CARTE DEI PERCORSI - GALLERIA DI IMMAGINI


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La seconda tappa dell'Alta Via della Magnifica Terra ci porta dalla Val Grosina alla Val Viola Bormina, dove si può pernottare al rifugio Val Viola o al più vicino rifugio Fedferico in Dosdé. La traversata può avvenire per due vie. La più breve sfrutta il passo di Val Verva e la Val Verva per scendere direttamente in Val Viola, la più lunga risale l'intera Valle d'Avero fino al passo di Dosdé e scende per la Val Cantone di Dosdé fino alla confluenza con la Val Viola. Vediamole entrambe.

EITA-PASSO E VALLE DI VERVA-ALPE CAMPO-RIFUGIO DI VAL VIOLA


Apri qui una panoranica sulla piana di Eita

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Eita-Passo di Verva-Altumeira-Rifugio Val Viola
(o Federico in Dosdè)
7 h
700 (1200 in discesa)
E
SINTESI. Da Eita (m. 1701) imbocchiamo la pista sterrata per il passo di Verva (m. 2301), che raggiungiamo senza problemi dopo essere passati per il lago delle Acque Sparse e per le Crote. Dal passo inizia una lunga discesa della Val Verva, che sfrutta la pista sterrata. Passiamo a sinistra della Cascina di Verva (m. 2123) e ci approssimiamo alla confluenza della valle nella Val Viola Bormina. La pista comincia ad inanellare qualche tornante e si porta sul fondo della Val Viola, dove un ponte ci fa passare sul suo versante settentrionale. Proseguendo sulla pista, saliamo così all'alpe Campo (m. 1938). Da qui saliamo alla carozzabile di Val Verva e la seguiamo verso sinistra, cioè verso l'interno della valle. Proseguiamo rimanendo sempre sulla pista principale della valle, che diventa pista con fondo sterrato e prosegue in direzione del passo di Val Viola. Ignorata la deviazione a sinistra per la Val Cantone di Dosdè (a meno che scegliamo di far tappa al rifugio Federico in Dosdè: in tal caso scendiamo all'alpe Dosdè e saliamo in pochi minuti al ben visibile rifugio), proseguiamo affacciandoci al ripiano terminale della valle, giungendo in vista del lago di Val Viola e del ben visibile rifugio di Val Viola (m. 2353), al quale ci portiamo lasciando la pista ed imboccando un sentiero segnalato sulla sinistra.


Eita

Da Eita (m. 1701) riprendiamo il cammino per traversare dalla Val Grosina alla Val Viola Bormina, sfruttando una comoda anche se un po' monotona pista sterrata. Un cartello segnala il sentiero Italia (S. I., con numerazione 201), che giunge fin qui da Malghera (data a 6 ore e 10 minuti), dal passo di Vermolera (dato a 4 ore e 10 minuti) e dai laghi di Tres (dati a 2 ore), e prosegue in direzione del rifugio Falck (dato a 50 minuti), del passo di Verva (dato a 2 ore e 10 minuti) e del rifugio Viola (dato a 5 ore e 40 minuti). Ci incamminiamo, dunque, in questa seconda direzione, lungo una pista sterrata chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati, che procede in direzione nord, tagliando il fianco orientale del Sasso di Conca (Sasa de Conca, m. 3150) e del Sasso Colosso (Sas Calòs, m. 2532), incorniciato da un bosco di abeti, pini gembri ed ontani. Nella salita oltrepassiamo due vallecole, la maggiore Val di Conca e la più modesta Val di Pisi. Alla nostra destra vediamo il fronte dell’ultimo gradino di soglia che ci introduce al tratto terminale della Val Grosina, incorniciato dalla severa parete meridionale del Sasso Maurigno (Sas Maurégn, m. 3062). Più a destra, infine, vale a dire ad est, si apre la solitaria valle del Rio Cassavrolo (Ruasch de Casauröl), che culmina nel passo di Zandila (Pas de Zandila, o Sandina) e nel monte omonimo (m. 2936).


Acque Sparse

Dopo un tratto incassato nella roccia, oltrepassiamo una terza vallecola, la Val di Piégni, e raggiungiamo la soglia del gradino, trovando un bivio: i cartelli ci informano che proseguendo sulla pista principale ci dirigiamo al passo di Verva, dato ad un’ora e venti minuti (Sentiero Italia, di cui stiamo percorrendo un tratto), ad Arnoga, data a 3 ore e 35 minuti o al rifugio Viola, dato a 4 ore e 50 minuti, mentre imboccando il sentiero che se ne stacca sulla destra scendiamo in pochi minuti al ben visibile rifugio Falck, della sezione di Dervio del C.A.I. (m. 2005; per informazioni, telefonare allo 0341 851013).
Dopo un breve tratto pianeggiante, ci affacciamo alla parte terminale della Val Grosina, che, nel primo tratto, ci propone l’ampio pianoro della località delle Acque Sparse (Acqui Spèrsi), dove, alla nostra destra, l’acqua di numerose sorgenti che confluiscono nel Rio di Verva (Ruasch de Vèrba) dà origine, grazie ad uno sbarramento di massi, ad un incantevole laghetto (laghetto della Acque Sparse, m. 2024), incorniciato da una splendida pecceta. Sul lato opposto, cioè alla nostra sinistra (ovest) si mostra il fianco orientale del Sasso Colosso (“Sas Calòs”, m. 2532). Guardando a nord riconosciamo facilmente quella che ci appare essere la depressione del passo (in realtà la sella introduce ad un gradino superiore, che da qui non si vede, e sul quale il passo è posto effettivamente). Ma il panorama è dominato, a nord-est, dalla severa e vertiginosa parete sud-occidentale del Sasso Maurign (“Sas Maurégn”, m. 3062), ben visibile già da Eita. Poco più avanti, sulla sinistra, incontriamo un altarino ed un’edicola dedicata alla Madonna del Lago, eretta il 16 agosto 1995, in ricordo della visita come pellegrino di Sua Eminenza l’allora Cardinale di Milano Carlo Maria Martini.

