata alpe Sasso Nero. Ad una discesa che ci permette di superare un valloncello segue una nuova, faticosa ma ultima risalita, che ci fa guadagnare di nuovo una quota di poco superiore ai 2300 metri. Coi affacciamo all'ampia conca del lago Palù verso la quale scendiamo diretti fra pini mughi, fino all'alpe Roggione. Qui pieghiamo a destra ed in breve siamo al rifugio lago Palù (m. 1947), poco sopra le rive del lago Palù.
Variante: Portiamoci al limite occidentale di Chiareggio e ad un bivio andiamo a destra, procedendo su strada, larga e comoda, che sale in una bella pineta con diversi tornanti, nei cui pressi si trovano anche alcune aree di sosta attrezzata. Dopo circa un'ora di cammino, procedendo verso nord-ovest usciamo dalla pineta e, lasciata a sinistra la strada del Muretto, prendiamo a destra (segnalazione per il rifugio Longoni) e guadagniamo il terrazzo dell'alpe dell'Oro (m. 2010). Attraversiamo i prati dell'alpe passando a valle delle baite a ridosso della pietraia ed imbocchiamo la pista che traversa verso est, entrando in una bella pineta e salendo ad una prima radura. Attraversata la parte bassa dei prati, la pista riprende a salire in pineta ed attraversa un corpo franoso, per poi uscire alla parte bassa di una nuova fascia di prati (m. 1883). Qui la pista piega a sinistra e sale ripida per terminare allo splendido terrazzo di prati del piano dell'Oro. Noi, però, la lasciamo seguendo il sentiero segnalato che se ne stacca sulla destra, procedendo in piano in una pineta. Superata una valletta, proseguiamo in piano nella rada boscaglia, sempre verso est. Tagliata una fascia di prati ed una valletta, rientriamo nella pineta ed in leggera discesa passiamo a valle della balconata rocciosa che sostiene il piano dell'Oro. Superata una nuova valletta ed una rada boscaglia, usciamo ad una ripida fascia di prati, che tagliamo in leggera discesa, per rientrare poi nella boscaglia. Attraversate in piano due vallette, proseguiamo sempre diritti in pineta, per poi uscirne ed attraversare un ripido vallone erboso. Rientrati in pineta, ci affacciamo all'ampio solco della Val Nevasco. Qui siamo ad un bivio (entrambi i rami portano comunque all'alpe Fora), e seguiamo la traccia di destra, che traglia i due rami del torrente procedendo in piano fra radure e brevi macchie. Ci portiamo così ai piedi di uno speroncino di roccette quotato 2170 metri, e, sempre in piano e nella boscaglia, tagliamo il dosso che ci separa dall'ampio anfiteatro della Val Forasca. Usciamo al bordo alto di un ampio terrazzo di prati. Poco sotto, le baite dell'alpe Fora (m. 2053), alle quali ci portiamo in pochi minuti, procedendo su debole traccia ed intercettando il più marcato sentiero che da Chiareggio sale al rifugio Longoni (si tratta del primo tratto della quarta tappa dell'Alta Via della Valmalenco, di cui abbiamo percorso una variante). Dall'alpe Fora proseguiamo, come sopra descritto, per il rifugio Longoni ed il rifugio Alpe Palù.


Apri qui una fotomappa degli accessi al rifugio Longoni

Ripartiamo, dunque, da Chiareggio (cirècc, cirécc o ciarécc; in un documento del 1544 “gieregio”; in una mappa del 1816 risultava costituito dalla chiesetta di S. Anna, dall’Osteria del Bosco, dal baitone di fronte alla chiesa e da sei piccole costruzioni lungo il Mallero -màler-), per effettuare la quarta tappa che si configura come una lunga traversata panoramica. Il primo tratto, da Chiareggio all'alpe Fora, può essere percorso in due modi diversi.
Il più lungo prevede la salita all'alpe dell'Oro (alp de l'òor, nel 1544 alpis de loro: niente a che vedere con il nobile metallo, ma con la radice che significa "bordo, ciglio su salto o dirupo"; chiamata anche curt de l’òor, in una mappa del 1816 risultava costituita da 22 baite), seguendo la strada che entra nella valle del Muretto e sale al passo (pas de mürét, l'antico monte dell'Oro). All'alpe si lascia la strada per imboccare a destra un sentiero che effettua una lunga traversata, poco sotto la quota 2100, fino all'alpe.
La seconda variante permette di risparmiare un'ora circa di cammino, ed offre scorsi panoramici non meno affascinanti. Se la scegliamo, dobbiamo portarci all'ingresso di Chiareggio, dove troviamo le indicazioni della quarta tappa dell'alta via, che ci fanno imboccare, sulla sinistra, una strada carrozzabile, la quale, dopo un breve tratto, conduce ad un breve sentiero mineralogico, dove troviamo gli esempi delle diverse rocce che caratterizzano il variegato panorama della Valmalenco. Seguendo i segnavia (che fino all'alpe Fora sono nella maggior parte dei casi bandierine rosso-bianco-rosse, spesso sovrapposte ai triangoli gialli dell'alta via) e lasciando alle nostre spalle le case di Corti ("la cùurt", m. 1638; una mappa del 1816 vi segnava 12 fra case e stalle), entriamo poi in un fresco bosco e, superato il torrente della val Novasco, saliamo, con una lunga diagonale verso nord-est, fino a raggiungere il limite inferiore dell'alpe Fora (alp de fura de fö), sul lato occidentale della val Forasco ("furàsch"; alpeggio assai importante, che, da una mappa del 1816, risultava costituito 27 baite complessive).
All'uscita dal bosco si impongono subito alla nostra attenzione due cime, il pizzo Tremoggia (m. 3441) ed il pizzo Malenco (m. 3438). Il primo è di grande interesse, in quanto presenta la particolarità di essere rivestito di roccia dolomitica. Alla sua sinistra si trova, su una ben visibile depressione del crinale, il passo di Tremoggia (buchèta o pas di tremögi, m. 3014), al quale si sale abbastanza facilmente dal rifugio Longoni. Non meno interessante è il panorama che ci si offre sul lato opposto, cioè verso sud-ovest: qui è la parete nord del monte Disgrazia ad imporsi, ma, a differenza di quanto accade durante la terza tappa, qui il suo volto appare meno selvaggio e più armonioso e simmetrico.


Piani e cascate di Fora

Il sentiero risale verso nord i prati inferiori dell'alpe, passa poco a destra delle baite dell'alpe Fora (m. 2053). Alle spalle del baitone dell'alpe si trova un grande masso erratico sul quale sono incise croci e coppelle, queste ultime forse risalenti ad epoche preistoriche. Si tratterebbe quindi del segno del più alto insediamento preistorico in Valmalenco. Si tratterebbe quindi del segno del più alto insediamento preistorico in Valmalenco. Ignorato il sentiero di sinistra, che traversa alle baite ed all'alpe dell'Oro, e quello di destra, che scende ad intercettare la pista per l'alpe Bracciascia, proseguiamo diritti salendo su una ripida china, al termine della quale ci affacciamo al vallone del torrente Forasco, che scorre alla nostra destra. Lo tagliamo in leggera salitafino al cartello che segnala a sinistra la deviazione per il passo di Tremoggia,dato a 2 ore e 20. La ignoriamo e seguiamo il cartello che dà il rifugio Longoni a 30 minuti.


Apri qui una fotomappa del percorso dall'alpe Fora al rifugio Longoni

Superato su un ponte in legno il torrente Forasco, ci affacciamo ai Piani di Fora (Ciaz de Fura de sot), splendido ed ampio terrazzo, delimitato a nord da enormi blocchi e da belle cascate, ai piedi degli occhieggianti pizzi Tremoggie a Malenco. Pieghiamo a destra e passiamo a sinistra del baitello quotato 2283 metri ed a lato di un piano torboso di quota 2300 metri. Più avanti passiamo a sinistra del laghetto chiamato localmente "laghèt" o "làch (lèch) di ciàz"; invece della corretta trasposizione in italiano di "lago dei Piazzi" (o meglio ancora "Lago dei Piani"), si trova in alcuni testi, lago Rosso o lago di Zocca. Fa piacere, in questo luogo gentile, sostare per passare in rassegna le cime che abbiamo incontrato più da vicino durante la terza tappa. L'alpe è chiusa, a monte, da alcune cascate, che scendono dagli scuri gradoni rocciosi.