Pista per il passo di Verva. Foto di Massimo Dei Cas www.paesidivaltellina.it
Salita al passo di Verva

La pista piega leggermente a sinistra (andamento nord-nord-ovest), salendo con molta gradualità. Guardando a sinistra, vediamo il torrentello che scende da un ripiano sospeso poco meno di duecento metri più in alto rispetto al fondovalle. Si tratta dei Rogi del Lèch, e scende dal lago Turchino o lago Calosso, la nostra meta, una piccola perla glaciale che se ne sta, nascosta alla nostra vista, a nord del Sasso Colosso, a nord-est del Sasso di Conca e ad est dei Sassi Rossi. Osservando con attenzione, scorgiamo il sentiero che si stacca, sulla sinistra, dalla pista più a monte (nei pressi dei ricoveri della località Le Crote) e sale fino al laghetto. Questo è alimentato dalla vedretta del Sasso Colosso (“Védrégia de Sas Calos”), che occupava l’ampio canalone a sud-ovest, ma che oggi si è ritirata appena sotto le rocce sottostanti la vetta del Sasso di Conca (m. 3150). La successiva salita ci porta ai già citati rudimentali ricoveri dell’alpeggio delle Crote (“I Cròti”, m. 2175), ricavati sfruttando massi aggettanti ai piedi del severo pendio ai piedi del versante sud-occidentale del Sasso Maurignino (“Sas Mauregnìn”, m. 2673): tutto qui richiama l’essenzialità e gli stenti della vita d’alpeggio.


Apri qui una panoramica sul passo di Verva

Mancano una ventina di minuti al passo di Verva (m. 2301), al quale giungiamo dopo pochi tornanti (nei pressi dei quali si può individuare, sulla destra, un manufatto militare: si tratta di una piccola grotta scavata nella roccia, al fine di permettere di dominare l’alta valle che si stende a sud del passo di Verva). Sul passo troviamo due cartelli: il primo dà, nella direzione dalla quale proveniamo, il rifugio Falck a 50 minuti ed Eita ad un'ora e 20 minuti; il secondo dà, nella direzione opposta (nord) l'alpe Campo ad un'ora e 20 minuti, Arnoga a 2 ore e 15 minuti ed il rifugio Viola a 3 ore e 30 minuti.
Questo passo merita una breve presentazione che renda giustizia della sua importanza storica, poco conosciuta. L’origine del nome stesso può segnalarne l’importanza: deriva, forse, dal nome personale “Vervinius” che, a sua volta, contiene una radice etrusca simile a quella di “Berbenno” (anche se non è da escludere l’origine da “vevra”, “spineto”). Per la sua accessibilità relativamente facile (è posto a 2301 metri) e la sua posizione strategica (si apre fra il gruppo della cima Piazzi, ad est, ed il gruppo Cima Viola-Punta di Dosdè ad ovest), il passo rappresentò, in passato, una valida via alternativa di accesso al livignasco ed alle regioni di lingua tedesca, rispetto a quella che passava per il fondovalle valtellinese.


Apri qui una panoramica sulla Val Verva e sulla cima Piazzi

Immaginiamo un mercante veneziano di 4 o 5 secoli fa, che dal bresciano (Brescia, dal Quattocento alla fine del Settecento, apparteneva ai domini della Repubblica di Venezia), volesse valicare le Alpi: la via più breve sarebbe stata quella di risalire la Valcamonica, valicare il Mortirolo, scendere a Grosio, risalire l’intera val Grosina fino al passo di Verva (per il quale passava una buona mulattiera), scendere lungo la breve Val Verva, che confluisce nella Val Viola Bormina, percorrere quest’ultima fino ad Arnoga e raggiungere il Livignasco per il passo del Foscagno.
La zona del passo, che ora segna il confine fra i comuni di Grosio e Valdidentro, in passato fu oggetto di contesa, per i preziosi pascoli, fra il comune di Grosio e quello di Bormio, contesa che portò anche ad un fatto di sangue nel 1375 e che venne definitivamente composta con un atto notarile del 1547, che sanciva i confini degli alpeggi di “Verva et Davoxde”, del comune di Bormio, e di “Cassaurolo et Verva”, del comune di Grosio.
Ma
accadde anche di peggio. Galeazzo Visconti, deciso a riaffermare la propria signoria sulla ribelle Bormio, allestì una spedizione guidata dal capitano di ventura Giovanni Cane. Questi, invece di cercare di forzare le difese bormine alle torri di Serravalle, erette nella naturale strettoia al confine meridionale della contea con la Valtellina, le aggirò. Approfittò, infatti, dell’appoggio di Grosio e, il 30 novembre 1376, risalì l’intera Val Grosina, scendendo quindi per la Val Verva e la Val Viola, per piombare, infine, sulla piana di Bormio, che fu messa a ferro e fuoco.


Apri qui una panoramica sulla Valle di Eita e sul passo di Verva

A completare il quadro suggestivo concorre anche il mistero del Sasso di Castro (da "castrum", cioè fortificazione), cima che la carta IGM colloca a metà della Val Verva, ma che in realtà è posta più in alto, proprio sul versante occidentale del passo. Questo toponimo rimanda molto probabilmente, a riprova dell'importanza strategica del passo, ad una fortificazione successiva all'anno Mille, di cui però si è persa ogni traccia. Così come di queste antiche contese si è persa anche l’eco.
In un passato più recente, cioè nel secolo scorso, il passo divenne scenario di una partita che si ripeteva ad intervalli regolari sull'intero arco alpino di confine, quella fra contrabbandieri e finanzieri. I primi, che venivano dall'elvetica Val di Campo o dal livignasco, dovevano cercare di approfittare delle ore di luce più scarsa per eludere la sorveglianza dei finanzieri di stanza nella caserma di Eita, per transitare presso il passo e traversare in Val Campaccio (per il colle di Piazzi) o l'alpe Zandila (per il passo di Zandila) e scendere infine al fondovalle. Quando ormai da una ventina d'anni l'attività di contrabbando si era esaurita, la quiete del passo venne turbata da un nuovo epocale evento, l'immane frana della Val Pola, precipitata la mattina del 28 luglio 1987, che interruppe i collegamenti di fondovalle per Bormio. Durante quella tremenda estate il passo, raggiunto da una carrozzabile, fu utilizzato per transitare in alta Valtellina partendo da Grosio.
Ristabilito il collegamento di fondovalle, il passo tornò al suo antichissimo silenzio, interrotto solo dalla presenza di tranquilli bovini, di pochi escursionisti e di un discreto numero di bikers, che lo frequentano percorrendo uno dei più begli anelli di mountain-bike dell’intera Valtellina, l’anello della Cima Piazzi (Arroga-Bormio-Grosio-Val Grosina-Passo di Verva-Arnoga).