Il Lach di Ciàz

L'alta via prosegue verso sud-est: attraversato il torrente Foraschetto, dobbiamo superare, con una salita non severa, una fascia di rocce rotte, prima di raggiungere un trivio: i cartelli ci indicano che scendendo a destra raggiungiamo la strada per San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp), salendo a sinistra ci dirigiamo verso il passo di Tremoggia. Noi, però, proseguiamo diritti, raggiungendo, dopo pochi minuti, la bandiera italiana, che precede di poco il rifugio Longoni. Il rifugio è posto a 2450 metri, su un terrazzo roccioso panoramico dal quale si domina l'alta Valmalenco (val del màler) e si gode di un'ottima visuale sulla parete nord del monte Disgrazia e sulla testata della val Sissone. Siamo al punto più alto della tappa, ed a circa metà del percorso, per cui una sosta è quanto mai opportuna. Ritemprate le energie, torniamo al trivio e scendiamo verso sud-est, seguendo un sentiero che, ben presto, attraversa un bel boschetto di pini mughi, prima di congiungersi con la strada sterrata che dai Prati della Costa, sopra san Giuseppe, sale verso l'ex rifugio Entova-Scerscen.
Raggiunta la strada, seguiamo la segnalazione per il rifugio Palù (che lo indica a 4 ore di cammino) e proseguiamo in leggera salita, verso nord-est, finché, dopo aver attraversato un torrentello, in corrispondenza di un tornante sinistrorso, troviamo l'indicazione della deviazione a destra che ci fa staccare dalla strada per effettuare una lunga traversata verso sud-est. Il primo tratto di questa traversata è piuttosto faticoso, perché dobbiamo superare una fascia di grandi massi; le segnalazioni sono però veramente abbondanti, per cui non possiamo perderci. Dopo aver attraversato il torrente Entovasco (éntuàsch), iniziamo a salire gradualmente, trovando ogni tanto una traccia di sentiero, alternata a tratti in cui sono ancora i massi a farla da padrone.


Apri qui una fotomappa della salita al rifugio Longoni

Ai tratti in salita si succedono anche brevi discese, in uno scenario solitario e selvaggio. Verso nord est la montagna mostra un volto arcigno e quasi scorbutico, costituito da speroni rocciosi e grandi ammassi di sfasciumi. Si distingue facilmente uno sperone più avanzato rispetto agli altri, denominato il Castello (castèl).
Questo sperone è legato ad un'interessante leggenda, che riportiamo nella versione contenuta nell'opera di Eermanno sagliani "Tutto Valmalenco" (Edizioni Press, Milano): "
I pastori dell'alpe Sasso Nero, sanno di non avvicinarsi soli di notte allo spuntone roccioso di forme turrite detto il Castello. Potrebbero cadere improvvisamente delle pietre e colpirli.
Ai tempi delle calate barbariche delle orde Ungare, un soldato disertore, fuggendo, risalì la valle. Giunto all'alpe Sasso Nero, dove Cristina, giovane pastorella era intenta alle sue pecore, egli la ghermì e la portò seco sul Castello. Quando Antonio, suo promesso sposo, seppe la sventura della fanciulla, aiutato dai contadini, cautamente, di notte, diede assalto al Castello. Sorpreso nel sonno il barbaro fu incatenato e lassù morì di stenti. Cristina, liberata, tornò felice al suo amato. Nelle cupe notti di maltempo l'inquieto spirito del barbaro imprigionato sullo spuntone roccioso si vendica facendo rotolare pietre su chi per avventura passasse da quello che ancor oggi è chiamato il Castello.
"


Apri qui una fotomappa della traversata dall'alpe Sasso Nero al rifugio Alpe Palù

Attenzione, dunque, a quel che accade a monte del sentiero: se avvertiamo rumori sospetti, potrebbero essere i massi scagliati dal bieco guerriero. Oltrepassato lo sperone, si raggiunge l'alpe Sasso Nero (alp de sas négru, abbandonata, m. 2304), posta ai piedi del grande fianco sud-occidentale del Sasso Nero (umèt, m. 2919). Ad una discesa che ci permette di superare un valloncello segue una nuova, faticosa ma ultima risalita, che ci fa guadagnare di nuovo una quota di poco superiore ai 2300 metri, su un piccolo terrazzo dal quale, finalmente, si mostra lo scenario più gentile dell'alpe e del lago Palù .