Discesa dalla Val Verva

Una curiosità, per concludere: lo spartiacque fra Valle di Eita e Val Verva non costituiva, come ci si potrebbe aspettare, il confine fra il territorio del comune di Grosio (Terziere superiore della Valtellina) e quello della Contea di Bormio, in quanto esso seguiva una linea immaginaria congiungente il Sasso di Castro (elevazione posta immediatamente ad ovest del passo) al Corno Sinigaglia. Rientrava, quindi, nel territorio di Grosio una piccola porzione dell’alta Val Verva, e precisamente la parte alta della valle che si apre ai piedi della Vedretta di Verva, cioè della Val de Valù. Non potendo costringere gli armenti a rispettare questo criterio altimetrico, rimase fissata la consuetudine secondo la quale il bestiame degli alpeggiatori della Val Grosina pascolava sul lato sinistro della valle, quello degli alpeggiatori della Valdidentro sul lato destro.
Torniamo ora al racconto della traversata.


Alpe Campo e Corno di Dosdè

Dal passo inizia una lunga discesa della Val Verva, che sfrutta la pista sterrata. Passiamo a sinistra della Cascina di Verva (m. 2123) e ci approssimiamo alla confluenza della valle nella Val Viola Bormina. La pista comincia ad inanellare qualche tornante e si porta sul fondo della Val Viola, dove un ponte ci fa passare sul suo versante settentrionale. Proseguendo sulla pista, saliamo così all'alpe Campo (m. 1938). Da qui saliamo alla carozzabile di Val Verva e la seguiamo verso sinistra, cioè verso l'interno della valle.
Dobbiamo ora scegliere se far tappa al rifugio di Val Viola o iniziare la lunga ed impegnativa traversata a Livigno (da scegliersi solo in caso di ottimo allenamento e buone condizioni di visibilità; si calcolino, poi, bene i tempi, per evitare la spiacevolissima situazione di essere sorpresi dal crepuscolo nella discesa della Valle delle Mine, che, nella parte alta, non è banale).
Nel primo caso dobbiamo semplicemente proseguire sulla pista principale della valle, che diventa pista con fondo sterrato e prosegue in direzione del passo di Val Viola. Ignorata la deviazione a sinistra per la Val Cantone di Dosdè (a meno che scegliamo di far tappa al rifugio Federico in Dosdè: in tal caso scendiamo all'alpe Dosdè e saliamo in pochi minuti al ben visibile rifugio), proseguiamo affacciandoci al ripiano terminale della valle, giungendo in vista del lago di Val Viola e del ben visibile rifugio di Val Viola (m. 2353), al quale ci portiamo lasciando la pista ed imboccando un sentiero segnalato sulla sinistra.


Rifugio Val Viola

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EITA-RIFUGIO E PASSO DI DOSDE'-RIFUGIO FEDERICO IN DOSDE' O RIFUGIO VAL VIOLA

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Eita-Strada per Eita-Valle d'Avedo-Passo di Dosdè-Rifugio Federico in Dosdè
6 h
1240
E
Eita-Strada per Eita-Valle d'Avedo-Passo di Dosdè-Rifugio Val Viola
6 h e 45 min.
1460
E
SINTESI. Da Eita scendiamo lungo la carozzabile per poche centinaia di metri fino a trovare fino a trovare sulla destra una pista (segnalazione per la Val D'Avedo ed il rifugio Dosdè). Saliamo sulla pista e passiamo a monte dell'alpe Avedo e, superata la località Stabini (m. 1821), entriamo nella piana di Vermoléra (m. 1927); la pista si è fatta sentiero e si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra. Attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle, iniziando a salire un gradino di soglia che ci fa approdare alla piana dei laghetti di Tres (m. 2186). Ignorata la deviazione a sinistra del Sentiero Italia, pieghiamo leggermente a destra (nord-ovest), tagliando in diagonale l'ampio versante settentrionale a monte della piana e guadagnando quota con molta gradualità. Al termine della salita, aggiriamo un dosso e si apre di fronte a noi il lungo pianoro che precede un nuovo e modesto gradino, superato il quale, sempre verso ovest-nord-ovest, siamo alla conca che ospita il bellissimo lago Negro (m. 2560). Passiamo alla sua sinistra seguendo la riva meridionale e quella occidentale. Seguiamo ora con attenzione i segnavia e procediamo verso nord-nord-ovest: superato il primo breve gradino, pieghiamo a destra (nord-est), raggiungiamo alcuni modesti specchi d'acqua, e ci accingiamo agli ultimi sforzi, portandoci sul versante sinistro del canalone. Passiamo così proprio ai piedi del terrazzo roccioso al di sopra del quale si mostra il rifugio Dosdè. La salita diretta non è possibile, per cui dobbiamo aggirare l'ostacolo proseguendo verso la sella del passo e lasciando il rifugio alla nostra sinistra, per poi piegare a sinistra e raggiungerlo con un ultimo traverso. In breve raggiungiamo, così, la croce posta sui 2824 metri del passo di Dosdè ("Pas Dosdé") che ospita il rifugio o capanna di Dosdè.

La val d'Avédo, o di Vermolera, rappresenta il cuore nascosto e selvaggio della Val Grosina, ed insieme la meta di una delle più classiche escursioni fra queste montagne, quella al rifugio Dosdè (m. 2824), al passo omonimo. Per questa valle passa la versione più lunga della seconda tappa dell'Alta Via della Magnifica Terra.
Da Eita scendiamo lungo la carozzabile per poche centinaia di metri fino a trovare fino a trovare sulla destra una pista (segnalazione per la Val D'Avedo ed il rifugio Dosdè).
I cartelli segnalano che stiamo percorrendo un tratto del Sentiero Italia, che però si separa dal sentiero per il rifugio alla piana dei laghetti di Tres. Si tratta della strada che sale ai prati di Avedo (o Avè, dalla voce dialettale “avéd”, abete, m. 1670). stretta e ripida.
La pista, sulla quale all'asfalto si sostituisce ben presto la terra battuta, passa a monte dei prati dell'alpe, e regala diversi scorci panoramici su Eita, riconoscibile per il caratteristico campanile. Stiamo risalendo il primo dei gradini che la valle, nel suo sviluppo, propone: lo scenario, qui, è ancora quello gentile dei pascoli verdeggianti che hanno permesso, in Val Grosina, quel largo sviluppo della zootecnia per il quale essa è famosa. Superato un piccolo spiazzo che viene utilizzato da qualche audace automezzo come parcheggio, ci avviciniamo alla porta che introduce al secondo gradino.
Superata la località Stabini (localmente "i Stabimi", m. 1821, nucleo citato in un documento del 1787: "monte alle stabine in Vermolera"), infatti, entriamo nella piana di Vermoléra; la pista si è fatta sentiero e, qui, si avvicina al torrente, il Roasco (o Rio) di Avedo, che, per un tratto ancora, rimane alla nostra sinistra.

L'alpe di "Vérmulèra" è citata in un documento del 1543. L'aspetto solitario della piana è mitigato dalle due baite (m. 1927), mentre sul fondo è già ben visibile il successivo gradino che ci impegnerà nella salita. Ora, però, attraversiamo un ponticello e passiamo sul lato opposto della valle (c'è anche un sentiero che resta sul medesimo lato, ma è meno agevole), lasciando il torrente alla nostra destra. Il sentiero, ben marcato, si allontana, poi, dal torrente, che scende, alla nostra destra, da una breve gola.
La salita è, in questo tratto, abbastanza ripida, per cui si rende probabilmente necessaria qualche sosta, che ci consente di abbracciare con un colpo d'occhio il percorso effettuato dalla piana di Vermolera. Passiamo anche vicino ad una singolare struttura in pietra, a forma di ogiva o di igloo. Se ne trovano di simili sul versante retico mediovaltellinese (per esempio appena sotto il nucleo di Campione a monte di Bianzone o all'alpe Lughina sopra Villa di Tirano). Molto probabilmente fungevano da ricovero per i pastori.
Alla fine, ecco la piana dei laghetti di Tres ("lach di Trés", m. 2186, chiamati in passato anche "Laghi di Avedo"), posti poco a sud delle baite omonime: al suo ingresso, ci riportiamo a destra del torrente, che qui defluisce dal più grande dei laghetti.

Lo scenario comincia a mutare, ma la piana è ancora connotata da un aspetto gentile e raccolto. Nei pressi della baita più grande, un cartello segnala che il Sentiero Italia si stacca ora da quello che sale al passo di Dosdè. Quest'ultimo piega leggermente a destra (nord-ovest), tagliando in diagonale l'ampio versante settentrionale a monte della piana e guadagnando quota con molta gradualità.
Alla nostra destra, intuiamo, oltre il gradino roccioso dal quale scende un ramo del torrente, la presenza di un laghetto alpino, quello di Spalmo, a 2515 metri. Noi, però, lasciamo alle spalle il versante settentrionale e ci accingiamo ad aggirare il dosso che nasconde alla vista il segmento più alto della valle; ci accompagna qualche segnavia bianco-rosso. C'è ancora parecchia strada da fare: al termine della salita, infatti, si apre di fronte a noi il lungo pianoro che precede un nuovo e modesto gradino. Siamo ormai nel regno della solitudine: il pian del Fréc' presenta tutte le caratteristiche degli scenari di alta quota, dove i pascoli sempre più magri cedono il passo ai massi ed agli sfasciumi. La piana ha un andamento assai tranquillo, che ci permette di ammirare, sulla nostra destra, l'aspro versante sud-occidentale della più alta cima di questo gruppo montuoso, la cima Viola (m. 3374), che da qui appare come un modesto corno che chiude a sinistra il fianco del massiccio.
Ancora un gradino, per quanto modesto, prima di accedere alla conca che ospita il bellissimo lago Negro (lac Négru, m. 2560, chiamato in passato anche "Lago Scuro"), che, unito allo scenario dei corrugati contrafforti della cima Viola, regala uno dei più affascinanti scorci di alta montagna del versante retico valtellinese. Il sentiero percorre buona parte del perimetro del lago, di origine morenica. Ci portiamo, così, passando alla sua sinistra, sul lato suo occidentale, dal quale esso si mostra in tutta la sua ampiezza e bellezza.
Ci sono ancora un paio di gradini da risalire, prima di guadagnare il passo. Il sentiero si fa sempre più labile, per cui dobbiamo prestare molta attenzione ai segnavia, per evitare fatiche inutili nel caotico dedalo dei massi di ogni dimensione che occupano il versante che ci separa dal passo. Superato il primo breve gradino, pieghiamo a destra (nord-est), raggiungiamo alcuni modesti specchi d'acqua, raggiungiamo alcuni modesti specchi d'acqua e ci accingiamo agli ultimi sforzi: portandoci sul versante sinistro del canalone, passiamo proprio ai piedi del terrazzo roccioso al di sopra del quale si mostra il rifugio. La salita diretta non è possibile, per cui dobbiamo aggirare l'ostacolo proseguendo verso la sella del passo e lasciando il rifugio alla nostra sinistra, per poi piegare a sinistra e raggiungerlo con un ultimo traverso.
In breve raggiungiamo, così, la croce posta sui 2824 metri del passo di Dosdè ("Pas Dosdé"). Il rifugio, o capanna di Dosdè ("Capàna Dosdé"), del CAI di Bormio, non è sempre aperto: se si desidera fruirne, bisogna chiedere le chiavi a Fusino. Per raggiungerlo, sono necessarie circa 4 ore di cammino, che permette di superare un dislivello di quasi 1200 metri.