Apri qui una fotomappa della zona Sasso Nero-Lago Palù-Monte Motta

A questo punto il sentiero piega a destra (sud-est) e scende deciso in un bosco di pini mughi. Ai pini mughi si sostituiscono gradualmente gli abeti, mentre il sentiero piega leggermente a destra. Lo scampanio delle mucche (se percorriamo l'alta via nel periodo estivo) sembra un ritorno alla vita dopo una traversata del deserto. Ecco infatti, al termine della discesa, l'alpe Roggione (m. 2007), dalle cui belle baite scendiamo verso destra, raggiungendo, in breve, il rifugio Lago Palù ('l rifùgiu). Il rifugio è posto a 1947 metri, e costituisce il punto d'appoggio per il pernottamento: la quarta tappa, infatti, dopo circa sette ore di cammino ed un dislivello in salita effettivo di circa 1000 metri, termina qui. In attesa del tramonto non possiamo però mancare di scendere sulle rive del bellissimo lago Palù (m. 1921; anticamente chiamato semplicemente ‘l làach o lèèch, oggi làach o lèèch di palö), originato dallo sbarramento creato da una paleofrana o da un processo di escavazione glaciale. Il lago, a causa di infiltrazioni, è molto ridotto rispetto alle dimensioni passate: ai tempi di Melchiorre Gioia (1767-1829) lo sviluppo della riva era triplo, ed era necessaria un'ora e mezza per percorrerlo interamente. Era, inoltre, assai più pescoso, tanto da consentire a diverse famiglie di vivere praticando l'attività della pesca. Qui, se non c'è troppa gente, spira un senso di pace e di armonia che pervade nel profondo. Per approfondirne la conoscenza, clicca qui.

Lago Palù

VARIANTE. Possiamo portarci all'alpe Fora per un giro più lungo salendo in Valle del Muretto e traversando dall'alpe dell'Oro all'alpe Fora.


Alpe dell'Oro

Sul limite occidentale di Chiareggio la strada che lo attraversa porta ad un bivio: proseguendo diritti ci dirigiamo verso la pineta di Pian del Lupo (cattiva trasposizione in italiano di cià lla lòp, o ciàn de la lòp, vale a dire il piano della loppa, o lolla, materiale di scarto derivato dalla cottura del ferro: niente a che fare con i lupi, dunque!), mentre prendendo a destra saliamo alla volta dell'alpe dell'Oro e della valle del Muretto (o val Muretto), che, insieme alla val Ventina (val de la venténa) ed alla Val Sissone (val de sisùm) costituisce l'estrema propaggine dell'alta Valmalenco. Scegliamo, seguendo le chiare indicazioni di un grande cartello, questa seconda possibilità, dopo aver parcheggiato l'automobile in uno dei parcheggi disponibili nel paese o nei suoi pressi. La strada, larga e comoda, sale in una bella pineta con diversi tornanti, nei cui pressi si trovano anche alcune aree di sosta attrezzata.  
La maggior parte del suo tracciato è sostenuto, nel versante verso valle, da un muretto ben tenuto. Alcune soste ci permettono di ammirare buona parte della testata della val Sissone, dal monte omonimo, a destra (m. 3330), all'impressionante parete nord del monte Disgrazia (m. 3678), alla cui sinistra si distingue il pizzo Cassandra (piz Casàndra o Casèndra, m. 3226).