Discesa dal passo di Dosdè

Discesa dal passo di Dosdè

Discesa dal passo di Dosdè

Discesa dal passo di Dosdè

Discesa in Val Cantone di Dosdè

Val Cantone di Dosdè

Dal passo si può scendere facilmente in val Cantone di Dosdè, seguendo gli abbondanti segnavia. Nella prima parte della discesa dal passo ci muoviamo fra blocchi e sfaciumi, poi raggiungiamo una più tranquilla traccia che scende gradualmente fra magri pascoli e pietrame. Siamo sul lato di sinistra (per noi) della valle e ne assecondiamo l'andamento volgendo gradualmente a destra.
Raggiunto il punto mediano della passiamo da sinistra a destra del torrente che corre al suo centro, raggiungendo la malandata Baita del Pastori (m. 2361). Qui ignoriamo la deviaizone a destra per il bivacco Caldarini e seguendo le indicazioni di un cartello proseguiamo sul largo sentiero che scende gradualmente a destra del torrente, verso nord. A quota 225 un ponte ci riporta sul lato sinistro della valle e procediamo in direzione dell'alpe Dosdè. Alla nostra destra, leggermente rialzato, il rifugio Federico in Dosdè, al quale possiamo portarci per pernottare.


Il rifugio Federico in Dosdè (clicca qui per ingrandire)

Se preferiamo il rifugio Val Viola, proseguiamo verso le baite dell'alpe Dosdé (m. 2129). Seguiamo poi la stradella che supera il torrente di Val Viola e sale ad intercettare la pista principale che risale l'intera Val Viola Bormina. Seguendola verso sinistra, saliamo gradualmente al ripiano terminale, poco sotto il passo di Val Viola, che ospita i laghi di Val Viola ed il rifugio Val Viola (m. 2315).


Apri qui una panoramica della Val Cantone di Dosdé

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APPROFONDIMENTI: LA VAL VIOLA BORMINA, LA STORIA, LA GEOGRAFIA, LE LEGGENDE


Corno di Dosdè e lago di Val Viola

LA STORIA

Intanto accenniamo al rilievo storico di questa valle, che era una delle più agevoli porte di accesso al Bormiese dall’Engadina, attraverso la valle di Poschiavo, ma anche dalla media Valtellina, attraverso la Val Grosina ed il passo di Val Verva. In entrambi i casi, eserciti potevano affacciarsi alla piana di Bormio eludendo la stretta di Serravalle, sopra Sondalo, chiusa da una fortezza imprendibile. Sull’importanza storica della valle, ecco un interessantissimo passo tratto dall’altrettanto interessante volumetto di Giovanni Peretti “Rifugi alpini, bivacchi e itinerari scelti in alta Valtellina” (Alpinia Editrice. Bormio, 1987): “Un tempo rivestiva grande interesse geografico, che le era conferito dalla relativa facilità con la quale era possibile da Tirano giungere alla Valle di Fraéle evitando Bormio, e quindi il suo Forte dei Bagni, oltre che quello di Serravalle.
Questa cosa ebbe infatti rilevante importanza nelle battaglie Franco-Austriache del 1635, di cui si accenna pure nella descrizione della Val di Fraéle. Ma una notizia storica molto importante e quasi sconosciuta è quella del passaggio in questa Valle di uno dei più famosi e bravi orafi e scultori italiani: Benvenuto Cellini. Il turbolento e litigioso artista fu chiamato, nel 1540, alla Corte di Francesco I a Parigi, che lo tolse dal carcere di Castel S. Angelo nel quale lo aveva rinchiuso il Papa Paolo III, e decise di raggiungere la Francia per la via di Ferrara e passando per le nostre montagne. Questo lo scarno resoconto che ci lasciò. riguardante il passaggio delle Alpi: "Presi il cammino per terra di Grigioni, perché altro cammino non era sicuro rispetto alle guerre. Passammo le montagne dell'Alba e della Berlina. Era agli otto di Maggio ed era neve grandissima. Con grandissimo pericolo della vita nostra passammo queste due montagne". Le "montagne dell'Alba" fanno quasi sicuramente riferimento all'Albiola, cioè alla Val Viola, in quanto precedono quelle "della Berlina", cioè il Passo del Bernina, che porta in terra Grigiona.”
Montagne dell’Alba: espressione suggestiva e fascinosa, per quelle montagna che sono, anche, montagne del tramonto, perché, come già detto, qui il sole viene a posarsi dopo la sua quotidiana fatica.
Queste montagne appartennero ed appartengono al comune di Valdidentro; i loro ricchi pascoli costituivano uno dei punti di forza dell’economia di questa comunità. Appartenevano al comune, infatti, i pascoli di Altumera, Zembrasca, Zattarona, Stagimel, Arnoga, con un’estensione complessiva di circa 700 ettari; ed ancora Zerbo, con 80 ettari, e Funera, con 13 ettari. La loro capacità complessiva di carico era di 350-400 capi di bovini e 400-500 ovini.


Alta Val Viola Bormina e Corno di Dosdè (clicca qui per ingrandire)