Alpe Fora

Dopo circa un'ora di cammino usciamo dalla pineta, lasciamo la strada del Muretto e, prendendo a destra (segnalazione per il rifugio Longoni) guadagniamo il bellissimo terrazzo dell'alpe dell'Oro (m. 2010), le cui baite raggiungono il limite di un versante franoso ai piedi del massiccio versante meridionale del Monte dell'Oro. L'alpe, chiamata localmente alp de l'oor, curt de l’òor o munt de l'oor, è attestata in un documento del 1544, con la denominazione Alpis de loro. In una mappa del 1816 risultava costituita da 22 baite
Il toponimo "Oro", in genere, deriva non dalla del prezioso metallo, ma dalla radice "or", che significa "bordo", "ciglio". Ma in questo caso le cose forse stanno diversamente. Il Romegialli scrive ne "Storia della Valtellina e delle già contee di Bormio e Chiavenna" (Sondrio, 1834): "Vi è la pirite marziale con molto oro in Valle Malenco"; effettivamente in valle del Muretto, al monte dell'Oro ed ai laghetti di Chiesa (Valmalenco), secondo quanto riferisce Ercole Bassi, l'oro, almeno nell'ottocento, veniva estratto. E sempre il Bassi riporta il racconto popolare che parla di un tale svizzero, il quale, nella seconda metà dell'ottocento, venne per tre o quattro estati a fare scavi in un luogo molto elevato e quasi sempre coperto da neve del monte dell'Oro, valicando, al ritorno, il passo del Muretto carico d'oro. Quando la cosa si riseppe, vi fu una piccola caccia all'oro, ma nessuno altro riuscì mai a trovare tracce del prezioso metallo. Venne bensì trovato un buco, ad una quota superiore ai 2400 metri, ma, appunto, senza traccia dell'oro favoleggiato. Ed allora, riflettendo su queste notizie in apparenza contraddittorie, capisci che quando c'è di mezzo l'oro occorre procedere... con i piedi di piombo.


I prati dell'alpe Fora

E' doveroso aggiungere che la fama del Monte dell'Oro è legata anche ad una leggenda che lo vuole popolato da pericolosi cunfinàa, anime che dopo la morte vengono respinte da cielo ma sono anche poco gradite all'inferno, tanto da essere condannate a vagare in eterno fra desolate pietraie, passando le notti a frantumare massi a colpi di mazza. Il fianco destro (per chi sale, cioè nord-orientale) della valle del Muretto, occupato dall'impressionante versante orientale del monte dell'Oro (m. 3154), sarebbe luogo di espiazione eterna per tre confinati, che talora scagliano sui viandanti che salgono al Muretto i massi che hanno frantumato. Per fortuna il versante meridionale del monte non pare sia di loro competenza, per cui chi vi transita non dovrebbe correre pericolo alcuno.
Quel che è certo è che l'alpe dell'Oro costituisce un eccellente belvedere dal quale ammirare la parete nord del monte Disgrazia, con il severo e tormentato ghiacciaio. Non è questa, però, l'unica cima degna di essere osservata con attenzione: alla sua sinistra si distinguono, oltre al citato pizzo Cassandra, il pizzo Ventina ("piz de la venténa", immediatamente a destra dell'omonimo passo) ed il pizzo Rachele; alla sua destra, invece, sono ben visibili le cime di Vazzeda (m. 3301) e di Val Bona (m. 3033), che delimitano il piccolo ghiacciaio di Vazzeda, e l'elegante monte del Forno (fùren, o fórn, ma anche munt rus, m. 3214), a destra dell'omonimo valico.


Apri qui una fotomappa della traversata alpe dell'Oro-alpe Fora

Attraversiamo i prati dell'alpe passando a valle delle baite a ridosso della pietraia ed imbocchiamo la pista che traversa verso est, entrando in una bella pineta e salendo ad una prima radura. Attraversata la parte bassa dei prati, la pista riprende a salire in pineta ed attraversa un corpo franoso, per poi uscire alla parte bassa di una nuova fascia di prati (m. 1883), compreso nel sistema di alpeggi complessivamente denominati "monte dell'Oro". Qui la pista piega a sinistra e sale ripida per terminare allo splendido terrazzo di prati del piano dell'Oro. Noi, però, la lasciamo seguendo il sentiero segnalato che se ne stacca sulla destra, procedendo in piano in una pineta.
Superata una valletta, proseguiamo in piano nella rada boscaglia, sempre verso est. Tagliata una fascia di prati ed una valletta, rientriamo nella pineta ed in leggera discesa passiamo a valle della balconata rocciosa che sostiene il piano dell'Oro. Superata una nuova valletta ed una rada boscaglia, usciamo ad una ripida fascia di prati, che tagliamo in leggera discesa, per rientrare poi nella boscaglia. Attraversate in piano due vallette, proseguiamo sempre diritti in pineta, per poi uscirne ed attraversare un ripido vallone erboso. Rientrati in pineta, ci affacciamo all'ampio solco della Val Nevasco. Qui siamo ad un bivio (entrambi i rami portano comunque all'alpe Fora), e seguiamo la traccia di destra, che traglia i due rami del torrente procedendo in piano fra radure e brevi macchie. Ci portiamo così ai piedi di uno speroncino di roccette quotato 2170 metri, e, sempre in piano e nella boscaglia, tagliamo il dosso che ci separa dall'ampio anfiteatro della Val Forasca. Usciamo al bordo alto di un ampio terrazzo di prati. Poco sotto, le baite dell'alpe Fora (Alp de Fura de dint, m. 2053, che, insieme a l'Alp de Fura de fò comprendeva, nel 1816, ben 27 baite), alle quali ci portiamo in pohi minuti, procedendo su debole traccia, intercettando il più marcato sentiero che da Chiareggio sale al rifugio Longoni (si tratta del primo tratto della quarta tappa dell'Alta Via della Valmalenco, di cui abbiamo percorso una variante).