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LA GEOGRAFIA

Dopo la presentazione storica, si impone un inquadramento geografico. Ce lo offre l’ampia presentazione della valle nella Guida alla Valtellina curata, per il CAI di Sondrio, da Fabio Besta (1884):
“La Valle Viola.Fra Isolaccia e Semogo si apre a occidente la bella e alpestre Valle Viola, la quale si dirama in alto in quattro vallette minori, la Val Verva per cui si scende in Val Grosina, la Valle di Dosdè e la Val Viola Bormina che aprono il passo alla Valle di Campo e a Poschiavo, e la Valle di Misestra che mette alla Valle di Livigno. Da Semogo vedonsi, svolte in ampio cerchio, pressoché tutte le sue cime dirupate, e le pareti di ghiaccio scosceso e infranto che scendono da esse, le quali, alternate come sono da nere rupi frastagliate, offrono mirabili variazioni di colore. Sono cime o ghiacciai che gareggiano con quelli tanto più celebrati del vicino Bernina, e che sono tuttora assai di rado e da pochi visitati. Risalgono la Valle Viola due buoni sentieri lungo le due sponde del torrente, a mezza costa. A quello che segue la sponda destra si accede direttamente da Isolaccia. Esso girando i seni di Vai Elia (Lia) e di Cardonè, entra in Val Verva. A questa valle, che giace tra gli ampi fianchi e i dirupati speroni del Piz Dosdè o della Cima dei Piazzi, e che è percorsa da un torrente il quale con molto fragore si precipita in varie cascate tra angusti burroni, si può giungere seguendo un altro sentiero, più lungo ma assai più pittoresco. Esso sale da Isolaccia all'alta Val Elia, poi sormonta lo sperone ad occidente ed entra nel Vallone di Cardonè ricco di ghiacciai scoscesi, di morene d'ogni maniera, di rocce levigate e striate, di burroni e caverne, di laghetti e cadute d'acqua, quindi attraversa codesto vallone per ripide frane sotto orridi dirupi, e, raggiunta una bocchetta facile a discernersi, scende lungo altre frane l’erta costa di Val Verva. Dalle Cascine di Verva un comodo sentiero conduce in un'ora e mezzo al laghetto di Verva, e al vicino passo che metto in Val Grosina, lungo la quale in circa tre ore si può scendere a Grosio o Grosotto. Dal fondo di Val Verva, salendo la facile vedretta che si stende al sud della Cima dei Piazzi e poi scalando la cresta scoscesa, si può, per altri dirupi e vedrette, scendere in Valle Campaccio e quindi a Ceppina..


Val Cantone di Dosdè (clicca qui per ingrandire)

Scendendo da Semogo direttamente verso il torrente e varcandolo si va lungo una buona strada mulattiera, attraverso boschi, al casolare di S. Carlo, su una sporgenza del Monte Arnoga in mezzo ai prati ridenti, quindi allo Cascine di Permoglio, poi a quelle più lontane di Campo e di Crapena e al Ponte della Minestra sul torrente che scende di fronte a Val Verva. Da questo ponte, e precisamente lungo il sentiero che un po' più innanzi della croce sale a destra, si può in un'ora e mezzo giungere all' alpe Funera. Di là continuando la comoda salita lungo le falde delle Coste di Zembrasca e piegando un po' a sinistra, si arriva, dopo aver sormontato gandoni e alcune non difficili rupi, al giogo che è al nord del Monte Zembrasca; dal qual giogo, rasentando il lembo estremo d'un superbo ghiacciaio, si può scendere nella Valle delle Mine o di Tresenda, e per essa a quella di Livigno a un'ora di cammino sopra la borgata. Se invece dal Ponte della Minestra si continua a risalire la Val Viola per le Coste d'Altomera si giunge alla Val Viola Bormina, e per essa al colle che separa i due versanti, da cui si ha superba veduta sulle cime circostanti e sul Bernina. Da Semogo a questo colle occorrono circa quattro ore e mezzo di cammino. La discesa lungo la Val Viola Poschiavina può farsi per vari sentieri; il più comodo è quello che piega a destra seguendo la sponda sino alla parte superiore dell'Alpe Toson, e poi discendo alle cascina. Fra rialzi dovuti ad antiche morene stan qui vari laghetti tra cui quello bellissimo di Saosseo (2163 m.). In meno di cinque ore, per la Valle di Campo, si può discendere a Pisciadello sulla strada del Bernina e a Poschiavo.
Dalle Baite di Dosdè, a cui si può giungere salendo la Val Viola lungo l'una o l'altra sponda del torrente, seguendo un sentiero che s'addentra nella Val di Dosdé o poi ascendendo ripide frane e rupi scoscese è possibile arrivare a una bocchetta vicina alla punta più alta del Corno Dosdé, la punta a lama; di là scivolando lungo una spaccatura di roccia levigata o scalando rupi asprissime ed erte frane si può, con grande difficoltà e non senza pericoli, giungere egualmente all'Alpe Toson in Val Viola Poschiavina. Meno malagevole e pericolosa è la gita nel senso opposto per le minori difficoltà che presenta la salita della spaccatura di roccia levigata che non la sua discesa. Se si risale inveco dal fondo della Val di Dosdé la Vedretta di Val Viola, si può per la vedretta medesima che si prolunga verso la Valle Vermolera, scendere, senza molte difficoltà, in questa stessa vallo ricca di laghi montani, e per essa nella Val Grosina.


Val Viola Bormina

Rinserrano la Val Viola, a cominciare dal nord, il Monte Foscagno (3086 m.), il Monte Zembrasca, la Cima di Campo (3305 m.), il Corno Dosdé, la Cima di Lago Spalmo (3270 m.), il Sasso del Piano, il Piz Dosdé, la Cima dei Piazzi (3500 m.), la Cima di S. Colombano (3019 m) e altre cime minori. … Ci si disse che la Cima di Lago Spalmo è stata salita dal dott. Bartolomeo Sassella dal versante di Val Grosina. Il Corno Dosdé è punto trigonometrico della gran carta dello S. M. A.; su di esso, a quanto ci si assicura, appare ancora il tradizionale ometto di pietra che vi avrebbero eretto i compilatori di quella carta; ignoriamo se sia stato salito da alpinisti in tempi recenti. Quel suo comignolo estremo alto da quindici a venti metri, largo alla base non più di un campanile e collo pareti lisce pare proprio più arduo a salirsi che non il famoso Dent du Géant a cui tanto assomiglia.