Il rifugio Longoni

APPROFONDIMENTO: IL LAGO PALU'


Apri qui una fotomappa dei sentieri intorno al lago Palù

Il lago del Palù è il maggiore, per la sua notevole superficie, laghi alpini valtellinesi. Giace in una specie di ameno altipiano, sulla sponda sinistra del Mallero, framonte Nero (2734 m.), monte Roncione (2359 m.) e monte Motta (2336 m.). Le sue purissime acque formano come un seno tranquillo, circondato da sponde erbose con morbide movenze, ricoperte di larici, di mughi e di abeti, che gli fanno ampia, verde cornice ed alto contrasto colle brulle roccie dei monti circostanti. Non ha affluente né emissario di sorta, onde le sue acque derivano unicamente dalle pioggie e dalla fusione delle nevi che cadono sulle pendici dei monti, che circondano lago. Perciò esse vanno soggette ad un grandissimo dislivello nelle varie epoche dell'anno, specialmente nella primavera o nell'autunno, dislivello che è ordinariamente di due metri, e che talvolta assai maggiore, come nella straordinaria siccità del 1893, in cui le acque del lago si abbassarono tanto che a memoria d'uomo non si ricorda mai. Infatti avendolo io visitato il 31 Agosto 1892, trovai una profondità massima di 25 metri, in corrispondenza alla metà circa della retta che attraversa lago di fronte alla casetta; ed giorno 18 Giugno 1893, non vi rinvenni che la profondità di 15 metri. Dovrebbe bastare ciò per convincere del contrario coloro i quali credono (anche fra scrittori di cose naturali della Valtellina) che le acque di questo lago, come di altri senza affluente e senza emissario, debbano avere le loro scaturigini invisibili e ad un livello molto profondo, e se ne vadano per vie non conosciute. Il lago ha forma alquanto allungata, diretto da N.N.O a S.S.E., notevolmente dilatato verso S. Presenta qualche rientranza e sporgenza nelle due sponde maggiori e specialmente una concavità della sponda O. che risponde ad una convessità dell' opposta di E. Il contorno del lago è costituito di limo finissimo, il quale viene ricoperto alquanto più in alto nella regione esterna da pascoli erbosi che crescono rigogliosi sull' abbondante terreno morenico, il quale circonda il lago da ogni parte, dandogli quel grato aspetto, che sopra dicemmo, onde esso direbbesi a tutta prima un lago morenico.


Apri qui una fotomappa della zona Sasso Nero-Lago Palù-Monte Motta

Tale infatti lo credette il Dott. Benedetto Corti. Ma osservando attentamente quest'apparato morenico in ogni sua parte, si scorge tosto come esso non sia propriamente quello che dia origine al lago. Infatti dal monte Motta sopra accennato, che s'innalza a S., si distacca un'ampia cresta della medesima roccia, che piega prima ad O. indi si volge a N. e delimita così, colla base degli altri due monti sopra accennati, un ampio bacino orografico, assai basso, il quale fu mascherato dalla sovrapposizione del terreno morenico. Talora questa viene a mancare e si mostra allora la roccia in posto con stratificazione parallela a quella dei monti sopra nominati, dei quali costituisce come un contrafforte. Questa roccia in posto è ben visibile specialmente sulla sponda O., dalla casetta fino alla estremità S.O. del lago, e, meglio ancora, nel lato esterno della sponda di questa, appena sopra le baita di Zocca, dove grandi banchi di micascisto emergono dal terreno morenico.