Val Viola Bormina e Val Cantone di Dosdè (clicca qui per ingrandire)

Poco più di vent’anni dopo, la valle appare così a Bruno Galli Valerio (da “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Bettini, Sondrio, 1998), che il 30 luglio 1906 scende dal rifugio Dosdé lungo la Val Cantone di Dosdé:
Alle sette e quindici scendiamo le gande verso Val Dosdé. Qua e là appaiono le corolle dorate del papavero alpino. Sopra di noi il Corno di Dosdé, si rizza in una nuovissima forma che ricorda uno degli aspetti del Cervino. Alla Baita del Pastore entriamo in uno splendore di pascoli e fiori; in una musica di campanelle di vacche. Davanti a noi si profila sul cielo di un azzurro intenso, la cima di Foscagno. Passate le baite di Dosdé, valichiamo il Viola su di un ponticello di legno e facciamo il nostro primo title in mezzo alla valle, in un boschetto di larici. Da questo punto, lo sfondo della valle di Dosdé sarebbe degno del pennello di un Segantini: Sopra i pascoli di una calda tinta verde e giallo d'oro, si eleva la vedretta di Dosdé luccicante sotto i raggi del sole, incorniciata dalle eleganti punte che vanno dal Pizzo di Dosdé alle Cime di Viola. Nessun panorama delle Alpi è più artistico di questo. Sulla nostra destra, il panorama è completato dall'imponente parete nera del Corno di Dosdé e dalle Cime di Campo. Passiamo là quaranta minuti, "sognando, come direbbe Flaubert, le innumerevoli esistenze sparse intorno a noi, gli insetti che ronzano, le sorgenti nascoste sotto l'erba, la linfa che scorre nelle piante, gli uccelli nei loro nidi, tutta la natura, senza cercare di scoprirne i misteri, sedotti dalla sua forza, perduti nella sua grandezza".
Abbiamo parlato di Val Viola senza ulteriore specificazione, ma, per amore di precisione, dovremo aggiungere “Bormina”, per distinguerla dall’omonima valle che, come abbiamo letto nella Guida alla Valtellina, dal passo di Val Viola, confine di stato fra Italia e Svizzera, scende fino a confluire nella Valle di Poschiavo, in territorio elvetico.


Val Viola Bormina e rifugio di Val Viola (clicca qui per ingrandire)

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LEGGENDE DI VAL VIOLA

È il momento di cercare di approfondire il mistero di questa valle, la valle delle origini. Una leggenda ci parla di un misterioso popolo delle origini, che abitò queste valli prima che ne prendesse possesso quella stirpe di uomini cui anche noi apparteniamo. Eccola, così come è riportata nella già citata raccolta dattiloscritta di Maria Pietrogiovanna “Le leggende in Alta Valtellina”, Valfurva, 27 giugno 1998:
Si narra che attorno ai laghetti posti al Passo Viola, da dove nasce il torrente omonimo, vivessero degli uomini selvatici. La loro altezza, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, non superava quella di un giovanetto a quindici anni, ma la loro forza vigorosissima uguagliava la loro agilità. Le loro donne avevano capigliature fluenti di un biondo platinato e gli occhi delicati e stellati simili alle genzianelle di primavera. Spaventate fuggivano dentro gli antri del Dosdè, della Val Cantone, del Zembrasca ed il loro pianto diede origine al Viola. A causa del freddo intenso e duraturo di quassù, gli uomini erano ricoperti dì pelo fitto e lungo, le donne si ungevano il corpo con grasso di marmotte, non disdegnando le pellicce di volpe, di tasso e di martora. Si racconta pure che davano latte di camozza e carni crude ai loro piccoli per fortificarli a vincere le vertigini su dirupi e precipizi. D'estate gli uomini facevano piccole formaggelle, coglievano uova di pernici, mirtilli rossi e neri, tuberi, radici, pigne di cembro e nocciole, essiccavano carni di cervo. Tutte queste provviste mettevano in serbo nelle caverne asciutte di queste pietraie. Il loro linguaggio era sibillino e pieno di oscuri monosillabi accompagnati da segni indecifrabili. Erano noti come il popolo della notte e ancor'oggi non si hanno prove della loro sparizione. Gli anziani di questi luoghi asseriscono anche che i macigni disseminati a corona intorno ai laghetti a far da sbarramento sia stata opera loro, suggerita dal gigante Dosdé.”
Ma chi è il gigante Dosdé? Ce lo spiega questa seconda leggenda (riportata nel volume di Lina Rini-Lombardini “Le novelle dell’Adda”, La Scuola, Brescia, 1929, pp. 31-39), sempre tratta dalla raccolta di Maria Pietrogiovanna:


Val Viola Bormina

Intorno al monte Dosdé, monte roccioso tra la Valdidentro e la Val Grosina, viveva una stirpe di uomini giganti, quando uno degli dei, stanco di vivere in cielo, scelse come dimora il Monte Dosdè. Da allora i fianchi della montagna divennero ripidissimi ed i giganti si incollerirono col Monte Dosdè, anche perché questo in precedenza aveva fatto loro vari favori. Tra l'altro, il Monte aveva ceduto ai giganti dei dosserelli, che costoro avevano trasformato in caldaie per cuocervi belve intere. I giganti presero, pertanto, a vendicarsi. Intanto il dio del Monte Dosdé chiese al Monte cosa desiderasse e, come richiesto, gli donò una bella fanciulla di nome Viola, le cui membra erano formate dalle nevi eterne. I giganti, che cercarono dì avere Viola, furono trasformati in cembri colossali e Viola diventò un torrente.

VARIANTE A: LA LEGGENDA DI DOSDE’ E VIOLA
Il giovane dio Dosdé abitava con i suoi fratelli sulla cima del monte situato nell'alta Val Grosina che da lui prese il nome. Erano questi giganti gli ultimi eredi di una stirpe di dei dotati di poteri straordinari, che da tempo immemorabile abitavano quelle cime inviolate dai comuni mortali. La loro dimora era una cava. La vita dei giovani trascorreva serena tra quelle montagne. Dotati di una forza straordinaria, trasportavano tronchi come fossero fuscelli  e scavalcavano cime, passi e dossi con una velocità incredibile. Incuranti delle bufere, della neve e del vento e sprezzanti del pericolo, traevano da essi la forza per sconfiggere altre stirpi di giganti che ogni tanto si avvicinavano minacciosi per occupare il monte. Una mattina, mentre Dosdé si trovava sulle rive del lago Negro, vide riflessa nello specchio dell’acqua un’immagine di sogno che andava e veniva, veloce ed inafferrabile come le nuvole. Era l’immagine di una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi scintillanti. In un baleno la ragazza scomparve ed il dio continuò per giorni e giorni a pensare alla fanciulla, divenne triste e la sua vita cambiò. Raccontò ai fratelli l’accaduto e chiese il loro aiuto per trovare la ragazza. Assieme girarono a lungo sulle cime dei monti, attraversarono laghi e torrenti, chiesero aiuto al vento, alle acque che erano state testimoni dell'incontro, perché lo dicessero ai fiumi, ai mari ed agli oceani. Quando Dosdé aveva perso ogni speranza, scoprì che la ragazza era figlia della regina che regnava su una delle cime più alte, situata a poca distanza dal loro monte. Dosdé si recò allora sul monte, portando con sé ricchi doni per la regina, affinché gli concedesse la mano della figlia. La richiesta fu respinta e la risposta terribile: "Mia figlia appartiene al monte, le sue bianche membra innevate si stendono ora ai vostri piedi ed i riflessi che tu vedi altro non sono che lo splendore dei suoi occhi, dei quali tu ti sei innamorato. Desisti da ogni tuo proposito, se non vuoi che ella perisca e tu e i tuoi fratelli insieme a lei". Incurante del monito e accecato d'amore per la ragazza, appena la regina si fu allontanata, Dosdé tentò di rapire Viola. Quel gesto, però, segnò la fine: il corpo della fanciulla si dileguò in mille rivoletti gorgoglianti, in cascatelle dai riflessi color viola, fino a riunirsi a formare il torrente che da lei prese il nome. In quello stesso istante i giganti vennero trasformati in grossi cembri, mentre il giovane Dosdè fu trasformato nella roccia granitica e grigiastra della cima del monte.”


Val Viola Bormina

Questa leggenda può essere legata all’etimo di “Dosdé”, che, come “Dusdei” (nome di famiglia e di un vicolo a Sondrio), deriva dal latino “domus dei” (casa di Dio: in effetti la leggenda parla proprio del Dio Dosdé e del monte che da lui prende il nome).
Se volgiamo, poi, lo sguardo a sinistra, sul fianco settentrionale della valle, vedremo spiccare il profilo appuntito del pizzo Bianco. Anche questo monte è legato ad una leggenda, che vuole la sua cima punto di ritrovo di ogni sorta di spirito malvagio: si dice che convengano qui, per il sabba, streghe, stregoni e confinati da tutta la contea di Bormio. Questi ultimi, tramutati in bestie immonde, riempivano l’aria di ogni sorta di verso agghiacciante e di frase blasfema, come tributo di benvenuto a Belzebù.
Merita di essere ricordato, poi, il breve racconto che Alfredo Martinelli, nella raccolta “Terra e anima della mia gente” (edizioni Piccolo Tibet, Sondrio, 1973), dal titolo “Spiriti sui pascoli dell’alta Valvola” (pg. 179): vi si descrive l’apparizione al giovane Geni Martirol dello spirito del vecchio Bertoldo, emigrato nella Bergamasca e morto da poche ore; vi si racconta la vita semplice e libera del vecchio Veglin, ed il sereno e quasi trasfigurato trapasso dalla vita alla morte. Ecco qualche passo riferito a quest’ultima figura: “Dopo d'allora non usci più dalla sua valle se non raramente per recarsi al mercato di San Gervasio a vendere qualche pecora. Nel suo piccolo regno da Arnoga, fino alla « Minestra a e ai laghi di Valviola riconosceva una patria stretta che fa parentela e così aveva cognizione delle anime buone e di quelle meno. Aveva dimestichezza con tutti. Distingueva termini e limiti di ogni pascolo privato o comunale e dissodati l'uno dall'altro. Sapeva il pregio di ogni animale sulla pastura o nella stalla e rispettava quelle creature carezzando. le il muso mentre diceva che bisognava voler più bene agli uomini anche se erano più cattivi, perché le bestie non hanno l'idea della morte e non posseggono la sensazione della brevità dell'esistenza. In Val Minestra aveva una baita e un po' di pascolo sul quale s'incantava a considerarne l'aspetto e la consistenza. Seduto su un ceppo corroso o appoggiato a una siepe, osservava, meditava e scopriva sempre qualcosa di nuovo in ciò che gli era già noto. Gli bastava salire poco più in sù o scendere poco più in giù per trovare la buona erba luzola per le sue bestie; gli bastava raccogliere le piccole felci di Permoglia per curare le ferite torpide e le piaghe cancerigne; sapeva scegliere, tra i cardi spinosi, il calcatreppola dai capolini roseo-porporini e con quell'erba faceva gli infusi per guarire la infiammazione agli occhi. Gli bastava guardare in alto per giudicare l'ora del giorno, il tempo e leggeva con confidenza anche le stelle che gli erano abituali.
Dalla fine di maggio ai dì d'ottobre, Veglin andava e veniva in quel suo regno con la porpora del sole o con l'argento della luna, meditando sempre dietro il suo gregge, sulla infinita rassegnazione delle sue bestiole che si adattavano a tutto, come lui, con prodigiosa calma e quasi senza lamenti.”
Nascosto dietro il pizzo Bianco (m. 2827), infine, si distingue l’ampio solco della Val Minestra, in cima alla quale si intuisce (resta nascosto sulla sinistra) il Colle delle Mine (m. 2801) che, introducendo alla valle omonima, permette di passare nel Livignasco. Anche il colle e la valle delle Mine sono legati a leggende di confinati: le anime malvagie dei Livignaschi sarebbero, infatti, condannate a rimanere per sempre o fino alla loro redenzione in questa valle desolata, a batter di mazza sulla rocce oppure a spingere faticosamente su erti crinali grandi massi.

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APPENDICE: Viene qui di seguito riportata la relazione di Paolo Pero, professore di Storia Naturale al Liceo “G. Piazzi” di Sondrio, sul lago Nero e sul lago di Tres (nella raccolta “I laghi alpini valtellinesi”, Padova , 1894)




CARTE DEI PERCORSI sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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