Apri qui una panoramica del lago Palù

Così il naturalista Paolo Pero (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova, 1894; cfr. appendice) su una delle perle più pregiate della Valmalenco. Il lago Palù (lach di palö), posto a 1921 metri, è il più ampio lago naturale delle montagne valtellinesi, superato solo dai laghi originati da sbarramenti artificiali. Si è ipotizzato che sia stato creato dallo sbarramento di una paleofrana, ma sembra più probabile che il suo bacino derivi dai processi di escavazione glaciale. Non ha emissario visibile, per cui in passato le sue acque finivano per perdersi nelle cavità naturali sotto i monti Roggione e Motta (Sasso Alto), ad est e sud-est del lago. In tempi più recenti è stata costuita una galleria di 365 metri che ne convoglia le acque fino alla frazione Curlo di Chiesa in Valmalenco, per poi indirizzarle alla centale idroelettrica di Lanzada. Oggi è meta dei cultori della pesca sportiva, ma già in passato era famoso per la sua pescosità, tanto che a metà dell'Ottocento le sue trote e le sue tinche sostentavano, nella stagione estiva, cinque famiglie che vi praticavano la pesca. A quel tempo la sua superficie era più ampia (occorreva un'ora buona per completarne il periplo), ed ancor più lo era, pare, nei secoli precedenti. Ai tempi di Melchiorre Gioia (1767-1829), infatti, lo sviluppo della riva era triplo, ed era necessaria un'ora e mezza per percorrerlo interamente. Era, inoltre, assai più pescoso, tanto da consentire a diverse famiglie di vivere praticando l'attività della pesca, come leggiamo anche nella “Guida alla Valtellina” edita dal CAI nel 1884, che ci offre ulteriori notizie: “Il Palù (1993 m.) vuolsi annoverare fra i pittoreschi laghi montani. Giace in una conca fra il Monte Motta e il Monte Nero, e misura circa 600 metri in lunghezza e 300 metri in larghezza… durante un mese dell’anno vi stanno alcuni pastori, poi tutto è quiete e silenzio. Un parroco di Chiesa fece erigere vicino al lago una casetta, nella quale egli soleva passare alcuni giorni di svago. L’albergatore Battaglia di Chiesa, divenutone proprietario, la rifabbricò ed ingrandì, e ora vi possono trovare alloggio modesto e buon vitto quelli che amano nella quiete di quel ridente soggiorno dimenticare le traversie della vita. La Casa del Palù non è sempre aperta: chi vuol trovarvi ricovero deve avvertire qualcuno degli albergatori di Chiesa. Il lago non ha emissari apparenti e nessun ruscello si versa in esso: le sue acque sono limpide tanto che vi si possono prendere dei bagni. E perché nulla mancasse, il signor Battaglia vi fece fabbricare un piccolo burchiello, col quale in ogni senso può percorrersi il lago. Né i pesci vi mancano, anzi v’abbondan le trote, e vi si trovò pur anco una grossa anguilla che ora si conserva nel Museo dell’Università pavese. Uno dei divertimenti più graditi è la pesca, o meglio la caccia delle trote. La limpidezza delle acque rende inutili le reti e gli ami: conviene adoperare il fucile. Si pone una piccola fiocina su una bacchetta, che in luogo del projettile si mette nella canna di un fucile, a cui si raccomanda con una cordicella. E con essa si colpiscono le trote quando vengono a fior d’acqua per ingoiare una bicciola di pane o qualche altra cosa che si ebbe cura di gettar loro. Dal lago si giunge in meno di mezz’ora sul Monte Motta, che è a mezzogiorno, e da cui si gode una stupenda vista sulla Val Malenco, la Valtellina, il pizzo Scalino e il Monte delle Disgrazie”.
Tanto basta per raccomandare il lago Palù come meta di una facile e godibilissima passeggiata, di sicura soddisfazione in tutte le stagioni, ma in particolare quando la solitudine riprende possesso di luoghi nei quali sembra regnare da sempre l’arcano mistero dell’armonia. Quella proposta è solo una delle tante possibilità che un camminatore senza particolare allenamento può affrontare senza particolari problemi. Punto di partenza, il rifugio Barchi, nell’omonima località.


Apri qui una panoramica del lago Palù

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

Mappa del percorso - elaborata su un particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere

GALLERIA DI IMMAGINI

LE ALTRE TAPPE

APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo
“G. Piazzi” di Sondrio, sul lago del Palù (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894).









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